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4.5. Il decreto legislativo 26 novembre 2010, n 216 (determinazione dei cost

4.6.2. Qualche osservazione

Negli anni è stato più volte messo in luce dagli osservatori come non sia facile

pervenire a un sistema equilibrato di finanza locale, per diverse ragioni. Ad esempio,

nell’individuazione delle forme di imposizione locale (anche qualora fosse

disciplinata quasi interamente da legge dello Stato), si viene a colpire l’indice di

ricchezza prescelto, reddito o patrimonio che sia, non nella sua interezza, ma in

413 Come stigmatizzato, infine, dallo stesso Presidente della COPAFF, L. A

NTONINI, in un’intervista al Sole 24 ore (L’esenzione prima casa crea forti distorsioni, 27 giugno 2011).

414 O meglio - come risulta dalle dichiarazioni rese nell’Assemblea della Camera dei Deputati in sede

di comunicazioni del Governo ai sensi dell’art. 2, c. 4, secondo periodo, l. n. 42/2009, in relazione allo schema di decreto legislativo in materia di federalismo fiscale municipale, il 1° marzo 2011 - la proposta dell’opposizione oltre a determinare un aumento della pressione fiscale risultava pressoché incomprensibile quanto all’applicazione.

415 Così C. B

URATTI, La fiscalità locale dopo l’approvazione della legge n. 42/2009: possibili evolu- zioni, in La finanza locale in Italia - Rapporto 2009, Bologna 2010, p. 145 e nota 8.

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alcune sue forme e manifestazioni (non è concepibile, per definizione, un tributo

locale sul reddito complessivo o sul patrimonio globale del soggetto). Ciò ovviamente

deve avvenire entro i limiti che derivano dall’applicazione degli artt. 3 e 53 Cost..

Inoltre va tenuto conto delle difficoltà derivanti dalla limitatezza dei fatti

economici elevabili dal legislatore a presupposto di imposta, limitatezza che rende

l’introduzione di nuove imposte locali comunque problematica perché potenzialmente

in contrasto con l’esigenza del coordinamento, volta ad evitare che sulla medesima

base imponibile incidano più prelievi, locali e statali, tali da rendere non solo teorico

il pressoché totale assorbimento della capacità contributiva del soggetto

416

.

Negli ultimi anni quindi si è assistito ad una rivalutazione del principio del

beneficio, secondo il quale lo Stato può chiedere una particolare contribuzione a chi si

avvantaggia in modo particolare di certe attività pubbliche, mentre secondo il

principio di capacità contributiva - come si è visto, espressione della solidarietà

sociale - ognuno è tenuto a contribuire alle spese pubbliche in ragione delle proprie

risorse economiche.

Probabilmente la via migliore è quella di procedere a una sintesi tra i due

princìpi, in particolare per quanto riguarda l’imposizione a livello locale

417

. Questa è

la scelta operata in sede di attuazione dell’art. 119, e risulta dal principio di

correlazione inserito, come si è visto, tra i princìpi e criteri direttivi (art. 2, c. 2, lett.

p), l. n. 42 del 2009).

Oltre al principio di correlazione viene in risalto tra le scelte del legislatore la

garanzia di un adeguato livello di flessibilità fiscale da perseguirsi mediante un

paniere di tributi propri degli enti territoriali, in prevalenza caratterizzati da

manovrabilità, e compartecipazioni

418

(mediante i tributi propri si garantisce la

416 In tal senso, si veda L. T

OSI, Finanza locale, 2000, cit., p. 287. 417 Si rinvia alla ricostruzione lucidamente operata da D

EL FEDERICO, I tributi paracommutativi e la teoria di Antonio Berliri della tassa come onere nell’attuale dibattito su autorità e consenso, in Riv. dir. fin., 2009, p. 69. Si veda altresì G. TREMONTI,G.VITALETTI, Il federalismo fiscale. Autonomia municipale e solidarietà sociale, Bari 1994, p. 58.

