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2.5 Del significato

2.5.1 Analisi relazionale e analisi dinamica

In quanto segue, il principio architettonico della scienza degli animali verrà identificato nell’analogia tra senso e intelletto. A tale principio si giunge mediante il confronto con gli antichi, i predecessori che dell’anima si sono occupati e la tradizione culturale greca. Questo non è un caso isolato. Infatti, la struttura relazionale dei relativi cognitivi nasce proprio dal confronto con Protagora e il suo relativismo gnoseologico (cf. Gottlieb 1993); parallelamente è stato accuratamente ricostruito il passaggio dalla concezione mereologica dell’anima rintracciabile in Platone, dove le parti dell’anima sono dotate di funzioni, alla concezione aristotelica che vede le funzioni e le facoltà come parti potenziali di un’unica anima (cf. Delcomminette 2011). Già da questo emerge che l’anima aristotelica è sostanza, ma si articola in parti-funzioni che la pongono in relazione col cosmo, con tutte le cose. Le attività delle parti-funzioni sono relative e, grazie a esse, l’anima somiglia a tutto. Nella nutrizione è essa ad assimilare il nutrimento a sé, nella sensazione e nell’intellezione è piuttosto essa a essere assimilata. Emerge, insomma, anche la dimensione dell’agire e del patire, poiché al fine della vita è

necessario che qualcosa che simile non era lo diventi.

In De anima I.1 vengono formulate le problematiche metodologiche principali dell’indagine sull’anima. Ai fini della presente analisi due di queste problematiche sono di particolare rilievo. La prima pone un problema che sarà risolto in De anima II.4: “Difficile è anche determinare quali di queste <parti-funzioni dell’anima> siano per costituzione diverse l’una dall’altra, e se bisogna ricercare prima le parti-funzioni o le loro operazioni, ossia l’intellezione o l’intelletto, la sensazione o la sensibilità e così via. Se <bisogna ricercare> prima le operazioni, di nuovo si potrebbe porre l’aporia se non siano da ricercare prima gli opposti di queste, ossia il sensibile della sensibilità, e l’intelligibile dell’intelletto” (χαλεπὸν δὲ καὶ τούτων διορίσαι ποῖα πέφυκεν ἕτερα ἀλλήλων, καὶ πότερον τὰ μόρια χρὴ ζητεῖν πρότερον ἢ τὰ ἔργα αὐτῶν, οἷον τὸ νοεῖν ἢ τὸν νοῦν, καὶ τὸ αἰσθάνεσθαι ἢ τὸ αἰσθητικόν· ὁμοίως δὲ καὶ ἐπὶ τῶν ἄλλων. εἰ δὲ τὰ ἔργα πρότερον, πάλιν ἄν τις ἀπορήσειεν εἰ τὰ ἀντικείμενα πρότερον τούτων ζητητέον, οἷον τὸ αἰσθητὸν τοῦ αἰσθητικοῦ, καὶ τὸ νοητὸν τοῦ νοῦ, 402b 10-16, trad. ns.). Qualora si dovessero analizzare le attività svolte dalle parti-funzioni dell’anima prima delle parti-funzioni stesse, sarebbe ancora da capire se per caso non si debba prendere le mosse dagli opposti (τὰ ἀντικείμενα). Guardando al termine greco ἀντικείμενα e agli esempi a esso corrispondenti (τὸ αἰσθητὸν e τὸ νοητὸν), si capisce che questi non sono relativi in sé, ma sono proprio quegli opposti di cui si parla in Metafisica X.6. D’altro canto, αἰσθητικοῦ e νοῦ indicano nella facoltà sensitiva e nell’intelletto dei relativi (in pieno accordo con quanto già visto in § 2.2.1).

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Sensazione e intellezione non si possono definire senza i loro oggetti; ciò è imposto dal loro essere relativi, ma in sede metodologica tale aspetto viene presentato in maniera interlocutoria. Il secondo passaggio è piuttosto lungo; attraversarlo non solo renderà evidente che si sta parlando dei pathemata del De interpretatione, ma chiarirà i termini della questione permettendo l’incontro con tutti i protagonisti della sezione analizzata in § 2.5.1.

