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Metafisica Iota 3-6: la formulazione definitiva della teoria dei relativi nel quadro della teoria degl

2.2 I relativi

2.2.2 Metafisica Iota 3-6: la formulazione definitiva della teoria dei relativi nel quadro della teoria degl

Come anticipato, Metaph. X è un testo poco commentato e insufficientemente preso in considerazione anche nelle ricostruzioni relative alla teoria degli opposti, forse per la sua insistenza sul tema dell’uno e dei molti. Tuttavia, la chiara esposizione della teoria degli opposti è, in Metaph. X.3-6, funzionale alla discussione dell’opposizione che interessa l’uno e i molti. In un certo senso, la teoria aristotelica

dell’uno dipende da quella degli opposti, nonché da quella dell’identità o “essere uno con”. Infatti, Iota 1-6 svolge una discussione unitaria sull’uno e su ciò che si oppone a esso (cf. Castelli 2018: 155,

170 e Elders 1961: 153). In questa sede, è d’interesse proprio la sezione dedicata a ciò che si oppone

all’uno. Senz’altro l’esito della trattazione ha al suo centro la contrarietà tra indivisibile e divisibile e

la relatività tra misura e misurabile: ecco il contributo della teoria degli opposti alla soluzione delle aporie concernenti l’uno e i molti. A seconda che l’uno sia inteso come indivisibile o come misura, l’opposto e l’opposizione cambiano. Ma per giungere a un tale esito Aristotele ha dovuto riattraversare l’intera sua teoria degli opposti disambiguando i rapporti tra contraddizione e privazione, nonché trattando l’inclusione dei contrari nella privazione e chiarendo lo statuto delle opposizioni che hanno luogo tra i relativi. Infatti, in Cat. 10 non c’è traccia della distinzione operata in Cat. 7 tra i relativi in merito alla simultaneità: tale distinzione e quella delle forme dell’opposizione si incontrano soltanto in Iota 6 – è questa la differenza espositiva tra Categorie e Metafisica tale da rendere, come già detto in § 2.2.1, la seconda una fonte più adatta alla ricostruzione della teoria. Si attraverseranno, quindi, i capitoli 3-6 per contestualizzare la parte di Iota 6 che andremo ad analizzare. Considerando la struttura argomentativa della sezione di Iota in questione, risulterà evidente la ripresa aristotelica della teoria degli opposti al fine di corrispondere alla problematica di ciò che si oppone

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all’uno. All’indicazione dei passaggi di tale ripresa affiancheremo una tavola riassuntiva delle forme

di opposizione.

Il capitolo 3, dopo aver chiarito di trattare l’opposizione uno/molti intesa come indivisibile/divisibile, introduce la teoria degli opposti:

L’uno e i molti si oppongono in più modi, in uno dei quali l’uno e la moltitudine <si oppongono> come indivisibile e divisibile; ciò che è diviso, infatti, o divisibile è detto <essere> una certa moltitudine, mentre ciò che è indivisibile o non diviso <è detto essere> uno. Poiché dunque le opposizioni sono di quattro tipi, e l’uno di questi <due termini> è detto secondo privazione, essi saranno contrari e <saranno> detti non come <costituenti una> contraddizione, né come relativi a qualcosa (Ἀντίκειται δὲ τὸ ἓν καὶ τὰ πολλὰ κατὰ πλείους τρόπους, ὧν ἕνα τὸ ἓν καὶ τὸ πλῆθος ὡς ἀδιαίρετον καὶ διαιρετόν· τὸ μὲν γὰρ ἢ διῃρημένον ἢ διαιρετὸν πλῆθός τι λέγεται, τὸ δὲ ἀδιαίρετον ἢ μὴ διῃρημένον ἕν. ἐπεὶ οὖν αἱ ἀντιθέσεις τετραχῶς, καὶ τούτων κατὰ στέρησιν λέγεται θάτερον, ἐναντία ἂν εἴη καὶ οὔτε ὡς ἀντίφασις οὔτε ὡς τὰ πρός τι λεγόμενα, 1054a 23- 26, trad. Berti).

