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I meccanismi giuridici di “conservazione” In particolare: la disciplina dell’invalidità delle deliberazioni assemblear

Il principio di stabilità e l’invalidità dei deliberati.

2. Il principio di stabilità e l’invalidità delle delibere nella società per azioni.

2.3. I meccanismi giuridici di “conservazione” In particolare: la disciplina dell’invalidità delle deliberazioni assemblear

ai sensi dell’articolo 2379 ter cod. civ.

Il terzo gruppo di norme che dimostra il rafforzamento della stabilità e della conservazione delle delibere assembleari della società è quello che la dottrina 312 definisce dei meccanismi giuridici di

“conservazione” o di sanatoria.

310 Colombo, 944 s.s.; Strampelli, 2423. Contra: Genovese [3], 2423, nt. 3. 311 In questo senso: Colombo, 944.

Anche a questo proposito, s’impone una distinzione tra le norme che il legislatore della Riforma detta in tema di annullamento e in materia di nullità delle delibere. Nel primo ambito, può ricordarsi “il meccanismo conservativo per così dire tradizionale” 313 , cioè quello della

sostituzione della delibera annullabile con un’altra che sia stata presa in conformità della legge o dello statuto. Con ciò, il legislatore consente alla società di superare lo stato difettoso della delibera, accordando all’assemblea un potere d’intervento in merito. Tale sanatoria, peraltro, è il frutto dell’adattamento al contesto delle delibere invalide del principio di sanatoria già dettato per la società nulla all’articolo 2332, comma 5 cod. civ.

La disposizione dell’articolo 2377, comma 8 cod. civ. costituisce, dunque, l’ennesima conferma della maggior tutela che il legislatore attribuisce all’interesse della società e alla stabilità delle sue decisioni, rispetto a quello del soggetto che è legittimato ad agire per l’annullamento.

L’orientamento prevalente314, anteriore e successivo alla Riforma,

riconosce all’assemblea - nell’ambito del meccanismo di sanatoria mediante sostituzione - anche il potere di revocare la deliberazione, che non è contemplato da alcuna disposizione di legge, ma è desumibile dai principi generali in materia di autonomia degli enti collettivi.

Tra i meccanismi conservativi che operano con riguardo all’annullabilità possono, poi, ricordarsi le “precisazioni”315 del quinto

comma dell’articolo 2377 cod. civ. Si tratta, infatti, di un’elencazione di tre casi d’irregolarità dell’iter formativo della delibera in cui il legislatore vincola la pronuncia del giudice, giacché stabilisce che la decisione dell’assemblea non può essere annullata quando si verificano le condizioni indicate dalla disposizione. Così, la partecipazione all'assemblea di persone non legittimate non genera l’annullabilità, salvo che tale partecipazione sia stata decisiva ai fini

313 Pisani Massamormile, 60.

314 AA. VV. [2], 557; Campobasso, 349; Patriarca, 1080. 315 Pisani Massamormile, 61.

della regolare costituzione dell'assemblea. È una “prova di resistenza” che deve essere esperita sia riguardo al quorum costitutivo previsto dalla legge, sia guardando a quello – eventualmente più elevato – previsto dallo statuto, poiché è in questo senso che gioca il rinvio agli articoli 2368 e 2369 cod. civ. Ugualmente, la “prova di resistenza” fa sì che l’annullamento non possa seguire all'invalidità di singoli voti o al loro errato conteggio, a meno che il voto invalido o l'errore di conteggio siano stati determinanti ai fini del raggiungimento della maggioranza richiesta. Infine, se non impediscono l'accertamento del contenuto degli effetti e della validità della deliberazione, anche l'incompletezza o l'inesattezza del verbale non sono tali da determinare l’invalidità.

Ma si deve osservare che i meccanismi di “conservazione”, previsti a proposito dell’annullamento delle delibere dell’assemblea – quindi, la sanatoria mediante sostituzione e la tecnica delle “precisazioni” sopra descritte -, sono, oggi, applicabili anche al secondo ambito d’invalidità, quello diverso e più grave della nullità. Invero, alle disposizioni contenute nel settimo e nell’ottavo comma dell’articolo 2377 cod. civ. rinvia l’ultimo comma dell’articolo 2379 cod. civ., sia pure con l’ormai consueto limite della compatibilità; e l’articolo 2379, comma 3 cod. civ., precisando a quali condizioni la convocazione e il verbale non possono considerarsi mancanti, fa uso proprio di quella tecnica di precisazione che anima la disciplina dell’annullamento delle delibere. In materia di nullità deve richiamarsi anche l’articolo 2379 bis cod. civ., inserito ex novo con la Riforma del 2003 e rubricato “sanatoria della nullità”. Per la verità, la disposizione contempla due ipotesi tra loro eterogenee316 per struttura e per effetti. Quella del secondo

comma è una vera e propria sanatoria, giacché prevede che la pronuncia di nullità a fronte della mancanza del verbale possa essere sanata laddove il verbale sia redatto in un secondo momento, purché, però, ciò avvenga prima dell'assemblea successiva. La dottrina317