Presentano una difficoltà anche le affezioni dell’anima: se siano tutte comuni anche del <soggetto> che la possiede, o se ce ne sia qualcuna che è anche propria dell’anima in se stessa. Infatti, è necessario comprendere anche questo, ma non è facile. In tutta evidenza, <l’anima> senza il corpo non subisce né produce nessuna della stragrande maggioranza delle affezioni: per esempio, adirarsi, essere animosi, desiderare, in senso complessivo, sentire; invece il pensare noeticamente assomiglia in massimo grado a un’<affezione> propria <dell’anima>. Ma se anche questo è una sorta d’immaginazione o non è senza immaginazione, neppure questo sarà in grado di sussistere senza un corpo. Se dunque qualcuna delle opere dell’anima o delle sue affezioni <le> è propria, essa sarà in condizione di esistere separatamente, se invece nessuna le è propria, non sarà separabile […]. Anche le affezioni [nel senso di passioni, emozioni] dell’anima sembrano essere tutte unite a un qualche corpo: l’animosità, la mitezza, la paura, la pietà, l’ardimento, inoltre la gioia e l’amare e l’odiare. Infatti, non appena queste insorgono il corpo patisce alcunché. E lo testimonia il fatto che talvolta, pur occorrendo affezioni forti ed evidenti, non si prova alcuna eccitazione o paura, talvolta invece si è mossi da <affezioni> di poca entità ed indistinte: quando il corpo è agitato e versa nella condizione in cui si trova quando ci si adira. Ma questo <fenomeno> è maggiormente evidente: anche se non occorre nulla di spaventoso, si è in preda alle affezioni proprie di chi ha paura. Ma se le cose stanno così, è chiaro che le affezioni sono

logoi insiti nella materia (ἀπορίαν δ’ ἔχει καὶ τὰ πάθη τῆς ψυχῆς, πότερόν ἐστι πάντα κοινὰ καὶ

τοῦ ἔχοντος ἢ ἔστι τι καὶ τῆς ψυχῆς ἴδιον αὐτῆς· τοῦτο γὰρ λαβεῖν μὲν ἀναγκαῖον, οὐ ῥᾴδιον δέ. φαίνεται δὲ τῶν μὲν πλείστων οὐθὲν ἄνευ τοῦ σώματος πάσχειν οὐδὲ ποιεῖν, οἷον ὀργίζεσθαι, θαρρεῖν, ἐπιθυμεῖν, ὅλως αἰσθάνεσθαι, μάλιστα δ’ ἔοικεν ἰδίῳ τὸ νοεῖν· εἰ δ’ ἐστὶ καὶ τοῦτο φαντασία τις ἢ μὴ ἄνευ φαντασίας, οὐκ ἐνδέχοιτ’ ἂν οὐδὲ τοῦτ’ ἄνευ σώματος εἶναι. εἰ μὲν οὖν ἔστι τι τῶν τῆς ψυχῆς ἔργων ἢ παθημάτων ἴδιον, ἐνδέχοιτ’ ἂν αὐτὴν χωρίζεσθαι · εἰ δὲ μηθέν ἐστιν ἴδιον αὐτῆς, οὐκ ἂν εἴη χωριστή … ἔοικε δὲ καὶ τὰ τῆς ψυχῆς πάθη πάντα εἶναι μετὰ σώματος, θυμός, πραότης, φόβος, ἔλεος, θάρσος, ἔτι χαρὰ καὶ τὸ φιλεῖν τε καὶ μισεῖν· ἅμα γὰρ τούτοις πάσχει τι τὸ σῶμα. μηνύει δὲ τὸ ποτὲ μὲν ἰσχυρῶν καὶ ἐναργῶν παθημάτων συμβαινόντων μηδὲν παροξύνεσθαι ἢ φοβεῖσθαι, ἐνίοτε δ’ ὑπὸ μικρῶν καὶ ἀμαυρῶν κινεῖσθαι, ὅταν ὀργᾷ τὸ σῶμα καὶ οὕτως ἔχῃ ὥσπερ ὅταν ὀργίζηται. ἔτι δὲ μᾶλλον τοῦτο φανερόν· μηθενὸς γὰρ φοβεροῦ συμβαίνοντος ἐν τοῖς πάθεσι γίνονται τοῖς τοῦ φοβουμένου. εἰ δ’ οὕτως ἔχει, δῆλον ὅτι τὰ πάθη λόγοι ἔνυλοί εἰσιν, 403a 3-25, trad. Zanatta).

