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2.5 Del significato

2.5.2 Analisi di De anima III.3-8: il significato

Diversi studiosi – tra i quali Walter Belardi (1975)165, David Charles (2000), Deborah Modrak (2001)

e, più recentemente, Simón Noriega-Olmons (2013) – hanno valorizzato molto quella che si potrebbe chiamare, in accordo con quest’ultimo, la psicologia della significazione di Aristotele, riconoscendo l’importanza del De anima come fonte per la ricostruzione della semantica aristotelica. A partire dalle loro ricerche, si tratta ora di trarre le conseguenze dalle considerazioni svolte in § 2.5.1. L’analisi che seguirà non pretenderà, quindi, di essere un commento; tuttavia, non darà luogo a una interpretazione totalmente discosta dalle ragioni interne del testo. La sezione è semplicemente ricollocata nell’alveo a cui appartiene (quello del corpus aristotelicum) e la lettura è di chi, rinviato a essa da De int. 1, si pone il problema di capire quali affezioni dell’anima vengano significate dai symbola linguistici. Guardiamo, dunque, la trattazione aristotelica dell’anima da una prospettiva linguistica giustificata dal corpus così come ci è giunto e così come è solitamente edito e tradotto. Abbiamo, infatti, sostenuto che l’ordine aristotelico dei fenomeni linguistici si inserisce in una linea di rapporti – la nostra linea

aristotelica – che vanno da categorie eminentemente linguistiche come nome, verbo ed enunciato al

cosmo passando per la dimensione sociale e biologica del significato e della significazione (cf. § 2.3). In tale chiave interpretativa, abbiamo detto che Aristotele anticipa l’idea linguistica di stratificazione, ossia che si debba procedere per livelli nell’analisi della manifestazione concreta del fenomeno linguistico e che la linguistica si trova a collaborare con le altre scienze per esaurire tale analisi. Conseguentemente, ci rivolgiamo ora al livello biologico del significato in Aristotele. D’altra parte,

165 Il rinvio di De int. 1 è “esatto, in quanto Aristotele intende rimandare il lettore al De anima che tratta (non dei simboli o segni del linguaggio ma) dei pathemata o pathe, e non solo di questi ma anche delle altre facoltà dell’anima. Infatti, soltanto da un quadro completo dell’attività psichica, qual è quello che si trova nel De anima […], il lettore del De interpretatione potrà essere informato intorno a quelle cose (fatti e atti psichici) delle quali le espressioni linguistiche sono simboli” (Belardi 1975: 105).

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la considerazione del cosmo sarà presente tanto in questa sede quanto nell’approfondimento della dimensione sociale del significato in § 2.6, oltre che nella discussione critica dell’isomorfismo in § 2.5.3.

Per comodità del lettore ciascun testo sarà contrassegnato da un numero arabo seguito dalla traduzione di Zanatta, salvo diversa indicazione.

T1 si definisce l’anima con due differenze: <a> il movimento secondo luogo e <b> il pensare noeticamente, il raziocinare e il sentire (δύο διαφοραῖς ὁρίζονται μάλιστα τὴν ψυχήν, κινήσει τε τῇ κατὰ τόπον καὶ τῷ νοεῖν καὶ φρονεῖν καὶ αἰσθάνεσθαι, III.3, 427a 17-19).

T2 gli antichi sostengono che il raziocinare e il sentire sono identici (οἵ γε ἀρχαῖοι τὸ φρονεῖν καὶ τὸ αἰσθάνεσθαι ταὐτὸν εἶναί φασιν, III.3, 427a 21-22).

