essenziali del tipo sociale L’Autore afferma: “In realtà, l’interpretazione più
2. La Riforma del 2003: un drastico ridimensionamento delle cause di nullità.
2.3. Il problema della società simulata a seguito della riduzione delle cause di nullità.
Il nuovo testo dell’articolo 2332 cod. civ. ha soppresso - tra le anomalie riferite al procedimento – anche le ipotesi di nullità che, in passato, avevano offerto appigli alla dottrina sulla dibattuta questione della configurabilità della simulazione di una società di capitali, ancorché iscritta nel registro delle imprese: la “mancanza dell’atto costitutivo” (n. 1, vecchio testo) e la “mancanza della pluralità dei soci fondatori” (n. 8, vecchio testo). La nuova formulazione del numero chiuso – oggi, più aderente ai dettami comunitari – genera, perciò, l’abbandono delle tesi che avevano affermato l’ammissibilità della simulazione, riconducendola alle fattispecie ormai caducate.
Il problema della società di capitali simulata, già controverso nel vigore del precedente regime, esige, quindi, un’indagine che tenga conto delle novità che la Riforma introduce nel 2003.
La dottrina e la giurisprudenza più recenti tendono a risolvere la questione negativamente, avallando l’interpretazione restrittiva dell’articolo 2332, comma 1 cod. civ.: il limitato numero chiuso delle cause di nullità e gli effetti dell’iscrizione della società di capitali nel registro delle imprese sembrano escludere la configurabilità della simulazione tra le cause di nullità.
Invero, già la Corte di giustizia dell’Unione europea, in occasione della sentenza 13 novembre 1990, causa C-106/89 (la sentenza Marleasing SA c. La Comercial Internacional de Alimentación SA), aveva offerto un’interpretazione stretta del principio di tassatività elaborato
94 In questo senso: Sciuto [3], 430. 95 Così: Sciuto [3], 430; Fauceglia, 1005.
dall’articolo 11 della Direttiva 9 marzo 1968, n. 151; e la giurisprudenza di legittimità96, prima della Riforma, aveva sostenuto
l’impossibilità di far valere la simulazione della società di capitali una volta avvenuta l’iscrizione nel registro delle imprese, considerando l’enunciazione tassativa insuscettibile di un’interpretazione analogica o estensiva. Dottrina autorevole97 ha, poi, osservato come proprio la formulazione sintetica del principio di tassatività (“avvenuta l'iscrizione nel registro delle imprese, la nullità della società può essere pronunciata soltanto nei seguenti casi”) - che, anche a seguito della Riforma del 2003, non traduce la formula conclusiva dell’articolo 11 della Direttiva (“fuori di questi casi di nullità, le società non sono soggette ad alcuna causa d’inesistenza, nullità assoluta, nullità relativa o annullabilità”) in sede nazionale – imponga un’interpretazione del numero chiuso coerente con la lettera e con lo spirito della Direttiva comunitaria; una lettura, quindi, non estensiva dei casi di nullità della società di capitali.
Eppure, benché la prospettiva strettamente letterale appaia dominante, non hanno mancato di suggerirsi ricostruzioni più ampie, che consentissero di includere la simulazione della società di capitali tra le ridotte cause di nullità dell’articolo 2332, comma 1 cod. civ. anche dopo il 2003. La tendenza ha riguardato, in particolare, l’illiceità dell’oggetto sociale (n. 2), giacché la discrepanza tra l’attività dichiarata all’interno dell’oggetto sociale statutario e l’attività concretamente esercitata è il caso in cui il fenomeno simulatorio si è offerto, più spesso, come possibile soluzione e quale prospettiva di analisi più frequente.
In forza delle disposizioni codicistiche che sembrano riservare maggiore attenzione all’attività concretamente esercitata dalla società98, nonché in virtù della legislazione tributaria99 e della
96 Cass., 17 novembre 1992, n. 12302; Cass. 14 maggio 1992, n. 5735; Cass., 28
aprile 1997, n. 3666.