Uno dei sensi dell’opposizione tra uno e molti è quello della privazione (l’uno è privo della divisibilità), che ricomprende in sé la contrarietà come caso particolare. A tale dottrina viene aggiunta quella dell’essere uno con qualcosa – che si è vista essere di primaria importanza nella determinazione delle categorie di sostanza, quantità e qualità:

Sono <specie> dell’uno, come abbiamo scritto anche nella Divisione dei contrari, l’identico, il simile e l’uguale, della moltitudine il diverso, il dissimile e il disuguale (ἔστι δὲ τοῦ μὲν ἑνός, ὥσπερ καὶ ἐν τῇ διαιρέσει τῶν ἐναντίων διεγράψαμεν, τὸ ταὐτὸ καὶ ὅμοιον καὶ ἴσον, τοῦ δὲ πλήθους τὸ ἕτερον καὶ ἀνόμοιον καὶ ἄνισον, 1054a 29-32, trad. Berti)37.

Una volta spiegati i termini della dottrina, si nota che:

Il diverso e l’identico, dunque, si oppongono così, ma la differenza è altro dalla diversità (τὸ μὲν οὖν ἕτερον καὶ ταὐτὸν οὕτως ἀντίκειται, διαφορὰ δὲ καὶ ἑτερότης ἄλλο, 1054b 22-23, trad. Berti).

37 Berti (2017: 442 n. 27) rimanda a Metaph. IV.2. In effetti, lì si tratta della coincidenza di uno ed essere: essere è essere uno e viceversa. Inoltre, si fa chiaro riferimento alla coincidenza tra i tipi di ente e i tipi di unità (Metaph. IV.2, 1003b 33-1003b 36). Identità, somiglianza e uguaglianza corrispondono a sostanza, qualità e quantità, nonché diversità, dissomiglianza e disuguaglianza al non essere sostanziale, al non essere qualitativo e al non essere quantitativo (anche il non essere/la molteplicità si divide secondo le categorie/secondo i sensi dell’uno). Per noi è chiaro che la radice di tutto ciò è in Cat. 5-6, 8 (cf. § 2.2.1). In Metaph. X Aristotele completa il quadro: ai molti opposti all’uno come il misurabile alla misura corrispondo, nella tipologia degli enti, i relativi.

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Siamo di fronte a un gioco argomentativo a scatole cinesi per giungere a caratterizzare la contrarietà come differenza e privazione perfette. La parte finale dell’argomentazione comincia così nel capitolo 338:

I contrari sono differenti, e la contrarietà è una certa differenza (τὰ δ’ ἐναντία διάφορα, καὶ ἡ ἐναντίωσις διαφορά τις, 1054b 31-32, trad. Berti).

Ecco, invece, come viene formulata la conclusione nel capitolo 4:

La contrarietà prima è possesso e privazione, ma non ogni privazione (in molti modi infatti è detta la privazione), bensì quella che sia perfetta (πρώτη δὲ ἐναντίωσις ἕξις καὶ στέρησίς ἐστιν· οὐ πᾶσα δὲ στέρησις (πολλαχῶς γὰρ λέγεται ἡ στέρησις) ἀλλ’ ἥτις ἂν τελεία ᾖ, 1055a 33-35, trad. Berti).

