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«Il potere di tassare è l’unico grande potere sul quale è fondato l’intero edificio

nazionale. Esso è tanto necessario alla vita ed alla prosperità della nazione quanto

l’aria alla vita dell’uomo. Non è soltanto il potere di distruggere, ma il potere di

mantenere in vita»

92

.

Il fondamento del potere di imporre tributi ha avuto radici diverse nelle varie

epoche storiche: se in epoca romana il tributo era espressione di potestà pubblica, le

basi delle concezioni moderne del potere di imposizione vanno probabilmente

ricercate nell’alto medio evo. Fu allora, infatti, che la disgregazione delle strutture

statuali e la perdita di potere politico del re o dell’imperatore condussero alla

volontarietà delle prestazioni tributarie del feudatario al principe, superando il

principio per cui esse costituivano l’oggetto di prestazioni autoritativamente

imposte

93

.

In tal modo si veniva configurando, in nuce, il principio del consenso, che poi

si svilupperà ulteriormente nella Magna Charta del 1215 per giungere infine,

92 Così la Corte Suprema degli Stati Uniti d’America, nel 1899, richiamata da M. B

ERTOLISSI, Legge tributaria, in Dig. Disc. Priv., Sez. Comm., VIII, Torino, 1992, 519. L’Autore prosegue evidenziando come si tratti di «un’enunciazione, tanto semplice quanto efficace, che ha il pregio di ridare attualità ad una nozione di diritto tributario non certo fra le più recenti: “è quel ramo del diritto amministrativo che espone i princípi e le norme relative alla imposizione e alla riscossione dei tributi ed analizza i conseguenti rapporti giuridici fra gli enti pubblici e i cittadini”, posto che l’attualità discende dal rinvio al diritto amministrativo ed ai relativi princípi, caratterizzati ormai da una spiccata tendenza alla parità della parte pubblica e della parte privata, entrambe attratte dall’esigenza di cooperare in vista del

perseguimento del pubblico interesse.» (la nozione richiamata è ripresa da A.D. GIANNINI, Istituzioni

di diritto tributario, Milano, 1968).

93 In tal senso A. F

ANTOZZI, Diritto tributario, Torino, 2005, p. 83. Vi è comunque una struttura privatistica delle prestazioni tributarie negli ordinamenti antichi, poiché il loro fondamento veniva individuato non in un principio contributivo, ma in un rapporto sinallagmatico (le prestazioni finanziarie erano generalmente corrisposte dai possessori di terre per effetto del riconoscimento d’un diritto sul fondo). Sarà poi col consolidarsi del potere pubblico nelle forme di Stato liberale che si perverrà al successivo schema, tipico del diritto pubblico, di prelievo coattivo di una percentuale del reddito dovuta da ciascuno in virtù della sua sudditanza. Tuttavia nella sistematizzazione del diritto tributario non sono mancate teorie che hanno ricostruito anche con riferimento agli ordinamenti moderni la contribuzione fiscale come una sorta di «corrispettivo» dei diritti politici, come un prezzo che il cittadino era tenuto a pagare allo Stato per il fatto di farne parte, identificando il tributo secondo uno schema valorizzante l’esistenza di una correlazione in termini di «scambio» tra tributi e servizi pubblici. Tale ricostruzione del fenomeno tributario in termini marcatamente privatizzanti, che in certo modo rivalutavano la relazione sinallagmatica, posta ora tra tributo e servizi pubblici, è riconducibile essenzialmente alla scuola di Pavia e al suo principale rappresentante, il Griziotti (per approfondimenti si rinvia, tra gli altri, ad A. FANTOZZI, Diritto tributario, cit., e a P. BORIA, Sistema tributario, in Dig. IV, Sez. Comm., XIV, Torino, 1997).