97 Palmieri [3], 849.
98 Tra queste: l’articolo 2484, comma 1, n. 2 cod. civ. che, tra le cause di
scioglimento della società di capitali, annovera il conseguimento dell’oggetto sociale o la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo, con ciò presupponendo
giurisprudenza amministrativa100 - che, egualmente, sembrano aver
riguardo anche alla valutazione di quanto realizzato effettivamente -, le fattispecie di modifica in fatto dell’oggetto sociale sono state considerate oggetto di declaratoria di nullità ai sensi dell’articolo 2332 comma 1, n. 2 cod. civ. quando le attività svolte concretamente non siano sussumibili all’interno dell’articolo 2247 cod. civ. L’ipotesi è quella della società di capitali in fatto di comodo, in cui i beni conferiti sono - diversamente da quanto dichiarato nell’oggetto sociale - funzionali al mero godimento da parte dei soci e non anche alla realizzazione dell’attività economica d’impresa, prevista dall’articolo 2247 cod. civ.
In senso critico, la dottrina101 che, al contrario, circoscrive l’operatività
dell’illiceità dell’oggetto sociale alle sole ipotesi in cui già l’attività programmata all’interno dell’atto costitutivo - che sia, di per sé, lecita - sia estranea al paradigma funzionale dell’articolo 2247 cod. civ.: in questi casi, infatti, non si realizza una successiva deviazione dall’attività statutariamente prevista, giacché è la stessa attività indicata documentalmente a deviare dallo schema dell’articolo 2247 cod. civ.; ciò determina l’integrarsi dell’illiceità per contrarietà alle
un raffronto tra l’oggetto sociale dichiarato e le condizioni effettive di svolgimento dell’attività d’impresa; la disciplina dei finanziamenti dei soci di una società a responsabilità, che, nella definizione di finanziamento rilevante ai fini dell’applicazione dell’articolo 2467, comma 1, cod. civ., richiede di considerare anche il tipo di attività esercitata dalla società, il che s’interpreta non solo nel senso di dare rilevanza all’attività consacrata nell’oggetto sociale ma anche alla (eventuale) diversa attività esercitata; l’articolo 2437, comma 1, n. 1 cod. civ. che disciplina il diritto di recesso dell’azionista a fronte di una modifica della clausola dell’oggetto sociale a cui segua un significativo cambiamento dell’attività della società e che la dottrina propone d’interpretare come formula riferita all’attività che la società abbia effettivamente svolto.
99 Così osserva Paolini, 211, nt. 61 e – a partire da queste argomentazioni -
Dell’Osso, 729 e Fauceglia, 1001 notano come la nozione di oggetto concretamente esercitato spesso assume un ruolo centrale all’interno della legislazione speciale.
100 Cons. Stato, 19 febbraio, 2003, n. 925, in www.iusexplorer.it. Il Consiglio di
Stato si occupa dell’ipotesi in cui un bando richiede, ai fini della partecipazione alla gara, il requisito dell’iscrizione nel registro delle imprese “per attività” (non “per oggetto sociale”) e dà rilievo all’attività concretamente esercitata dall’impresa societaria – non a quella dichiarata all’interno dell’oggetto sociale – per deciderne l’esclusione.
norme imperative e giustifica la pronuncia di nullità. Si spiega, così, l’estromissione del fenomeno simulatorio della società di capitali – che, invece, si determina laddove l’attività svolta in concreto sia diversa da quella dichiarata – dal sistema dell’articolo 2332 cod. civ. e, in particolare, dall’ipotesi di illiceità dell’oggetto sociale (n. 2).
In quest’ottica, l’iscrizione nel registro delle imprese è il momento costitutivo della società e determina “un netto iato rispetto alla prospettiva negozialistica, entro cui l’istituto della simulazione è concepito e concepibile”102; perciò, una volta eretta la società, la
volontà di coloro che partecipano alla realizzazione dell’attività non può neutralizzare l’efficacia delle disposizioni legali e statutarie che regolano l’attività sociale medesima.