Aristotele, avendo discusso identità e differenza, può ora ritornare alla teoria degli opposti, che verrà interrogata alla luce dell’equivocità della privazione:

Se dunque i tipi di opposizione sono la contraddizione, la privazione, la contrarietà e i relativi a qualcosa, e di questi il primo è la contraddizione, e della contraddizione nulla è intermedio, mentre dei contrari <un intermedio> ci può essere, è chiaro che la contraddizione e i contrari non sono la stessa cosa. Ma la privazione è una certa contraddizione (εἰ δὴ ἀντίκειται μὲν ἀντίφασις καὶ στέρησις καὶ ἐναντιότης καὶ τὰ πρός τι, τούτων δὲ πρῶτον ἀντίφασις, ἀντιφάσεως δὲ μηδέν ἐστι μεταξύ, τῶν δὲ ἐναντίων ἐνδέχεται, ὅτι μὲν οὐ ταὐτὸν ἀντίφασις καὶ τἀναντία δῆλον· ἡ δὲ στέρησις ἀντίφασίς τίς ἐστιν, 1055a 38-1055b 4, trad. Berti).

L’inclusione della contrarietà nella privazione e della privazione nella contraddittorietà pur mantenendone la specificità, comporta un lavorio di distinzione della privazione (di una sua accezione) da entrambe. Tale lavorio prende così le mosse nel capitolo 539:

Poiché una sola cosa è contraria a una sola cosa, qualcuno potrebbe trovarsi nell’aporia a proposito di come si oppongono l’uno e i molti, e di come l’uguale <si oppone> al grande e al piccolo (Ἐπεὶ δὲ ἓν ἑνὶ ἐναντίον, ἀπορήσειεν ἄν τις πῶς ἀντίκειται τὸ ἓν καὶ τὰ πολλά, καὶ τὸ ἴσον τῷ μεγάλῳ καὶ τῷ μικρῷ, 1055b 30, trad. Berti).

L’esito sarà la negazione privativa intesa come “la negazione di entrambi gli opposti” (ἡ … ἀντικειμένων συναπόφασίς, 1056a 35-36 trad. Berti). Per concludere la trattazione dell’opposizione

38 Tale procedimento logico unisce la fine del capitolo 3 con la prima metà del capitolo 4. Questo a ulteriore conferma dell’unitarietà della sezione.

39 In questo caso la divisione argomentativa e quella in capitoli coincidono, trattandosi dell’incipit del capitolo 5. Tale capitolo si è già visto essere strettamente legato al 6, tanto che l’intera sezione Iota 3-6 può essere suddivisa in due sottosezioni: 3-4 e 5-6.

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uno/molti, stavolta intesa come misura/misurabile, è necessario attraversare ulteriori aporie esposte nel capitolo 640:

Allo stesso modo anche a proposito dell’uno e dei molti qualcuno potrebbe trovarsi in aporia. Se infatti i molti si oppongono all’uno in modo del tutto indistinto, ne derivano alcune conseguenze impossibili (Ὁμοίως δὲ καὶ περὶ τοῦ ἑνὸς καὶ τῶν πολλῶν ἀπορήσειεν ἄν τις. εἰ γὰρ τὰ πολλὰ τῷ ἑνὶ ἁπλῶς ἀντίκειται, συμβαίνει ἔνια ἀδύνατα, 1056b 3-5, trad. Berti).

La soluzione di tali aporie verrà chiarita con un lavorio sulla relazione analogo a quello svolto sulla privazione e così introdotto, sempre nell’ambito di Iota 6:

L’uno dunque si oppone ai molti come la misura al misurabile. E questi si oppongono come relativi a qualcosa, che non sono, però, relativi a qualcosa per sé. È stato da noi distinto altrove che i relativi a qualcosa si dicono in due modi, alcuni come contrari, altri come scienza in relazione a scibile, cioè per il fatto che qualcos’altro è detto in relazione ad esso (ἀντίκειται δὴ τὸ ἓν καὶ τὰ πολλὰ τὰ ἐν ἀριθμοῖς ὡς μέτρον μετρητῷ· ταῦτα δὲ ὡς τὰ πρός τι, ὅσα μὴ καθ’ αὑτὰ τῶν πρός τι. διῄρηται δ’ ἡμῖν ἐν ἄλλοις ὅτι διχῶς λέγεται τὰ πρός τι, τὰ μὲν ὡς ἐναντία, τὰ δ’ ὡς ἐπιστήμη πρὸς ἐπιστητόν, τῷ λέγεσθαί τι ἄλλο πρὸς αὐτό, 1056b 32-1057a 1, trad. Berti mod. alla luce di Reale41).

