E’ opportuno far cenno anche agli altri decreti delegati adottati. Essi sono: il d.
lg. 17 settembre 2010, n. 156, recante ordinamento transitorio di Roma Capitale; il d.
lg. 31 maggio 2011, n. 88, recante risorse aggiuntive ed interventi speciali per la
rimozione degli squilibri economici; il d. lg. 23 giugno 2011, n. 118, recante
disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di
bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e
2 della legge 5 maggio 2009, n. 42, ed il d. lg. 6 settembre 2011, n. 149, recante
meccanismi sanzionatori e premiali relativi a Regioni, province e comuni, a norma
degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42.
Il decreto n. 156 del 2010 reca la disciplina transitoria di Roma Capitale, che
dovrebbe trovare completamento con l’istituzione e la disciplina delle città
metropolitane, ed individua i relativi organi di governo, costituiti dall’Assemblea
capitolina, cui sono attribuiti compiti di indirizzo e di controllo politico, dalla Giunta
e alla nozione comune di tributo proprio, riguarda proprio questa accezione amplissima di coordinamento, secondo la quale lo Stato non perde mai un potere di disciplina diretta dei tributi regionali: sia quando si tratti di compartecipazioni, sia quando si parli di addizionali, sia quando il tributo proprio appare più derivato che, effettivamente, “proprio”. Perché se invece non di coordinamento si tratta, ma di persistente possibilità di intervento sui tributi propri derivati, significa che la portata innovativa effettiva del nuovo testo costituzionale, con l’alternativa drastica tra compartecipazione e tributo proprio, risulta abbandonata, con un conseguente ridottissimo campo di azione per la disciplina di tributi propri non derivati, ossia per tributi istituiti direttamente con legge regionale, i quali dovrebbero poter coprire solo ristrettissime aree di capacità economica, in base al principio di continenza e di non duplicazione della tassazione su basi imponibili colpite da tributi statali.».
440
«Art. 38 - Tributi previsti dall’articolo 2, comma 2, lettera q), della legge n. 42 del 2009 - 1. Con efficacia a decorrere dall’anno 2013, la legge regionale può, con riguardo ai presupposti non assoggettati ad imposizione da parte dello Stato, istituire tributi regionali e locali nonché, con riferimento ai tributi locali istituiti con legge regionale, determinare variazioni delle aliquote o agevolazioni che comuni e province possono applicare nell'esercizio della propria autonomia.».
187
capitolina, che collabora con il primo cittadino al governo dell’ente, e dal Sindaco,
che è responsabile dell’amministrazione di Roma capitale.
Il decreto n. 88 del 2011 interviene sulla disciplina del Fondo per le aree
sottoutilizzate (FAS), ridenominato «Fondo per lo sviluppo e la coesione», individua
nuovi strumenti procedurali finalizzati a rendere più efficace la politica di riequilibrio
economico e sociale tra le diverse aree del Paese, stabilendo altresì specifiche regole
di programmazione per un miglior utilizzo delle risorse finanziarie. Si precisa che gli
interventi previsti dal decreto debbano venire coordinati con quelli di natura
ordinaria, mantenendo distinte le rispettive risorse e programmando gli interventi a
carico del Fondo per lo sviluppo e la coesione tenendo conto della programmazione
degli interventi ordinari. Le risorse, che devono essere aggiuntive rispetto agli
interventi ordinari, sono finalizzate alla rimozione degli squilibri e alla promozione
dello sviluppo; esse derivano prioritariamente dal Fondo per lo sviluppo e la
coesione, le cui dotazioni sono stabilite dalla politica regionale nazionale, nonché dai
finanziamenti a finalità strutturale dell’Unione europea e dai relativi cofinanziamenti
nazionali.
