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Il conflitto d’interessi nei gruppi di società

Da diversi anni, ormai, si è imposto, quale modello organizzativo della grande impresa, lo schema del gruppo, non più un’unica grande società, magari gigante e multidivisionale, ma una pluralità di enti che esercitano attività economiche unitarie o coordinate tra loro allo scopo di realizzare determinati risultati economici. Si tratta di un soggetto economico unico composto da enti che conservano ciascuno la propria autonomia giuridica, il quale risponde ad esigenze di ampliamento delle dimensioni, di diversificazione delle attività svolte e di specializzazione delle unità produttive, rappresentando attualmente la più efficace forma di concentrazione industriale. Attraverso il gruppo i componenti realizzano obiettivi gestionali di estrema importanza, quali la ripartizione dei rischi, il decentramento produttivo, l’autonomia gestionale, il coordinamento di azioni delle varie società nonché tra la strategia, elaborata dalla capogruppo, e la tattica, posta in essere dalle società figlie. In ragione dell’individuazione di questi obiettivi, i giuristi hanno la tendenza a proporre una nozione di gruppo fortemente indifferenziata, mentre, in realtà, la tipologia del fenomeno è alquanto articolata sotto vari aspetti: dal punto di vista strutturale, dimensionale e funzionale180. Già questo suscita dubbi sulla possibilità di costruire una nozione unitaria di gruppo, in più la carenza del dato normativo rende ancora più difficile la definizione formale del fenomeno; cercando un elemento tipizzante della realtà del gruppo, è sufficiente parlare di controllo o occorre l’ulteriore elemento della direzione unitaria? A tale proposito, è stato osservato che non si può far rientrare la figura del gruppo in quella pur affine del controllo, la quale è e deve rimanere concettualmente distinta181; il controllo contrattuale o

180 Si riconoscono, infatti, gruppi piramidali e gruppi a controllo diretto (radiali); gruppi costituiti prevalentemente da società quotate, gruppi di medie imprese, gruppi semplificati;

gruppi finanziari e gruppi industriali.

181 ABBADESSA, P., I gruppi di società nel diritto italiano, in I gruppi di società, Bologna, 1982, pag. 103.

MONTALENTI, P., Conflitti d’interesse nei gruppi di società e teoria dei vantaggi compensativi, in I gruppi di società, atti del Convegno internazionale di studi, Venezia 16-17-18 Novembre 1995, a cura di P. Balzarini-G. Carcano-G. Mucciarelli, Milano, 1996, pag. 713, ritiene che: “La questione del rapporto tra controllo e gruppo sia stata enfatizzata o che, quantomeno sia stata vieppiù posta in termini di antitesi, anziché in termini di diversità di prospettiva analitica di un fenomeno unitario”, perciò: “in conclusione è mio convincimento che il dibattito sul rapporto tra controllo e gruppo, in assenza di una definizione normativa, si situi sul piano dell’ontologia metagiuridica e sia irrilevante per la soluzione dei problemi che il gruppo suscita agli interpreti”. FERRI, G., Concetto di controllo e di gruppo, ora in Scritti giuridici, Napoli, 1990, vol. III, t. 2, pag. 1338, rileva come la nozione di controllo stia ad:

“indicare la posizione che consente ad un singolo soggetto di coordinare ed unificare l’azione economica di più organizzazioni giuridiche autonome”, e la nozione di gruppo stia ad: “indicare

azionario può essere all’origine del gruppo ma non determina necessariamente l’accentramento gestionale, vero elemento caratterizzante del gruppo, quale direzione unitaria ed economica delle varie società figlie.

Al di là delle incertezze che la comunità giuridica italiana ha incontrato nell’identificare il fenomeno, essa ha, comunque, avuto sempre presente che la realtà del gruppo porta con sé numerose problematiche: “non può negarsi, infatti, che esista una certa contrapposizione tra l’autonomia giuridica delle singole società, più volte affermata in giurisprudenza, e l’unicità dell’attività economica, determinata dalla direzione unitaria e dall’accentramento gestionale. L’imprenditore tende ad amministrare le varie società come un corpo solo, mettendole al servizio di un unico obiettivo, il successo economico del gruppo”182; il punto cruciale, allora, è quello di condurre la politica di ampio respiro, tipica del gruppo, nel rispetto dell’interesse dei componenti del gruppo stesso, cosa che significa ed implica il rispetto dell’interesse degli azionisti di minoranza e dei creditori delle società figlie: è questo il vero limite dell’attività del gruppo e l’ordinamento deve garantirne l’osservanza183. Generalmente, si può dire che gli obiettivi di gruppo sono compatibili o coincidenti con gli interessi delle società che lo compongono184, però può anche accadere il contrario;

