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Giunti a questo punto del percorso concettuale ci attende un compito non facile,

poiché approssimarsi al concetto di sussidiarietà significa affrontare la sua ricchezza

contenutistica e nel contempo il rischio che proprio a causa di tale ricchezza la sua

pregnanza si disperda in mille rivoli.

Il linguaggio giuridico, scrisse Giorgio Berti, esprime di frequente dei concetti i

quali, essendo informati al criterio filosofico del dover essere, acquistano il valore o

la veste di «principio”, e «il principio, a sua volta, quando sollecitato, si rifrange in

una quantità di regole, che sono appunto la riedizione del principio in una maggiore

prossimità al reale»

135

.

133

Il carattere redistributivo nel concorso alle spese pubbliche viene peraltro individuato sotto un duplice punto di vista, in quanto, oltre al principio di progressività, a carico di tutti i contribuenti viene posto «non solo l’onere relativo ai servizi pubblici rivolti alla generalità dei consociati, ma anche quello delle prestazioni sociali che vanno a beneficio di una cerchia limitata di soggetti», in ciò manifestandosi appunto il primo carattere redistributivo (in tal senso, L. ANTONINI, in Dovere tributario, interesse fiscale e diritti costituzionali, cit., p. 200, corsivo aggiunto).

134 Come risulta dal Rapporto della Commissione economica presentato all’Assemblea Costituente. V

Finanza. I. Relazione. Ia Appendice alla Relazione, Roma, 1946. Vanoni, inoltre, «sottolineava l’inadeguatezza del “mercato concorrenziale” tanto ad affrontare i problemi dell’accumulazione e dello sviluppo equilibrato, quanto a produrre una redistribuzione della ricchezza eticamente accettabile. E da questo doppio grado di inadeguatezza faceva derivare quella che, a suo avviso, doveva considerarsi, nell’Italia uscita dalla seconda guerra mondiale, una delle indicazioni fondamentali, d’ordine anche morale, in tema di politica economica e fiscale: un ordinamento tributario che corregge gli esiti del mercato pur nel rispetto della concorrenza e delle libertà economiche, che attribuisce al tributo una funzione di giustizia sociale e che disciplina il dovere di concorrere alle spese pubbliche come dovere di solidarietà.», Così F. GALLO, La funzione del tributo ovvero l’etica delle tasse, in Riv. trim. dir. pubbl. 2009, 02, 399. Dello stesso A. si vedano altresì le pregevoli riflessioni contenute in Le ragioni del fisco, Il Mulino, 2007.

135 Così, con il consueto acume e la soave eleganza stilistica, G. B

ERTI, Princípi del diritto e sussidiarietà, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 31, I, 2002, p. 381. Prosegue l’A.: «Per questo, quando oggi si torna a usare il concetto e il termine di principio, occorre cercare di rifarsi all’ambiente umano o sociale o istituzionale nel quale il principio stesso si è maturato o nel quale esso è destinato a espandersi in nuove concrezioni e quindi in nuove regole. Alle volte sembra che l’utilizzo del principio serva a mitigare un effetto giuridico che non si vuole venga

55

A diversi livelli di produzione normativa, poi, costituzionale e legislativo,

sovranazionale, nazionale e subnazionale, il principio di sussidiarietà è stato

richiamato in quanto tale, dandone per presupposto il significato

136

. E, quindi, la

dottrina si è cimentata anche alla ricerca di tale significato, ravvisando talvolta che si

trattasse addirittura di un principio ambiguo

137

. Che si stia discutendo di una voce

proteiforme

138

, dell’alternativa tra una dimensione di criterio procedurale ovvero di

percepito secondo il suo vero contenuto, ma venga lasciato a mezz’aria così che se ne faccia o si creda di poterne fare un impiego accettabile. Altre volte, il principio, quando inserito in una serie normativa di particolare pregnanza e dignità, come è la costituzione di uno stato o di un’entità simile, oltre che divenire più suggestivo, acquista il senso di una regola fondamentale del diritto come interpretazione della vita associata e del rapporto fondamentale tra l’uomo e la società. E’ appena il caso di dire allora che il termine “principio”, lungi dall’avvolgere la conoscenza dell’ordine giuridico, ne esprime la complicatezza, l’intrinseco “difficile” del mondo giuridico.».

