• Non ci sono risultati.

Con le riforme del 1999 e del 2001 si è inciso, in modo sostanziale, il Titolo V

della Parte II della Costituzione. Tali riforme – in particolare, quella del 2001 – hanno

recepito quelle che erano le esigenze che percorrevano una cospicua parte della

società civile italiana, laddove, a partire soprattutto dagli anni ’90, aveva preso

larvatamente piede la richiesta di una maggiore autonomia delle Regioni (in particolar

modo di talune dell’Italia settentrionale)

205

.

204

I cui contenuti sono sostanzialmente confluiti nel testo unico degli enti locali (d. lg. 18 agosto 2000, n. 267).

205 Ciò può essere senz’altro collegato anche a riflessioni concernenti la carenza, nel nostro Paese, dell’etica pubblica e del senso dello Stato, identificati come risorsa fondamentale che deve presiedere alle grandi trasformazioni costituzionali, come avviene nel volume dedicato al federalismo, edito dalla Fondazione Giovanni Agnelli nel 1996 a cura di Marcello Pacini, nel quale la necessità di una riforma dello Stato in senso federale, determinata dalle condizioni economiche, sociali e culturali interne ed esterne al Paese viene collegata ad una ricerca di valori. Per una disamina particolareggiata, si rinvia a

83

Con la legge cost. n. 1 del 1999

206

, in particolare, è stata riconosciuta alle

Regioni piena autonomia statutaria, attraverso la sottrazione degli statuti

all’approvazione parlamentare ed è stata introdotta l’elezione diretta del Presidente

della Regione

207

.

Con la legge cost. n. 3 del 2001 è stata poi compiuta una riforma più incisiva,

che ha in buona parte recepito e integrato il sistema di federalismo amministrativo

delineato con la «riforma Bassanini», la quale aveva probabilmente spinto il punto di

equilibrio tra unità e decentramento ai limiti (o forse oltre) di quanto fosse consentito

a Costituzione vigente, rendendo pertanto quanto mai opportuno un intervento di

modifica costituzionale

208

.

La riforma, pur ridefinendo gli equilibri fra centro e periferia, non muta

l’assetto dello Stato in ordinamento federale, ma di certo ne configura una

connotazione caratterizzata da aperture in senso federalistico e da un potenziamento

dell’autonomia degli enti territoriali.

Ciò avviene a partire dalla nuova formulazione dell’art. 114, primo comma,

(«La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane,

dalle Regioni e dallo Stato»), il quale offre un’enunciazione dell’autonomia degli enti

M. PACINI (a cura di), Un federalismo dei valori, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 1996.

206 E con l’omologa legge cost. n. 2 del 2001 per le Regioni a statuto speciale. 207

Per una articolata disamina di tale riforma, si rinvia a E. GIANFRANCESCO, La forma di governo regionale nella recente esperienza italiana, in www.issirfa.it.

208 Tale intervento può essere letto come il punto di approdo di un cammino iniziato da lontano, che

raccoglie anche i tentativi provenienti dalle commissioni bicamerali del 1992-1994 e del 1997-1998. La prima, c.d. Commissione «De Mita - Iotti», fu istituita nella XI legislatura con due atti monocamerali di indirizzo, approvati nelle sedute del 23 luglio 1992 (Risoluzione Bianco ed altri n. 6- 0001 alla Camera; ordine del giorno Gava ed altri n. 1 al Senato). Essa si insediò il 9 settembre 1992, non pervenne ad un progetto organico di riforma costituzionale, ma propose la revisione dell’art. 60 Cost., nel senso di portare da cinque a quattro anni la durata delle due Camere, e dell’art. 82, riguardante le inchieste parlamentari. La seconda Commissione parlamentare per le riforme costituzionali, meglio nota come «Commissione D’Alema», fu istituita con l. cost. 24 gennaio 1997, n. 1, e concluse i propri lavori presentando alle Camere un progetto di riforma della seconda parte della Costituzione (disegno di legge C. 3931 e S. 2583, presentato contemporaneamente alle due Camere il 30 giugno 1997), che tuttavia fu ritirato il 9 giugno 1998 essendo venute meno le condizioni politiche per la prosecuzione della discussione (il principale partito di opposizione, «Forza Italia» decise infatti di ritirare il suo appoggio in assenza di modifiche ritenute inaccettabili dall’allora maggioranza di centro sinistra). Poco meno di un anno dopo, il 18 marzo 1999, il Presidente del Consiglio dei Ministri D’Alema (già Presidente della Commissione bicamerale) presentò al Parlamento, insieme al Ministro per le riforme istituzionali, una nuova proposta di legge costituzionale (Atto Camera n. 5830) dal titolo: «Ordinamento federale della Repubblica».Tale proposta, come risulta dalla stessa relazione, fu formulata tenendo conto degli esiti dei lavori della Commissione bicamerale e del dibattito che ne era scaturito e che aveva coinvolto tutte le forze politiche, ed in chiusura della XIII legislatura fu approvata, seppure tra forti polemiche, e poi confermata dall’esito del referendum costituzionale, e definitivamente formalizzata nella l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3.