42

passando per il principio di autoimposizione

94

, a quello della riserva di legge, così

come contenuto nell’art. 23 della Costituzione italiana

95

. Contestualmente procede il

94 Più precisamente, «se la necessità del consenso parlamentare alle imposte si diffuse - seppure con diversa intensità - nella maggior parte delle Costituzioni dell’ottocento liberale, la stessa conclusione, tuttavia, non è davvero applicabile all’aspetto sostanziale della questione, che può essere invece evocato dal principio della c.d. autoimposizione. Quest’ultimo principio, infatti, vale a rendere la questione del consenso all’imposta non meramente formale, includendo, come si vedrà tra breve, tutta una serie di implicazioni in termini di concreta attuazione del principio di legalità in materia tributaria e di controllo parlamentare sull’utilizzo delle risorse fiscali. Un’attenta analisi storica può, infatti, dimostrare come il principio di autoimposizione si strutturasse in modo ben più complesso rispetto alla semplice formula “no taxation without representation”. Nonostante, infatti, nella letteratura giuridica proprio il principio di autoimposizione sia spesso presentato come il denominatore comune della teoria giuridica liberale, un esame più approfondito conduce ad una diversa conclusione. Più precisamente, se non ci si limita ad assumere aprioristicamente conclusioni tramandate spesso in modo approssimativo, l’analisi storica evidenzia come il concetto di autoimposizione sia stato proprio solo di un ambiente ideologico, quello dell'utilitarismo anglosassone, che considerava l’interesse della collettività come la semplice somma degli interessi dei membri che la compongono. Forti suggestioni di metafisica statalistica condizionarono, invece, la dottrina mitteleuropea di quello stesso periodo, conducendo a concettualizzazioni e prassi molto diverse, come si vedrà in relazione all’ordinamento italiano. Il principio dell’autoimposizione, pertanto, giunse alla sua strutturazione più completa solo all’interno di un contesto culturale e istituzionale fondato sull'autonomia riconosciuta alla società civile, considerata come insieme di individui titolari di diritti (storicamente radicati come princípi base) e refrattaria ad essere impersonificata in una entità superiore. Non è casuale che, in relazione all’ordinamento inglese si sia avvertita la necessità di parlare, più che di “costituzione dello Stato”, di “costituzione della società civile”. Il principio di autoimposizione in quest’ambito risultava costruito sul rovesciamento dell’ordine dei presupposti concettuali della teoria tedesca della autolimitazione dello Stato. Essendo, infatti, i diritti individuali considerati tendenzialmente come un prius rispetto al potere dello Stato, l’obbligazione tributaria non poteva che nascere come effetto di un atto di autoimposizione da parte degli stessi titolari di quei diritti. Questo ordine teorico dei termini della relazione libertà-autorità evidenziava la differenza con la teoria tedesca dei diritti pubblici soggettivi, dove il principio di legittimazione del potere impositivo si declinava in un opposto rapporto tra il bene dell’individuo e il bene comune, con una tendenza decisa verso concezioni etiche dello Stato che giustificavano, in alcuni casi, limitazioni al pieno controllo parlamentare sulla legislazione in materia finanziaria o che giungevano, più frequentemente, a considerare recessiva la posizione del contribuente di fronte alla manifestazione del potere pubblico di imposizione, con un sostanziale affievolimento del principio di legalità. In base al principio di autoimposizione, invece, la legge tributaria rilevava come autolimitazione dell’individuo titolare dei diritti di libertà e di proprietà, piuttosto che come autolimitazione dello Stato già titolare di un diritto (“naturale”) di imposizione.», così L. ANTONINI, Art. 23 Cost., in R. BIFULCO, A. CELOTTO e M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, par. 1.2. Per una ricostruzione ampiamente sviluppata dell’evoluzione e delle differenze tra le impostazioni della teoria impositiva nelle due tradizioni liberali e per la loro influenza sulla costruzione del rapporto tributario nell’ordinamento italiano, cfr. L. ANTONINI, in Dovere tributario, interesse fiscale e diritti costituzionali, cit., p. 11 ss..

95 «Art. 23: Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.». Tale prescrizione risponde all’esigenza che «le scelte fondamentali in materia di ripartizione dei vari carichi impositivi siano assunte tramite un processo politico ampio (coinvolgente anche le minoranze) che, nel rispetto (garantito dal controllo della Corte costituzionale) degli specifici princípi costituzionali, favorisca un adeguato consenso nella rilevazione dell’interesse pubblico e nella ponderazione di questo con quelli privati.», così L. ANTONINI, Art. 23 Cost., cit., par. 2.1. Più in generale, per usare le parole di altra autorevole dottrina, la riserva di legge adempie principalmente due funzioni. «In primo luogo, la riserva di legge adempie una funzione liberale o garantista: serve, cioè, alla tutela dei diritti fondamentali dei cittadini contro il potere esecutivo (specialmente contro il potere esecutivo). In secondo luogo, la riserva di legge adempie una funzione democratica: serve, cioè, a ricondurre la disciplina di certi oggetti sotto il dominio degli organi rappresentativi, che sono espressione della sovranità popolare, e nel cui seno hanno voce anche le minoranze politiche.» (così R. GUASTINI, Legge (riserva di), in Dig.Disc.Pubbl., vol. IX, Torino, 1994, pp. 163-173.).