136 Come rileva I.M

ASSA PINTO, «I diversi enunciati normativi, nei quali compare espressamente la formula lessicale principio di sussidiarietà, si risolvono nella prescrizione di un criterio di preferenza nella relazione tra due o più elementi: ciascuno di tali enunciati si riferisce a oggetti differenti – la distribuzione e/o le modalità di esercizio di funzioni – e a soggetti differenti – livelli territoriali di governo, individui, associazioni, e così via. Da qui deriva la moltiplicazione di significati normativi che sono stati attribuiti alla formula principio di sussidiarietà: essi vengono fatti coincidere, in sostanza, con il criterio di preferenza prescritto, riferito, volta per volta, ai diversi oggetti e soggetti coinvolti. Tuttavia, a ben riflettere, la molteplicità di significati non deriva direttamente dall’assegnazione di differenti contenuti normativi alla medesima enunciazione principio di sussidiarietà. Tale formula (si ripete, non definita, ma solo richiamata) è piuttosto aggiunta ai diversi enunciati che esprimono il criterio di preferenza suddetto, come qualificazione ulteriore della modalità attraverso la quale, in tutti i tipi di relazione, indipendentemente dall’oggetto disciplinato e dai soggetti coinvolti, la preferenza prescritta debba essere attuata.» (così I. MASSA PINTO, in Sussidiarietà (principio di): origini nel diritto della Chiesa cattolica, rinvenibile on line all’indirizzo: http://www.dircost.unito.it/dizionario/pdf/MassaPinto-Sussidiarieta.pdf).

137

«Principio ambiguo, con almeno trenta diversi significati, programma, formula magica, alibi, mito, epitome della confusione, foglia di fico: così è stata giudicata l’idea della sussidiarietà. Ciò non ha impedito che su di essa si esercitasse una riflessione ricchissima: una interrogazione del sistema di documentazione della Corte di giustizia dell’Unione europea ha consentito di raccogliere 214 indicazioni bibliografiche di articoli pubblicati sul tema soltanto negli anni dal 1991 al 1995. Quale origine ha e che cosa è, dunque, la sussidiarietà? È solo un’aspirazione o un’idea, o è anche un principio di diritto positivo o istituto giuridico? Se è tale, quale implicazioni ha avuto o è suscettibile di avere? In particolare, quale importanza ha la sussidiarietà nei rapporti tra diritto amministrativo comunitario e diritti amministrativi nazionali? Infine, il principio di sussidiarietà è vigente nei diritti amministrativi nazionali dei paesi dell’area europea? Questi gli interrogativi ai quali si cercherà di dare una sommaria risposta.», queste le considerazioni di apertura di un’indagine che viene svolta in

particolare con riferimento all’ambito del diritto amministrativo da S. CASSESE, L’aquila e le mosche.

Principio di sussidiarietà e diritti amministrativi nell'area europea, in Foro it., 1995, V, p. 373 ss..

138 Come osserva F. CARINCI, Il principio di sussidiarietà verticale nel sistema delle fonti, in www.forumcostituzionale.it, che rileva come se non la parola almeno la nozione venga da lontano, «come ben testimonia una qualsiasi monografia in materia, che dedica tutta una prima parte corposa a tracciarne la storia bimillenaria, da Aristotele ai tempi nostri. Essa trova la sua radice nella comunità di base - sede elettiva dell'affermazione personale e della partecipazione democratica - come nozione costruita, elaborata ed argomentata in via “garantista”; ma, secondo una convenzione diffusa, risulta distinguibile, per storia e rilevanza, in “orizzontale” e “verticale”: la prima, tributaria sia della concezione liberale classica che della dottrina sociale della Chiesa, è posta a guardia della società contro la possibile invadenza da parte dell'attività politica; la seconda, debitrice della cultura e dell'esperienza federalista, è collocata a difesa dell'autonomia territoriale contro l’eventuale prevaricazione dell’autorità centrale.».

56

principio sostanziale

139

, o di un principio che non rappresenta solo una formula

burocratica dettata dalla necessità di essenzializzare le funzioni statali

140

, occorre

indagare come esso pervenga ad essere la sintesi o la linea conduttrice del passaggio

dalla società storica all’organizzazione politica

141

.

Certamente una definizione unitaria del principio di sussidiarietà appare ardua,

«per la densità del contesto culturale, per la stratificazione del dato storico, e per il

sovraccarico ideologico dal quale risultano segnate le ricostruzioni teoriche che ne

sono state proposte». Per cui sarebbe «forse utile muovere da un concetto aperto di

sussidiarietà: quanto al designatum, essa si riferisce ad una relazione, tra livelli

territoriali di governo, come sussidiarietà verticale; tra Stato, latamente inteso, e

società civile, anch’essa latamente intesa, come sussidiarietà orizzontale. Quanto alla

funzione, la sussidiarietà privilegia l’intervento dei soggetti nell’ambito più vicino

possibile (cioè sufficientemente adeguato

142

) agli interessi coinvolti.»

