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Il conflitto d’interessi nell’esercizio delle deleghe di voto

2. Il conflitto d’interessi attraverso i successivi provvedimenti di riforma

2.3. Il Testo Unico della finanza nel decreto n° 58/1998

2.3.3. Il conflitto d’interessi nell’esercizio delle deleghe di voto

Il TUF contiene, come già accennato, una disciplina articolata delle deleghe di voto, mostrando di aver superato le perplessità con cui il legislatore del 1974 aveva considerato il fenomeno; al tema della responsabilità gravante sui soggetti coinvolti nella loro sollecitazione o raccolta è dedicato l’art. 143 TUF, nella consapevolezza che tali attività consentono a chi le promuove di ampliare il proprio potere in assemblea in contraddizione con il principio della proporzionalità tra entità della partecipazione (cui è correlata l’assunzione del rischio) e diritti amministrativi291: infatti la raccolta di deleghe può determinare il conseguimento di una posizione di controllo, o comunque rilevante nella società, in modo non trasparente e senza assunzione del rischio d’impresa in misura corrispondente, oppure il fenomeno del conflitto d’interessi tra il soggetto che procede alla raccolta, il quale può avvalersi delle deleghe per perseguire interessi propri, e gli azionisti deleganti, rispetto ai cui interessi

288 In particolare raccom. Consob Febbraio 1998.

289 MAIMERI, Art. 150, in Commentario…, op. cit., pag. 1391, osserva che l’eco di tali osservazioni circa gli stretti legami tra la società e gli altri soggetti con cui vengono effettuate le operazioni in questione è stata, comunque, debole visto che al gruppo si fa solo un indiretto accenno negli artt. 150 e 149, co. I, lett. d) TUF, mentre: “non avrebbe guastato” una maggiore attenzione al tema soprattutto per risolvere il contrasto tra l’esigenza di indipendenza e riservatezza dei sindaci e la necessità di un controllo unitario.

290 Relazione tratta dal sito internet www.consob.it

291 CAPOLINO, O., Art. 143, in Commentario ecc…, op. cit., a cura di ALPA, G., e CAPRIGLIONE, F., tomo II, Padova, 1998, pag. 1298.

quelli di tale soggetto sono contrastanti292. A tale fenomeno la disciplina del TUF cerca di fornire una risposta attraverso la previsione che la sollecitazione e la raccolta avvengano rispetto a proposte di voto previamente enunciate, che preposti a tali attività siano gli intermediari professionali (onde garantire quanto meno l’onorabilità degli esponenti), che il socio conferisca la delega accompagnata da specifiche istruzioni di voto, che la Consob stabilisca le regole di trasparenza e correttezza delle informazioni fornite agli azionisti. In caso di violazione di tale disciplina la Consob può vietare lo svolgimento dell’attività [art. 144, co. II, lett. b)], vengono comminate sanzioni penali ed amministrative (artt. 174 e 194), individuata una responsabilità risarcitoria, cui si aggiunge, ex art. 2377 Cod. Civ., l’invalidità del voto espresso per delega o, se esso sia stato determinante, l’invalidità dell’intera deliberazione. Accanto alla speciale disciplina della delega di voto nelle assemblee di società per azioni (quotate e non quotate) si pone la disciplina privatistica della rappresentanza: piani, dunque, che coesistono e si sovrappongono pur rispondendo ad intenti di diversa natura. La consapevolezza della decisione dell’azionista è favorita dall’indicazione, nel prospetto e nel modulo di delega, e dalla diffusione nel corso della sollecitazione o della raccolta delle deleghe, di informazioni idonee, nonché rivelatrici degli interessi sottostanti a tali operazioni in ossequio ai principi di trasparenza e correttezza trasfusi in specifiche disposizioni dall’art. 144 e affidati, quanto alla loro concretizzazione, alla potestà regolamentare della Consob, attraverso l’indicazione delle modalità di esecuzione dell’incarico. Ma la responsabilità dei soggetti coinvolti nella raccolta delle deleghe non sorge soltanto in considerazione del mancato rispetto dei principi di consapevolezza ed informazione del delegante, ma sorge anche rispetto alla violazione delle restanti regole; con particolare riferimento ai casi di conflitto d’interessi, né il TUF293 né il Codice civile in