43

percorso del dovere tributario, che, da manifestazione del rapporto di soggezione che

legava l’individuo allo Stato

96

, passando per il declino della sovranità tributaria

97

,

diviene dovere inderogabile di solidarietà

98

.

La dottrina tributaristica italiana ha nel frattempo distillato la teoria della

potestà o potere d’imposizione, che sostanzialmente è il frutto di una contaminazione

tra le riflessioni dei fautori del c.d. «metodo giuridico»

99

e il portato della

elaborazione giuspubblicistica tedesca dei diritti ed ha vivacizzato la fase del dibattito

in cui emerse il diritto tributario quale disciplina giuridica autonoma.

La definizione risente di complicazioni concettuali

100

, ma va precisato che

tendenzialmente viene utilizzata indistintamente con riferimento alle due

96 Secondo il contributo della scuola tedesca del positivismo giuridico dello Stato, in particolare le elaborazioni di Gerber e la teoria dei diritti pubblici soggettivi di Jellinek, che hanno fortemente influenzato le ricostruzioni della dottrina tributaristica italiana degli ultimi decenni dell’ottocento e dell’inizio del secolo scorso. Gerber, in particolare, perviene nella sua ricerca ad una costruzione dello Stato come Stato-persona, quale centro assoluto dei rapporti pubblicistici (v., in particolare, L. ANTONINI, in Dovere tributario, cit. , p. 17).

97 Sul punto, si rinvia, in particolare a G. B

ERGONZINI, Sovranità fiscale, in Fed. fisc., 1/2007, p. 285. 98

Ciò vale, a monte, per tutti i doveri cui si riferisce l’articolo 2 Cost., che, come rilevato in precedenza, costituiscono espressione del principio di solidarietà.

99 Gli esponenti del «metodo giuridico» rifiutavano l’esistenza di commistioni con altre branche (scienza delle finanze, discipline economiche) estranee alla tradizione giuridica. Per una efficace illustrazione della divisione tra «metodisti» e «integralisti» (che sostenevano il legame con la scienza delle finanze) v., in particolare, L. ANTONINI, in Dovere tributario, cit., nota 3 a p. 86.

100 Secondo il Giannini, «la nozione di potestà è sempre stata particolarmente confusa, perché la dottrina del diritto privato e quella del diritto pubblico non si sono mai messe d’accordo, neppure sul vocabolario. Molti preferiscono al nome di potestà quello di potere: “potere giuridico”, precisano altri, per distinguerlo dal potere in senso naturalistico, o dal potere politico; altri ancora ritiene sinonimi potestà e potere, e impiega promiscuamente i due sostantivi. Più grave il dissenso tra quei privatisti che vedono nella potestà una situazione di potere, individuabile dalla finalità di realizzare interessi alieni, e quei pubblicisti che vedono nella potestà un “potere di svolgimento della capacità giuridica”, la capacità in atto in una delle sue “direzioni generiche”. La discussione è, come si vede, per un aspetto terminologica, per un altro è condizionata dalla teorizzazione generale delle situazioni soggettive. Guardando però la sostanza sembra sia da dire che col termine potestà si indicano cose diverse. Quella che si chiama “potestà come svolgimento di capacità dell’ente pubblico” non è una potestà e non ha nulla a che fare con la capacità (perché l’ente persona giuridica non ha capacità ma solo attitudine ad imputazioni soggettive di fattispecie). Essa è invece una posizione soggettiva, anzi la posizione fondamentale dell’ente pubblico, caratterizzata dall’“autorità”. Lo Stato, i suoi enti ausiliari, e gli enti pubblici indipendenti ricevono dalle collettività di cui sono enti esponenziali l’autorità per limitare le libertà dei singoli in ragione del bene comune. Il fondamento politico di questa vicenda è ancora discussissimo; giuridicamente essa si concreta con l’attribuzione di una posizione soggettiva allo Stato e agli enti pubblici indipendenti che è l’esatto corrispondente della posizione del soggetto persona fisica privata come titolare di autonomia privata o come cittadino dello Stato, dell’ente privato in quanto avente la nazionalità dello Stato, della persona in quanto appartenente all’ente locale territoriale, e simili. Come ogni posizione soggettiva, essa è il centro a cui si collegano tutte le situazioni soggettive, attive e passive, sostanziali e strumentali, ecc., dell’ente pubblico. La potestà in senso proprio è una situazione soggettiva, che nella sua sostanza non è diversa da quella che, con vario nome (potestà, potere) si trova anche nel diritto privato. La differenza tra le potestà situazione del diritto privato e quella del diritto pubblico risiede in questo: che mentre nel diritto privato il titolare della potestà sostituisce il titolare dell’interesse, nel diritto pubblico non v’è sostituzione: le collettività e i gruppi sono i portatori sostanziali degli interessi, ma non ne sono i titolari giuridici perché non