143

.

139 Inteso il primo come «preferenza di un soggetto territoriale o funzionale ad altro soggetto territoriale o funzionale» ed il secondo quale principio «con contenuto normativo autonomo che non si esaurisce nelle singole disposizioni che lo traducono in regole specifiche» secondo A. POGGI, Il principio di sussidiarietà e il “ripensamento” dell’amministrazione pubblica (Spunti di riflessione sul principio di sussidiarietà nel contesto delle riforme amministrative e costituzionali), in Scritti in onore di Fausto Cuocolo, Milano, 2005, p. 1103 ss., rinvenibile altresì in www.astridonline.it, che riprende, in particolare, il pensiero di G. U. RESCIGNO, secondo cui il principio di sussidiarietà è di ordine procedurale e non di ordine sostanziale, nel senso che il principio non dice mai una volta per tutte chi è competente per una determinata azione, ma indica il percorso che bisogna compiere per confermare o modificare una competenza (G. U. RESCIGNO, Principio di sussidiarietà orizzontale e diritti sociali, in Dir. pubbl., 2002, p. 5 ss.).

140 Così L. A

NTONINI, in Sussidiarietà, libertà e democrazia, in www.federalismi.it, che ritiene che il principio intersechi invece a livello più profondo il rapporto tra autorità e libertà, fino a dimostrarsi coessenziale allo sviluppo attuale della democrazia sostanziale.

141

Come nota G. BERTI, o.l.u.c., p.386.

142 A proposito del senso in cui debba intendersi l’adeguatezza, G. Arena specifica che quando il problema è quello della allocazione delle funzioni fra i diversi livelli istituzionali, la sussidiarietà (intesa come sussidiarietà verticale) consente di individuare il livello più adeguato allo svolgimento di una determinata funzione non tanto in base al criterio della «vicinanza» ai cittadini dei vari livelli istituzionali, quanto della capacità di ciascuno di tali livelli di soddisfare l’interesse generale (inteso come interesse che, al fondo, coincide con l’interesse dei cittadini alla loro piena realizzazione come persone), evidenziando come in questa prospettiva sussidiarietà verticale e sussidiarietà orizzontale si intersecano l’una con l’altra o, per meglio dire, trascolorano l’una nell’altra. Prosegue l’A.: «La sussidiarietà verticale consente in tal modo l’allocazione delle funzioni pubbliche non sulla base di un’astratta geometria istituzionale, quanto piuttosto di un obiettivo concreto di crescita della persona e di difesa della sua dignità. Una volta individuati i livelli istituzionali più adatti al perseguimento dell’interesse generale attraverso lo svolgimento delle varie funzioni pubbliche, la sussidiarietà (intesa come sussidiarietà orizzontale) consente alle istituzioni titolari di tali funzioni di perseguire l’interesse generale non più da sole, ma insieme con i cittadini, singoli e associati; è come se la sussidiarietà orizzontale aprisse ai soggetti pubblici spazi finora inesplorati per la realizzazione della loro missione costituzionale, consentendo di affiancare alle istituzioni pubbliche i privati non più soltanto come strumenti della loro azione attraverso istituti quali l’appalto o la concessione, bensì quali alleati autonomi, consapevoli e responsabili nella lotta contro un avversario comune, la complessità dei problemi posti dal mondo moderno e per un obiettivo comune, la piena realizzazione di ciascuno.

57

Se si guarda all’etimologia, il termine sussidiarietà risulta di conio tutto

sommato recente, non rinvenendosi nella lingua latina un diretto antecedente, ma

potendosi altresì rintracciare un nesso di origine per i lemmi «sussidio» e

«sussidiario»

144

.

Conviene allora prendere le mosse da quelle che sono le radici culturali del

principio, o come è stato più in particolare specificato, le radici della preferenza

145

.