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Che l’espressione τὰ πάθη τῆς ψυχῆς abbia a che fare coi pathemata tes psyches lo indicano le occorrenze: τι τῶν τῆς ψυχῆς ἔργων ἢ παθημάτων, τὰ τῆς ψυχῆς πάθη, ἰσχυρῶν καὶ ἐναργῶν παθημάτων e ἐν τοῖς πάθεσι. Aristotele alterna pathe a pathemata nel corso della stessa argomentazione, rendendo improbabile uno scarto semantico di rilievo. Tuttavia, ἔργων ἢ παθημάτων sembra deporre a favore di una specializzazione di pathemata per le affezioni (non necessariamente passioni o emozioni – cf. Rossitto 1995 e Bodéüs 2011: 251-252) nel presentare l’alternativa tra attività e affezioni. Pathe potrebbe, insomma, essere un termine generico per erga e pathemata148.

Quest’ipotesi è corroborata dai riferimenti fatti dal testo alla sensazione e all’intellezione, che si sono già viste designate come erga in 402b 14-16. τὰ πάθη λόγοι ἔνυλοί εἰσιν sembra riguardare le passioni nello specifico, ma potrebbe anche indicare in queste il caso paradigmatico di affezioni comuni da contrappore a μάλιστα δ’ ἔοικεν ἰδίῳ τὸ νοεῖν149. Inoltre, il passo prepara le discussioni di De anima III.3-8 sul νοεῖν: εἰ δ’ ἐστὶ καὶ τοῦτο φαντασία τις ἢ μὴ ἄνευ φαντασίας, οὐκ ἐνδέχοιτ’ ἂν οὐδὲ τοῦτ’ ἄνευ σώματος εἶναι. Qui, infatti, è evidente il problema di distinguere la φαντασία dall’intelletto e viene richiamata la tesi per cui l’intellezione non si dà ἄνευ φαντασίας. Ma la trattazione dell’intelletto è anticipata, in maniera meno evidente ma ancora più cruciale, dal riferimento al fare e al subire (οὐθὲν ἄνευ τοῦ σώματος πάσχειν οὐδὲ ποιεῖν), nonché di nuovo al subire (ἅμα γὰρ τούτοις πάσχει τι τὸ σῶμα).

Prima di passare alla trattazione del significato in De an. III.3-8, che includerà quella dell’immaginazione, bisogna capire il ruolo della φαντασία, già stabilito nel corso dell’analisi aristotelica dell’udito. In proposito va notata la determinazione della causa finale dell’udito, con la quale si conclude l’intero De anima: “l’udito perché gli si indichi qualcosa” (ἀκοὴν δὲ ὅπως σημαίνηταίτιαὐτῷ, III.13, 435b 24, trad. Movia). Ciò vale tanto per gli esseri umani quanto per gli animali: “manifestano certo qualcosa anche i suoni inarticolati, per esempio delle bestie, nessuno dei quali è un nome” (δηλοῦσί γέ τικαὶ οἱἀγράμματοι ψόφοι, οἷονθηρίων, ὧν οὐδένἐστιν ὄνομα, De int. 2, 16a 28-29, trad. Zanatta)150. Si può ora intendere il passo di De an. II.8: “Difatti, come s’è detto,

non ogni suono dell’animale è voce (giacché si può emettere un suono anche con la lingua o tossendo), ma il percuziente [gli organi fonatori, cf. Movia 2001: 275, n. 200] dev’essere animato ed

148 Tuttavia, si legge poco dopo ἔργα καὶ πάθη (403b 12).

149 Rossitto (1995) sostiene con argomenti convincenti che non esistono affezioni proprie dell’anima. Del resto, Aristotele dice che il pensare sembra essere l’affezione propria par excellence. Non tutto ciò che sembra è.

150 Le migliori parole di commento a questa citazione sono quelle di Belardi (1975: 125, 126): “Non soltanto la possibilità di tradurre in ‘voce’ un’affezione, ma altresì le possibilità (non necessariamente concomitanti) di articolare e di comunicare alcunché, seppure in misura ridotta, si ritrovano in molte parti del regno animale e non soltanto nell’uomo”, “Dunque, nella teoria bio-psicologica di Aristotele, viene negato alla voce umana ogni carattere di specificità assoluta e tolto ogni privilegio esclusivistico, in quanto lo specifico del linguaggio va cercato altrove che nella voce: non nella fonazione e nemmeno nell’articolazione, ma nella funzione simbolica”.