in questa circostanza la gestione unitaria di ogni singola società (l’amministratore) deve rispettare l’interesse della società stessa, cioè non deve essere esercitata in conflitto con l’interesse di essa, a danno degli azionisti di minoranza e dei creditori: la politica di gruppo, in sintesi, non deve danneggiare le singole società figlie ponendosi in contrasto con i loro interessi sociali. Quindi, nell’impresa di grandi dimensioni occorre guardare al rapporto tra l’interesse sociale, gli “interessi-altri”185 e le politiche aziendali; quando le imprese si organizzano in forma di gruppo, un esempio di interessi-altri emergenti è l’interesse del gruppo, punto di equilibrio tra l’interesse della controllante e l’interesse delle altre società del gruppo stesso. Ci si chiede, allora, in quale misura la capogruppo possa

il determinarsi fra queste organizzazioni di un collegamento in funzione dell’unità dell’azione e dell’interesse unitario che all’azione presiede, ma non il determinarsi di una riduzione ad unità”.

182 Così MORELLI, M., Conflitto idoneo a causare danno alla società del gruppo, Il commento, in Le società, n° 9/1993, pag. 1249.

183 MORELLI, op. cit., pag. 1249, riconosce nell’autonomia giuridica delle società figlie l’ostacolo al sacrificio (senza alcun ristoro) dell’interesse dei rispettivi azionisti e creditori a favore dell’interesse della capogruppo.

184 Cass., 26 Febbraio 1990, n° 1439, in Le società, n° 5/1990, pag. 631: “La necessità degli organi delle società operative di uniformarsi alle più generali scelte globali e gestionali di gruppo, formulate dagli organi gestori della controllante, non comporta necessariamente la subordinazione degli interessi delle controllate ad interessi a loro estranei, potendo essere gli obiettivi di gruppo perfettamente compatibili con gli interessi delle singole controllate”.

185 Così MONTALENTI, Conflitti…, op. cit., pag. 719, che usa questa espressione per indicare gli interessi che emergono attorno alla società, a seconda della realtà economico-sociale.

limitare l’autonomia decisionale delle società controllate attraverso le proprie direttive186, quale sia: “il confine tra legittimo esercizio del dominio e indebita coartazione delle singole sfere di autodeterminazione”187, e questa è, per l’appunto, la sostanza del conflitto d’interessi all’interno del gruppo! Il giurista deve, quindi, tracciare un limite invalicabile relativo al perseguimento dell’interesse del gruppo (che spesso implica un sacrificio dell’interesse delle singole controllate), limite che si fonda sull’esistenza di società giuridicamente distinte e sull’esigenza di tutelare, attraverso il perseguimento dell’interesse sociale, gli interessi degli azionisti di minoranza e dei creditori. La questione del conflitto d’interessi nei gruppi di società sorge proprio sulla base di queste premesse, alcuni autori, invece, sono giunti addirittura a negarne l’esistenza o comunque ad ammettere la preminenza dell’interesse di gruppo, sulla base della considerazione che connotato essenziale del gruppo è proprio la dialettica tra vantaggi e sacrifici dei singoli membri188 a favore dell’interesse del gruppo. Altri ancora, hanno elaborato una teoria dell’indennizzo del pregiudizio subìto dalla società controllata a causa del perseguimento della politica di gruppo189. Queste teorie, con tutte le loro varianti e le loro sfumature, concludono per la non extrasocialità dell’interesse di gruppo.

Per quanto concerne la giurisprudenza sul tema, importantissima è una pronuncia della Corte di Cassazione190 che, sebbene premetta che: “non esistono ostacoli di carattere giuridico a che le decisioni adottate a livello dell’organo gestorio del gruppo vengano poi attuate dalle società del gruppo”, conclude che “ le deliberazioni degli organi amministrativi d’una società attuative della direttiva del gruppo non devono cagionare pregiudizio alla società medesima e gli amministratori si devono astenere dall’eseguire deliberazioni ed indirizzi che possano danneggiare la società

186 Al contrario SCHLESINGER, P., Intervento in La disciplina dei gruppi di imprese, Convegno di Courmayeur, inedito, ha configurato un vero e proprio dovere delle società controllate di ottemperare alle direttive della capogruppo.