Giancarlo Movia (1991: 362) commenta così il testo 1: “Aristotele comincia col riprendere la distinzione tra la facoltà cinetica e quella conoscitiva dell’anima degli ζῷα, distinzione che egli aveva riconosciuto nei suoi predecessori già in De an. A 2, 403 b 25-7”. Insomma, il confronto con i predecessori è tutt’altro che relegato al primo libro e qui si tratta di ritagliare lo spazio per la trattazione della cognizione (III.3-8) e della locomozione (argomento a cui si ritorna in III.9). Per capire la portata del testo 2 bisogna inquadrare la sua genuina endossalità (cf. ibid. e Barnouw 2002: 52): “genuine ένδοξα, if false, exhibit a deep-seated appearance of truth, whereas merely apparent ένδοξα show a superficial appearance of truth” (Reinhardt 2015: 241). Per Aristotele si dà identità per analogia (cf. Metaph. V.6, 1016b 34-35 e V.9, 1018a 12-13) e, quindi, per passare dall’endoxon falso ma non apparente degli antichi al principio architettonico dell’intera sezione qui in analisi basta cambiare il senso in cui si dicono identici il pensare e il sentire. Nel passare ai testi successivi si avrà un’idea del percorso seguito da Aristotele per giungere a tale riformulazione della concezione degli

antichi. Infatti, nel testo 1 nous e phronein vengono distinti e tali termini sono ripresi dal lessico degli

antichi. Phronein sarà sostituito da dianoia in quanto segue e nous riceverà un significato scientifico solo strada facendo (cf. Movia 1991: 362, che sostiene la sinonimia in questo passo tra phronein e

noein).

T3 Che dunque il sentire e il raziocinare non siano la stessa cosa, è chiaro. Infatti, del primo hanno parte tutti gli animali, invece del secondo pochi. Ma non lo è pure il pensare […]: neppure questo è identico al sentire, giacché la sensazione degli oggetti propri è sempre vera, e appartiene a tutti gli animali, mentre è possibile pensare anche in modo falso, ed esso non appartiene a nessun <animale> che non possieda il logos. L’immaginazione è poi una cosa diversa sia dalla sensazione che dal pensiero dianoetico, ed essa non si produce senza sensazione, e senza di essa non si dà intendimento (ὅτι μὲν οὖν οὐ ταὐτόν ἐστι τὸ αἰσθάνεσθαι καὶ τὸ φρονεῖν, φανερόν· τοῦ μὲν γὰρ

102 πᾶσι μέτεστι, τοῦ δὲ ὀλίγοις τῶν ζῴων. ἀλλ’ οὐδὲ τὸ νοεῖν… — οὐδὲ τοῦτό ἐστι ταὐτὸ τῷ αἰσθάνεσθαι· ἡ μὲν γὰρ αἴσθησις τῶν ἰδίων ἀεὶ ἀληθής, καὶ πᾶσιν ὑπάρχει τοῖς ζῴοις, διανοεῖσθαι δ’ ἐνδέχεται καὶ ψευδῶς, καὶ οὐδενὶ ὑπάρχει ᾧ μὴ καὶ λόγος· φαντασία γὰρ ἕτερον καὶ αἰσθήσεως καὶ διανοίας, αὕτη τε οὐ γίγνεται ἄνευ αἰσθήσεως, καὶ ἄνευ ταύτης οὐκ ἔστιν ὑπόληψις, III.3, 427b 6-16).

Con queste parole viene in chiaro che la trattazione della cognizione non si può considerare conclusa con la trattazione della sensazione già svolta: il pensiero non è una mera appendice a tale trattazione. Se per i predecessori oggetto della psicologia era l’anima umana, che data la metempsicosi poteva spiegare anche la vita dei viventi non umani, per Aristotele si tratta di distinguere almeno tre domini: piante, animali e animali raziocinanti. Se pensare e raziocinare fossero la stessa cosa, allora tutti gli animali potrebbero ragionare, ma ragionare significa potersi sbagliare e pensare in modo falso. Ecco che compare il logos, prerogativa dell’essere umano. Eppure, non si tratta di un’entrata trionfale: ciò

che distingue i processi cognitivi umani da quelli animali è la falsità. Inoltre, viene introdotta la

distinzione dell’immaginazione tanto dal senso quanto dal pensiero stabilendo anche una gerarchia di presupposizioni su cui è bene soffermarsi prima di osservare l’importanza e il ruolo dell’immaginazione nei prossimi testi. La dipendenza dell’immaginazione dalla percezione emergerà chiaramente nel testo 6, mentre giova alla comprensione anticipare qualcosa sulla dipendenza della

ypolepsis dall’immaginazione per capire che tale gerarchia di dipendenze è alla base di tutto quello

che seguirà166. Mingucci (2015: 203-204) nota, tenendo conto di De an. I. 4 e De part. an. IV.10, che