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accompagnarsi ad un’immagine. In effetti la voce è un suono che significa qualcosa” (οὐ γὰρ πᾶς ζῴουψόφοςφωνή, καθάπερεἴπομεν — ἔστιγὰρκαὶτῇγλώττῃψοφεῖνκαὶὡςοἱβήττοντες — ἀλλὰ

δεῖἔμψυχόντεεἶναιτὸτύπτον καὶμετὰφαντασίαςτινός· σημαντικὸςγὰρδήτιςψόφοςἐστὶνἡφωνή,

420b 29-33, trad. Movia).La voce è vista qui come un suono proveniente da un organo che attiva l’immaginazione, una descrizione talmente generale da valere tanto per animali quanto per esseri

umani (cf. §§ 5.3-4)151. Va detto che la voce non è un semplice segno come un colpo di tosse può

essere sintomo di una malattia, bensì significa qualcosa in una situazione comunicativa che non si darebbe senza la phantasia. Abbiamo, quindi, una progressione che va da rumori e suoni, che possono essere segni sintomatici, alla voce articolata umana passando per le voci inarticolate degli altri animali. Alla transizione da voce inarticolata a voce articolata corrisponde l’aggiunta della simbolicità alla segnicità: le voci animali sono segni significativi, mentre le voci umane sono segni sintomatici e

simboli (cf. § 2.4.2). Le cose nella voce umana – nomi, verbi ed enunciati –, insomma, si trovano al

culmine della progressione sintomi, segni, simboli, presentando la semanticità dei segni animali e la sintomaticità di rumori e suoni152.

Ulteriori punti fermi, strettamente legati alle problematiche metodologiche che Aristotele stesso si era posto nei passi citati di De an. I.1, per la presente lettura provengono dalla vastissima letteratura secondaria sul De anima: nella fattispecie, l’interpretazione del pensiero in chiave fisiologica da parte di Giulia Mingucci153 e dell’anima come sistema da parte di diHubertus Busche. Vale la pena, quindi,

spendere alcune parole sugli aspetti qui più rilevanti di tali lavori nella chiara e peirciana convinzione che un’interpretazione che non sviluppi ulteriormente le interpretazioni che la precedono sia già sulla

151 Si tratta di un argomento ampiamente dibattuto. Manetti (2013: 196-197) ricompone in questi termini la questione: “(i) il concetto di ‘semanticità’, che è parte della definizione della phone e si configura come capacità di associare alla voce una rappresentazione mentale (phantasia), che incontriamo nel secondo libro del De anima. Su questo tema si registra la maggiore emergenza della posizione continuista di Aristotele: tanto gli uomini, quanto gli animali condividono il fatto di emettere sia delle espressioni accompagnate da rappresentazioni mentali, sia delle espressioni finalizzate alla comunicazione; (ii) il concetto di ‘articolazione’ […] non stabilisce una linea di demarcazione nel possesso di una determinata funzione nell’uomo (la possibilità di dialektos), negandola all’animale, ma appunto una distinzione di grado […]; (iii) il concetto di ‘analizzabilità in lettere’ […]. Su questo tema l’opposizione tra uomini e animali è netta e insanabile”. Noriega-Olmos (2013: 36-37) aggiunge considerazioni ulteriori, che sono in linea con quelle di Belardi e Manetti: “Voluntary motion and vocalized sound, as we have seen, are performed both by human beings and animals. Yet, as De an. 429a5–8 indicates, most of the time human voluntary motions, and therefore vocalized sounds, are brought about in exactly the same way as animal voluntary motion on the sole cognitive basis of phantasia. That is to say, human vocalized sound is triggered by sense-perceptual phantasia […], which being limited to the discernment of information provided by sense-perception is the form of phantasia proper to animals, and human beings in certain circumstances”. Successivamente, Noriega-Olmos (2013: 37-41) fa riferimento alla phantasia logico-linguistica per differenziare comportamento e semantica umane da quelli animali, aspetto che risulterà fondamentale nell’analisi di De an. III.3-8. 152 È quantomeno interessante notare l’analogia “sintomi : anima vegetativa = segni : anima sensitiva = simboli : anima intellettiva”. Così come l’anima intellettiva ha come parti potenziali le anime vegetative e sensitiva, il simbolo ha la semanticità del segno animale e la sintomaticità (una pianta può solo mostrare sintomi) senza ridursi a esse.