Iota 6, infine, si conclude con l’esito dell’intera sezione qui in considerazione:

La moltitudine non è contraria al poco – ma a questo <è contrario> il molto come moltitudine eccedente a molteplicità ecceduta –, né <è contraria> all’uno in tutti i modi; ma in un modo <essi sono contrari> come è stato detto, perché l’una è divisibile mentre l’altro è indivisibile, invece in un altro modo <essi sono> relativi a qualcosa come la scienza allo scibile, qualora <la moltitudine> sia numero e l’uno misura (τὸ δὲ πλῆθος οὔτε τῷ ὀλίγῳ ἐναντίον—ἀλλὰ τούτῳ μὲν τὸ πολὺ ὡς ὑπερέχον πλῆθος ὑπερεχομένῳ πλήθει—οὔτε τῷ ἑνὶ πάντως· ἀλλὰ τὸ μὲν ὥσπερ εἴρηται, ὅτι διαιρετὸν τὸ δ’ ἀδιαίρετον, τὸ δ’ ὡς πρός τι ὥσπερ ἡ ἐπιστήμη ἐπιστητῷ, ἐὰν ᾖ ἀριθμὸς τὸ δ’ ἓν μέτρον, 1057a 12-17, trad. Berti).

Tale esito è inconcepibile senza la precedente chiarificazione di privazione e relazione. La contrarietà deve, invece, la sua intelligibilità alla dottrina dell’essere uno con qualcosa e alla distinzione tra

essere diverso da e differire da. Come nota Castelli (2018: 116-117), per Aristotele le cose

differiscono per genere o per specie e la differenza ammette gradi: due cose possono essere più o meno differenti, ma non più o meno diverse (essendo l’identico l’opposto del diverso). La contrarietà

40 Il capitolo 6 si divide nello sviluppo delle aporie e nella loro risoluzione alla luce di una distinzione introdotta tra i relativi, che a sua volta richiama in causa i contrari.

41 La discrepanza tra testo greco e traduzione è dovuta al fatto che tanto Berti (2017b: 444 n. 66) quanto Castelli (2018: 260 ad loc.) leggono τοῖς πολλοῖς anziché καὶ τὰ πολλὰ τὰ ἐν ἀριθμοῖς. A tale lettura si attiene il presente commento.

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è una certa differenza perché i contrari si trovano agli estremi dello stesso genere venendo a essere, come anticipato, la differenza e la privazione perfette. È, inoltre, chiaro che i contrari sono differenti per specie, non potendo essere differenti per genere. Del resto, il fatto che “una sola cosa è contraria a una sola cosa” deriva dall’essere la contrarietà la differenza perfetta.

Vista la molteplicità delle accezioni di privazione in gioco, è bene sintetizzarle in una tavola degli opposti42:

1. Contraddittorietà: negazione assoluta, senza intermedi;

2. Privazione assoluta o impropria: un certo tipo di contraddittorietà, senza intermedi, ma con un sostrato che determina la negazione;

3. Negazione privativa: negazione congiunta di due opposti;

4. Privazione per natura o propria: privazione in senso stretto, con un sostrato, secondo “natura” e in un determinato tempo naturale43;

5. Privazione perfetta o contrarietà: un certo tipo di privazione, con un sostrato, un genere e la possibilità di intermedi (anch’essa ha a che fare con la temporalità e può interessare la parte o l’intero44);

6. Relazione: la definizione di un termine della relazione contiene il riferimento all’altro, per cui il suo essere è l’essere in relazione con tale altro. La relazione si divide in quella che è una certa contrarietà e in quella che presenta l’opposizione del tipo scienza/scibile, ossia priva di simultaneità e di contrarietà45.