Il decreto n. 118 del 2011 è finalizzato a definire princípi contabili uniformi da
applicare non solo a Regioni ed enti locali, ma anche ai loro organismi ed enti
strumentali; mediante l’adozione di schemi di bilancio articolati in missioni e
programmi, coerenti con la classificazione economica e funzionale individuata dagli
appositi regolamenti comunitari, in particolare, i sistemi contabili e degli schemi di
bilancio degli enti territoriali risulteranno omogenei con quelli adottati in ambito
europeo ai fini della procedura per i disavanzi eccessivi.
Il decreto n. 149 del 2011, infine, contiene una serie di disposizioni di
«chiusura» rivolte a portare a sistema le innovazioni introdotte con il federalismo
fiscale, tendenti a perseguire una nuova razionalità e trasparenza sulle decisioni di
spesa e di entrata.
In particolare, esso disciplina i meccanismi sanzionatori e prevede alcuni
strumenti nuovi, come l’inventario di fine legislatura regionale e l’inventario di fine
mandato provinciale e comunale, resi obbligatori per i soggetti che si trovano in
difficoltà finanziaria e facoltativi per gli altri. L’introduzione di tali strumenti
consentirà il superamento delle situazioni di malgoverno, determinando una forte
responsabilizzazione sul piano del corretto utilizzo delle risorse pubbliche ed
188
impedendo che un amministratore che manda in dissesto un ente territoriale possa
riproporsi per altre cariche politiche. Il cittadino elettore viene pertanto posto nelle
condizioni effettive di esercitare quel controllo democratico sulle azioni dei governi
regionali e locali che è alla base del federalismo, che proprio in forza di questo
presupposto (la maggiore vicinanza del controllo democratico) avvicina governanti e
governati.
Contestualmente, il decreto n. 149 introduce ulteriori meccanismi sanzionatori,
attinenti però non più alla dinamica fisiologica, bensì - per così dire - a quella
patologica del circuito democratico. «Si tratta di meccanismi sanzionatori diretti a
evitare che la mala gestione ricada sui cittadini con incrementi indebiti di quella
pressione fiscale sulla quale il federalismo fiscale, in rispetto dell’autonomia,
consente maggiori margini di manovra, anche al rialzo. Si tratta degli istituti del cd.
“fallimento politico” e dell’interdizione. Riguardo questi istituti sono state sollevate
obiezioni da parte di Regioni ed Enti locali, che li hanno ritenuti eccessivi, viziati
d’incostituzionalità perché punitivi di comportamenti “meramente oggettivi” ed
erroneamente fondati sull’art.126 della Cost., anziché sull’art.120 Cost. (potere
sostitutivo). Tali obiezioni appaiono però prive di fondamento, innanzitutto nel
contesto d’una Costituzione che, come quella italiana, ruota con sue numerose
disposizioni intorno ai princípi di responsabilità e di buon andamento (art. 97), e che
configura come inderogabile il dovere tributario (art. 2) in quanto diretto a fornire le
risorse necessarie per garantire i fondamentali diritti sociali e civili (non certo sprechi
ed inefficienze).»
441.
In particolare, la fattispecie del «fallimento politico» per il Presidente di
Regione è costruita come ipotesi di rimozione ex art. 126 Cost., configurando come
«grave violazione di legge», la situazione di grave dissesto finanziario
442.
441 Queste le parole del Presidente della COPAFF, L. A
NTONINI, nell’audizione presso la Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale, nell’ambito dell’esame dello schema di decreto legislativo recante meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni (Atto di governo n. 365) - Giovedì 16 giugno 2011.