316 In questo senso: Pisani Massamormile, 61; Stagno D’Alcontres, 212; AA. VV.

[2], 572; La Sala [2], 1134.

osserva, peraltro, che una simile ipotesi deve essere letta, in primo luogo, in combinazione con l’articolo 2379, comma 3 cod. civ., ma poi anche alla luce delle tecniche di precisazione di cui all’articolo 2377, comma 5 cod. civ.

Il terzo comma del già richiamato articolo 2379 cod. civ. prevede, infatti, che il verbale non si consideri mancante – e, quindi, la pronuncia di nullità è esclusa – se contiene la data della deliberazione e il suo oggetto ed è sottoscritto dal presidente dell'assemblea, o dal presidente del consiglio d'amministrazione o del consiglio di sorveglianza e dal segretario, o dal notaio, perciò la mancanza del verbale contemplata dall’articolo 2379 bis comma 2 cod. civ. dovrebbe integrare un caso di verbale che sia privo di tali requisiti minimi o una mancanza materiale.

La mancanza del verbale può integrare, altresì, un’ipotesi di annullabilità se il verbale possiede gli elementi indefettibili di cui all’articolo 2379, comma 3 cod. civ., ma è, tuttavia, inesatto o incompleto. Ciò si desume a contrario dall’articolo 2377, comma 5 cod. civ., che esclude l’annullabilità della deliberazione se l’incompletezza o l’inesattezza del verbale non impediscono l’accertamento del contenuto, degli effetti e della validità della delibera medesima. Benché, quindi, il legislatore preveda la sanatoria mediante sostituzione per la deliberazione annullabile in ragione di una violazione delle norme sulla redazione del verbale, la dottrina318

ritiene che a una tale ipotesi debba potersi applicare anche la sanatoria dell’articolo 2379 bis, comma 2 cod. civ. Sembra, infatti, insensato ammettere la sanatoria della deliberazione annullabile per violazione delle norme sulla verbalizzazione solo ripetendo l’intero procedimento deliberativo e non accettare, invece, l’estensione a quest’ipotesi anche della sanatoria dell’articolo 2379 bis cod. civ.; tanto più che tale meccanismo si traduce in una “semplice «regolarizzazione» del verbale” 319 ed è consentito “per la più grave

318 AA. VV. [2], 574; La Sala [2], 1143. 319 AA. VV. [2], 574.

ipotesi di mancanza del verbale ovvero di ben più serie «omissioni» (art. 2379, co. 3)”320.

Il primo comma dell’articolo 2379 bis cod. civ. non contempla, al contrario, una vera e propria sanatoria del vizio, ma solo la preclusione individuale all’impugnazione della delibera invalida per mancata convocazione in capo a chi abbia dichiarato, anche successivamente, il proprio assenso allo svolgimento dell'assemblea. La dottrina321 ha, infatti, rilevato che l’assenso soggettivo non può

estinguere il vizio poiché non esclude che possa essere sollevato da altri e neppure è idoneo ad appianare la mancata convocazione quando provenga da tutti i legittimati a far valere la nullità, giacché comunque si mantiene la rilevabilità officiosa del vizio, ai sensi dell’articolo 2379, comma 2 cod. civ. Non manca, chi, però, – pur ammettendo che si tratta di “una tecnica più propriamente incidente sulla legittimazione attiva” 322 – considera la preclusione

all’impugnativa “ugualmente idonea, in definitiva, ad evitare la pronuncia giudiziale”323.