292 Con particolare riguardo alle società bancarie, la raccolta delle deleghe può consentire loro di assumere il controllo di imprese non finanziarie, violando il principio legale della separatezza e dando luogo a potenziali conflitti d’interessi promananti dalla diversità di finalità perseguite dalla banca (stabilità aziendale) rispetto a quelle tipiche dell’azienda (innovazione).

293 Il TUF non si esprime sulla possibilità che il delegato utilizzi lo strumento della delega in modo difforme dalle istruzioni del delegante, ma la Consob ha previsto, negli Allegati 3C e 3D della delib. 1 Luglio 1998, n° 11520,circa il contenuto del prospetto e del modulo di delega, che sia ammesso discostarsi dalle istruzioni di voto, anche se tale argomento non è espressamente compreso nell’elenco di cui all’art. 144, co. I. Anche il decreto del Ministro del Tesoro 26 Giugno 1997, n° 330, pubblicato sulla GU del 30 Settembre 1997, n° 228, che ha disciplinato il conferimento della rappresentanza per l’esercizio del diritto di voto nell’ambito del servizio di gestione di portafogli di investimento (art. 24 TU), all’art. 6, co. I, prevede una limitata discrezionalità del delegato, il quale: “può esprimere un voto difforme da quello indicato nel modulo qualora siano sopravvenuti fatti di particolare rilievo relativi agli argomenti all’ordine del giorno non noti al momento del conferimento della rappresentanza, tali da far ragionevolmente ritenere che il socio avendoli conosciuti avrebbe votato in modo differente. In

tema di disciplina del voto tramite rappresentante contemplano tale fattispecie: il primo si limita a dettare regole sull’informazione che deve essere fornita ai soci, il secondo ritiene sufficienti ad evitare il rischio di conflitto il divieto di rappresentanza per i soggetti di cui all’art. 2372 Cod.

Civ. ed i limiti quantitativi in esso previsti. Quali sono, allora, le soluzioni adottabili nel caso in cui il rappresentante intenzionalmente si avvalga della delega ricevuta per soddisfare non l’interesse del rappresentato ma un interesse proprio o di terzi contrastante con il primo? Si ritiene possibile il ricorso alla disciplina generale della rappresentanza che, in relazione all’ipotesi di conflitto d’interessi, prevede che il contratto concluso dal rappresentante possa essere annullato su domanda del rappresentato (art.

1394 Cod. Civ.), cui si aggiunge la responsabilità risarcitoria del rappresentante. Infine, anche riguardo alla questione in cui al delegante venga corrisposto un compenso per la cd. “vendita del voto”, cioè in cambio dell’impegno a votare in un certo modo, il TU non si pronuncia espressamente294: la dottrina italiana è divisa sull’argomento, mentre in giurisprudenza si è affermato che l’accordo non può essere considerato nullo per illiceità della causa se ciò è stato inteso al fine di evitare la liquidazione della società295, ma probabilmente la soluzione sarebbe diversa in caso di conflitto d’interessi o abuso a danno dell’interesse sociale o della minoranza, in tal caso la vendita del voto deve ritenersi vietata ex art. 2373 Cod. Civ. in quanto sussiste un interesse personale extrasociale e contrario all’interesse sociale.

tali casi il delegato deve dare immediata comunicazione al socio, indicando le ragioni che hanno portato alla variazione del voto”.

294 Viceversa tale comportamento è sanzionato penalmente in alcuni Paesi (Germania, Francia) o comunque vietato (Portogallo e alcuni stati USA).