La negazione privativa, pur essendo negazione come la contraddizione, non si può ridurre a quest’ultima, perché è negazione di due termini e non fra due termini46. Affinché la struttura della

tavola sia armonica, è necessario che i relativi che si oppongono come contrari siano davvero contrari47. Infatti, la privazione assoluta è una certa contraddizione e la contrarietà è una certa

42 Traiamo la tavola da Rossitto 1977: 55-56 con alcune modifiche e l’inserimento della negazione privativa.

43 Essere sdentati nel periodo in cui si cambiano i denti da latte non è come essere sdentati da adulti, che a sua volta non corrisponde all’essere sdentati da vecchi. Solo l’essere sdentati da adulti è privazione naturale (ossia in rapporto a ciò che per natura si dovrebbe possedere in un determinato tempo), negli altri casi si ricade nella privazione assoluta che ammonta a dire: “X è sdentato”. La “X” può essere qualsiasi cosa. È come dire che una pianta è cieca: è vero che è priva di vista, ma in ogni caso non dovrebbe possederla.

44 Le sostanze possono ricevere i contrari in tempi diversi o in parti diverse (da freddo posso diventare caldo e posso avere solo le mani fredde).

45 Nella prima forma di relazione entrambi i termini sono relativi, ossia il loro essere si riduce alla relazione, mentre nella seconda forma di relazione solo uno dei due termini è relativo in sé.

46 La contraddizione è tra “sta bene” e “non sta bene”, l’uguale come predicato ammonta alla negazione congiunta di “è grande” ed “è piccolo” o di “è maggiore” ed “è minore”. In formule predicative, “S è P” è contraddetta da “S non è P”, mentre si dà negazione privativa in forma di “S non è né P1 né P2” o in forma di coppia “S non è P1” + “S non è P2” dove P1 differisce da P2. L’elemento privativo della negazione privativa sta proprio nell’avvenire tra differenti e non tra diversi: “apophasis steretike […] signifie, non pas la contradiction pure et simple, mais [...] celle qui est contenue […] dans les quantités” (Tricot 1953: 555). Insomma, la negazione privativa include due negazioni che sono in contraddizione con le rispettive affermazioni in riferimento allo stesso genere: la negazione privativa è una certa contraddizione complessa. 47 Cf. Zanatta (1997: 594): “una è la scienza dei relativi, come Aristotele afferma esplicitamente, per esempio, in De Part. Anim. I, 1, 641b 1 sgg.”. Inoltre, che i relativi come contrari siano contrari è una tesi ricorrente in Elders 1961. Castelli

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privazione: nulla sarebbe più naturale dell’essere la relazione per sé una certa contrarietà48.

Nonostante ciò, non si può dar torto a Morales (1991: 7, già riportato supra): la subordinazione tra i tipi di opposti avviene a livello estensionale e non a livello intensionale. È l’equivocità della privazione a far sì che si diano inclusioni estensionali senza confusione intensionale, visto che vanno distinti i sensi in cui qualcosa è privazione e, quindi, se si tratta di privazione come contrarietà (punto 5 della tavola) o di privazione come contraddizione (punto 2 della tavola). Estensionalmente, la privazione è un sottoinsieme della contraddizione e la contrarietà lo è della privazione, cosicché la contrarietà è contraddizione solo mediante l’inclusione della privazione nel dominio della contraddizione49. Di conseguenza, la privazione ha maggiore estensione della contrarietà: la contrarietà è quel sottoinsieme della privazione che si può denominare privatio perfecta50.