“anche il διανοεῖσθαι è «un certo movimento» (κίνησίς τις) che coinvolge essenzialmente una materia informata o animata (il corpo) e una forma materiata o incorporata (l’anima), e in quanto tale […] è un’affezione […] del composto psicofisico «uomo» in quanto dotato della facoltà di pensare”167. Va,

infatti, riconosciuto che nel testo 3 è introdotta l’attività discorsiva della dianoia168, quella che appunto

può essere falsa – a differenza del nous che è infallibile come l’aisthesis.

166 È d’immediata pertinenza per la dianoia e per la distinzione del nous dalla aisthesis, indirettamente (ossia mediante l’analogia tra nous e aisthesis che aiuta a fondare) pertiene alla trattazione del nous in quanto tale.

167 Il testo 6 dirà proprio che l’immaginazione è un movimento che dipende dalla sensazione, il testo della Mignucci spiega che anche la dianoia lo è: si tratta di un concatenamento di movimenti.

168 È interessante, tuttavia, notare che nella sezione del De anima qui in analisi il testo 3 è l’unico contesto in cui compare il termine dianoia. Tale termine ricorre molto di più nel seguito (III.9-10), dove si apprende che τὸ ὀρεκτὸν γὰρ κινεῖ, καὶ διὰ τοῦτο ἡ διάνοια κινεῖ, ὅτι ἀρχὴ αὐτῆς ἐστι τὸ ὀρεκτόν (10. 433a 18-20) e che πρακτὸν δ’ ἐστὶ τὸ ἐνδεχόμενον καὶ ἄλλως ἔχειν (10. 433a 18-20). Ciò, se letto alla luce delle considerazioni già svolte tenendo conto di Poetica e Retorica su dianoia e doxa in § 2.3, porta a pensare a una maggiore specializzazione del termine in senso pratico-deliberativo o quantomeno cinetico. In III.11 trova posto la trattazione della doxa ed essa viene trattata in termini pratico-cinetici, aspetto già presente nel testo 4 per l’aspetto emotivo e nella caratterizzazione della dianoetike psyche in contrasto col dire e pensare intellettivamente nei testi 14 e 15. La dianoia sembrerebbe avere un rapporto privilegiato con l’azione e la doxa, mentre il nous con la cognizione e l’episteme: esse sembrano spartirsi la dimensione dell’ypolambanein. Tutto questo porta a concordare con Sandonato (2016/2017: 140) sul fatto che la dianoia “non sia la semplice disposizione al ragionamento sillogistico, che tale definizione costituisca una svalutazione del concetto”. La

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Barnouw (2002: 55) osserva che: “Belief (doxa) is said to be a subclass of hupolēpsis [= ypolepsis], along with knowledge (epistēmē) and understanding (phronēsis) ‘and their opposites’ (427b24-26), that is, unsuccessful attempts or erroneous claims to know and understand”. Queste sarebbero le opere (erga) della dianoia e gli oggetti a questa relativi i pragmata (fatti, eventi o stati di cose169). In questo

stadio dell’argomentazione aristotelica, una trattazione del nous sarebbe stata prematura e controproducente: Aristotele non ha ancora introdotto l’analogia tra senso e intelletto. D’altra parte, solleverebbe grossi dubbi introdurre una facoltà infallibile del pensare (l’intelletto, appunto) insieme alla sensazione, la cui veridicità viene chiamata in causa per far vedere che pensiero e senso non sono

la stessa cosa. Quello che qui Aristotele ottiene è, comunque, già molto: si passa dall’uso non tecnico

di phronesis del testo 2 al termine tecnico dianoia. In realtà, qualcosa di infallibile lo si è introdotto implicitamente: la scienza, mediante il termine generico ypolepsis, conceiving (così traduce Shields).

Doxa e episteme sono, tuttavia, impossibili senza materiale percettivo.

