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Vantaggi e costi della protezione obbligatoria.

senso critico ritenendo che non siano percorribili soluzioni tali da aggirare il

3. Tutela reale e tutela obbligatoria: le operazioni straordinarie quale esempio della tendenza al ridimensionamento della

3.2. Residui margini della tutela reale dopo l’iscrizione.

3.3.2. Vantaggi e costi della protezione obbligatoria.

Merita di condursi, in ultima analisi, un’indagine a proposito dei benefici e dei costi di una tutela che abbia carattere obbligatorio. Il principale vantaggio della protezione obbligatoria sembra potersi individuare nella sua maggiore selettività e nel suo più intenso equilibrio. Si osserva238, infatti, che accordare al socio il potere di

bloccare una deliberazione quando dalla stessa subisca un danno che, in ipotesi, abbia un valore pari a 1, a fronte di un’operazione che, invece, abbia un valore di 100, determinerebbe uno squilibrio e, anzi, finirebbe per aprire la strada agli abusi delle minoranza. Attribuire, cioè, a chi abbia una piccola partecipazione, la possibilità di porre nel nulla le operazioni che la maggioranza – a ragione o a torto – abbia ritenuto vantaggiose e che incidono sulla sfera di molti soggetti, nonché su interessi di rilievo economico, rischia di aprire a manovre di carattere opportunistico, “se non addirittura chiaramente estorsive”239. La protezione risarcitoria, invece, tutela i soggetti lesi

dall’operazione invalida e ha il pregio di non compromettere quegli interessi che siano, quanto a dimensione, sproporzionati rispetto all’entità della lesione.

A quest’affermazione si è, tuttavia, obiettato240 che contrapporre il

danno per il singolo socio e il vantaggio che alla società deriva da

236 Santagata, 656 s.s.; Iermano, 429. 237 Iermano, 426. 238 Sacchi [1], 147 s.s. 239 Sacchi [1], 148. In questo senso anche D’Alessandro, 710. 240 Nigro, 894.

un’operazione viziata è, in realtà, “un autentico sofisma”241, giacché si

dimenticherebbe che, se esiste un danno per il singolo socio v’è, prima ancora, un danno che colpisce la società medesima. Pare utile, poi, dare atto anche del rafforzamento della maggioranza in sede di Riforma; l’ampliamento delle cause di recesso e i criteri di quantificazione della quota, infatti, ne fanno uno strumento che consente al socio di maggioranza di imporre – previo pagamento di un prezzo – modifiche statutarie che si rivelano anche molto pesanti per il socio di minoranza.

La riflessione sui costi e sui benefici della protezione obbligatoria non interessa, peraltro, solo l’ordinamento nazionale, ma investe anche il dibattito internazionale. In particolare, gli studi a proposito delle property rules e delle liability rules hanno origine negli Stati Uniti con l’illuminante e noto contributo di Calabresi e Melamed242. I due

studiosi s’interrogano sulle diverse tecniche di protezione dei diritti, raggruppandole in tre diverse famiglie – le property rules, le liability rules, le inalienability rules –, e, ragionando in termini di analisi economica del diritto, concludono per una maggiore efficienza delle liability rules, quindi di una tutela che si pone sul piano obbligatorio. Invero, le regole di tutela proprietaria o inibitoria (property rules) accordano al proprietario il potere d’impedire che ogni altro soggetto possa interferire con l’esercizio del diritto, di modo che, se il trasferimento dell’entitlement avviene senza il suo consenso, gli sia concessa la tutela inibitoria o – se è possibile – la reintegrazione in forma specifica. La famiglia delle tutele risarcitorie (liability rules) offre al soggetto una protezione meno forte, giacché gli riconosce solo un ristoro in denaro in caso di privazione forzata dell’entitlement. Calabresi e Melamed ritengono che la scelta dell’opportuna regola di tutela debba, però, compiersi guardando ai costi transattivi delle operazioni che s’intendano realizzare: così, se questi sono bassi – perché, ad esempio, le parti coinvolte nella transazione sono poche, facilmente identificabili e sono disponibili a trattare – le property rules

241 Nigro, 894.

si lasciano preferire; al contrario, alla presenza di elevati costi transattivi, sono le liability rules a superare i fallimenti tipici della contrattazione e a favorire le allocazioni più efficienti dei diritti (entitlements) tra le parti coinvolte.

Anche in sede nazionale, dottrina autorevole243 afferma una maggiore

efficienza della tutela obbligatoria rispetto a quella reale, giacché – ragionando, anche qui, in termini di analisi economica del diritto – si può dire che la seconda tende in ogni caso a bloccare il raggiungimento di un certo risultato, mentre la prima ha il vantaggio di consentire a chi sia interessato a quel risultato una scelta tra rinunciare o perseguire ugualmente l’obiettivo. Con la precisazione, però, che se l’opzione è quella di realizzare comunque il risultato, ne seguirà anche l’onere di sopportare il costo che genera l’obbligo risarcitorio dei soggetti pregiudicati.

