• Non ci sono risultati.

2.1 Perché Aristotele?

2.1.2 Di quale Aristotele si parla e come se ne parla

Dal punto di vista metodologico, i capitoli su Peirce e Hjelmslev, anziché vertere sugli influssi di Aristotele sugli altri due, puntano alla ricostruzione delle singole teorie su base testuale e a preparare i confronti teorici del cap. 5. Proprio perché si tratta di tre classici, l’influenza come fatto storico più o meno accertabile interessa fino a un certo punto, se è vero che i veri classici non sono quelli giunti sino a noi, bensì quelli che ci attendono nel futuro. Non si ritorna a un classico, si tenta di raggiungerlo e superarlo. Inoltre, adottiamo per Aristotele un ulteriore metodo rispetto a quello che regge l’intera ricerca: il metodo dialogico per come lo intendiamo prevede che, prima della fase del confronto critico, il pensiero degli autori vada ricostruito in modo da entrare, una volta nella fase del confronto (limitata e corrispondente al cap. 5), veramente in dialogo con loro, ma ciò non basta nel caso di Aristotele. La distanza che ci separa dallo Stagirita è tale che, senza le interpretazioni altrui, la littera che ci ha lasciato è muta. Alla luce di ciò, i testi su cui lavoreremo saranno quelli aristotelici e quelli

5 Cf. Arens 1984; Eco, Marmo 1989 e Spade 2002. In riferimento al solo primo capitolo del De interpretatione, Raspa (2018: 145-146) ne riassume così l’eco nella storia delle discipline che si occupano del linguaggio e nel contesto contemporaneo: “The passage in question is well-known, frequently cited and commented on in the literature, and has assumed a pivotal position in all succeeding reflexions on language. […] It has engaged the attention not only of specialists on Aristotle’s thought, but also of linguists, semioticians, logicians, and philosophers of language, so much so that it would be no exaggeration to state that its importance lies in the quantity and variety of interpretations and evaluations which it has generated”. Dal canto loro, Peirce e Hjelmslev non mancano di porgere omaggio allo Stagirita – cf. EP2: 180, 522 n.3 (da tale nota si capisce che Peirce stava per presentarsi pubblicamente come l’unico vero erede di Aristotele prima che la modestia e il suo self-control avessero il sopravvento), Hjelmslev 1928: 78-79 e Hjelmslev 1972: 46. Per quanto riguarda Hjelmslev, è possibile notare che il linguista danese critica la logica aristotelica piuttosto che Aristotele stesso e, quando tratta dello Stagirita in quanto tale, più che a una critica sembra rivolto a una consapevole storicizzazione (cf. Marconi 2017), nonché all’attribuzione della paternità della grammatica – il cuore della linguistica per lo Hjelmslev degli anni Trenta – al Filosofo e al riconoscimento della piena validità in sede logica della dottrina aristotelica delle categorie.

6 Non è un caso che la filosofia del linguaggio di Aristotele abbia suscitato l’interesse storiografico e teorico di linguisti come Eugenio Coseriu, Antonino Pagliaro, Walter Belardi, Raffaele Simone, Jean-Claude Coquet e, più di recente, Ruggero Morresi. L’unico autore che può vantare un riconoscimento simile tra i linguisti è Cassirer: “La philosophie contemporaine du langage reste sans liens déterminés avec la linguistique. Wittgenstein, Austin, Searle, ne citent aucun linguiste et ne tiennent aucun compte des recherches linguistiques contemporaines, se condamnant non seulement à discuter sur des unités problématiques qu’elle a récusées comme le mot, en ignorant le morphème et le phonème qui ont jadis révolutionné la conception du langage et des langues. En revanche, Cassirer prend d’emblée la mesure de la révolution scientifique introduite dans la première moitié du XIXe siècle par la linguistique historique et comparée et il l’égale à la révolution galiléenne en physique” (Rastier 2017: 2). L’enfasi sulla linguistica si può giustificare sulla base della rilevanza dello Stagirita per lo strutturalismo. Infatti, Castelli (2018: xliii) da aristotelista riconosce alla teoria aristotelica delle opposizioni esposta in Metaph. X, con il suo particolare focus sulla contrarietà, rilevanza non solamente storica ma anche teoretica e qualcosa di analogo alla trattazione e riduzione dei contrari a “one pair (or a small number)” (ibid.) che interessa Castelli si trova nello Hjelmslev maturo: “In questo caso ogni unità, ogni suono deve essere caratterizzato in rapporto a un repertorio di categorie (o, se si vuole, dimensioni), ciascuna delle quali riflette un sistema sublogico i cui poli sono per esempio sonoro : sordo nasale : orale rotato : non rotato laterale : non laterale ecc. ecc. ” (SdL: 109-110, cf. Id.: 111 n. 28 per le divergenze con la teoria dei tratti distintivi). Sull’utilità di tale aspetto dell’analisi linguistica hjelmsleviana sono stati, tuttavia, sollevati dubbi da Prampolini 2001. Infine, Keller 2018 individua in Platone e Aristotele due modelli della teorizzazione semiotica che si ripresentano nella contemporaneità rispettivamente in Wittgenstein e Frege. Il testo di Keller rende anche consapevoli del fatto che la presente ricerca optando per Aristotele e non per Platone fa una scelta di campo. Tale scelta di campo, almeno a parole, è la stessa di Peirce e Hjelmslev.