295 Cass., sez. I, 22 Ottobre 1996, n° 9191, in Giur. comm., 1997, II, pag. 237.

CAPITOLO IV

Il conflitto d’interessi nella gestione e negli investimenti dei fondi pensione

1. Introduzione-2. Le regole di condotta del gestore ai sensi del D.M. n° 673/1996-3. La convenzione di gestione-4. Una panoramica della disciplina regolamentare ex D.M. n°

703/1996-5. Il conflitto di interessi nell’ambito dei fondi pensione: definizione della fattispecie-5.1. La disciplina del rischio e il conflitto di interessi: gli investimenti-5.2.

La disciplina del conflitto di interessi ai sensi dell’art. 7 D.M. n° 703/1996: investimenti nell’ambito di rapporti di gruppo ed in soggetti legati al fondo-5.3. Il conflitto di interessi ai sensi dell’art. 8 D.M. n° 703/1996: altre situazioni rilevanti-6. I fondi pensione aperti-7. Conclusioni critiche.

1. Introduzione

Una volta a pieno regime, i fondi pensione rappresenteranno uno strumento essenziale sia per il risparmio dei cittadini che per le imprese: ciò costituisce il punto cruciale della nostra trattazione; infatti, il già difficile contemperamento delle esigenze delle diverse parti potrebbe cadere di fronte alla tentazione di utilizzare i fondi per dar vita a scelte di qualsiasi politica industriale, dimenticando la funzione primaria del secondo pilastro del sistema previdenziale, cioè quella di dare, in primo luogo, il miglior servizio agli aderenti. A questo discorso si ricollegano diversi aspetti problematici della vita e dell’attività dei fondi pensione: la previsione di specifici limiti agli investimenti, sia nella gestione diretta sia in quella indiretta, la fissazione di regole di comportamento e di criteri per la gestione, la questione della titolarità dei diritti di voto, si muovono nella direzione di tutelare l’interesse degli iscritti al fondo, ossia l’interesse a vedersi garantiti “più elevati livelli di copertura previdenziale”296.

296 SANDULLI, P., Il sistema della previdenza complementare, in L’introduzione dei fondi pensione in Italia, Atti del convegno LUISS Guido Carli 15 Maggio 1997, pagg. 5-6, auspicava chiarezza nelle scelte politiche di fondo del legislatore rispetto alla concezione dei rapporti tra previdenza di primo livello e previdenza di secondo livello. Relativamente alle affermazioni di principio di cui alla legge Amato del 1992 e alla legge Dini del 1995, in cui la previdenza complementare, cioè i fondi pensione, costituisce: “momento funzionale alla realizzazione del mantenimento o del conseguimento di più elevate prestazioni del sistema previdenziale di base, visto che (esso)… è in declino, o perlomeno, è, in una visione di razionalizzazione, tale da

Al di là della questione se il risparmio previdenziale debba godere o no di una maggiore tutela rispetto a quello “normale”297, occorre che l’ordinamento predisponga una rete di controlli e di vigilanza che garantisca la soddisfazione dell’interesse degli iscritti ai fondi senza però imbrigliare eccessivamente l’attività del fondo stesso. I controlli sulla gestione delle risorse dei fondi pensione, infatti, sono finalizzati a dissuadere da comportamenti rischiosi o illeciti, che potrebbero danneggiare gli iscritti. Su questo terreno sorge l’esigenza generale di coltivare una cultura del rischio298 e di predisporre una disciplina volta a prevenire e a dirimere eventuali situazioni di conflitto tra l’interesse del fondo ed i molteplici interessi dei soggetti che condividono “l’affare fondi pensione”. A tale scopo il sistema dei controlli è sostenuto ancora una volta da due dei valori cardini degli attuali ordinamenti, l’informazione e la trasparenza, che però sembrano non risultare esaustivi per la regolazione e la vigilanza del settore.

rendere, in una logica di corrispettività, delle prestazioni di contenuto minore di quelle alle quali eravamo abituati in passato”, l’Autore osservava la presenza di segnali minori tali da far ritenere che la menzionata scelta del legislatore del ’92 e del ’95 non fosse stata seriamente e profondamente digerita.