Viene, poi, in considerazione l’articolo 2379 ter cod. civ. a proposito dell’invalidità delle delibere di aumento e di riduzione reale del capitale o di emissione di obbligazioni. Si è già ricordato, infatti, come tale disposizione giochi in termini di rafforzamento della stabilità delle decisioni dell’assemblea presentando due regolamentazioni tra loro differenti a seconda che la società sia chiusa oppure sia aperta, quindi faccia ricorso al mercato del capitale di rischio. Per le prime, l’articolo 2379 ter, comma 1 cod. civ. prevede una riduzione dei termini concessi ai fini dell’impugnativa pari a centottanta giorni – in luogo dei normali tre anni, di cui all’articolo 2379 cod. civ. –, dalla data dell’avvenuta iscrizione della deliberazione nel registro delle imprese, o, nelle ipotesi di mancata convocazione, di novanta giorni dall’approvazione del bilancio dell’esercizio nel corso del quale la deliberazione sia stata anche parzialmente eseguita. Si tratta di un

320 AA. VV. [2], 574.

321 AA. VV. [2], 572; La Sala [2], 1134. 322 Pisani Massamormile, 61.

contenimento del termine entro cui l’azione può essere promossa, per questa ragione la dottrina preferisce definire un simile meccanismo come una “sanatoria «impropria»”324. Per le seconde, invece, si può

parlare di “sanatoria «propria»”325, giacché la soluzione è ancora più

drastica: il legislatore stabilisce che la pronuncia d’invalidità della deliberazione di aumento del capitale è preclusa dopo che sia stata iscritta nel registro delle imprese l'attestazione che l'aumento è stato, anche parzialmente, eseguito ai sensi dell’articolo 2444 cod. civ. e l’invalidità della deliberazione di riduzione del capitale o della deliberazione di emissione delle obbligazioni non può essere pronunciata dopo che la deliberazione sia stata anche parzialmente eseguita.

La disciplina del secondo comma è, dunque, assai tranchant poiché non incide solo sul termine per impugnare e sulla portata retroattiva o meno di un’eventuale caducazione della delibera, ma esclude in radice la possibilità di caducarla. Perciò, la regola dell’articolo 2379 ter, comma 2 cod. civ. va oltre il primo comma e introduce un regime ancor più restrittivo. Invero, in primo luogo, il termine concesso ai soci e ai terzi per l’impugnativa è ancora più ridotto, giacché è condizionato al tempo che gli amministratori impiegano per dare esecuzione alla delibera, nelle ipotesi di riduzione del capitale o di emissione delle obbligazioni, e al tempo che intercorre tra la sottoscrizione dell’aumento e l’iscrizione nel registro della relativa annotazione, nelle ipotesi – appunto - di aumento del capitale; adempimenti che, nelle società aperte, sono di regola celeri326. La

dottrina327 ritiene, poi, che - stando alla lettera del secondo comma –

sembrerebbe che il meccanismo della “sanatoria propria” possa ricomprendere tanto i vizi di nullità che quelli di annullabilità, diversamente dal primo comma che, invece, sembra escludere l’applicabilità del meccanismo conservativo “improprio” anche

324 Beltrami [3], 697. 325 Beltrami [3], 697.

326 In questo senso: Beltrami [3], 706. 327 Beltrami [3], 706.

all’annullabilità. Tuttavia, altrettanto autorevole dottrina328 si esprime

in senso contrario e ritiene che i vizi di annullabilità restino soggetti alla disciplina dell’articolo 2377 cod. civ. e a questi non si estenda il secondo comma dell’articolo 2379 ter cod. civ.

Ma soprattutto il secondo comma della disposizione in commento non incide tanto sui termini per promuovere l’impugnativa, poiché – in modo più drastico - ne esclude la proponibilità stessa, rendendo l’invalidazione o inammissibile, se è proposta dopo che le deliberazioni siano state eseguite, o improcedibile, se gli amministratori danno esecuzione alla decisione dell’assemblea nelle more del giudizio; il che è probabile se l’impugnante non ha avuto cura di chiedere la sospensione cautelare o, benché richiesta, il giudice non l’abbia disposta329.

Una simile soluzione, quindi un analogo meccanismo di sanatoria o di “conservazione” della delibera, è, peraltro, dettata a proposito dell’invalidità delle delibere di approvazione del bilancio. Si è già ricordato, infatti, che l’articolo 2434 bis, comma 1 cod. civ. – in linea di continuità con l’articolo 2379 ter, comma 2 cod. civ. – dispone che le azioni di cui agli articoli 2377 e 2379 cod. civ. non possono essere proposte nei confronti delle deliberazioni di approvazione del bilancio dopo che è avvenuta l'approvazione del bilancio dell'esercizio successivo. Anche questa disposizione gioca, quindi, in termini di rafforzamento della stabilità e della conservazione delle delibere, precludendone in assoluto l’impugnativa.

