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2.6 Il kosmos come significato

2.6.2 Endoxa ed essere

Inquadriamo, ora, concettualmente il ruolo mediatore svolto dagli endoxa, poiché ne va della retta comprensione della semantica aristotelica. Ciò comporta l’interrogarsi sull’opinione comune e sulla scienza. Se, infatti, la doxa come opinione individuale può essere nel vero o nel falso ma senza fondamento, la doxa comune e ciò che in essa si trova (l’endoxon appunto) si basano sull’esperienza per fondare a loro volta le scienze filosofiche prima e seconda. Non si fa la matematica con l’opinione comune ma con gli assiomi, mentre la via ai principi filosofici è innegabilmente dialettica – almeno secondo una certa tradizione interpretativa. Se tale tradizione ha dalla sua parte ciò che Aristotele fa per fondare la fisica e la filosofia prima, la si potrà comunque accusare di mostrare un Aristotele infedele alla propria teoria della scienza. Tuttavia, non se ne può negare la fedeltà alla prassi scientifica dello Stagirita; il che dovrebbe portare a riconoscere il fatto che la teorizzazione degli

Analitici Secondi verte sulle matematiche e non sulla filosofia246. A chi ne volesse trarre un’immagine

schiettamente dialettica della filosofia aristotelica è piuttosto facile obiettare che il seguente passo propone tutt’altra immagine della via ai principi247:

245 Tale terza via è così definita: “sono ‘opinioni condivise’ quelle che costituiscono l’opinione di tutti, o della maggior parte delle persone, o dei sapienti, e, tra questi, o di tutti, o della maggior parte, o di quelli più noti e stimati” (Top. I.1, 100b 21-23, trad. Fermani). Si tratta di opinioni comunitarie, non di erronee convinzioni del singolo o di pochi individui. 246 Cf. Medda (2016: 837, cv. ns., cf. Id.: 821-827): “Le scienze che più possono aver assolto il compito di fungere da modello per la proposta aristotelica sono senz’altro le matematiche, a più riprese citate come esempio massimo di rigore”. Ciò ricorda quanto detto da Düring(1976: 111) circa il primo libro Analitici Secondi: “non tratta dunque della scienza in generale, bensì di una particolare forma del sapere, che noi siamo soliti definire come scienza deduttiva o assiomatica”. 247 Se in Francia e in Italia, nonché nel mondo anglosassone, si sono affermate letture che vedono nella dialettica la via aristotelica ai principi – si vedano Berti 1989, Rossitto 2000, Morresi 2002: 15-38, Travaglini 2009 e, per una ricostruzione critica, Frede 2012 –, in Germania (Primavesi 2010, Frede 2012 e Rapp 2017) e in Portogallo (Mesquita 2017) si è teso a ridimensionare l’uso e la natura della dialettica, nonché la pervasività del metodo dialettico nel corpus. Ciò è dovuto, forse, all’unilateralità di due grandi fautori della lettura dialettica di Aristotele, ossia a Weil (1951: 292), Wieland (1993: 76) e Berti (2005a, a più riprese criticato in Rapp 2017). In Rapp 2017, tuttavia, è riconosciuto un legame tra l’aporia degli scritti filosofico-scientifici e il problema dialettico dei Topici – a riprova del fatto che molto del ridimensionamento del ruolo filosofico della dialettica è frutto della reazione a una sua eccessiva valorizzazione da parte di certi esegeti. Inoltre, Frede (2012: 186) mostra chiaramente di sentirsi di fronte a un’esagerazione ed evoca una sorta di gigantomachia, parlando di “friends of the endoxa” così come nel Sofista si parla di amici delle forme: “if these friends were right, every method used to set up the starting-points of a science would be endoxic, including Aristotle’s own injunctions” (ibid.).