30

di alcuni interpreti notevoli dal nostro punto di vista: Aristotele ci offre la littera, ma lo spirito proviene dagli interpreti che la vivificano. In termini semiotici, il testo è espressione o signifiant e le interpretazioni sono contenuto o signifié nell’unità bifronte del segno. Facendo uso di nozioni afferenti alla Glossematica di Hjelmslev, diciamo che il presente capitolo appartiene a una

metasemiotica che ha per semiotica-oggetto una porzione del corpus aristotelicum, ma urge una

considerazione metasemiotica su tale metasemiotica7: si potrebbe pensare che nelle frasi del presente

capitolo contenenti “Aristotele” come soggetto si intenda esporre il pensiero dell’autore stesso; si vuole, invece, sospendere il giudizio su aspetti strettamente legati all’intentio auctoris, nonché su questioni storico-genetiche o biografiche8. Inoltre, in accordo con quanto sostenuto da Peirce in Some

Consequences of Four Incapacities si potrebbe dire che l’Aristotele soggetto delle frasi in questione

si riduce alle parole a lui attribuite; se si obiettasse che non è questo il caso – visto che un autore è altra cosa da ciò che scrive –, si controbatterà che di Aristotele tutto ciò che abbiamo è quello che gli si è attribuito di scritto e, conseguentemente, la tesi di Peirce è a fortiori vera nel caso dello Stagirita. Infine, va detto che la presente interpretazione di Aristotele è sistematica. Con “sistematica” non s’intende che essa ha di mira un fantomatico sistema delle scienze filosofiche firmato da Aristotele, bensì la possibilità che gli scritti in analisi diano vita a un système où tout se tient9. Tale système non

è, quindi, da intendere né come derivante da un’idea-guida principale e fondamentale né come massimamente coerente in quanto architettura concettuale monolitica: si tratta, insomma, di una coesione linguistica e non logica, di un discorso unitario e non di una scienza che con passo militare va dai principi ai teoremi mediante le dimostrazioni. L’immagine più adeguata è forse quella di un ciclo narrativo che tiene assieme ed è fatto di episodi, che al loro interno non sono privi di argomentazioni. Se l’accusa sarà poi quella di voler dare un’interpretazione strutturalista di Aristotele, ciò ammonterà a una critica al metodo generale di lettura dei testi sviluppato dallo strutturalismo e non alla sua presunta istanza che il lettore si trova qui d’innanzi. Insomma, sarà un

7 Hjelmslev (2019) esemplifica rispettivamente le metasemiotiche di primo e secondo grado con le grammatiche e con la semantica e la fonetica. Infatti, la grammatica descrive le strutture di una data lingua o di un gruppo di lingue che fanno da semiotica-oggetto, mentre semantica e fonetica hanno per semiotica-oggetto la grammatica nella misura in cui descrivono i significati e i suoni che manifestano le strutture studiate dalla grammatica (semantica e fonetica fanno parte della metagrammatica perché traducono i termini indefiniti nella grammatica in realtà osservabili, cf. Id.: 56-57). Per il confronto con la nozione tarskiana di metalinguaggio si rinvia a Badir 2000: 99-102 e a Prampolini 2017.

8 “Aristotele” è, quindi, un termine indefinito del nostro discorso sul discorso aristotelico (metasemiotica di primo grado) e la presente chiarificazione di che cosa si intende con “Aristotele” è parte del discorso sul nostro discorso sul discorso aristotelico (metasemiotica di secondo grado). Di fatto, tutto ciò che abbiamo di Aristotele sono le sue parole, che la tradizione manoscritta ci ha consegnato, e, forse, la sua tomba.