442 «A differenza di quanto affermato dalle osservazioni proposte dalle Regioni è la stessa legge n. 42
che impone il riferimento all’art. 126 Cost. (e non all’art. 120 Cost.). L’art. 17, lett. e) prevede infatti che: “tra i casi di grave violazione di legge di cui all'articolo 126, primo comma, della Costituzione, rientrano le attività che abbiano causato un grave dissesto nelle finanze regionali”, demandando quindi al decreto legislativo la strutturazione di tale fattispecie. Da questo punto di vista, se si volesse sostenere l’incostituzionalità del richiamo all’art.126 Cost., il difetto di legittimità andrebbe riferito alla legge n. 42/2009 e non al decreto. Ma è anche utile richiamare che su tale legge è intervenuta una larga intesa con gli enti territoriali. La norma del decreto configura quindi la fattispecie di grave dissesto nel congiunto verificarsi di tre situazioni: a) il Presidente della Giunta regionale, nominato
189
Vengono, inoltre, previsti meccanismi sanzionatori per il mancato rispetto del
patto di stabilità e sistemi premiali verso gli enti che assicurano qualità dei servizi
offerti e assetti finanziari positivi. Specifici meccanismi premiali, inoltre, sono diretti
a razionalizzare la spesa sanitaria a favore delle Regioni che dal 2012 istituiscano una
Centrale Regionale per gli Acquisti e l’aggiudicazione di procedure di gara per
l’approvvigionamento di beni e servizi. Si tratta di un meccanismo (premiale e quindi
rispettoso dell’autonomia regionale) idoneo a favorire lo sviluppo di una prassi che,
laddove è stata seguita, ha portato a buoni risultati. Infine, vengono estese alle
Province le normative sui meccanismi premiali per favorire il recupero dell’evasione
fiscale, allineandole con quanto disposto dai precedenti decreti per Regioni e Comuni.
Commissario ad acta non deve adempiere immotivatamente, in tutto o in parte, all’obbligo di redazione del piano di rientro o agli obblighi operativi, anche temporali, derivanti dal piano stesso; b) si deve riscontrare, in sede di verifica annuale il mancato raggiungimento degli obiettivi del piano di rientro, con conseguente perdurare del disavanzo sanitario oltre la misura consentita dal piano medesimo o suo aggravamento; c) deve avvenire l’aumento, per due esercizi consecutivi dell’addizionale regionale Irpef al livello massimo previsto dal decreto legislativo in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario (…). Il realizzarsi di queste tre condizioni, che devono sussistere congiuntamente, non è imputabile a comportamenti meramente oggettivi (come invece sostenuto nelle osservazioni regionali): si deve ad esempio trattare di immotivato mancato rispetto degli obblighi derivanti dal piano di rientro. Al realizzarsi di questa fattispecie, previo parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali e previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, il Presidente del Consiglio dei Ministri propone al Presidente della Repubblica, ai sensi dell’articolo 126, comma primo, della Costituzione, la rimozione del Presidente della Giunta regionale per fallimento nel proprio mandato di amministrazione dell’ente Regione. E’ evidente che il concorso di tre diversi organi (Consiglio dei Ministri, la Commissione parlamentare per le questioni regionali, e soprattutto Presidente della Repubblica, cui è imputabile in ultima istanza l’atto di rimozione) fornisce una adeguata garanzia al procedimento.» (audizione del Presidente della Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale, Prof. Luca ANTONINI, presso la Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale, nell’ambito dell’esame dello schema di decreto legislativo recante meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni (Atto di governo n. 365) - Giovedì 16 giugno 2011).
190
C
APITOLOV-LASITUAZIONEATTUALE.MODELLIINCOMPARAZIONE
5.1. La situazione risultante dopo l’attuazione dell’articolo 119. Spunti per
un’analisi comparata
Nel corso del presente elaborato si è tentato di dar conto del processo di
evoluzione e della situazione attuale dell’ordinamento finanziario degli enti
territoriali, in particolare tenendo conto delle enunciazioni contenute nell’art. 119 e
nella legge di attuazione recentemente approvata. Alcune di queste sono
particolarmente significative ai fini di un tentativo di comparazione con esperienze di
altri ordinamenti, e specificamente con quello spagnolo
443.