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Dalla percezione si produce dunque la memoria, come siamo soliti chiamarla, e dalla memoria della stessa cosa che spesso si produce, l’esperienza. Infatti le memorie, molte di numero, costituiscono una sola esperienza. Dall’esperienza o dall’universale che riposa tutto nell’anima, dall’uno oltre i molti, ciò che è uno e identico è presente in tutti quelli, si produce il principio [l’inizio] dell’abilità tecnica e della conoscenza scientifica, e precisamente dell’abilità tecnica quando abbia a che fare con la produzione, della conoscenza scientifica quando abbia a che fare con quel che è. […] È chiaro allora che per noi è necessario conoscere le cose prime [prota] con l’induzione; infatti è proprio così che la percezione introduce in noi l’universale. […] i principi [archai] sono più noti delle dimostrazioni e ogni conoscenza scientifica è accompagnata dal ragionamento, non può esserci conoscenza scientifica dei principi, e poiché non ci può essere nulla di più vero della conoscenza scientifica se non l’intellezione, l’intellezione deve avere per oggetto i principi […]. Se allora non abbiamo alcun altro genere vero oltre alla conoscenza scientifica, l’intellezione deve essere principio della conoscenza scientifica. E l’una può essere considerata il principio del principio, mentre l’altra nel suo complesso sarà nella stessa relazione col suo oggetto nel suo complesso (Ἐκ μὲν οὖν αἰσθήσεως γίνεται μνήμη, ὥσπερ λέγομεν, ἐκ δὲ μνήμης πολλάκις τοῦ αὐτοῦ γινομένης ἐμπειρία· αἱ γὰρ πολλαὶ μνῆμαι τῷ ἀριθμῷ ἐμπειρία μία ἐστίν. ἐκ δ' ἐμπειρίας ἢ ἐκ παντὸς ἠρεμήσαντος τοῦ καθόλου ἐν τῇ ψυχῇ, τοῦ ἑνὸς παρὰ τὰ πολλά, ὃ ἂν ἐν ἅπασιν ἓν ἐνῇ ἐκείνοις τὸ αὐτό, τέχνης ἀρχὴ καὶ ἐπιστήμης, ἐὰν μὲν περὶ γένεσιν, τέχνης, ἐὰν δὲ περὶ τὸ ὄν, ἐπιστήμης… δῆλον δὴ ὅτι ἡμῖν τὰ πρῶτα ἐπαγωγῇ γνωρίζειν ἀναγκαῖον· καὶ γὰρ ἡ αἴσθησις οὕτω τὸ καθόλου ἐμποιεῖ… αἱ δ’ ἀρχαὶ τῶν ἀποδείξεων γνωριμώτεραι, ἐπιστήμη δ' ἅπασα μετὰ λόγου ἐστί, τῶν ἀρχῶν ἐπιστήμη μὲν οὐκ ἂν εἴη, ἐπεὶ δ’ οὐδὲν ἀληθέστερον ἐνδέχεται εἶναι ἐπιστήμης ἢ νοῦν, νοῦς ἂν εἴη τῶν ἀρχῶν… εἰ οὖν μηδὲν ἄλλο παρ’ ἐπιστήμην γένος ἔχομεν ἀληθές, νοῦς ἂν εἴη ἐπιστήμης ἀρχή. καὶ ἡ μὲν ἀρχὴ τῆς ἀρχῆς εἴη ἄν, ἡ δὲ πᾶσα ὁμοίως ἔχει πρὸς τὸ πᾶν πρᾶγμα, An. Post. II.19, 100a 3-100b 17, trad. Mignucci).

La risposta al quesito su come si pervenga ai principi delle scienze, filosofiche e non, è offerta da Aristotele stesso a chi volesse leggerlo in chiave di psicologia della conoscenza248, nonché di una

embrionale psicologia dello sviluppo249:

248 Cf. Feola (2016: 4): “L’epistemologia [aristotelica] indica i caratteri che i principî della scienza devono avere, ma è la psicologia teorica [di Aristotele] a spiegare il loro raggiungimento”.

249 Una lettura del genere coglie la differenza specifica rispetto allo spirito anti-psicologista inauguratosi con Frege e Peirce in filosofia della logica. In Aristotele la teoria dei termini (nome e verbo) e dell’enunciazione, così come il discorso sui principi, non può prescindere da considerazioni sul nous dell’anima e sulla dianoia. È l’uomo a ragionare e questo comporta una forma a cui è relativo un determinato tipo di materia e non altri. Peirce può scrivere delle macchine logiche quanto segue: “La logica stessa non ha niente a che fare con i processi del pensare. Essa si limita a confrontare le premesse con le conclusioni, e dunque non ha nulla a che fare con alcuna caratteristica della mente che non possa essere condivisa da macchine prive di coscienza o da segni esterni” (Peirce 2003: 136). Per Aristotele nel caso di una tale condivisione si sarebbe trattato di techne che imita la natura, di un occhio dipinto e non vivente.

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Per questo uno potrebbe anche chiedersi perché, allora, un ragazzo può diventare matematico, ma non un sapiente o un fisico; non è forse perché alcune discipline derivano dall’astrazione mentre i princìpi di altre vengono dall’esperienza, e perché alcune cose i giovani le dicono a parole, senza esserne convinti, mentre non sfugge loro l’essenza di altre? (Eth. Nic. VI.9, 1142a 17-21, trad. Natali)250.

