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La “nullità” delle delibere assembleari quale istituto diverso dalla “nullità” contrattuale.

Il principio di stabilità e l’invalidità dei deliberati.

1. L’invalidità dei deliberati assembleari nella società per azioni a seguito della Riforma del 2003: l’inversione d

1.1. La “nullità” delle delibere assembleari quale istituto diverso dalla “nullità” contrattuale.

La disciplina su cui la Riforma più ha inciso è quella della nullità delle delibere assembleari, segnandone - più che per le disposizioni che regolano l’annullabilità –un “clamoroso distacco dalle regole comuni poste dal libro quarto del codice civile”265. In effetti, la nuova

normativa della nullità è, per più aspetti, diversa dalla prospettiva della nullità contrattuale, caratterizzata dalla rilevabilità d’ufficio, dall’insanabilità del vizio e dai connotati d’imprescrittibilità e di esperibilità dell’azione da parte di chiunque vi abbia interesse.

In primo luogo, alla nullità delle delibere non è applicabile l’articolo 1418, comma 1 cod. civ., giacché il nuovo articolo 2379 cod. civ. individua talune cause tassative e specifiche di nullità 266 :

all’”impossibilità o illiceità dell’oggetto”, già previste dal vecchio testo, la Riforma accompagna, infatti, i casi di “mancata convocazione dell’assemblea” e di “mancanza del verbale”. Ciò esclude, allora, residui margini per altre ipotesi di nullità “«innominate» o «virtuali»”267. È, semmai, la disciplina dell’annullabilità che sembra

aprirsi a ipotesi “virtuali” laddove il riformulato articolo 2377 cod. civ. prevede l’annullamento della delibera viziata poiché adottata “non in conformità della legge o dello statuto”268.

Diversamente dalla nullità contrattuale - che è imprescrittibile - la nullità delle delibere può essere, invece, fatta valere nel termine di tre anni; termine che, peraltro, decorre da momenti diversi, in ragione delle previsioni dell’articolo 2379 cod. civ., quindi, dalla trascrizione della delibera nel libro delle adunanze dell’assemblea, o, se questa è soggetta a iscrizione o a deposito presso il registro delle imprese, dal compimento di queste formalità. L’unica ipotesi di nullità che resta sottratta alla prescrizione triennale è quella in cui la delibera modifica l’oggetto sociale prevedendo attività illecite o impossibili. Eppure, la

265 Conte, 655.

266 In questo senso: Conte, 656; Pisani Massamormile, 56; Lener, 92 e,

ugualmente, AA. VV. [2], 565.

267 Conte, 656.

dottrina269 considera una tale ipotesi come un caso “di scuola”, che

perciò non può essere preso troppo in considerazione al fine di valutare, in concreto, la sorte effettiva del nuovo articolo 2379, comma 1 cod. civ.

L’esperibilità dell’azione - benché l’imprescrittibilità sia venuta meno – resta, però, in capo a chiunque vi abbia interesse, come prevede la prospettiva contrattuale della nullità.

A sopravvivere, poi, è anche la rilevabilità d’ufficio del vizio di nullità, che, tuttavia, si accompagna a precisazioni di non poco conto e tali da incidere sulla portata effettiva di un simile potere: l’articolo 2379, comma 2 cod. civ. stabilisce, infatti, che il giudice possa - sì – sollevare d’ufficio il vizio, ma ciò solo nei casi, e soprattutto nei termini, in cui la nullità può essere fatta valere dalle parti. Una volta che il termine triennale, di cui al primo comma, sia trascorso, anche il potere del giudice – come quello delle parti – viene meno ed è, quindi, fortemente limitato 270 . La dottrina 271 aggiunge, peraltro, che una simile

contrazione del potere officioso finisce per produrre i propri effetti anche sul pendant processuale della rilevabilità d’ufficio, cioè sul principio secondo cui la nullità può essere fatta valere in ogni stato e grado del processo: invero, se si considerano i tempi del processo civile e il termine triennale concesso per promuovere l’azione di nullità, non sarà arduo osservare che difficilmente la nullità potrà essere introdotta ex novo in appello; anzi, non è infrequente che il termine di tre anni, cui il potere di rilevabilità officiosa si riduce, sia già trascorso al momento della precisazione delle conclusioni in primo grado.