297 SANTECECCA, D., L’introduzione dei fondi pensione in Italia, Atti del convegno LUISS Guido Carli 15 Maggio 1997, pag. 107, manifesta il suo scetticismo nei confronti dell’affermazione della necessità di una maggiore tutela del risparmio previdenziale rispetto a quello normale, ricordando che il risparmio tutto è tutelato a livello costituzionale, per cui non è necessario ricorrere a particolari forme di protezione del primo, magari limitandolo a determinate forme di gestione.

298 L’impiego del risparmio dovrà infatti rispondere alle esigenze previdenziali proprie degli aderenti al fondo pensione, le quali si caratterizzano per l’orizzonte di lungo periodo dell’investimento insieme ad una certa stabilità e sicurezza dello stesso. Su questo punto si innestano le discussioni sull’opportunità dell’investimento azionario delle risorse dei fondi pensione; RUGGIERO, E., L’introduzione dei fondi pensione in Italia, atti del convegno LUISS Guido Carli 15 Maggio 1997, pag. 18, ritiene che: “Un accorto investimento azionario, per le proprie caratteristiche, potrà dunque ben rientrare nel portafoglio dei fondi pensione”. Viceversa VISENTINI, G., nel medesimo convegno, a pag. 125 degli Atti, si chiede: “Per quale ragione (il risparmio accumulato) dovrebbe essere investito in borsa, dove c’è il massimo rischio?”.

PORTA, A., I fondi pensione e il mercato mobiliare italiano. Le prospettive aperte dalla recente normativa sulla previdenza complementare, in Riv. soc., 1995, pag. 1273, prima della’attuazione della delega in tema di investimenti, si augurava che le autorità non intervenissero con una normativa troppo rigida, in modo da lasciare una certa elasticità alle scelte dei fondi nell’orientare i loro investimenti anche verso il mercato mobiliare, dopo aver accertato l’opportunità e la compatibilità di essi con gli obiettivi primari dei fondi stessi.

2. Le regole di condotta del gestore ai sensi del D. M. n° 673/1996

Il D. Lgs. n° 124 del 1993, istitutivo dei fondi pensione, ha demandato al Ministro del Tesoro il compito, tra gli altri, di emanare provvedimenti relativi sia agli enti gestori del risparmio previdenziale, sia all’attività delle forme di previdenza complementare: tale compito è stato assolto attraverso gli atti di normazione secondaria venuti alla luce, con notevole ritardo299, il 21 Novembre del 1996; il primo, il Decreto n° 673/1996 300, fissa all’art. 1 le “regole di comportamento” cui devono attenersi le società di gestione dei fondi comuni alle quali vengono affidate le risorse della previdenza complementare; il secondo, il Decreto n° 703/1996, concerne le politiche di investimento del risparmio previdenziale e la disciplina dei conflitti d’interessi.

Ancora una volta, e forse occorrerebbe introdurre una formula che esalti il rispetto di tali norme301, la questione delle regole di condotta è preliminare rispetto all’analisi dell’attività dei fondi pensione. Estremamente importante è anche il chiarimento circa l’ambito di applicazione di tali regole: sono esse destinate unicamente alle società di gestione che operano attraverso convenzioni con fondi pensione contrattuali (chiusi) o anche a società di gestione che abbiano costituito fondi pensione aperti? Il tenore letterale del D. Lgs. n° 124/1993 sembrerebbe escludere quest’ultima soluzione, dato che l’art. 9, disciplinante i fondi pensione aperti, non contiene alcuna delega al Ministero del Tesoro in materia di norme di

299 Si pensi anche ad uno dei decreti basilari per l’operatività dei fondi pensione, il Decreto del Ministero del Lavoro 14 Gennaio 1997, n° 211, pubblicato sulla GU a quasi cinque anni dalla L.

n° 421/1992. Le ragioni di tali ritardi vanno ricercate soprattutto nella grande incertezza politica che accompagna da anni il nostro paese e nell’enorme carico di lavoro che incombe sui Ministeri coinvolti nella fase di mutamento dell’economia e della finanza nazionali.