L’opportunità di sanzionare con la nullità – e, in particolare, ai sensi dell’illiceità dell’oggetto sociale - la società di capitali in fatto di comodo, quale fenomeno simulatorio, s’inscrive all’interno della questione che ha investito il modo di valutare l’illiceità: se solo alla luce di quanto previsto dall’atto costitutivo o, al contrario, anche in base all’attività che la società svolga concretamente.
La tesi che esclude l’ammissibilità della simulazione e sostiene l’impossibilità di ricondurla all’ipotesi d’illiceità dell’oggetto sociale s’inserisce all’interno dell’opinione prevalente – confermata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea103 -, che apprezza l’illiceità
guardando alla sola attività dichiarata all’interno dell’atto costitutivo e non anche, invece, a ciò che la società abbia effettivamente realizzato. Un’opinione peculiare104 sul fenomeno delle società in fatto di comodo
è quella di chi osserva come, in realtà, in queste ipotesi non si ponga un problema di liceità o meno dell’oggetto sociale, giacché l’attività svolta è di per sé lecita e ciò che non è conforme al tipo della società di capitali – quindi, all’articolo 2247 cod. civ. - è la “causa” dell’atto
102 Sciuto [3], 442.
103 CGUE, 13 novembre 1990, Marleasing SA c. La Comercial Internacional de
Alimentación SA, causa C-106/89, in www.eur-lex.europa.eu.
104 Pavone La Rosa, 397 s.s. Diversamente dall’opinione dominante, l’Autore
ritiene che ai fini della corretta individuazione dell’oggetto sociale non sia sufficiente attenersi ai dati letterali contenuti nell’atto costitutivo, ma occorra anche accertare l’effettiva attività intrapresa e svolta dalla società.
costitutivo: l’attività esercitata non è, infatti, un’attività d’impresa. La soluzione non è la nullità dell’atto costitutivo, ma l’inesistenza della società, “nel senso che si richiede una «riqualificazione» dell’atto al fine dell’applicazione della disciplina più appropriata alla fattispecie in concreto posta in essere dalle parti, ossia quella della comunione dei beni”105. Contro la tesi della “riqualificazione” della società milita, però,
la constatazione che l’iscrizione nel registro delle imprese ha, per le società di capitali, efficacia costitutiva della società medesima, ai sensi dell’articolo 2331, comma 1 cod. civ., e ciò, allora, esclude l’ammissibilità di un’operazione di riqualificazione. D’altra parte, la dottrina maggioritaria ha escluso che il “contrasto tra il nomen del tipo prescelto e le clausole contenute nell’atto costitutivo possa essere composto attraverso una riqualificazione del tipo sociale coerente col contenuto della clausola atipica”106, anche alla luce del contrario
orientamento che la Suprema Corte aveva adottato nella ormai celebre sentenza 23 febbraio 1984, n. 1296107. La Corte di Cassazione aveva,
infatti, accolto in pieno il rilievo principale del ricorrente e aveva statuito che le particolari clausole dell’atto costitutivo della società fossero, in realtà, tali da far ricadere la società in una categoria societaria diversa, quella delle società personali: accadeva, così, che una società - che nasceva come società a responsabilità limitata e che, per anni, aveva agito con questa veste - si ritrovava ad essere riqualificata come società in nome collettivo. Ma una simile soluzione non combacia né con l’efficacia costitutiva della stessa società di capitali, propria del riconoscimento della personalità giuridica conseguente all’iscrizione nel registro delle imprese, né con la disciplina della nullità di cui all’articolo 2332 cod. civ. Invero, se si potesse operare una riqualificazione del tipo societario prescelto a fronte di clausole che sono atipiche, si verrebbe a creare anche
105 Pavone La Rosa, 401.
106 Campobasso, 49, nt. 89. In questo senso anche: Menghi, 711 s.s. e
Abbadessa [2], 40 s.s.
all’esterno - quindi verso i terzi che su quel tipo abbiano risposto il loro affidamento – “uno stato d’incertezza grave e palese”108.