418 Princípi e criteri direttivi, art. 2, c. 2, lett. bb) e cc), l. n. 42/2009: «bb) garanzia del mantenimento di un adeguato livello di flessibilità fiscale nella costituzione di insiemi di tributi e compartecipazioni, da attribuire alle regioni e agli enti locali, la cui composizione sia rappresentata in misura rilevante da tributi manovrabili, con determinazione, per ciascun livello di governo, di un adeguato grado di autonomia di entrata, derivante da tali tributi; cc) previsione di una adeguata flessibilità fiscale articolata su più tributi con una base imponibile stabile e distribuita in modo tendenzialmente uniforme sul territorio nazionale, tale da consentire a tutte le regioni ed enti locali, comprese quelle a più basso potenziale fiscale, di finanziare, attivando le proprie potenzialità, il livello di spesa non riconducibile ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali degli enti locali».

176

manovrabilità dei bilanci, mediante le compartecipazioni l stabilità delle risorse

419

; il

ricorso ad addizionali o sovrimposte, infine, non genera problematiche di

compatibilità con i princìpi di cui agli artt. 3 e 23, poiché, in particolare, colpisce il

reddito nel suo complesso, non implica la ricerca di ulteriori presupposti impositivi,

ha un forte collegamento col territorio; tuttavia il ricorso alle addizionali dovrebbe

essere dosato in modo da non incidere eccessivamente sulla pressione fiscale

complessiva).

Quanto alle novità apportate dal d.lgs. n. 23 del 2011, particolare attenzione

suscitano le disposizioni che prevedono l’istituzione di un’imposta di soggiorno e di

un’imposta di scopo.

Non sembra il caso di soffermarsi sulla correttezza o meno della qualificazione

di imposta, relativamente a tali fattispecie

420

, poiché, ferma restando la validità della

tradizionale tripartizione tra imposta, tassa e contributo, ci sembra più attuale

l’impostazione che supera i rigidi criteri formalistici per prendere in considerazione

fattispecie i cui connotati trascolorano l’uno nell’altro

421

.

419 «Il gettito fiscale può essere ripartito tra i diversi livelli di governo rimuovendo l’opzione dell’autonomia sulla determinazione delle aliquote. La compartecipazione di uno o più livelli di governo periferici al gettito dei tributi nazionali (un istituto di onorata tradizione nell’ordinamento italiano e di altri paesi europei) è una forma appropriata di finanziamento dell’attività degli enti decentrati, riproposta negli anni settanta negli Stati Uniti sotto la denominazione di tax sharing. Il sistema delle compartecipazioni attribuisce ai governi decentrati una quota - uniforme su tutto il territorio - del gettito che un tributo nazionale produce nel territorio regionale o locale. Tale quota di gettito proviene ai bilanci delle diverse giurisdizioni senza che i loro governi debbano pagare il costo politico della decisione sull’aliquota da applicare. Quando le entrate dei governi locali e regionali provengono per intero da compartecipazioni, la singola giurisdizione non dispone più del potere di autodeterminazione dei livelli di spesa e dei beni da produrre. La dimensione del proprio bilancio è determinata per intero da una decisione presa altrove o in un altro momento, per esempio nel momento costituente, e quindi definita una volta per tutte. La compartecipazione produce gettito, ma non esprime autonomia tributaria. Una forma particolare di compartecipazione è quella che si avrebbe con la condivisione delle basi imponibili, ma vincolando all’uniformità l’aliquota dei governi decentrati: tutti gli enti la stessa aliquota. Anche in questo caso, come in quello delle compartecipazioni tradizionali, gli enti subnazionali riceverebbero un gettito legato alle basi imponibili della propria giurisdizione, ma non disporrebbero di autonomia tributaria. All’interno di questa scelta, la condivisione delle basi imponibili ad aliquota uniforme deve considerarsi preferibile alla compartecipazione al gettito. Quest’ultima, infatti, rende più difficile l’uso dello strumento tributario per funzioni di stabilizzazione dell’economia: incrementi delle imposte diretti a contenere la domanda aggregata produrrebbero automaticamente un aumento delle entrate per i livelli di governo subnazionali. Inoltre, nel caso delle imposte progressive sul reddito, la compartecipazione trasferisce ai governi locali un gettito che deriva da aliquote medie di imposizione diverse nelle diverse giurisdizioni in relazione ai diversi livelli del reddito pro capite» (P. GIARDA, Federalismo fiscale, in Enc. Novecento Treccani, Roma 2004, p. 484).