Sussidiarietà verticale ed orizzontale dunque si sostengono e si integrano a vicenda. Ed entrambe sono finalizzate alla realizzazione di un interesse generale che grazie al rapporto fra l’art.118, u.c. e l’art.3, 2°c. non è una mera astrazione, bensì si concretizza in azioni di soggetti pubblici e privati dirette a creare le condizioni per la piena realizzazione di ciascun essere umano. Nel punto di intersezione fra sussidiarietà verticale ed orizzontale, in altri termini, c’è quella persona umana che la nostra Costituzione ha voluto al centro dell'intero sistema istituzionale, con i suoi diritti ed i suoi doveri.» (così G. ARENA, Il principio di sussidiarietà orizzontale nell’art. 118, u.c. della Costituzione, in Studi in onore di Giorgio Berti, Napoli, 2005, I, p. 179 ss.).

143 Questo l’esordio di S. S

TAIANO, nel suo La sussidiarietà orizzontale: profili teorici, in www.federalismi.it. Della fortunata distinzione tra la dimensione verticale e quella orizzontale della sussidiarietà, peraltro, occorre ab origine esser grati ad A. D’ATENA.

144 Nella lingua latina ritroviamo il sostantivo subsidium, l’aggettivo subsidiarius, i verbi subsidiari e

subsidere, impiegati normalmente con valenza militare per indicare le truppe di riserva (subsidiariae cohortes) collocate dietro la prima linea del fronte (subsidere viene tradotto con «sedersi», ma anche «appostarsi», «stare in agguato») per intervenire in aiuto, in caso di necessità, delle coorti che combattono in prima acies (cfr. E. FORCELLINI, voci Subsidiarius, Subsidium, Subsido, in Lexicon totius latinitatis).

145

Da A. D’ATENA, Prospettive della sussidiarietà, in AA.VV., Sussidiarietà orizzontale e verticale:

profili fiscali, IRER, 2010, pp. 17 ss.. L’A. rileva in primo luogo come il primo dato che colpisce chi si occupa del principio di sussidiarietà sia costituito dalla pronunziata tensione tra le due dimensioni in esso presenti: la dimensione etico-politica e la dimensione giuridico-costituzionale. Successivamente, anche in virtù della positivizzazione del principio operata del Trattato di Maastricht, il cui articolo 3B (ora 5 TUE, nella versione di Lisbona), consentendo alla Comunità di intervenire in ambiti di spettanza degli Stati, l’avrebbe dotata di un’autentica competenza della competenza -rischiando di dar vita a risultati opposti a quelli perseguiti dagli Stati membri - il medesimo sottolinea come il principio di sussidiarietà costituisca una sfida particolarmente impegnativa, sia per il legislatore che per i

costituzionalisti. A meno che - precisa D’ATENA -non si decidesse di aderire alle letture totalmente o

parzialmente svalutative del principio stesso, secondo le quali, rispettivamente, o il principio non avrebbe alcuna consistenza ovvero, mettendone in discussione l’autonomia e la portata innovativa, le enunciazioni positive del principio di sussidiarietà si limiterebbero a dare espressione all’ovvia esigenza che le funzioni vadano allocate al livello più idoneo ad esercitarle. Rigettata in toto la prima di tali letture, l’Autore procede quindi a confutare la seconda, ritenendo che le tesi parzialmente svalutative trascurino il substrato assiologico del principio di sussidiarietà, fondato su una scelta di valore molto precisa: la decisione di preferenza (Vorrangentscheidung, secondo l’esegesi operata da ISENSEE) in favore del livello più vicino agli interessati. Per giustificare tale preferenza D’Atena prosegue, quindi, ripercorrendo le tre radici principali del principio: quella costituita dalla dottrina sociale della Chiesa (il cui nucleo fondante può ricondursi a diverse Encicliche, in particolare all’Enciclica Quadragesimo Anno del 1931, che pone alla base del principio il primato etico della persona nei confronti dello Stato), quella risalente alla tradizione liberale, quella riconducibile alla riflessione europea sul federalismo. Quest’ultima fonda il principio di sussidiarietà su due distinte rationes: la prima, di tipo garantistico, vuole che negli ordinamenti federali alla divisione dei poteri comunemente intesa - operante, in termini orizzontali, all’interno dello Stato-persona - si aggiunga una divisione di tipo verticale, operante nei rapporti tra enti territoriali di diverso livello (la quale arricchisce il principio corrispondente di una dimensione ulteriore, accrescendone, così, le potenzialità garantistiche). La seconda ratio, di tipo democratico, sottolinea, in particolare, che le possibilità di partecipazione dei cittadini all’elaborazione delle decisioni che li riguardino ed al controllo delle

58

Seguendo un sentiero tracciato da autorevole dottrina

146

, possiamo allora inferire una

definizione del principio di sussidiarietà, qualificabile come principio relazionale -

avente ad oggetto rapporti tra entità diverse: tra diversi livelli territoriali di governo,

tra la statualità e la società civile, tra enti territoriali ed enti funzionali - caratterizzato

dalla «decisione di preferenza», vale a dire in favore dell’ambito più vicino agli

interessati. Nelle ormai comuni accezioni di sussidiarietà verticale e sussidiarietà

orizzontale il principio si riferisce, rispettivamente, ai rapporti tra enti territoriali di

livello diverso e tra il pubblico ed il privato.