D’altra parte, la tecnica di escludere in radice la possibilità di impugnare una delibera viziata non è una novità dell’articolo 2379 ter, comma 2 cod. civ., quindi dell’ambito dell’invalidità delle delibere assembleari, e dell’articolo 2434 bis, comma 1 cod. civ., giacché a questa, a partire dal 1991, si rifà la disciplina dell’invalidità delle operazioni di fusione e di scissione, poi estesa – benché non con assoluta coincidenza – alle trasformazioni invalide nel 2003. Già per le operazioni straordinarie, il legislatore aveva, quindi, previsto

328 AA. VV. [2], 576, nt. 3.

l’assoluta preclusione della possibilità d’invalidare l’atto una volta iscritto nel registro delle imprese, residuando ai legittimati la sola tutela obbligatoria o risarcitoria, con una previsione, peraltro, analoga a quella dell’articolo 2379 ter cod. civ. comma ultimo.

Come spiegare una così drastica soluzione anche a proposito delle delibere assembleari invalide di aumento, di riduzione reale del capitale e di emissione delle obbligazioni? Ebbene, è necessario guardare alla spiccata natura organizzativa di simili decisioni. Analogamente alle operazioni di fusione, di scissione e di trasformazione, infatti, anche tali delibere sono destinate a incidere sul capitale sociale o sulla struttura finanziaria della società e ne determinano alterazioni che rendono impossibile rispristinare lo status quo ante senza generare gravissime conseguenze sul piano organizzativo. Ciò tanto più quando le società siano aperte, cioè facciano ricorso al mercato del capitale di rischio: invero, se non operasse l’esclusione della caducabilità delle delibere, la società – anche dopo molto tempo dall’esecuzione delle delibere medesime – si vedrebbe costretta a intervenire riportando in vita la precedente situazione, con effetti dirompenti sulla stabilità delle attività che ha attuato in esecuzione delle delibere, mettendo a repentaglio il successo delle operazioni correlate e con effetti devastanti sullo stesso funzionamento del mercato.

Alla base dell’articolo 2379 ter, comma 2 cod. civ. vi sono, dunque, le stesse ragioni che animano le preclusioni alla tutela reale degli articoli 2504 quater, 2506 ter comma 5, 2500 bis cod. civ. e – prima ancora – l’articolo 2332 cod. civ., quindi vi è l’intento di stabilizzare e conservare la società e i suoi atti societari, in virtù di un’oltremodo difficoltosa e costosa reversibilità dell’attività realizzata.

Ciò appare chiaro anche alla giurisprudenza recente. In particolare, il Tribunale di Milano, in occasione della sentenza 5 marzo 2009, n. 3014330 - con riguardo alla fusione tra due società – ha, infatti,

330 Trib. Milano, 5 marzo 2009, n. 3014, in www.iusexplorer.it. Nel caso di

specie si discute dell’opposizione dell’attore, in qualità di creditore, ai sensi dell’articolo 2503 cod. civ., alla fusione del suo debitore (Teorema Tour-s.p.a.)

precisato che “da un lato, invero, l'articolo 2504 quater cod. civ. espressamente prevede che, una volta eseguite le iscrizioni dell'atto di fusione, l'invalidità del medesimo non possa più essere pronunziata e la tutela «reale», in cui tale pronunzia si sostanzierebbe, viene sostituita dalla tutela «obbligatoria» del previsto risarcimento del danno; dall'altro, poi, la ratio di una siffatta disposizione, chiaramente, si rapporta alla necessità di tutela del pubblico affidamento (connesso all'intervenuta pubblicazione dell'atto) ed a quello che può, ormai, considerarsi come un principio generale del vigente Ordinamento societario, cioè quello della «irregredibilità degli effetti organizzativi prodotti», di cui si riscontrano puntuali applicazioni, oltre che nella citata norma, anche negli artt. 2332, 2500 bis e 2379 ter cod. civ.”. In conclusione è, allora, possibile notare come a proposito dei meccanismi “conservativi” o di sanatoria esista una “progressione logica”331. In effetti, prima, con la tecnica “delle «precisazioni» la legge

chiarisce quando una determinata causa di invalidità, astrattamente prevista, non sussiste, vincolando il giudice a pronunciare in conformità; poi riconosce che la causa di invalidità, astrattamente prevista, è anche in concreto ricorrente, ma sana il vizio in presenza di alcuni eventi successivi; infine riconosce che la causa di invalidità c’è, non la sana, ma ugualmente vieta al giudice di dichiararla”332.

2.4. Il tentativo di eliminare la categoria giurisprudenziale

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