420

Come invece evidenzia G. PETRILLO, Tributi, nuove entrate locali e loro controversa natura giuridica, in Il nuovo sistema fiscale degli enti locali, a cura di F. AMATUCCI, Torino 2010, p. 85. 421 Ci si riferisce a L. D

EL FEDERICO, in I tributi paracommutativi, cit., in cui viene finemente analizzata la commistione tra principio di capacità contributiva e principio del beneficio. A tale

177

Va rilevato, peraltro, che sia l’imposta di soggiorno che quella di scopo non

costituiscono novità assolute per l’ordinamento italiano, atteso che la prima venne

introdotta addirittura nel 1910 (con la l. 11 dicembre 1910, n. 863, e definitivamente

soppressa nel 1989) mentre la seconda fu prevista dalla legge finanziaria per il 2007

(ed infatti l’art. 6 d.lgs. n. 23 del 2011 si innesta, modificandole, sulle disposizioni di

tale legge

422

). Si aggiunga inoltre la recentissima introduzione di un contributo di

soggiorno nel comune di Roma, avvenuto con delibera n. 67/2010

423

. Un tributo

correlato al turismo, inoltre, ancorché puntualmente avversato dagli operatori del

settore, è applicato in molti Paesi esteri da anni ed è quindi possibile prendere spunto

dalle diverse esperienze allo scopo di operare un’adeguata definizione quanto a

congruità della misura tenendo conto delle esigenze del mercato

424

.

L’aspetto che maggiormente occorre sottolineare è che in entrambe le

fattispecie potrebbe essere valorizzato un collegamento forte con politiche di governo

del territorio e di tutela ambientale

425

. Non può sottacersi, ad esempio, che se è pur

finanziaria 2007, in Rass. trib., 2007, p. 883 ss., laddove, a proposito dei rapporti tra l’ente locale ed il singolo, premessa l’eterogeneità delle denominazioni delle diverse entrate degli enti locali e superando il formalismo della mera denominazione, ritiene che si possano configurare due alternative fattispecie, tributo commutativo ovvero obbligazione sinallagmatica.

422

Art. 1, c. 145 ss. l. 27 dicembre 2006, n. 296.

423 Relativamente al quale, per una accurata disamina, si rinvia a G. S

CANU, Fiscalità locale e imposta

di soggiorno, il caso di Roma Capitale, in Boll. trib. 2011, p. 506.

424 Testimonianza dell’esistenza di forme di imposte di soggiorno in Paesi dell’Unione europea pur in

assenza di una disciplina comunitaria viene fornita dalla Corte costituzionale nella celebre sentenza n. 102/2008, nella quale veniva in esame, tra l’altro, l’imposta di soggiorno istituita dalla Regione Sardegna. Si veda inoltre la ricognizione effettuata da G. SCANU, La tassazione sui flussi turistici tra fiscalità locale e competitività: alcune esperienze europee a confronto, in Riv. dir. trib. 2009, p. 339.