153 Cf. Mingucci (2015: 259): “è il corpo umano come intero a essere ὄργανον del pensiero, ed è perciò l’equilibrio dei suoi stati termici e delle sue dinamiche fluide a favorirne il perfetto funzionamento”. Rossitto (1995: 177) esprime un’idea simile: “Non rimane altra possibilità se non che il pensare sia un πάθος dell’intero individuo”.

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strada sbagliata. La teoria dell’anima aristotelica per Busche è sistemica: “Die Formel, die im vorliegenden Buch für Aristoteles’ neue Bedeutung der ‚Seele‘ verwendet wird, nämlich das ‚zweckmäßig arbeitende System‘, mag heute freilich Assoziationen an Computer und andere technische Systeme wecken” (Busche 2001: 7). Lo studioso ha cura di evitare infruttuosi anacronismi e, sebbene nozioni come telos, energein, entelecheia, eidos, organa e erga siano per lui autenticamente sistemiche e sembri non mancare la distinzione chiave per la teoria moderna tra

sistema e ambiente, si affretta a precisare: “Ferner wird ‚System‘ hier in einem ganz unbelasteten

Sinne verstanden als eine funktionale Ganzheit von Elementen, die aufgrund interner Bewegungen Leistung vollbringt” (ibid.)154. L’operazione è accorta e raffinata: ampliare la definizione di teoria

sistemica in maniera tale da includere un’accezione moderna e l’alternativa aristotelica. Tale operazione non mancherà di dare i suoi frutti nello sviluppo del libro:

Mit der Bezeichnung Emergentismus der schöpferischen Form läßt sich nicht nur die Suprematie der Form gegenüber der Materie abdecken, sondern auch die schöpferische Kraft der Form zur Erzeugung neuer Phänomene betonen und darüber hinaus jener aristotelische Technizismus in Einklang bringen, der die verborgene Kunst in den Tiefen der lebendigen Natur aufdeckt und entsprechend die Prinzipien der „schöpferischen Kunst […]“ in der Architektonik der „schöpferischen Natur […]“ wiederfindet (Id.: 145). Infatti, l’enfasi sulla forma permette di avanzare un’alternativa non solo interpretativa, ma anche teorica all’emergentismo funzionalista (cf. cap. 1, per le nozioni di emergenza e di sistema): le attività svolte dall’anima come forma mediante i propri sistemi sono presupposte da una certa materia e non da altre, così come la forma stessa è presupposta da una materia adatta e specifica155. Detto con le

parole dell’autore: “Eine Materie kann niemals ohne Form sein, wie es auch umgekehrt keine Form geben kann, die nicht an irgendeiner Materie hängt” (Id.: 132). La funzione, infatti, non presuppone alcuna materia specifica nel senso forte del termine, ossia nel senso di relativa alla specie. Sempre la

154 La teoria è sistemica, quindi, in un senso compatibile anche con lo strutturalismo: il sistema articola elementi tali da non essere dotati di un’esistenza in grado di trascendere l’essere in relazione. Si tratta, come vuole Hjelmslev (cf. FTL: 26), di “una totalità” che “non consiste di cose ma di rapporti”. Va, tuttavia, detto che le intuizioni strutturali aristoteliche sono limitate, sebbene non sia poco, alla psicologia e alla trattazione svolta nella sezione linguistica del De int. Del resto, anche in questi casi valgono le riserve di Eco (1980: 285-286) che vedono il vero strutturalismo come metodologico e non ontologico. Pertanto, nulla toglie che le intuizioni strutturaliste aristoteliche restano viziate (o virtuose per le folte schiere di oppositori dello strutturalismo) dalla presupposizione di una ontologia prevalentemente ma non esclusivamente e irrimediabilmente sostanzialista. D’altra parte, per lo strutturalismo uno stesso testo si può realizzare in materie diverse (per Hjelmslev in qualsiasi), avvicinandosi in questo al funzionalismo in filosofia della mente. Si veda l’opposizione tra sostanzialismo aristotelico (tale da non escludere una concezione sistemica, tanto per chi scrive quanto per Busche) e funzionalismo riconosciuta da Busche (2001: 143).