T4 Inoltre, ogni qualvolta opiniamo che qualcosa sia terribile o pauroso, immediatamente proviamo assieme un’affezione, e parimenti anche quando <opiniamo> che sia rincuorante; invece, secondo l’immaginazione ci troviamo nello stesso stato in cui saremmo se vedessimo cose terribili o rincuoranti in un dipinto (ἔτι δὲ ὅταν μὲν δοξάσωμεν δεινόν τι ἢ φοβερόν, εὐθὺς συμπάσχομεν, ὁμοίως δὲ κἂν θαρραλέον· κατὰ δὲ τὴν φαντασίαν ὡσαύτως ἔχομεν ὥσπερ ἂν εἰ θεώμενοι ἐν γραφῇ τὰ δεινὰ ἢ θαρραλέα, III.3, 427b 21-24).

Il logos in quanto espressione dell’opinione è, per riprende il lessico di De int. 1-4, segno della cosa e l’opinione può essere vera o falsa (a differenza della scienza e dell’intelletto), visto che ci impegna a reagire al mondo in un modo o nell’altro. L’immaginazione, invece, si configura come qualcosa di affine all’esperienza estetica, in cui il giudizio sul mondo è sospeso: “la phantasia […] ha una funzione conoscitiva e concorre alla produzione di significati” (Travaglini 2009: 164). Come già osservato nella sottosezione precedente, l’immaginazione è condizione della semanticità delle voci.

studiosa riassume così i propri sforzi interpretativi: “Dopo avere visto il ruolo giocato dalla dianoia in ambito conoscitivo, attraverso riferimenti testuali, e dopo averla identificata e come funzione operatrice nei processi di articolazione linguistica e come contenuto stesso del logos, in ambito pratico, l’abbiamo avvicinata a quello che potrebbe essere uno dei suoi significati originari, riscontrato ad esempio nella prospettiva tucididea: pensiero contenuto nel logos, orientato all’azione, in ultima analisi, pensiero intenzionale” (Ead.: 163). È notevole che ella riconosca che nella “Poetica, sorprendentemente, troviamo forse la più sistematica trattazione della dianoia” (Ead.: 165). Questa non può che essere una conferma di quanto detto finora: nella tragedia i personaggi agiscono ed esprimono le proprie opinioni (cf. Ead.: 164- 166). È difficile concludere diversamente da come conclude Sandonato: “La dianoia riguarda la nostra capacità linguistica e, al contempo, la nostra capacità di agire conformemente ad uno scopo, fungendo così da ponte tra azione e linguaggio, aspetti, nella specie umana, inscindibili” (Ead.: 167-168). Ulteriori elementi si possono rintracciare in McCready-Flora 2014, che discute doxa, razionalità e azione a partire da De an. III.3.

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Non c’è, in Aristotele, conoscenza senza dimensione semantica. In tale dimensione, profondamente

affine a quella dell’esperienza artistica170, si pongono anche le condizioni dell’“errore”171:

L’emergere dell’errore [la colpa tragica] come momento fondante della verità della tragedia, con le sue valenze ontologiche ed etiche, trova il suo corrispettivo epistemologico nella dottrina della

phantasia, che viene introdotta da Aristotele proprio problematizzando la presenza ineludibile

dell’errore nella conoscenza umana (Ead.: 168).

Su questo aspetto estetico si ritornerà più avanti commentando il testo 6, per il momento ci soffermiamo sulla funzione cognitiva dell’immaginazione in quella che è la versione aristotelica ante

litteram di una scienza cognitiva172. In questa chiave, riemerge il confronto con gli animali; infatti,

solo gli esseri umani hanno opinione (cf. III.3, 428a 18 ss.). Nell’ampia analisi che Ian McCready- Flora (2014) svolge del testo 4, due aspetti vengono fatti emergere come fondamentali: l’immediatezza della reazione affettiva all’opinione e il fatto che si tratti di una generalizzazione

ceteris paribus. “Aristotle needs such a ceteris paribus generalization to accommodate his considered

views on virtue: the brave man is fearless even while believing that things are scary. […] A contrary generalization holds for imagining. When we imagine something scary, we do not, ceteris paribus, feel fear” (Id.: 25)173. Questo rimanda al fatto che l’immaginazione può essere controllata dall’uomo

e non dall’animale: “Humans, like other animals, receive a stream of perceptual and imaginative reperesentation. Unlike other animals, however, they also have a capacity to override that stream. By ‘override’ in this context, I mean that something cancels whatever efficacy the representation would otherwise have in the agent’s cognition. Call this capacity RESTRAINT” (Id.: 26). In un certo senso,