L’opposizione relativa tra contrari è intensionalmente o concettualmente qualcosa di diverso dall’opposizione contraria tra contrari: i relativi non possono avere intermedi, i contrari sì51. Essi,

inoltre, sono distinti in virtù dell’implicazione dal resto dei contrari: si tratta del convertirsi (antistrephein, cf. § 2.2.1), che è sintomo sicuro di relatività – se c’è il relato, c’è anche il correlato e viceversa (ciò vale anche per i relativi cognitivi52). Riguardo alla temporalità tipica della privazione e della contrarietà, la stessa sostanza non può accogliere entrambi i contrari nello stesso momento e la presenza di uno dei due contrari non implica necessariamente la presenza dell’altro in un’altra

(2018: 165), pur mostrandosi dubbiosa, ammette che “in I.6 Aristotle mentions the distinction without taking any distance from it and in I.7 the distinction between relatives that are contraries and relatives that are not contraries is implicitly resorted to without further additions”. Dal canto nostro, riteniamo che riconoscere nei relativi come contrari una certa contrarietà, così come “la privazione è una certa contraddizione” (ἡ δὲ στέρησις ἀντίφασίς τίς ἐστιν, Metaph. X.4, 1055b 3-4, trad. Berti) e “ogni contrarietà sarà privazione, ma […] non ogni privazione sarà contrarietà” (ἡ μὲν ἐναντίωσις στέρησις ἂν εἴη πᾶσα, ἡ δὲ στέρησις … οὐ πᾶσα ἐναντιότης, Metaph. X.4, 1055b 14-15, trad. Berti), favorisce l’armonia interna alla tavola degli opposti e che Aristotele avesse a cuore tale armonia: infatti, non è strumento dialettico ripreso dalla filosofia prima il solo distinguere i significati, ma anche il ricercare i rapporti fra di essi lo è (cf. Rossitto 2000: 48). 48 Dove relazione per sé si intende quella in cui i relativi si interdefiniscono, in accordo con Top. VI.6 – cf. supra. Inoltre, la conoscenza è un relativo per sé perché si definisce mediante il suo oggetto ed è pure il contrario di ignoranza (cf. Cat. 7, 6b15-27). In proposito Castelli (2018: 164) commenta: “But these contraries are not the corresponding relatives: knowledge is contrary to ignorance, and ignorance is not what knowledge is relative to. So this cannot be what Aristotle has in mind in I.6, because in I.6 he seems to have in mind two different cases concerning things that are relative to each other”. Tuttavia, nel paragrafo precedente si è visto che Harari 2011 presenta argomenti forti a favore dell’inclusione della conoscenza tra i relativi per sé. Infine, è proprio perché la conoscenza è un relativo per sé il cui relato non è a esso contrario che questa può avere un contrario: i relativi come contrari sono esclusi dalla possibilità di avere contrari perché sono già contrari tra di essi. È, del resto, proprio Iota 4 a chiarire che “a una cosa sola non vi possono essere più contrari” (οὐκ ἐνδέχεται ἑνὶ πλείω ἐναντία εἶναι, 1055a 19-20, trad. Berti).

49 Cf. Tricot 1953: 550. Vale la pena ricordare al lettore che, come nota Rossitto (1977: 43, cf. supra l’incipit dell’articolo riportato in nota), è proprio in tale capitolo che Aristotele si occupa dei rapporti tra le opposizioni.

50 Cf. Tricot 1953: 552. La distinzione tra privazione e contrarietà consente di risolvere l’opposizione uguale/grande e piccolo: non si tratta di una contrarietà, bensì di una privazione – più esattamente di una negazione privativa o contraddizione complessa con riferimento a un dato genere (cf. supra).

51 Questo vuol dire che solo i contrari privi di intermedio possono essere relativi (cf. Rossitto 2011: 222); più esattamente, solo una sottoclasse di essi lo è.

52 La conoscenza e il conosciuto (conoscibile in atto) si implicano a vicenda, ma la conoscenza implica il conoscibile (conosciuto in potenza) senza che quest’ultimo implichi la conoscenza – cf. § 2.2.1.