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Suprematie der Form è la chiave per distanziarsi dal comportamentismo e dalla teoria dell’identità156:

“Entsprechend dieser Suprematie der Form im Hylemorphismus lassen sich Aristoteles auch nur schwer einzelne Positionen zuschreiben, die gegenwärtig als spezifisch materialistische Reduktionen gelten, nämlich Behaviorismus und Identitätstheorie” (Id.: 137). Va, tuttavia, chiarito che l’uomo non è un sistema, piuttosto esso è dotato di tre sistemi distinti (vegetativo, sensitivo e intellettivo)157. Ciò

è in pieno accordo con quanto sostenuto sopra, ossia che non è l’anima ad essere relazionale ma le attività dei sistemi (termine degno di sostituire “parti-funzioni” adottato sopra) che la compongono. Lo studio di Busche, infine, è cruciale per ovviare all’uso massiccio dell’emergentismo in Mingucci 2015, che per il resto offre una ricostruzione della fisiologia aristotelica del pensiero a cui si ricorrerà più volte in quanto segue.

Mentre i problemi di 403a 3-25 (cf. supra, il passo su pathe, erga e pathemata) verranno risolti nel corso dell’analisi di De anima III.3-8, prendiamo adesso in considerazione il passo che dà una risposta al già citato 402b 14-16, che formulava la metodologia relazionale di analisi delle facoltà dell’anima in maniera interlocutoria:

Chi intende effettuare una ricerca sulle facoltà dell’anima deve stabilire che cos’è ciascuna di esse e successivamente cercare le proprietà che ne conseguono e le altre caratteristiche. Ma se bisogna dire che cos’è ciascuna di queste facoltà, ad esempio che cos’è la facoltà intellettiva o sensitiva o nutritiva, prima ancora si deve dire che cos’è l’intellezione e che cos’è la percezione, poiché le attività e le funzioni dal punto di vista logico sono anteriori alle facoltà. Ma se questo è vero, ancor prima che le attività si devono prendere in considerazione gli oggetti correlativi, poiché è di questi anzitutto, e per lo stesso motivo, che si deve trattare, ossia dell’alimento, del sensibile e dell’intelligibile (Ἀναγκαῖον δὲ τὸν μέλλοντα περὶ τούτων σκέψιν ποιεῖσθαι λαβεῖν ἕκαστον αὐτῶντίἐστιν, εἶθ’οὕτωςπερὶτῶνἐχομένωνκαὶπερὶτῶνἄλλωνἐπιζητεῖν. εἰδὲχρὴλέγειν τί ἕκαστοναὐτῶν, οἷοντίτὸνοητικὸνἢτὸαἰσθητικὸνἢτὸθρεπτικόν, πρότερονἔτιλεκτέοντίτὸ νοεῖνκαὶ τίτὸαἰσθάνεσθαι· πρότεραιγάρεἰσιτῶνδυνάμεων αἱἐνέργειαικαὶ αἱπράξειςκατὰ τὸν λόγον. εἰ δ’ οὕτως, τούτων δ’ ἔτι πρότερα τὰ ἀντικείμενα δεῖ τεθεωρηκέναι, περὶ ἐκείνων πρῶτον ἂν δέοι διορίσαι διὰ τὴν αὐτὴναἰτίαν, οἷον περὶτροφῆςκαὶ αἰσθητοῦκαὶ νοητοῦ, II.4,

415a 14-22, trad. Movia).

Essendo le operazioni (τὰ ἔργα) dell’anima, ossia αἱ ἐνέργειαι καὶ αἱ πράξεις, dei relativi, non si

possono definire senza ciò a cui sono relativi158. Inoltre, nel passo è reperibile una distinzione tra

156 Per una rassegna delle principali posizioni diffuse in filosofia della mente e il loro rapporto con Aristotele e l’esegesi aristotelica si veda Mingucci 2015: 269-284.

157 Cf. Busche 2001: 9. Ovviamente le piante presentano solo il primo, mentre gli animali i primi due.

158 La traduzione di Movia risulta di gran lunga più accurata di quella di Zanatta qui. Infatti, Zanatta traduce misconoscendo il valore tecnico di ἀντικείμενα, determinato dalla teoria aristotelica degli opposti, e lanciandosi piuttosto

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facoltà e operazioni sulla base della opposizione anteriore/posteriore secondo la nozione (κατὰ τὸν λόγον): πρότεραιγάρεἰσιτῶνδυνάμεωναἱἐνέργειαικαὶαἱπράξεις. Ciò consente di mettere in chiaro

una volta per tutte che le facoltà sono relative all’anima in quanto sue parti potenziali, mentre le operazioni sono relative all’oggetto su cui vertono.