44

configurazioni che può assumere il potere. In particolare, G. A. Micheli enucleò due

momenti, quello della legislazione e quello dell’attuazione della norma tributaria,

distinguendo pertanto tra potestà normativa tributaria e potestà amministrativa

d’imposizione, intendendosi la prima come il potere (o potestà) di istituire tributi, la

seconda come il potere (amministrativo) derivante dalla legge di attuare il prelievo in

essa previsto

101

.

Conviene ora accostarsi, in considerazione dell’ambito del presente elaborato,

alle implicazioni concernenti il principio della riserva di legge in relazione con

l’estrinsecazione della potestà normativa degli enti locali, che avviene, in generale,

mediante atti regolamentari (o statutari), i quali si collocano, secondo una tradizionale

distinzione, al livello di fonti di rango secondario, e, quindi, in posizione subordinata

rispetto alla fonte «legge».

Nel contesto delle riflessioni effettuate dalla dottrina circa «il posto» delle fonti

dell’autonomia locale nel sistema, viene subito in risalto, come evidenziato in

precedenza

102

, come l’autonomia normativa sia la prima e più forte declinazione della

propria autonomia.

Prima della riforma del Titolo V, la dottrina aveva preso essenzialmente in

considerazione i regolamenti degli enti locali, collocandoli in linea prevalente nel

sono, come tali, figure soggettive.». Ciò «dà luogo ad uno dei più delicati e affascinanti problemi delle scienze politiche e giuspubblicistiche, nessuno, da Aristotele ad oggi, essendo riuscito a spiegare in modo accettabile la fine struttura delle potestà pubbliche nel loro rapporto col potere politico. Questo problema non investe direttamente la nostra disciplina, ma la soluzione che ad esso si dà condiziona la formazione amministrativa, specie in ordine alla conformazione di provvedimenti amministrativi e alla tutela delle situazioni soggettive dei privati. Avvertiamo pure che noi useremo il vocabolo “potestà” in modo rigoroso; quanto al vocabolo “potere” dobbiamo registrare che esso ha: a) un significato organizzativo, come insieme di organi istituzionalmente collegati: in questo senso si parla di potere legislativo, governativo, giudiziario, ecc.; b) un significato equivalente a potestà (p. es. potere punitivo dello Stato); o c) a diritto potestativo (p. es. potere di riscatto di una concessione amministrativa); e infine d) indica dei contenuti di ogni situazione soggettiva di vantaggio, in quanto potere di volere alcunché producendo effetti giuridici; in tale accezione, che noi useremo, il potere (la “signoria della volontà” dei meno recenti giuristi), si trova nel diritto soggettivo e nel diritto potestativo (nei quali, sotto l’aspetto materiale, può specificarsi in forme definite, dette facoltà), nella potestà, nel possesso, nell’interesse legittimo.» (così M. S. GIANNINI, Diritto amministrativo, vol. I, Milano, 1970, p. 501). 101 G. A. M

ICHELI, Corso di diritto tributario, Torino, 1987, p. 86. Va evidenziato che sia l’A. che dottrina successiva (in particolare, A. FANTOZZI, Diritto tributario, cit., p. 87) intendono la potestà normativa tributaria come espressione di sovranità. E, del resto, sembra logico affermare che la potestà impositiva è una espressione, non qualitativamente diversa dalle altre, del potere legislativo, e che non avrebbe senso parlare di sovranità tributaria «come qualcosa di distinto dalla potestà legislativa o esecutiva o giurisdizionale, quasi che il riferimento alla materia tributaria ne determinasse una qualche modificazione strutturale» (così L. ANTONINI, in Dovere tributario, cit., p. 145 e, ivi, nota 56, che cita -

nella nota seguente – la posizione di G. A. MICHELI secondo cui l’enucleazione della potestà tributaria

dal potere legislativo abbia un valore essenzialmente classificatorio). 102 Sub par. 1.6.1..

45

rango di normazione secondaria secondo le classificazioni risalenti ai Maestri che si

sono impegnati nella elaborazione di un sistema delle fonti.

Già con la legge n. 142 del 1990 tuttavia era stata impressa una svolta in senso

autonomistico, posto che veniva riconosciuta, seppur in una fonte di rango ordinario,

autonomia statutaria a comuni e province

103

. Il riconoscimento a livello costituzionale

è poi avvenuto con la riforma del 2001, segnatamente con la nuova versione dell’art.