Si osserva che la protezione obbligatoria realizzerebbe “una situazione di ottimalità paretiana: la posizione del soggetto protetto dalla norma resterebbe invero neutra (egli soffre un pregiudizio ma questo pregiudizio viene riparato), mentre la posizione del soggetto destinatario del vincolo migliorerebbe (egli si appropria delle utilità dell’atto, per definizione maggiori dei costi risarcitori)”244. Ma una tale

affermazione – come riferisce lo stesso Autore245 - è stata oggetto di

critiche: si è in particolare obiettato che una ricostruzione dell’efficienza della tutela obbligatoria in tal senso finisce per assegnare il “bene della vita” al soggetto cui è riservata la scelta e, al contrario, a chi è pregiudicato da quella medesima scelta è riservata la sola possibilità vedersi ristorato attraverso una somma in denaro. Quanto ai costi della migrazione della protezione sul piano obbligatorio, parte della dottrina246 individua, in primo luogo, un

abbassamento del grado di tutela riconosciuta ai soggetti pregiudicati. In questa prospettiva, la tutela obbligatoria non sembrerebbe equivalente a quella reale poiché, se la seconda non richiede il

243 D’Alessandro, 710. 244 D’Alessandro, 710. 245 D’Alessandro, 710. 246 Sacchi [1], 147 s.s.

requisito del danno, la prima opera solo quando, invece, un danno si sia prodotto.

È in ragione del minor grado di tutela che, quindi, si spiegherebbero le interpretazioni dirette a espandere l’ambito applicativo degli strumenti obbligatori, considerando rilevante ai fini risarcitori anche il danno indiretto o riflesso – e non solo quello diretto – e, ancora, costruendo la tutela in termini indennitari. Tuttavia, pur a fronte di simili interpretazioni estensive, si osserva247 come una differenza tra

la tutela reale e la protezione obbligatoria si mantenga: nelle ipotesi in cui le invalidità non siano tali da produrre un danno, oppure quando non sia possibile dimostrare l’esistenza della lesione o quantificarne l’entità, la protezione obbligatoria – che ha alla base proprio il verificarsi del danno – non può, infatti, operare.

L’abbassamento della protezione riconosciuta ai soggetti pregiudicati non è, però, un punto pacifico, giacché una parte della dottrina248 si è

espressa in senso contrario: vi sarebbero delle situazioni in cui, anzi, il rimedio risarcitorio si presta a offrire una migliore tutela rispetto a quella garantita da una pronuncia d’invalidità che operi retroattivamente; “non si può [, quindi,] dubitare della piena surrogabilità, sul piano del diritto costituzionale, fra tutela risarcitoria e tutela invalidativa”249, giacché in certi casi “la regressione degli

effetti dell’atto invalido è suscettibile di creare situazioni più ingiuste di quelle che vorrebbe eliminare”250.

Un altro costo della tutela obbligatoria è, poi, quello che autorevole dottrina251 individua in una discriminazione tra le minoranze forti e

attive e quelle che siano, invece, deboli e non organizzate e che, quindi, restano inerti. Un tale svantaggio appare, peraltro, proprio la conseguenza di quei tentativi ermeneutici volti a estendere la portata operativa della tutela obbligatoria, che passano attraverso l’estensione

247 Sacchi [1], 151 e 159 s.s. 248 Angelici [3], 270; Genovese [1], 102 s.s.; Iermano, 423-424. 249 Genovese [1], 103-104. 250 Genovese [1], 104.

251 Sacchi [1], 155 s.s.; Pinto [2], 855, con riguardo alle deliberazioni

del ristoro anche al danno indiretto e la costruzione della protezione in termini indennitari.

Se nel nostro ordinamento la regola è che la riparazione pecuniaria opera solo a favore di chi agisce ed è a carico della società e si sceglie di attribuire rilevanza anche al danno indiretto ai fini della protezione obbligatoria, significa che il soddisfacimento del socio che ha agito non avviene solo a spese dei creditori sociali e della maggioranza che ha approvato la deliberazione, ma anche a scapito dei soci di minoranza che non si sono attivati.

Si aggiunge252, poi, che il costo della discriminazione delle minoranze

deboli si produce anche quando il danno sia diretto - e non indiretto – e riguardi posizioni di carattere collettivo. L’ipotesi, a tal proposito richiamata, è quella di una delibera di fusione che sia stata approvata dall’assemblea, ma in cui, tuttavia, il rapporto di cambio sia scorretto e perciò sia tale da svantaggiare i soci della società. In questo caso il danno non è un riflesso ma è diretto e colpisce tutti i soci, tuttavia, anche qui, il soddisfacimento del socio che agisce avviene a scapito della minoranza inerte.

Il costo della discriminazione tra le minoranze forti e quelle deboli è un elemento che, al contrario, è del tutto assente nell’ambito della tutela reale o invalidatoria. I rimedi demolitori consentono, infatti, a chi agisce di bloccare l’operazione e, se poi l’impugnativa ha un esito positivo, il suo effetto è tale da estendersi a tutti i soci, anche a quelli che non si siano attivati.

252 Sacchi [1], 158; Pinto [2], 871 s.s.

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