Nell’art. 119 Cost. vi è in primo luogo la proclamazione dell’autonomia
finanziaria (che trova ora il proprio riconoscimento direttamente nella Costituzione
mentre nella previgente versione spettava alla legge statale definirne forme e limiti,
nonché il coordinamento con la finanza dello Stato, delle province e dei comuni),
attribuita a tutti gli enti territoriali, e non più alle sole Regioni, con espressa
specificazione che tale autonomia deve esser riferita tanto all’entrata che alla spesa.
Il medesimo articolo prevede poi che gli enti territoriali abbiano risorse
autonome, sancendo il superamento del sistema di finanza derivata, e, subito dopo,
che i medesimi enti possano stabilire e applicare tributi ed entrate propri, in armonia
con la Costituzione e secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del
sistema tributario (secondo comma). Ulteriori risorse ordinarie degli enti territoriali
sono costituite da compartecipazioni al gettito dei tributi erariali riferibile al territorio
dell’ente.
In particolare, con riferimento ai tributi propri, la Corte costituzionale ha
provveduto mediante l’elaborazione giurisprudenziale a cesellare tale definizione
444.
La Corte ha stabilito che per tributo regionale proprio (o «autonomo»), ai sensi del
443 Ci si concentrerà, in particolare, sul livello delle Comunità Autonome e delle Regioni. 444 V. supra, parr. 2.4 e 3.1.4.
191
nuovo art. 119 Cost., deve intendersi esclusivamente un tributo istituto con legge
regionale nel rispetto dei princípi di coordinamento della finanza pubblica e del
sistema tributario definiti dallo Stato. I tributi preesistenti, invece, denominati come
tributi regionali ed il cui gettito spetta alle Regioni ma che sono istituiti con legge
dello Stato, mantengono la loro natura di tributi erariali ed esulano dalla potestà
legislativa regionale (tributi propri «derivati»).
Va comunque sottolineato che i tributi propri non potranno rappresentare la
principale fonte di entrata degli enti territoriali, a fronte del considerevole ammontare
della loro spesa, e quindi il ruolo di risorsa principale dovrà essere costituito dalle
compartecipazioni (che garantiscono, peraltro, maggiore stabilità di risorse) e dai
tributi regionali derivati, che, unitamente alle addizionali, consentono maggior
flessibilità di bilancio per far fronte alle esigenze locali e rendono più effettiva la
responsabilità degli amministratori locali.
Tale impostazione trova peraltro conferma nella disposizione del quarto comma
dell’art. 119 Cost., dove si stabilisce che le risorse derivanti dalle fonti di cui ai
commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e
alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite
445, in ciò
concretizzando il principio di autosufficienza finanziaria.
Con riferimento alle compartecipazioni, va evidenziato altresì che la previsione
contenuta nel secondo comma dell’art. 119 Cost., secondo cui gli enti territoriali
autonomi «dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al
loro territorio», corrisponde al principio di territorialità
446ed implica che il gettito del
445
Tale previsione, che pone un vincolo alla legislazione statale, infatti, non avrebbe significato in presenza di una forte quota di autofinanziamento derivante da tributi propri regionali o locali, come sottolinea L. ANTONINI, I princípi di coordinamento del federalismo fiscale, cit., p. 72, che fa notare come la circostanza che tutti gli enti territoriali autonomi siano indistintamente considerati sia nel secondo che nel quarto comma dell’art. 119 Cost., lascia quindi trasparire un disegno complessivo in cui il finanziamento delle autonomie territoriali è destinato a compiersi principalmente attraverso i tributi istituiti con legge statale, salvo i margini di ulteriore autonomia lasciati aperti dai princípi del coordinamento statale alla potestà legislativa residuale regionale in materia di tributi propri.