Il principio ha trovato recepimento nel diritto positivo in varie tappe, che vale la

pena ripercorrere sia pure in modo non esaustivo, a cominciare dall’adozione, da

parte degli Stati membri del Consiglio d’Europa, della Carta europea delle autonomie

locali

147

.

Successivamente, il principio comparve nell’art. 130R, inserito nel Trattato

CEE nel 1986 dall’Atto unico europeo: «la Comunità agisce in materia ambientale

nella misura in cui gli obiettivi di cui al paragrafo 1 possano essere meglio realizzati a

livello comunitario piuttosto che a livello dei singoli Stati membri»

148

.

Con il Trattato di Maastricht del 1992 il principio ottiene formale ed esplicito

riconoscimento, mediante l’inserimento dell’art. 3B nel Trattato CEE

149

.

istanze che li rappresentino siano direttamente proporzionali alla prossimità del livello di governo, presentando la massima intensità nei livelli che siano loro più vicini.

146 A. D’A

TENA, o.l.u.c., in particolare p.24.

147 Adottata a Strasburgo il 15 ottobre 1985 e ratificata in Italia con la l. 30 dicembre 1989 n. 439. Secondo l’art. 4 di tale Carta, l’esercizio delle responsabilità pubbliche deve, in linea di massima, incombere di preferenza sulle autorità più vicine ai cittadini. Nel preambolo, inoltre, viene evidenziato che la partecipazione democratica dei cittadini trova la propria espressione più diretta a livello locale. La Carta è stata ratificata da praticamente tutti i paesi europei, pertanto negli stessi il principio di sussidiarietà è vigente almeno in tale contenuto di principio ermeneutico che mira a valorizzare la maggior idoneità degli enti locali a soddisfare gli interessi più strettamente collegati ad una entità territoriale (così V. PARISIO, Europa delle autonomie locali e principio di sussidiarietà: la “Carta europea delle autonomie locali”, in Foro amministrativo, 1995, 9 p. 2124 ss.).

148 Art. 130R, par. 4, del Trattato che istituisce la Comunità economica europea, come modificato dall’art. 25 dell’Atto unico europeo, firmato nel febbraio 1986 e pubblicato nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee n. L 169 del 29 giugno 1987, non più in vigore.

149 Art. 3B del Trattato che istituisce la Comunità economica europea, come inserito dall’art. G.5 del

Trattato sull’Unione europea, firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992 e pubblicato nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee n. C 191 del 29 luglio 1992, non più in vigore: «La Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite e degli obiettivi che le sono assegnati dal presente trattato. Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell’azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario. L’azione della Comunità non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del presente trattato.». Attualmente è in vigore l’articolo 5 del Trattato sull’Unione europea, nel testo

59

Sino a questo punto, si tratta di declinazioni del principio di sussidiarietà in

senso verticale, tra autorità centrale e collettività locali o tra Unione europea e Stati

membri.

Percorriamo ora, proseguendo per linearità in senso cronologico, il percorso del

riconoscimento normativo avvenuto a livello di ordinamento nazionale, sia

costituzionale che legislativo.

Allorquando venne redatta la Carta del 1948 il principio non fu espressamente

inserito nel testo, ancorché fosse latente nel dibattito svoltosi in Sottocommissione

relativamente al pluralismo dei corpi sociali e confluito in una proposta di ordine del

giorno proposto dall’On. Dossetti, mai votato

150

.

risultante dopo le modifiche apportate dal Trattato di Lisbona che modifica il trattato sull’Unione europea e il trattato che istituisce la Comunità europea, firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007 e pubblicato nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee n. C 306 del 17 dicembre 2007: «Art. 5 - 1. La delimitazione delle competenze dell’Unione si fonda sul principio di attribuzione. L’esercizio delle competenze dell'Unione si fonda sui princípi di sussidiarietà e proporzionalità. 2. In virtù del principio di attribuzione, l’Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita all’Unione nei trattati appartiene agli Stati membri. 3. In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l'Unione interviene soltanto se e in quanto gli