Peraltro, a proposito delle società che abbiano un oggetto sociale (dichiarato) di mero godimento, la dottrina109 che non condivide la
tesi della riqualificazione - secondo cui, in questo caso, l’atto costitutivo dovrebbe essere qualificato come costituzione di comunione e non come contratto di società110 – ne ravvisa talune
criticità. In primo luogo, appare riduttivo pensare di poter applicare a siffatte fattispecie “sic et simpliciter”111 le disposizioni dettate per la
comunione; d’altra parte l’articolo 2248 cod. civ. “non legittima affatto l’applicazione di queste ultime disposizioni alle società di comodo, né a tali regole rinvia se si tratta di società”112 e neppure “è pensabile
applicare direttamente le norme sulla contitolarità ex tunc in base all’art. 2248 c.c., ovvero in virtù dell’art. 1362 c.c., senza passare per la declaratoria di nullità”113. La riqualificazione produrrebbe, poi, effetti
negativi sulla tutela dell’affidamento dei terzi che abbiano intrattenuto rapporti con la società e che abbiano, di conseguenza, fatto affidamento sul suo patrimonio; esigenza di protezione cui s’ispira l’articolo 2332 cod. civ., che non opera retroattivamente proprio perché “non si può cancellare l’attività svolta dalla società di capitali regolarmente iscritta”114. Infine, non si può neppure trascurare il tema
della compatibilità tra riqualificazione e società di comodo costituita da un unico socio115, tanto più che la s.r.l. unipersonale ben si presta
all’utilizzo del modello societario per scopi di mero godimento e che, accanto alla s.r.l. con un unico socio, si assiste anche all’introduzione delle s.p.a. unipersonali. Proprio con riguardo alle società unipersonali, infatti, l’applicabilità delle disposizioni della comunione diventa problematica, “salvo [, tuttavia,] ritenere che per le società
108 Campobasso, 49, nt. 89. 109 Ghionni, 1322 s.s. 110 Tesi sostenuta, appunto, da Pavone La Rosa, 401. 111 Ghionni, 1322. 112 Ghionni, 1322. 113 Ghionni, 1322. 114 Ghionni, 1324. 115 Così osserva: Ghionni, 1318 e 1323-1324.
individuali non valga la tesi della riqualificazione e si debbano applicare, per analogia, le disposizioni sulla proprietà, anziché sulla comunione”116.
La non configurabilità in radice della nullità per simulazione di una società di capitali è stata affermata dalla recente giurisprudenza di legittimità117, in occasione di una richiesta di accertamento della
simulazione di un contratto costitutivo di società per azioni (costituita tra fratelli), avanzata argomentando che l’attività effettivamente svolta si sarebbe, in realtà, esaurita nel mero godimento di beni immobili. La Corte Suprema avalla l’interpretazione stretta del principio di tassatività, escludendo l’inclusione della simulazione tra le cause di nullità della società di capitali. Anzi, la Corte aggiunge: “la simulazione di una società di capitali iscritta nel registro delle imprese non è configurabile in ragione della natura stessa del contratto sociale, che non è solo regolatore degli interessi dei soci ma si atteggia, al contempo, come norma programmatica dell’agire sociale, destinata ad interferire con gli interessi dei terzi che con la società instaurano rapporti e che fanno affidamento sulla sua esistenza”.
Il Tribunale di Milano condivide l’orientamento espresso della Corte di Cassazione all’interno della sentenza 4 novembre 2015, n. 22560. Invero, con la sentenza 22 aprile 2016, n. 5099118 il Tribunale rigetta la
domanda di accertamento della simulazione dell’atto di trasformazione di una società a responsabilità limitata in società in nome collettivo e dell’atto di ricostituzione della pluralità dei soci e afferma la non configurabilità in radice del fenomeno simulatorio, proprio richiamando le argomentazioni già proposte dalla Corte, nel 2015.