446 Il «principio della territorialità dell’imposta» (e il mancato riferimento alla nozione di quota), infatti, dovrebbe implicare il superamento del meccanismo della «riserva d’aliquota uniforme» su cui, invece, si è basata la riforma attuata con il d.lgs. n. 56 del 2000 non permettendo di considerare gli effetti della progressività (che determinano aliquote medie più alte nelle regioni più ricche), secondo L. ANTONINI, I princípi di coordinamento del federalismo fiscale, cit., p. 73. A meno che non si sia fatta la scelta, tecnicamente opinabile, di considerare la riserva di aliquote come un vero e proprio tributo proprio e, quindi, come una fonte di finanziamento ancora valida, ma non riconducibile alle compartecipazioni): una cosa è infatti il finanziamento realizzato con la mera «compartecipazione al gettito» di tributi erariali e una cosa è il finanziamento realizzato tramite l’attribuzione di «quote di
192
tributo erariale compartecipato affluisca alle Regioni al cui territorio è riferibile
(escludendo che la compartecipazione sia destinata a confluire in un fondo
perequativo per poi essere ripartita).
Il legislatore Costituente ha inoltre optato per un modello di federalismo fiscale
ispirato a princípi solidaristici, in ossequio a princípi fondamentali sanciti nella Carta
costituzionale (articoli 2 e 3), che vengono declinati sia dal terzo che dal quinto
comma dell’art. 119.
L’art. 119, terzo comma, enuncia infatti il principio di perequazione, laddove
prevede che la legge dello Stato istituisca un fondo perequativo, senza vincoli di
destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante. Si è
evidenziato
447in precedenza come ciò corrisponda ad un modello di federalismo
fiscale c.d. «cooperativo» o solidale
448, in cui alla legge statale compete un ruolo
fondamentale di coordinamento dell’autonomia tributaria degli enti territoriali e in
materia di perequazione finanziaria.
Il quinto comma prevede risorse statali aggiuntive ed interventi statali speciali a
favore di tutti gli enti territoriali, finalizzati a: 1) promuovere lo sviluppo economico,
la coesione e la solidarietà sociale; 2) rimuovere gli squilibri economici e sociali; 3)
favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona; 4) provvedere a scopi diversi dal
normale esercizio delle funzioni degli enti territoriali. Tale ulteriore intento di
perequazione è rivolto quindi a contemplare un catalogo di valori più intenso rispetto
al «normale esercizio» delle funzioni
449.
tributi erariali», comprendendo, solo quest’ultimo, anche l’attribuzione di una frazione dell’aliquota erariale (così F. GALLO, Prime osservazioni sul nuovo art. 119, cit., par. 5.4).
447 V. supra, par. 3.2. 448
Nel nostro ordinamento, la scelta della variante cooperativa e solidale del federalismo, inoltre, emerge non solo dall’art. 119 della Costituzione, ma anche da altre rilevanti disposizioni costituzionali (come le lettere e ed m del secondo comma dell’articolo 117 e il secondo comma dell’articolo 120). 449 Si è già dato conto, in precedenza (sub par. 3.2) di come la dottrina più avvertita abbia dato opportuno rilievo al significato da dare al combinato disposto del terzo e del quarto comma dell’art. 119 Cost.: «il terzo comma indica, quale parametro di perequazione, il criterio - indubbiamente meno favorevole per le regioni più povere - della “minore capacità fiscale per abitante”; il quarto comma fissa la regola generale, nota come regola di autosufficienza finanziaria, per la quale le risorse indicate nello stesso art. 119 (e cioè i tributi propri in senso stretto, i tributi propri “derivati”, le riserve di aliquote e le compartecipazioni al gettito dei tributi erariali, oltre che le altre entrate patrimoniali) “consentono ai Comuni, alle Province, alle Città Metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite”. Nonostante che il criterio della minore capacità fiscale indicato dal 3° comma appaia non idoneo a garantire ad ogni ente regionale o locale l’integrale finanziamento cui si riferisce il quarto comma, tali due disposizioni non dovrebbero tuttavia essere interpretate nel senso che debba sempre prevalere l’una o l’altra, senza alcuna eccezione. Il riferimento alla minore capacità fiscale non dovrebbe, in particolare, comportare il totale abbandono del principio (re)distributivo - già presente nel precedente testo nell’art. 119 Cost. - fondato sul criterio del