84

costitutivi della Repubblica che comprende in sé i contenuti degli artt. 115 e 128

(contestualmente abrogati dalla riforma), e tuttavia non perviene ad un’equiparazione

degli stessi ma piuttosto all’idea di un’«edificazione sussidiaria»

209

della Repubblica

attraverso di essi, come attesta l’elencazione procedente dall’ente più piccolo.

L’art. 116, nel testo riformato, conferma l’attribuzione di forme e condizioni

particolari di autonomia alle Regioni dotate di statuto speciale e, all’ultimo comma,

introduce la possibilità di conferimento alle (altre) Regioni di «ulteriori forme e

condizioni particolari di autonomia» nelle materie di legislazione concorrente e, fra le

materie assegnate alla esclusiva legislazione statale, in tema di istruzione, di tutela

dell’ambiente e dei beni culturali e di organizzazione degli uffici del giudice di pace.

La riforma incide poi, in particolare, sul riparto delle competenze legislative

(pur essendo stata tenuta ferma l’impostazione garantistica fondata sulla elencazione

delle materie), il cui criterio risulta ribaltato rispetto al passato: viene introdotto,

nell’art. 117, secondo comma, un elenco di materie di competenza esclusiva dello

Stato mentre sono affidate alle Regioni le competenze residue

210

.

Le funzioni amministrative sono affidate dall’art. 118 ai comuni, ma vi è nel

contempo la costituzionalizzazione dei principi di sussidiarietà, differenziazione e

adeguatezza, che vengono in gioco allorquando si tratti di conferire le funzioni a un

livello di governo superiore nell’ottica della migliore allocazione possibile (per

209

Così G. DE MURO, Art. 114 Cost., in R. BIFULCO, A. CELOTTO e M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, cit., par. 1.5). Che, nonostante le oscillazioni della dottrina, non si tratti di totale equiordinazione è stato esplicitato dalla Corte costituzionale, da ultimo nel 2009: «le pur rilevanti modifiche introdotte dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, non comportano una innovazione tale da equiparare pienamente tra loro i diversi soggetti istituzionali che pure tutti compongono l’ordinamento repubblicano, così da rendere omogenea la stessa condizione giuridica di fondo dello Stato, delle Regioni e degli enti territoriali; che, al contrario, allo Stato è comunque riservata, nell’ordinamento generale della Repubblica, “una posizione peculiare”, in quanto tutti gli enti territoriali indicati nell’art. 114 Cost., pur costituendo componenti essenziali della Repubblica dispongono di poteri profondamente diversi tra loro nell’ambito delle rispettive competenze; che la condizione giuridica di fondo dello Stato è diversa da quella delle Regioni e degli altri enti territoriali, quanto a qualità e dimensione degli interessi perseguiti: generali, unitari ed al massimo grado di estensione, nel caso dello Stato; ugualmente generali, ma differenziati e riferibili esclusivamente alle comunità di cui sono espressione, nel caso delle Regioni e degli enti locali». (Corte Costituzionale, ordinanza 8 maggio 2009, n. 144.)

210 Sul punto, v., tra tutti, L. A

NTONINI, Sono ancora legittime le norme statali cedevoli?, in www.associazionedeicostituzionalisti.it (2002): «Il IV comma dell’art.117 dispone l’inversione del criterio tradizionale della residualità: il limite delle materie, quindi, non risulta più applicabile, com’era nel quadro precedente, alla potestà legislativa regionale, bensì a quella statale. Si tratta di un capovolgimento dei rapporti tra le due legislazioni che attribuisce alla competenza legislativa regionale, destinata ad estendersi su tutte le materie “innominate”, una capacità espansiva massima. Da questo rovesciamento si dovrebbe dedurre che l’elenco delle materie riservate alla competenza esclusiva dello Stato costituisca “una deroga al principio generale della competenza regionale”, e perciò vada soggetto “a stretta interpretazione”.».

85

l’esercizio

delle

funzioni

secondo

criteri

di

sussidiarietà

e

per

la

costituzionalizzazione del principio anche in senso orizzontale, v. supra, Cap. I).

L’art. 119, infine, attribuisce a comuni, province, città metropolitane e Regioni

autonomia finanziaria di entrata e di spesa, e sancisce che tutti gli enti predetti

abbiano risorse autonome, e che possano stabilire e applicare tributi ed entrate propri

(in armonia con la Costituzione e secondo i princípi di coordinamento della finanza

pubblica e del sistema tributario). Rispetto alla versione previgente, va in primo luogo

sottolineata la previsione secondo cui l’autonomia finanziaria non è più riservata

soltanto alle Regioni, ma viene estesa a tutti gli enti territoriali. Tutti gli enti

territoriali possono ora stabilire e applicare tributi ed entrate propri, mentre in

precedenza (solo) alle Regioni erano attribuiti tributi propri e quote di tributi erariali;

tra le innovazioni del testo, va poi evidenziato il principio di territorialità che

caratterizza le compartecipazioni e la previsione di un fondo perequativo destinato ai

territori con minore capacità fiscale.