425 Al riguardo, ci sia consentito rinviare a F. C

ALZAVARA, La premialità fiscale come strumento per favorire le unioni di comuni, in www.federalismi.it, in cui si esprimevano alcune riflessioni in materia di incentivazione all’aggregazione dei piccoli Comuni - altra questione di grande attualità - e sembrava degna di considerazione l’ipotesi, che al momento risulta percorsa in alcune Comunità Autonome spagnole, dell’istituzione di un’apposita forma impositiva sulle grandi superfici a vocazione commerciale. Sull’attualità di eventuali forme di imposizione a carattere ambientale, si vedano, tra gli altri, S. CIPOLLINA, Osservazioni sulla fiscalità ambientale nella prospettiva del federalismo fiscale, Riv. dir. fin., 2009, p. 567 ss.; F. GALLO, F. MARCHETTI, I presupposti della tassazione ambientale, in Rass. trib., 1999, p. 115; F. GALLO, Profili critici della tassazione ambientale, ivi, 2010, p. 303; J. A. ROZAS VALDÉS, La tassazione ambientale in Spagna, in L. Antonini (a cura di) L’imposizione ambientale nel quadro del nuovo federalismo fiscale, Napoli 2010, p. 153; A. ZATTI, Tassazione ambientale e federalismo fiscale: riflessioni e prospettive, con particolare riferimento al caso italiano, in www-5.unipv.it/webdesed/quaderni.php. Quest’ultimo A., in particolare, ipotizzando forme impositive con effetti ambientali, visualizza: «un insieme potenzialmente vasto ed eterogeneo di strumenti d’entrata, riconducibili nel complesso alla logica della compensazione/pagamento/concorso per i benefici ottenuti o per i costi generati sul territorio dai soggetti contribuenti. Tra essi il riferimento principale (ma non necessariamente esaustivo) può essere fatto a: tributi sulla mobilità (road e parking pricing), imposte/canoni su occupazione spazi, decoro urbano, paesaggio (etc.), contributi di costruzione e altre forme di tributi legati all’uso del suolo, tributi sul turismo. Nell’ambito di un processo di decentramento fiscale, in cui un ruolo di rilievo sia già assegnato a tributi di carattere generale (derivato), tesi a garantire la copertura di un paniere base di spese e a rendere realizzabile la

178

vero che la quota di popolazione che opera nel settore turistico trae un beneficio

economico dai flussi turistici, un’altra quota «subisce» le esternalità negative che

possono derivarne, anche in termini di costi sostenuti per l’equilibrio delle risorse

socio-ambientali.

Sotto un profilo squisitamente economico, poi, la previsione che l’imposta di

soggiorno possa sostituire, in tutto o in parte, gli eventuali oneri imposti agli autobus

turistici per la circolazione e la sosta nell’ambito del territorio comunale, consente

una «spalmatura» dell’onere complessivo gravante sul settore di mercato

426

. Va

evidenziato, altresì, che entrambi i tributi (anche l’imposta di soggiorno, così come

configurata, va annoverata tra i tributi di scopo) rispondono all’esigenza di rendere

trasparente il collegamento tra tassazione e gestione delle risorse percepite, in

ossequio al principio di responsabilizzazione.

L’imposta di soggiorno, inoltre, può essere istituita anche dalle unioni di

Comuni, e ciò va nell’auspicabile direzione di un’incentivazione all’aggregazione dei

Comuni (conformemente al principio di cui all’art. 12, c. 1, lett. f), l. n. 42 del 2009);

resta da vedere come verrà declinata questa attribuzione di potestà impositiva, se in

capo all’unione ovvero ai Comuni alla stessa appartenenti, seguendo l’impostazione

dell’art. 52 d.lgs. n. 446 del 1997, che attribuisce soltanto agli enti ivi nominati, vale a

dire province e comuni, la potestà regolamentare a disciplinare le proprie entrate

427

.

perequazione orizzontale, le entrate di natura para-commutativa possono contribuire in maniera chiave ad assicurare margini di flessibilità sul territorio, nell’ottica di ricercare un (non semplice) equilibrio tra esigenze di uniformità e differenziazione. Eventualità rintracciabile nell’ambito della legge-delega in almeno due punti importanti. Il primo fa riferimento all’art. 12, lett. d), che prevede la ‘disciplina di uno o più tributi propri comunali che, valorizzando l’autonomia tributaria, attribuisca all’ente la facoltà di stabilirli e applicarli in riferimento a particolari scopi quali la realizzazione di opere pubbliche e di investimenti pluriennali nei servizi sociali ovvero il finanziamento degli oneri derivanti da eventi particolari quali flussi turistici e mobilità privata (art. 12, c. d), l. n. 42/2009)».

426 Come rileva A. Z

ATTI, in Tassazione ambientale, ivi, nota 163. 427

Sul punto sia consentito ulteriore rinvio allo scritto citato in nota 68, ove veniva dato conto delle posizioni dottrinali, sia di quelle più tradizionali che di quelle più evoluzioniste, rispetto alla possibilità di attribuire diretta titolarità di potestà regolamentare in materia tributaria in capo alle unioni di Comuni, agganciandosi alla potestà regolamentare in materia organizzativa già esistente in forza dell’art. 32, c. 4, TUEL (d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267).

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