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sostanza; invece, una sostanza può ricevere entrambi i relativi nello stesso tempo ma sotto rispetti diversi (uno stesso individuo può essere figlio e padre rispetto a individui diversi, essendo figlio del nonno del figlio) e ciò comporta la presenza del correlato in un’altra sostanza. Dei relativi al modo dei contrari si può, insomma, dire che ciascuno dei due contrari implica necessariamente la presenza dell’altro in un’altra sostanza. Ciò significa che fra i contrari non tutti presentano l’antistrephein, ma quelli che lo presentano sono relativi in virtù di un modo d’opposizione che li distingue dagli altri contrari: la contrarietà relativa è una certa contraddizione con implicazione, estensionalmente inclusa nella contraddizione mediante la privazione e concettualmente distinta mediante l’implicazione53.

La prima parte di Iota 6, incentrata sulle conseguenze impossibili di sostenere l’opposizione tra uno e molti senza qualificazioni ulteriori, argomenta contro l’assimilazione dell’uno a un numero e, quindi, a una molteplicità minimale distinguendo due sensi della molteplicità (il molteplice come divisibile e il molteplice come misurato)54. La seconda parte del capitolo discute il molteplice come

misurato in quanto tipo di relazione per poi ritornare alla distinzione con la molteplicità come divisibile:

L’uno dunque si oppone ai molti come la misura al misurabile. Questi sono come i relativi a qualcosa, quelli tra i relativi a qualcosa che non sono per sé. È stato da noi distinto altrove che i relativi a qualcosa si dicono in due modi, alcuni come contrari, altri come scienza in relazione a scibile, cioè per il fatto che qualcos’altro è detto in relazione ad esso. Che l’uno sia minore di qualcosa, per esempio del due, nulla lo impedisce; non è <detto> infatti che, se è minore, sia anche poco. La moltitudine è come un genere del numero, poiché il numero è una moltitudine misurabile per mezzo dell’uno, e l’uno e il numero in qualche modo si oppongono, non come contrari, ma – secondo quanto è stato detto – come alcuni dei relativi a qualcosa: in quanto infatti l’uno è misura, mentre l’altro è misurabile, in questo modo si oppongono. Perciò non tutto ciò che è uno è numero: per esempio, se qualcosa è indivisibile, <è uno, ma non è numero>. La scienza, pur essendo detta nello stesso modo rispetto allo scibile, non si riferisce <ad esso> nello stesso modo. Sembrerebbe infatti che la scienza sia misura, e lo scibile <sia> il misurato, invece accade che ogni scienza è scibile, mentre non ogni scibile è scienza, perché in qualche modo la scienza è misurata per mezzo

53 La relazione è un’opposizione bifida così come l’implicazione è bifida potendo essere reciproca o meno (cf. Rossitto 2011: 220). L’implicazione reciproca dà luogo ai relativi contrari, mentre l’implicazione unilaterale dà luogo ai relativi non contrari come scienza e scibile (dove la scienza implica lo scibile senza che quest’ultimo implichi la scienza, cosicché la scienza ha il suo contrario nell’ignoranza e non nello scibile).

54 Cf. Tricot 1953: 557. Per un inquadramento storico-teorico della discussione delle aporie e in generale della prima parte del capitolo in rapporto alla seconda si rinvia a Castelli 2005. La studiosa fa riferimento a Speusippo, mentre Elders (1961) ritiene un riferimento imprescindibile Ermodoro (un rimando a tale allievo di Platone compare in Castelli 2018: 165). Berti (2004a: 207-208) considera lo schema categoriale di Ermodoro, a cui Elders riconduce la divisione dei relativi in contrari e non contrari reperibile in Iota 6, una testimonianza attendibile delle dottrine non scritte di Platone stesso. Tuttavia, Berti preferisce parlare di dialettica non scritta piuttosto che di vere e proprie dottrine, almeno per quanto concerne Platone.