9 Altrove chi scrive ha sostenuto: “lo Stagirita soleva adeguare la trattazione dell’argomento di volta in volta alla scienza dalla quale tale argomento era studiato; questo anche a scapito di una coerenza sistematica che del resto egli non sentiva e non aveva” (Marconi 2016b: 87). Non vi è contraddizione alcuna con quanto sostenuto qui: un conto è ascrivere all’autore un modus operandi plausibile per l’epoca e per il suo profilo intellettuale, un altro è chiedersi se i testi facciano sistema o possano almeno essere così letti.

31

disaccordo di principio, ma l’esigenza di una lettura sistemica di Aristotele è stata difesa anche da altri interpreti senza basarsi sullo strutturalismo10. D’altra parte, sbarrare la strada a tale interpretazione dei testi aristotelici è come negare che un ciclo di romanzi abbia una trama: essa c’è, sebbene non si veda. Un episodio presenta connessioni con altri episodi, anche se il rimando non è esplicito, e ciò non rende tali connessioni assenti o, peggio, aliene rispetto al testo.

Quanto abbiamo detto sinora dei termini “Aristotele” e “sistematica” mostra in maniera esemplificativa che cosa sia una meta-metasemiotica, tuttavia una chiarificazione della nozione di metasemiotica si rende necessaria. Per semiotica s’intende l’insieme interrelato di un piano dell’espressione e di un piano del contenuto, ciascuno dei piani si analizza in sistema e processo (nel caso dei fenomeni linguistici in lingua e testi). Il presente testo è, quindi, un processo semiotico che ha come piano dell’espressione l’italiano con la sua espressione grafica e la sua semantica e come piano del contenuto certi testi aristotelici, inclusivi del loro significato: una metasemiotica è una semiotica il cui piano del contenuto è a sua volta una semiotica11. Per quanto concerne la discussione

dei termini “Aristotele” e “sistematica”, essa afferisce a una metasemiotica il cui contenuto è la presente discussione in italiano dei testi aristotelici. Ora, si noterà che tale discussione, che è al tempo stesso metasemiotica e semiotica-oggetto, cita da testi italiani e non, ossia dalla letteratura secondaria – letteratura che, come abbiamo detto, è parte integrante della realtà segnica del testo aristotelico. Ciò significa che, com’è naturale nella nostra cultura, l’interpretazione dei testi aristotelici qui proposta si confronta con altre più o meno diffuse e recenti, ma assume un significato del tutto particolare per quanto concerne symbolon e semeion: nei §§ 2.3-4 il presente metadiscorso si interrogherà sulla coincidenza e sulla traducibilità12 in termini aristotelici del lessico relazionale utilizzato da certi commentatori per parlare di symbolon e semeion. Ciò al fine di stabilire come la lingua filosofica aristotelica può porre la relazionalità di symbolon e semeion riconosciuta da tali commentatori. In tale operazione – i cui esiti verranno riassunti in § 2.5.4 assieme a quelli riguardanti i relativi cognitivi –, la presente trattazione sarà al tempo stesso metasemiotica e meta-metasemiotica, ossia metasemiotica rispetto ad Aristotele e meta-metasemiotica rispetto alle interpretazioni altrui, che hanno in Aristotele la loro semiotica-oggetto. Non diversamente, in § 2.5.3 si discuterà della possibilità di usare il termine “omeomorfismo” per descrivere i rapporti tra linguaggio, pensiero e “realtà” in Aristotele a partire

10 Limitandoci all’Italia, possiamo indicare come esempi Melandri (2017: 18-21) e Mignucci (1965: 23). In ambito anglofono, Gill (1991: 10-11) pensa che i testi aristotelici ci siano giunti nella loro stesura definitiva e vede nella teoria della sostanza un caso di tutto unitario distribuito in trattazioni parallele.

11 A ciò si aggiunge che la metasemiotica è una semiotica scientifica, ossia tale da essere retta dal Principio Empirico (cf. § 4.1). Tale principio impone che la semiotica scientifica compia operazioni descrittive coerenti, esaurienti e semplici tali che la coerenza ha la priorità sull’esaustività e l’esaustività sulla semplicità.

12 In questo attingiamo da Peirce più che da Hjelmslev: il filosofo americano assimila l’interpretante (l’interpretazione del segno da parte dell’interprete) a una traduzione.

32

dalla discussione critica di alcune delle letture che a vario titolo autorizzerebbero a parlare di

isomorfismo.