170 Si pensi all’anima come libro illustrato del Filebo (cf. Rotondaro 1999: 76-84).

171 Immaginandomi un ircocervo non mi pongo in uno stato erroneo, ma semplicemente semantico-cognitivo: metto a fuoco un contenuto. Tuttavia, tale contenuto può portarmi all’errore di credere (formandomi un’opinione falsa e non un’immagine) di aver visto un ircocervo e non un semplice stambecco attraversarmi la strada mentre torno a casa alticcio. 172 Nel fare ciò si prendono le mosse da McCready-Flora 2014 non tanto per vedere in Aristotele un antesignano, bensì una variante all’interno di una prospettiva più generale che include in sé la scienza cognitiva contemporanea e quella aristotelica. Si noti il taglio che Noriega-Olmos (2013: 2) dà al proprio studio sulla psicologia aristotelica della significazione: “In this work I intend to provide a revaluation of the first chapter of De int. aimed not only at a reconstruction of its implicit theory of signification but also at a reconstruction of the psychological foundations of that theory that are found – as I will show – in De an.”. Entrambi gli studi restituiscono un’immagine di Aristotele intento a indagare i presupposti cognitivi del linguaggio e delle arti, operazione condivisa oggi dalle scienze e dalla linguistica cognitive. Infine, Raspa (2016: 182-183) insiste sull’origine aristotelica di alcune tesi centrali della filosofia delle emozioni contemporanea e della psicologia cognitiva delle emozioni; in particolare, Aristotele ha già ben presente “la capacità delle emozioni di condizionare i giudizi degli uomini” (Raspa 2016: 180).

173 Se la tragedia attica mira alla catarsi delle passioni (ossia a un loro uso cognitivo), i film horror hanno l’intento opposto: far sì che si susciti la paura in presenza della sola rappresentazione e senza opinione/convinzione. Ma in un certo senso questa è una condizione speculare a quella del coraggioso, che ha la convinzione del pericolo ma non l’affezione della paura (chi non ha né tale convinzione né tale affezione è temerario). Inoltre, si può avere l’abitudine (un habitus estetico, come il coraggio è un habitus etico) di andare a vedere film horror proprio perché si vuole avere un’esperienza estetica della paura: aver paura dell’essere inseguiti da un maniaco omicida armato di motosega senza credere che questi si aggiri davvero nella stanza o, meglio, senza che questo si aggiri veramente nella stanza e che si sia consapevoli di tale pericolo mortale.

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questo spiega a livello di processi cognitivi perché l’essere umano parli, ossia agisca moralmente e artisticamente174: possiamo irreggimentare, sebbene non in maniera totale, la nostra

immaginazione175. Il passo, insomma, distingue l’opinione dall’immaginazione sullo sfondo della

distinzione animale/umano; tale operazione, come si vedrà, è funzionale all’inclusione dell’immaginazione nel pensiero. Quale immaginazione e quale pensiero?

T5 Riguardo al pensiero, poiché è diverso dalla sensazione e sembra includere da un lato l’immaginazione e dall’altro l’apprensione intellettiva, dopo aver trattato dell’immaginazione, si dovrà parlare anche dell’apprensione. […] allora l’immaginazione è ciò mediante cui diciamo che si produce in noi un’“apparenza” (περὶ δὲ τοῦ νοεῖν, ἐπεὶ ἕτερον τοῦ αἰσθάνεσθαι, τούτου δὲ τὸ μὲν φαντασία δοκεῖ εἶναι τὸ δὲ ὑπόληψις, περὶ φαντασίας διορίσαντας οὕτω περὶ θατέρου λεκτέον. … δή ἐστιν ἡ φαντασία καθ’ ἣν λέγομεν φάντασμά τι ἡμῖν γίγνεσθαι, III.3, 427b 27- 428a 2, trad. Movia).