187 MONTALENTI, op. cit., pag. 720.

188 MIGNOLI, A., Interesse di gruppo e società a sovranità limitata, in Contratto e Impresa, 1986, pag. 732 e ss., secondo il quale è incomprimibile l’azione generale di coordinamento della capogruppo; GALGANO, F., L’oggetto della holding e, dunque, l’esercizio mediato e indiretto dell’impresa, in Contratto e impresa, 1990, che osserva come la legittimità del perseguimento dell’interesse di gruppo discenda dall’unitarietà dell’oggetto sociale tra holding e società controllate; GAMBINO, A., I gruppi in Italia alla luce del progetto della IX direttiva, in Giur.

comm.,1987, I, concorda sul fatto che le operazioni ispirate all’interesse generale del gruppo societario possano richiedere il sacrificio dell’interesse particolare delle singole componenti.

189 SPADA, P., L’amministrazione della società per azioni tra interesse sociale e interesse di gruppo, in Riv. dir. civ., 1989, I, pag. 233 e ss.

190 Cass., 13 Febbraio 1992, n° 1759, in Dir. fall., 1992, II, pag. 685.

anche se favoriscono altre società del gruppo. Quindi191, si può ammettere che la partecipazione d’una società ad un gruppo comporti la legittimità di attività che perseguono anche interessi del gruppo; certo è, tuttavia, che non si possono ritenere legittime le attività che, nel perseguire interessi del gruppo, contrastino con quelli della società sino al punto di recarle pregiudizio”. La citata sentenza afferma, in sintesi, che l’interesse di gruppo è legittimo se rimanga esterno, ininfluente e separato rispetto a quello delle singole società, ma ciò equivale ad asserire l’irrilevanza dell’interesse di gruppo nel diritto societario vigente. Anche un’altra autorevole voce192 ha riaffermato l’impermeabilità dell’interesse sociale di ogni singola società all’interesse di gruppo, pena lo snaturamento della società193. L’autore risponde a quanti auspicano, sulla scia della tendenza americana alla deregulation, la soppressione della norma sul conflitto d’interessi in nome della “ragion di gruppo”, ribadendo che “una società amputata della norma (in questione) non è più una società, perché l’attività da essa esercitata non può più dirsi comune, in quanto non ricollegata ad una volontà comune, né intesa al perseguimento di un comune interesse”194.

191 Cass., cit., pag. 696. Stesso orientamento per una sentenza di poco precedente, Cass., 8 Maggio 1991, n° 5123, in Le Società, 1991, pag. 1351, che afferma: “Si evidenzia un’esigenza primaria… di tenere conto della soggettività giuridica distinta di tutte le società del gruppo e di rispettare l’interesse sociale di queste, che può essere coordinato, ma non conculcato, in vista di un interesse superiore del gruppo, il quale deve essere ulteriore, ma non per questo confliggente, rispetto a quello delle imprese collegate”.

Anche il Trib. Velletri, sent. cit., afferma che in nessun caso può ritenersi consentito, allo stato attuale della legislazione, per il principio di autonomia giuridica e patrimoniale delle singole società, sostituire l’interesse del gruppo all’interesse della singola società quale parametro di verifica della posizione conflittuale dell’amministratore.

192 D’ALESSANDRO, F., Il diritto delle società da i “battelli del Reno” alle “navi vichinghe”, in Foro it., 1988, V, pag. 53, individua tre orientamenti principali sul tema cui corrispondono altrettante strategie di intervento normativo: 1) data la irrinunciabilità di una corretta formazione della volontà sociale nell’interesse comune dei soci, una linea di pensiero punta sul rafforzamento dei congegni volti a prevenire l’influenza dei conflitti d’interessi; 2) considerando le difficoltà tecniche nel controllo dei conflitti d’interessi nel nostro contesto o le ragioni di inopportunità politica all’irrigidimento delle gestioni di gruppo, alcuni propongono l’adozione di misure atte ad indennizzare le minoranze e i creditori; 3) infine, in completa adesione alla “ragion di gruppo”, altri sono inclini alla estrema conclusione di cancellare qualsiasi ostacolo si presenti sulla via delle politiche di gruppo, anche il principio che impone il rispetto dell’interesse sociale di ciascuna delle singole unità che lo compongono, senza prevedere alcuna misura compensativa degli interessi sacrificati.

193 D’ALESSANDRO, op. cit., pagg. 54-55: “…con l’appartenenza ad un gruppo, le società…

cessano di essere società”. L’ Autore scorge dietro alla tendenza alla soppressione della norma sul conflitto d’interessi “un dogma noto e vecchio: l’istituzionalismo”, e auspica che non prenda piede una nuova forma di esso, l’istituzionalismo di gruppo, “non meno insidioso né ambiguo del vecchio”.