114. La medesima riforma ha altresì rafforzato la potestà regolamentare degli enti

locali, atteso che la fonte regolamentare è ora espressamente menzionata dall’art. 117,

sesto comma

104

.

Relativamente alle disquisizioni dottrinali concernenti l’evoluzione in senso

policentrico del sistema delle fonti operata dalla riforma del 2001, è il caso di

segnalare talune avvertite riflessioni. In particolare, sebbene risultino ancora due

posizioni contrapposte relativamente al quantum di valorizzazione dell’autonomia

normativa degli enti locali conseguente, secondo chi più approfonditamente si è

occupato di teoria delle fonti

105

, ciò che più rileva è che negli ultimi decenni è il

sistema stesso delle fonti ad essere posto in discussione dalle contaminazioni

provenienti «dall’alto» – vale a dire da fonti esterne all’ordinamento giuridico statale

in grado di competere con le norme primarie – e «dal basso». Pertanto, dopo che sono

stati messi in discussione i tradizionali criteri di gerarchia e competenza, ora risulta

più idoneo ragionare in termini di fluidità del sistema, o di microsistemi

106

.

103

In forza dell’art. 2: «(Autonomia dei comuni e delle province): 1. Le comunità locali, ordinate in comuni e province, sono autonome. 2. Il comune è l’ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo. 3. La provincia, ente locale intermedio tra comune e regione, rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi, ne promuove e ne coordina lo sviluppo. 4. I comuni e le province hanno autonomia statutaria, normativa, organizzativa ed amministrativa, nonché autonomia impositiva e finanziaria nell’ambito dei propri statuti e regolamenti e delle leggi di coordinamento della finanza pubblica. 5. I comuni e le province sono titolari di funzioni proprie e di quelle conferite loro con legge dello Stato e della regione, secondo il principio di sussidarietà. I comuni e le province svolgono le loro funzioni anche attraverso le attività che possono essere adeguatamente esercitate dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali.». (Si veda ora l’art. 3 del TUEL, decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267).

104 Il quale prevede che «La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.».

105

Ci si riferisce, in particolare, a F. MODUGNO, R. BIN e A. RUGGERI. È il caso di segnalare, inoltre, per l’analisi dettagliata e la ricchezza di spunti, lo specifico contributo di F. MERLONI, Riflessioni sull’autonomia normativa degli enti locali, in Regioni, 1/2008, p. 91.

106 Così A. R

UGGERI, in diversi scritti, tra i quali si rinvia a Neoregionalismo, dinamiche della normazione, diritti fondamentali, in www.federalismi.it.

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In linea di massima si può comunque osservare come la dottrina che ha

indagato la riforma quanto allo specifico tema della potestà normativa degli enti locali

si possa suddividere in due generali posizioni contrapposte. Un primo filone ha

ravvisato - basandosi su una lettura estensiva degli articoli 114, secondo comma e

117, sesto comma, della Costituzione e nella contestuale abrogazione dell’art. 128 -

una valorizzazione del ruolo degli enti locali e della rispettiva normativa nel sistema

delle fonti. Il filone opposto, in considerazione del principio di legalità nonché della

necessità di tutelare gli interessi unitari, non ha ritenuto che la riforma costituzionale

del 2001 abbia sovvertito il sistema delle fonti, che vede sempre in posizione primaria

i precetti dettati dalla legge dello Stato (e delle Regioni) e in subordine statuti e

regolamenti di comuni e province

107

.

Quanto poi alla potestà normativa degli enti locali in materia di tributi, in

particolare, essa può farsi risalire all’epoca post-unitaria, in particolare alla legge

comunale e provinciale del 1865

108

, e venne normalmente ritenuta meramente

esecutiva di norme di legge

109

.

107

Si veda la puntuale ricognizione offerta da E. C. RAFFIOTTA, Problemi in tema di potestà normativa

degli enti locali, in Ist. fed., 2.2007, e la dottrina ivi citata secondo le tesi contrapposte.

108 Legge n. 2248 del 1865, all. A.

109 Tale affermazione è rinvenibile, tra gli altri, in A. M

ORRONE, La potestà tributaria degli enti locali nell’ordinamento costituzionale, in Tributi locali e regionali 1/2005, p. 26 ss. (che, sul punto, richiama

specificamente G. B. CERESETO, Commento alle leggi sulle imposte comunali con un’appendice sulle

imposte provinciali, 1885: «La legge comunale e provinciale mentre riconosce nei comuni il diritto di