Il pensiero è diviso in immaginazione linguistica176 e in un’attività enunciativa chiamata ypolepsis

(più esattamente il suo contenuto psichico) che accomuna doxa, episteme e, si vedrà, nous. La doxa verrà approfondita in III.11, fuori dalla sezione qui in analisi, mentre episteme e nous saranno ben presenti in quanto segue. Che la conoscenza sia predicativa in Aristotele non serve argomentarlo, ma che il nous possa entrare nell’ypolepsis avrà bisogno di chiarificazione. Tuttavia, leggere il passo in questo modo farà corrispondere quanto anticipato in questo testo con quello che seguirà. Ora, va notato che è qui che inizia una trattazione in positivo dell’immaginazione: essa sarà caratterizzata come la produzione di un movimento derivante dalla sensazione e a essa simile, l’immagine. Su tale facoltà e sulla sua doppia articolazione nell’umano, sensibile e linguistica, è bene tenere presente Busche (2001: 60): “Sie alle sind Stufen der reproduktiven Einbildungskraft, über deren steigende Komplexität sich dem Lebewesen erst nach und nach eine ›innere Welt‹ aufbaut”. La presenza del sistema del pensiero nell’anima intellettiva retroagisce sul sistema della sensibilità determinandone una stratificazione ulteriore a livello del sensorio comune (cf. Id.: 61)177. Più esattamente, essendo

174 Mignucci 2015 e Travaglini 2009, se letti in combinazione, forniscono un quadro generale di tutto ciò. Il punto nodale è però colto con chiarezza da McCready-Flora 2014.

175Cf. τοῦτο μὲν γὰρ τὸ πάθος [l’immaginazione] ἐφ’ ἡμῖν ἐστιν, ὅταν βουλώμεθα (πρὸ ὀμμάτων γὰρ ἔστι τι ποιήσασθαι, ὥσπερ οἱ ἐν τοῖς μνημονικοῖς τιθέμενοι καὶ εἰδωλοποιοῦντες) (III.3, 427b 17-20).Alla dianoia sembrerebbe attribuito il controllo e l’elaborazione dell’immaginazione linguistica nel testo 15, inoltre ricordare è una sorta di ragionamento strettamente legato all’immaginazione che coinvolge la dianoia (cf. De mem. 2, 453a 4-19 e Lo Piparo 2003: 19-28, ulteriormente sviluppato in Lo Piparo 2015). Da tenere presente in merito sono il concatenamento di movimenti che va dalla percezione alla dianoia e la possibilità che ha questa di retroagire su di esso proprio in quanto caratterizzata cineticamente.

176 Cf. φαντασία δὲ πᾶσα ἢ λογιστικὴ ἢ αἰσθητική (De an. III.10, 433b 29).

177 Cf. Mingucci 2015: 133-144, per una ricostruzione più articolata ma analoga del rapporto tra immaginazione e sensorio comune (il cuore come organo centrale della sensazione e della locomozione, brutalizzando si può dire che in Aristotele il cuore svolge un ruolo analogo a quello svolto dal cervello secondo la scienza contemporanea).

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l’anima umana dotata di un sistema di pensiero (l’ypolepsis, il contenuto psichico del linguaggio) ed essendo che l’anima di tipo superiore include i sistemi di quelle di tipo inferiore, si rende necessario un sistema sensitivo articolato nei due sottosistemi immaginativo-sensitivo e immaginativo- linguistico178. Insomma, il sistema ipolettico presuppone un sistema sensoriale doppiamente articolato

rispetto a quello animale: il sistema sensoriale umano, infatti, presenta quel sottosistema chiamato immaginazione linguistica, che si accompagna sempre con le attività del sistema superiore, affinché il pensare (noein) possa ben includere il pensiero (ypolepsis) in senso stretto e ciò che a esso corrisponde nel sistema inferiore, ossia l’immaginazione linguistica nel sistema sensoriale. La costituzione di quella che Busche chiama innere Welt spiega come l’immaginazione contribuisca alla

produzione dei significati (cf. Travaglini 2009: 164, già citato, e Astolfi 2006: 118), tanto per la

comunicazione umana quanto per quella animale179.