300 Esso contiene il “Regolamento recante norme sui criteri e sulle modalità per la gestione delle risorse dei fondi pensione da parte di società di gestione di fondi comuni di investimento aperti”.

301 In questo senso GIORDANO, U.M., Gli schemi di convenzione per la gestione delle risorse dei fondi pensione: prime osservazioni anche alla luce dell’eperienza inglese, in Dir. banca e merc. fin., Gennaio-Marzo, 1999, pag.110, che, con particolare riguardo alle ipotesi di conflitto d’interessi nella gestione dei fondi pensione propone, tra l’altro, l’introduzione di: “una clausola generale che enfatizzi l’obbligo di diligenza (professionale) del gestore/mandatario (art. 1710 Cod. Civ. )”.

Per esempio, ricorda BUSATO, A., I fondi pensione: natura giuridica e controlli, in Resp.

civile e previdenza, 1993, pag. 1087, che nell’esperienza nordamericana in materia di previdenza integrativa sono previsti rigorosi standards fiduciari in capo ai trustees del fondo pensione, i quali, tra l’altro, devono comportarsi secondo i canoni del prudent man (canone notevolmente più rigoroso di quelo tradizionalmente ricollegato al concetto di “buon padre di famiglia” dell’ordinamento italiano).

comportamento302, tuttavia appare preferibile la soluzione opposta, e quindi l’estensione delle regole di comportamento dettate dal D.M. n° 673/1996

303 anche ai fondi aperti, attraverso il ricorso all’analogia.

I soggetti abilitati304 a stipulare le convenzioni con i fondi pensione per la gestione delle risorse da questi ultimi raccolte sono tenuti a rispettare principi e criteri di comportamento che assicurino la tutela dell’interesse del fondo, naturalmente in aggiunta alle norme fissate dalle Autorità di vigilanza (Consob, Isvap, Banca d’Italia) in via generale per lo svolgimento

302 Di tale opinione è VOLPE PUTZOLU, G., I fondi pensione aperti, in Banca, borsa e titoli di credito, 1996, I, pag. 335: “La disciplina dei fondi aperti prevista dall’art. 9 è costituita essenzialmente da norme di rinvio alla disciplina dei fondi non aperti. Il I comma dell’art. 9 rinvia all’art. 6, co. I, per l’individuazione dei soggetti abilitati e ai criteri dell’art. 4, co. II, per la costituzione del fondo… . L’art. 9 non contiene, direttamente o indirettamente, nessun’altra disposizione sulle modalità della gestione. Il mancato rinvio alle disposizioni che regolano la gestione dei fondi non aperti (art. 6, co. IV e ss.) non è casuale, ma è dovuto alla diversità della fattispecie”.

303 In tal senso ANNUNZIATA, F., La disciplina dei fondi pensione: le regole di comportamento delle società di gestione, in Riv. dir. priv., n° 2/1998, pag. 328: “Pur alla luce delle indubbie particolarità dei fondi aperti, riterremmo preferibile il ricorso all’analogia. La natura stessa delle regole di condotta, nell’esprimere e specificare obblighi generali di correttezza e diligenza, ne rende, infatti, preferibile l’applicazione anche ai fondi aperti; in caso contrario, verrebbe a determinarsi un’evidente disparità di trattamento, ovvero una differenza in termini di standard di diligenza tra fondi aperti e non aperti, che non appare giustificabile. In altri termini, là dove una società di gestione gestisca le risorse di un fondo pensione in base ad un’apposita convenzione, essa sarebbe tenuta al rispetto di una serie di regole di comportamento e di correttezza individuate dal Ministro del tesoro; là dove, invece, la stessa società promuova e gestisca direttamente un fondo pensione aperto, tali regole, che peraltro, riprendono e specificano clausole generali, già in parte ricavabili dal diritto comune, non troverebbero applicazione!”.