Tuttavia, delle perplessità in relazione a quanto appena sostenuto potrebbero nascere in considerazione dei seguenti testi, ma vedremo che tali difficoltà non sono insormontabili:

Ma poiché nessun essere che non partecipi della vita si nutre, ciò che si nutre sarà in tutta evidenza il corpo animato in quanto animato, per cui anche il nutrimento è in relazione con un essere animato e non in modo accidentale (ἐπεὶδ’οὐθὲντρέφεταιμὴμετέχονζωῆς, τὸἔμψυχονἂνεἴη σῶματὸτρεφόμενον, ᾗἔμψυχον, ὥστεκαὶἡτροφὴπρὸςἔμψυχόνἐστι, καὶοὐκατὰσυμβεβηκός, II.4, 416b 9-11, trad. Zanatta).

Di conseguenza, un tale principio dell’anima è una potenza capace di salvaguardare l’essere che lo possiede in quanto tale, e il nutrimento gli procura di essere attivo. Per questo, una volta privato del nutrimento non può esistere (ἡμὲντοιαύτητῆςψυχῆςἀρχὴδύναμίςἐστινοἵασώζειντὸἔχον αὐτὴνᾗ τοιοῦτον, ἡδὲτροφὴαρασκευάζειἐνεργεῖν· διὸστερηθὲντροφῆςοὐδύναταιεἶναι (II.4, 416b 17-20, trad. Zanatta).

A differenza che per senso e intelletto e i loro correlati, il nutrimento è relativo alla nutrizione ma non è tale per accidente. D’altra parte, senza nutrimento la nutrizione non può darsi e la facoltà nutritiva viene meno e con essa il vivente. Ciò è indicativo, se si pensa che dei sensibili e degli intelligibili viene data una classificazione piuttosto chiara nel De anima e che alla fine di II.4 si rimanda la trattazione del nutrimento in altra sede. Su questo si può far chiarezza leggendo dalla Fisica:

In effetti, è il nocchiero ad illustrare e disporre la forma del timone, ma è il costruttore che sa con quale legno costruirlo e con quali procedure. Dunque, nel campo della tecnica siamo noi a elaborare la materia in vista dell’opera, invece in ambito naturale la materia è già data. La materia, poi, va annoverata fra i relativi, perché al variare della forma varia anch’essa (Phys. II.2, 194a 5- 9, trad. Radice).

Il nutrimento è, per così dire, il materiale di mantenimento del vivente e, quindi, varia in base al vivente, è a esso relativo159. Contrariamente agli altri opposti delle facoltà dell’anima (ad es., il

sensibile e lo scibile), il nutrimento è un relativo. Infatti, nell’ordine teleologico della natura il

in un’etimologia: “Letteralmente «le cose che stanno loro di fronte (ἀντικείμενα)», tale essendo la valenza etimologica di «oggetto»” (Aristotele 2006: 223).

159 Per un quadro interpretativo che consenta tali considerazioni si rinvia a Marconi 2018. A differenza del materiale, però, il nutrimento è relativo a qualcosa che è, a sua volta, relativo a esso, ossia la capacità di nutrirsi. Invece, il materiale è relativo alla forma senza che questa sia un relativo.

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nutrimento esiste in funzione dei viventi che senza di esso non potrebbero nutrirsi, tanto che nelle

cose naturali ciò che funge da nutrimento per i viventi è relativo alla loro capacità di nutrirsi così come tale capacità è relativa a tale nutrimento. Insomma, il nutrimento è relativo a qualcosa che è, a

sua volta, un relativo. Si tratta, quindi, di relativi del tipo affine ai contrari, ossia tali che entrambi

gli opposti sono relativi e contrari tra di essi. Da quanto i testi di De anima II.4 appena riportati

dicono, si può inferire che, se sparissero i viventi, sparirebbe il nutrimento160, a differenza che nel

caso della cognizione: sensibili e intelligibili resterebbero tali anche senza senzienti e intelligenti, poiché essi sono tali in virtù di quello che sono (forme sensibili e forme intelligibili)161. La

metodologia relazionale è confermata, ma porta in questo caso al riconoscimento del fatto che nutrizione e nutrimento vanno interdefiniti perché entrambi relativi per sé e non κατὰσυμβεβηκός: che la nutrizione sia relativa al nutrimento è assunto con il metodo d’analisi relazionale, che il nutrimento sia, a sua volta, relativo emerge dalle considerazioni di II.4, che trovano un qualche