194 Anche BONELLI, F., Conflitto di interesse nei gruppi di società, in Giur. comm., 1992, I, pagg. 219 e ss., afferma che accettando la tesi secondo cui nell’ambito di gruppo l’interesse della controllante o l’interesse superiore del gruppo possono legittimamente prevalere su quello

Da altri è stata tentata la strada di trovare un contesto nel quale legittimamente si possa perseguire l’interesse di gruppo, come nell’ambito di un quadro di vantaggi compensativi, secondo un’impostazione che apparve negli anni sessanta negli ordinamenti di common law195: si tratta di giustificare il perseguimento dell’interesse di gruppo con l’esistenza di vantaggi compensativi che controbilancino (anche se non necessariamente in misura proporzionale) il sacrificio economico subìto da una società del gruppo nell’ambito di un’operazione intragruppo, soltanto così l’interesse di gruppo è qualificabile come non extrasociale ma, anzi, compatibile con l’interesse sociale. Questo giudizio deve darsi sulla base di una valutazione tecnico-economica196 degli elementi noti al momento in cui l’operazione intragruppo viene intrapresa197. In questo modo si lascia maggiore elasticità

della singola controllata: “non solo verrebbe cancellato dal nostro ordinamento giuridico il divieto di compiere atti in conflitto di interessi, per di più proprio in un settore nel quale la protezione dei soci di minoranza (e dei creditori della società controllata) merita una attenta considerazione, ma la stessa nozione di società data dall’art. 2247 Cod. Civ. verrebbe ad esserne sconvolta, in quanto la società controllata, pregiudicando l’interesse dei soci di minoranza, non potrebbe più quantificarsi come esercizio di un’attività comune intesa al perseguimento di un comune interesse”.

195 MIGNOLI, op. cit., pag. 738 : “La nozione di pregiudizio va valutata non separatamente, ma confrontata dialetticamente con i vantaggi dell’appartenenza ad una comunità allargata”. Anche COTTINO, G., Divagazioni in tema di conflitto d’interessi nei gruppi, in I gruppi di società, atti del Convegno internazionale di studi, Venezia, 16-17-18 Novembre 1995, a cura di P. Balzarini-G. Carcano-Balzarini-G. Mucciarelli, Milano, 1996, pag. 791 ammette che: “Da una determinata strategia di gruppo, possono derivare, almeno in prospettiva, vantaggi alle società dipendenti: vantaggi peraltro da verificare caso per caso”. MORELLI, op. cit., sostiene che: “ L’esistenza di un effettivo conflitto d’interessi rappresenta un limite per l’organo amministrativo che in tale ipotesi deve astenersi dall’eseguire delibere ed indirizzi che possano danneggiare la società figlia”, questo giudizio di contrarietà è dato sulla base di una valutazione; a pag. 1250, l’A.:

“non è… sufficiente valutare la singola operazione economica astraendo dal contesto in cui si posiziona la società figlia: eventuali effetti depauperativi vanno considerati nel complesso dei rapporti infragruppo così da escludere qualsiasi illecito in presenza di benefici anche indiretti a favore della società figlia…L’imposizione di sacrifici a carico della società figlia potrebbe essere considerata lecita a condizione che tali sacrifici trovino una contropartita all’interno delle relazioni di gruppo”.

Non bisogna commettere l’errore di identificare la teoria dei vantaggi compensativi con la teoria dell’indennizzo: quest’ultima impone di quantificare il pregiudizio e di risarcirlo in denaro, la prima, invece, consiste in un insieme di criteri di valutazione della non extrasocialità di una decisione nell’ambito della politica di gruppo.

196 Si veda il caso Dekalb, ad esempio, deciso dal Trib. Venezia, 14 Dicembre 1990, in Nuova giur. civ. comm., 1992, I, pag. 898, in cui i giudici hanno valutato operazioni di compravendita tra controllante e controllata, e viceversa, sulla base dell’esistenza di ragioni economiche che giustificassero gli scostamenti dai prezzi correnti.

197 MONTALENTI, op. cit., spiega chiaramente il nucleo della teoria: “…la compatibilità con l’interesse sociale dell’interesse di gruppo deve valutarsi in termini di razionalità e coerenza di una singola scelta, ancorchè pregiudizievole per la società che la pone in essere, rispetto ad una politica economica generale di gruppo di medio e lungo termine, da cui ragionevolmente può derivare un vantaggio alla singola società, anche su piani economici differenti, anche in tempi