La nullità delle delibere ha, poi, acquisito il carattere della sanabilità a seguito della Riforma, mentre la nullità contrattuale è da sempre insanabile272. Il riformatore ha, infatti, introdotto talune forme di

recupero dell’invalidità che colpiscono le delibere emanate dall’assemblea: le fattispecie di sanatoria esplicita di cui all’articolo

269 Schlesinger, 600.

270 Così osservano: Conte, 656; Pisani Massamormile, 56. 271 Pisani Massamormile, 56.

2379 bis cod. civ. e, ancora, il meccanismo della sostituzione della delibera impugnata con un’altra presa in conformità della legge o dello statuto, che è previsto all’articolo 2377, comma 8 cod. civ. , ma è altresì applicabile alle delibere viziate per nullità in ragione del richiamo che l’ultimo comma dell’articolo 2379 cod. civ. opera. La nullità contrattuale agisce ex tunc e travolge tutti gli atti che siano stati realizzati in precedenza, giacché si ritiene che l’atto nullo non possa in ogni caso produrre alcun effetto. Al contrario, la pronuncia di nullità che colpisce le delibere dell’assemblea fa salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi e, anzi, – in linea con la tendenza alla contrazione della tutela reale a vantaggio di quella obbligatoria, che la Riforma prosegue – anche in quest’ambito vi sono talune ipotesi in cui la sola sanzione possibile, a seguito della nullità, è il risarcimento del danno273.

Giova, infine, ricordare – come osservato a chiusura del paragrafo precedente – che il nuovo testo dell’articolo 2379 cod. civ. ha soppresso il rinvio alle disposizioni degli articoli 1421, 1422 e 1423 cod. civ. che, prima, rendeva esplicita l’applicabilità delle norme dettate in materia di nullità contrattuale anche alle delibere nulle dell’assemblea. Appare chiaro, cioè, come in sede di riforma del diritto societario il legislatore si sia indirizzato verso la “totale censura del trattamento delle invalidità delle delibere assembleari delle s.p.a. dalla disciplina delle invalidità negoziali”274.

La lettura della norma, così profondamente riformulata, apre, però, a un interrogativo: ciò che il legislatore, anche dopo la Riforma, continua a definire “nullità” è, in realtà, un’anomalia molto diversa dalla “nullità” che colpisce il contratto e, perciò, ci si domanda se un tale termine sia ancora accettabile nell’ambito delle delibere assembleari invalide o se, al contrario, il suo utilizzo sia incongruo, date le numerose divergenze tra le due prospettive275. A questo proposito, si è

273 Così osserva: Pisani Massamormile, 57. 274 Schlesinger, 598.

275 Della differenza tra “nullità” contrattuale e “nullità” delle delibere e del

conseguente interrogativo danno conto: Lener, 92-93; AA. VV. [2], 566; Pisani Massamormile, 57; Calice, 47; Schlesinger, 599 s.s.

autorevolmente affermato che “la nullità di cui parla l’articolo 2379 c. c., pur avendo lo stesso nomen iuris della nullità disciplinata dagli artt. 1418 s.s. c. c., presenta tratti distintivi – si pensi alla sanabilità e alla prescrittibilità dell’azione – che contribuiscono a delinearne caratteri di «specialità» rispetto alle nullità del diritto civile «comune»”276. Per la verità, la questione non è di carattere solo definitorio o di mera classificazione277. Anzi, la circostanza che il riformatore si ostini a

utilizzare il termine “nullità”, legato a caratteristiche specifiche che, tuttavia, il nuovo articolo 2379 cod. civ. non contempla più, alimenta il dibattito. In particolare, la dottrina278 ha osservato che le delibere

nulle dovrebbero essere ab origine prive di effetti, eppure in virtù delle innovazioni, la delibera assembleare nulla – come una delibera annullabile – resta efficace. La parificazione tra le ipotesi di delibera nulla e annullabile sarebbe, allora, il frutto “della scarsa attendibilità che si tende a riconoscere alla qualifica di «nullità» che il nuovo art. 2379 c.c. continua ad assegnare, però nel mutato contesto determinato dalla riforma, alle deliberazioni ivi contemplate”279. E si aggiunge280

che ritenere la delibera nulla improduttiva di effetti fino al termine di tre anni concesso ai fini dell’impugnazione, decorso il quale non è più possibile far valere il vizio, non sembrerebbe conciliabile con il principio di stabilità che ispira la Riforma. Deve, tuttavia, precisarsi che non si tratta di una tesi pacifica.

Il legislatore avrebbe, forse, potuto superare gli inconvenienti, che l’utilizzo dello stesso termine genera in un contesto – quello dei deliberati assembleari – ben diverso dalla prospettiva contrattuale, evitando la tradizionale bipartizione civilistica dei vizi tra “annullabilità” e “nullità” – in linea, peraltro, con la delega ampia

276 Calice, 47. 277 In questo senso: Lener, 92-93 e, ugualmente, AA. VV. [2], 566; Schlesinger, 600 s.s. 278 Lener, 92-93 e AA. VV. [2], 566; Schlesinger, 602. 279 Schlesinger, 602. 280 Lener, 93 e AA. VV. [2], 566.

dell’articolo 4, comma 7, lett. b – e adottando il termine più generico di “invalidità”281.

2. Il principio di stabilità e l’invalidità delle delibere nella

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