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dello scibile. La moltitudine non è contraria al poco – ma a questo <è contrario> il molto come moltitudine eccedente a molteplicità ecceduta –, né <è contraria> all’uno in tutti i modi; ma in un modo <essi sono contrari> come è stato detto, perché l’una è divisibile mentre l’altro è indivisibile, invece in un altro modo <essi sono> relativi a qualcosa come la scienza allo scibile, qualora <la moltitudine> sia numero e l’uno misura (ἀντίκειται δὴ τὸ ἓν καὶ τὰ πολλὰ τὰ ἐν ἀριθμοῖς ὡς μέτρον μετρητῷ· ταῦτα δὲ ὡς τὰ πρός τι, ὅσα μὴ καθ’ αὑτὰ τῶν πρός τι. διῄρηται δ’ ἡμῖν ἐν ἄλλοις ὅτι διχῶς λέγεται τὰ πρός τι, τὰ μὲν ὡς ἐναντία, τὰ δ’ ὡς ἐπιστήμη πρὸς ἐπιστητόν, τῷ λέγεσθαί τι ἄλλο πρὸς αὐτό. τὸ δὲ ἓν ἔλαττον εἶναι τινός, οἷον τοῖν δυοῖν, οὐδὲν κωλύει· οὐ γάρ, εἰ ἔλαττον, καὶ ὀλίγον. τὸ δὲ πλῆθος οἷον γένος ἐστὶ τοῦ ἀριθμοῦ· ἔστι γὰρ ἀριθμὸς πλῆθος ἑνὶ μετρητόν, καὶ ἀντίκειταί πως τὸ ἓν καὶ ἀριθμός, οὐχ ὡς ἐναντίον ἀλλ’ ὥσπερ εἴρηται τῶν πρός τι ἔνια· ᾗ γὰρ μέτρον τὸ δὲ μετρητόν, ταύτῃ ἀντίκειται, διὸ οὐ πᾶν ὃ ἂν ᾖ ἓν ἀριθμός ἐστιν, οἷον εἴ τι ἀδιαίρετόν ἐστιν. ὁμοίως δὲ λεγομένη ἡ ἐπιστήμη πρὸς τὸ ἐπιστητὸν οὐχ ὁμοίως ἀποδίδωσιν. δόξειε μὲν γὰρ ἂν μέτρον ἡ ἐπιστήμη εἶναι τὸ δὲ ἐπιστητὸν τὸ μετρούμενον, συμβαίνει δὲ ἐπιστήμην μὲν πᾶσαν ἐπιστητὸν εἶναι τὸ δὲ ἐπιστητὸν μὴ πᾶν ἐπιστήμην, ὅτι τρόπον τινὰ ἡ ἐπιστήμη μετρεῖται τῷ ἐπιστητῷ. τὸ δὲ πλῆθος οὔτε τῷ ὀλίγῳ ἐναντίον—ἀλλὰ τούτῳ μὲν τὸ πολὺ ὡς ὑπερέχον πλῆθος ὑπερεχομένῳ πλήθει—οὔτε τῷ ἑνὶ πάντως· ἀλλὰ τὸ μὲν ὥσπερ εἴρηται, ὅτι διαιρετὸν τὸ δ’ ἀδιαίρετον, τὸ δ’ ὡς πρός τι ὥσπερ ἡ ἐπιστήμη ἐπιστητῷ, ἐὰν ᾖ ἀριθμὸς τὸ δ’ ἓν μέτρον, 1056b 32-1057a 17, trad. Berti, i passi iniziale e finale sono già stati riportati sopra).

Il passo sussume l’uno e i molti sotto un tipo di relativi, per poi spiegare la divisione dei relativi in due tipi. Nel primo caso la relazione è reciproca ed entrambi i relativi sono per sé tali, mentre nel secondo caso la relazione è unilaterale e uno dei due relativi è tale solo perché l’altro è detto relativo