T6 Ma poiché è possibile che, se una data cosa vien mossa, un’altra venga mossa da questa, e si è d’accordo che l’immaginazione è una specie di movimento e che non si produce senza sensazione, ma se si hanno sensazioni e che riguarda le cose di cui vi è sensazione, e poiché dall’attività della sensazione può prodursi un movimento ed esso è necessariamente simile alla sensazione, questo movimento né sarà in grado di sussistere senza sensazione, né in soggetti che non abbiano sensazioni; ancora, ciò che lo possiede potrà sia compiere che subire molte cose conformi a esso, ed <esso> potrà essere tanto vero quanto falso (ἀλλ’ ἐπειδὴ ἔστι κινηθέντος τουδὶ κινεῖσθαι ἕτερον ὑπὸ τούτου, ἡ δὲ φαντασία κίνησίς τις δοκεῖ εἶναι καὶ οὐκ ἄνευ αἰσθήσεως γίνεσθαι ἀλλ’ αἰσθανομένοις καὶ ὧν αἴσθησις ἔστιν, ἔστι δὲ γίνεσθαι κίνησιν ὑπὸ τῆς ἐνεργείας τῆς αἰσθήσεως, καὶ ταύτην ὁμοίαν ἀνάγκη εἶναι τῇ αἰσθήσει, εἴη ἂν αὕτη ἡ κίνησις οὔτε ἄνευ αἰσθήσεως ἐνδεχομένη οὔτε μὴ αἰσθανομένοις ὑπάρχειν, καὶ πολλὰ κατ’ αὐτὴν καὶ ποιεῖν καὶ πάσχειν τὸ ἔχον, καὶ εἶναι καὶ ἀληθῆ καὶ ψευδῆ, III.3, 428b 10-17).

Il meccanismo fisiologico sotteso al seguente passo è stato così ricostruito da Mingucci (2015: 140- 142), basandosi sul De partibus animalium e sul De insomnis e insistendo sul ruolo del cuore come sensorio comune:

Dal momento che il cuore è connesso agli organi di senso mediante i vasi sanguigni, potrebbe essere il sangue il fluido corporeo responsabile della trasmissione dei movimenti percettivi, anche se esso non è di per sé capace di percezione: il sangue infatti è il supporto materiale del calore connaturato mediante cui si esercitano tutte le attività psicofisiche del vivente, inclusa l’attività percettiva. […] mi pare […] plausibile sostenere che il veicolo dei movimenti percettivi residuali

178 Cf. Movia 1991: 366, per una lettura coerente con quella qui avanzata sulla base di Busche – tale lettura è ribadita in Movia 2001: 281 n. 65.

179 In Metaph. I.1 forme elementari di esperienza (empeiria) vengono riconosciute anche agli animali e, come noto, in An. post. II.19 si trovano considerazioni per certi versi parallele.

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da cui si formano le immagini sia di fatto il sangue, ma in determinate condizioni fisiologiche, ossia, appunto, quando si trova ad essere «calmo» e «depurato». […] Interessando il cuore, i movimenti immaginativi hanno importanti conseguenze anche sulle restanti parti del corpo, che dal cuore in quanto principio dipendono.

Partendo dal richiamo a questa caratterizzazione fisiologica dell’immaginazione, il testo 6 sembra concludersi con l’inclusione di un aspetto logico mediante il riferimento a vero e falso (πολλὰ κατ’ αὐτὴν καὶ ποιεῖν καὶ πάσχειν τὸ ἔχον, καὶ εἶναι καὶ ἀληθῆ καὶ ψευδῆ). Tanto l’immaginazione quanto la predicazione operano – a livelli diversi, ma analoghi – sintesi che possono corrispondere o meno a ciò che nella realtà costituisce un’unità, cosicché emerge il ruolo mediatore dell’immaginazione tra la percezione priva di sintesi da cui deriva e il pensiero operante la sintesi predicativa180. Ora, in