alle politiche di gruppo, altrimenti totalmente imbrigliate, e si pone, contemporaneamente, un limite agli abusi (svuotamento economico delle società controllate, trasferimenti fraudolenti di ricchezza, ecc…). Il campo più critico nell’applicazione di tale giudizio è quello delle garanzie intragruppo198, al fine di distinguere tra quelle con cui si realizza la compensazione e quelle che vengono prestate con l’intento di trasferire fraudolentemente risorse: onde escludere che la transazione posta in essere ad altro non sia diretta che a provocare il depauperamento delle società del gruppo (e forte è il sospetto per le garanzie prestate dalla controllata a favore della controllante)199, occorre che le imprese coinvolte godano di condizioni di benessere o quanto meno di risanamento. Al di fuori del quadro di vantaggi compensativi, si ravvisano le ipotesi di conflitto d’interessi, i cui rimedi possono essere preventivi e curativi; un ruolo preventivo importante deve essere attribuito alle valutazioni di revisori indipendenti e agli strumenti dell’informazione societaria, ma si potrebbe ricorrere anche allo strumento della deliberazione assembleare: sottoporre l’operazione intragruppo all’assemblea della controllata la renderebbe trasparente nei confronti dell’azionista di minoranza. Quanto ai rimedi curativi200, l’art. 2391 Cod. Civ., che prevede l’impugnativa della deliberazione consiliare assunta in conflitto d’interessi, non assicura un’idonea tutela alla società “sacrificata” (a causa del breve termine di decadenza previsto e della condizione posta al voto in conflitto, cioè che sia determinante), per cui l’atto viziato da conflitto d’interessi può essere assoggettato, con risultati più soddisfacenti, alla disciplina prevista dall’art.

diversi rispetto al momento dell’operazione ed anche secondo un parametro non rigidamente proporzionale, né necessariamente quantitativo”.

198 La giurisprudenza ha fornito preziose indicazioni in proposito:

Cass., 14 dicembre 1976, n° 3150, cit., osserva che la prestazione di garanzie anche gratuite, da parte della controllante a favore di società controllate, può soddisfare un interesse economico, sia pure indiretto della società garante.

Aggiunge Trib. Milano, 20 Giugno 1991, in Giur. comm., 1992, II, pag. 101, che l’interesse a prestare la garanzia gratuita deve essere valutato in rapporto al “complesso dei rapporti instaurati tra le società del gruppo”.

199 Ma anche in tale caso è possibile il verificarsi di un vantaggio compensativo; si pensi, da un lato, al caso della controllante insolvente che impone alla controllata il rilascio di un’ipoteca a garanzia di un finanziamento, utilizzato per estinguere un debito della controllante verso la banca finanziatrice. Si pensi, dall’altro, al caso della crosstream guarantee, rilasciata a garanzia di un finanziamento, diretto a promuovere un piano di ricerca tecnologica di cui si avvantaggeranno tutte le società del gruppo, e anche la società garante.

200 MORELLI, op. cit., pag. 1250, afferma che: “Il modello strutturale ed operativo del gruppo, conforme al vigente sistema normativo, impone agli amministratori delle società figlie di non attenersi alle direttive della società capogruppo che siano pregiudizievoli all’interesse delle società che esse amministrano” per poi aderire, invece, alla teoria dei vantaggi compensativi.

2384-bis Cod. Civ., come estraneo all’oggetto sociale201, indipendentemente dalla impugnativa della deliberazione, ma opponendo ai terzi di malafede l’atto in conflitto per estraneità dell’oggetto.

Dalla rassegna di opinioni appena condotta risulta forte l’esigenza (e la difficoltà) di elaborare un’adeguata regolamentazione dei gruppi che, da un lato non ne irrigidisca il funzionamento202, ma che, dall’altro, limiti i rischi di abusi.

201 Secondo MONTALENTI, op. cit., l’atto in conflitto è equiparabile all’atto estraneo, nonostante si situino in termini di fattispecie e di disciplina su terreni diversi, a causa della forte compenetrazione delle strategie di politica aziendale con il concetto d’interesse sociale. Il giudizio di compatibilità dell’interesse sociale può essere svolto in termini di coerenza delle decisioni rispetto all’oggetto sociale.

202 Così ROVELLI, op. cit., pag. 1216, in quanto l’applicazione delle norme sul conflitto d’interessi, ex artt. 2391 e 2373 Cod. Civ., e la previsione di un dovere di astensione dal voto, del socio e dell’amministratore, risulterebbero: “disfunzionali fino alla paralisi rispetto alla

202 Così ROVELLI, op. cit., pag. 1216, in quanto l’applicazione delle norme sul conflitto d’interessi, ex artt. 2391 e 2373 Cod. Civ., e la previsione di un dovere di astensione dal voto, del socio e dell’amministratore, risulterebbero: “disfunzionali fino alla paralisi rispetto alla