304 I potenziali gestori delle risorse dei fondi pensione sono individuati dall’art. 6 D. Lgs. n°

124/1993, co. I, quasi interamente riscritto dall’art. 3 L. n° 335/1995, co. 26, e sono indicati in:

banche, società di intermediazione mobiliare, imprese di assicurazione, e, novità ritenuta da alcuni autori alquanto opportuna, le società di gestione dei fondi comuni di investimento mobiliare. Secondo SALERNO, M.E., A piccoli passi verso il decollo della previdenza complementare, in Dir. banca e merc. fin., Ottobre-Dicembre, 1997, pag. 86, infatti, il ricorso a tali soggetti risulta estremamente vantaggioso grazie al loro ruolo tipico e all’esperienza nell’ambito della gestione collettiva del risparmio destinato all’investimento finanziario, ai bassi costi di gestione, data la presenza di strutture già idonee a fornire i servizi, ed alla sinergia con la banca depositaria, per i fondi comuni obbligatoria.

Come si può notare il legislatore ha stabilito che la convenzione di gestione debba essere conclusa con soggetti che già operano nel settore del risparmio “gestito”, o in settori affini, cioè con coloro che possono mettere al servizio del fondo (il quale, di per sé, non può essere in possesso delle relative competenze) la propria professionalità ed esperienza in materia di investimenti. Non è detto, però, che tutti i soggetti delle suddette categorie possano accedere alla gestione di fondi pensione; sono infatti previsti requisiti patrimoniali minimi, differenziati per tipologia di prestazione offerta.

concreto dei servizi offerti dagli intermediari finanziari305. Si tratta, però, di principi che il legislatore non ha volutamente specificato, mantenendo alla disciplina quel carattere generale che è frutto di un compromesso tra l’esigenza di controllo del soggetto gestore e quella di non limitarne eccessivamente la libertà di azione. Anche la formula “interesse del fondo”, ricorrente nel regolamento ministeriale, con riferimento alle clausole generali per l’attività gestoria, di cui all’art. 1, co. I, lett. a), alla valutazione delle attività di investimento, di cui all’art. 1, co. II, ed alla frequenza e adeguatezza delle transazioni effettuate, art. 3, co. I, non trova specificazione nel suo contenuto. Il richiamo ai menzionati doveri e all’interesse del fondo306 nel particolare contesto della previdenza complementare, è da vedersi ancora una volta, nel ricorso alla best execution rule dell’esperienza anglosassone, che impone di operare sulla base di un criterio di ragionevolezza al fine di realizzare le “migliori condizioni” per il cliente. Quali connotati assume, dunque, l’operare nell’

“interesse del fondo” nell’ambito del secondo pilastro previdenziale?

Partendo dalla considerazione che il regime finanziario richiesto per tale pilastro è un sistema a capitalizzazione307, per cui l’entità delle prestazioni finali erogate al lavoratore è funzione dei contributi versati dal beneficiario nel corso della sua attività lavorativa e dei rendimenti dell’investimento dei

305 Il riferimento è in particolare alla Delibera Consob n° 8850/1994, la quale, all’art. 1, co. II, lett. d), stabilisce anche le regole di comportamento cui sono tenute le società di gestione ex l.

n° 77/1983.

306 COSTI, R., Risparmio gestito e governo societario, relazione svolta al Convegno ABI su Il testo unico della finanza, Roma, 24 Aprile 1998, in Giur. comm., I, 1998, pagg. 319-320, fa un parallelo tra fondi comuni e fondi pensione: “ Così come nel fondo comune la società di gestione agisce nell’interesse e per conto dei partecipanti…altrettanto accade nel fondo pensioni, nel quale il gestore necessario agisce nell’interesse del fondo pensioni, il quale, a sua

306 COSTI, R., Risparmio gestito e governo societario, relazione svolta al Convegno ABI su Il testo unico della finanza, Roma, 24 Aprile 1998, in Giur. comm., I, 1998, pagg. 319-320, fa un parallelo tra fondi comuni e fondi pensione: “ Così come nel fondo comune la società di gestione agisce nell’interesse e per conto dei partecipanti…altrettanto accade nel fondo pensioni, nel quale il gestore necessario agisce nell’interesse del fondo pensioni, il quale, a sua