L’esperienza di un singolo medico può essere più che sufficiente a giungere all’universale designato da An. Post. II.19 come afferente ai prota provenienti da esperienza e sensazione, come esemplificato in Metaph. I.1:

L’arte nasce qualora da molte conoscenze dell’esperienza si generi un’unica assunzione universale intorno ai casi simili. Infatti l’assumere che questa determinata cosa ha giovato a Callia, ammalato di questa determinata malattia, e <che ha giovato> a Socrate, e così a molti considerati individualmente, è proprio dell’esperienza. Invece <l’assumere> che essa ha giovato a tutti gli individui di un certo tipo, definiti secondo un’unica specie, ammalati di questa determinata malattia, per esempio ai flemmatici o ai biliosi, quando bruciano di febbre, è proprio dell’arte (981a 5-12, trad. Berti).

Il testo citato vale anche per le scienze: scienza (episteme) e arte (techne) differiscono soltanto per il fine, rispettivamente “contemplativo” e produttivo (cf. An. Post. II.19). I principi oggetto dell’intelletto – le archai e non i prota – non possono essere ricondotti alla percezione e all’induzione, poiché secondo il De anima sono chiaramente oggetti intellettuali251. Essendo precluse all’uomo la

percezione e l’induzione dei principi, essi devono ricorrere all’astrazione: infatti, il passo sopra citato dall’Etica Nicomachea pone chiaramente l’alternativa tra esperienza e astrazione, concordando con il fatto che il modello principale di scienza negli Analitici Secondi sono le matematiche. D’altra parte,

250 Cf. Lucchetta (2009: 102): “due sono i modi del conoscere delineati da Aristotele, uno che si snoda attraverso i concetti e l’altro che sorge dall’esperienza”. La rilevanza del passo per la questione della ricerca dei principi è stata colta già da Wieland (1993: 67), tuttavia sparisce ogni riferimento alla sophia o filosofia prima nella parafrasi del passo offerta dallo studioso tedesco. Può giovare leggere quello che Koyré scrive commentando il Teeteto: “È stato quindi necessario liberare l’anima del giovane Teeteto […]. È proprio l’accecamento dell’anima da parte delle opinioni ciò che ci aveva colpito fin dagli inizi del dialogo: avevamo visto infatti come Teeteto fornisse a Socrate un esempio meraviglioso di ragionamento veramente scientifico e come nello stesso tempo non sapesse rispondere alla domanda: che cos’è la scienza. Per dare una risposta corretta avrebbe potuto solamente descriverci ed esporci esattamente ciò che stava facendo” (Koyré 1956a: 98). Ma una tale chiarezza e autoriflessione richiede tempo ed esperienza.

251 Si vedano gli esempi di intelligibili matematici in De an. III.6 discussi in Trentini 2016. Bisogna tenere presente che “non è chiaro se i primi (τὰ πρῶτα: 100b4), di cui si dice che sono conosciuti per induzione (ossia una sorta di ascesa dal meno generale al più generale), siano i primi principi, gli assiomi delle scienze, oppure i generi sommi. Ma ciò fa parte della forse voluta ambiguità del discorso Aristotelico in cui non è mai chiaramente distinta la questione della formazione dei concetti da quella della formazione delle proposizioni singolari, particolari e universali” (Mignucci 2007: 303-304). Va detto che il testo di Metaph. I.1 parla della stessa cosa con più chiarezza e con un esempio ben articolato: se ne può derivare che si tratta di proposizioni universali che figurano tra le prime scoperte in un dato ambito scientifico-tecnico. Del resto, un discorso analogo si può fare sul noema di animale o su quello di un determinato tipo di animale: un conto è conoscerli e un conto è conoscerne il principio, ossia la definizione di anima sensitiva.

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in An. Post. II.19, 100b 2-3, anche animale come genere e un tale animale come specie sono frutto d’induzione (si tratta, quindi, di prota), ma per giungere al principio (arche) di tutti i viventi, ossia alla definizione di anima (cf. Mingucci 2015: 27), l’esperienza di un singolo, persino quella dell’Aristotele autore della Historia animalium, è poca cosa252. L’astrazione che sembra costituire

l’intellezione di An. Post. II.19 non può essere la via percorsa dall’uomo per giungere ai principi oggetto della sapienza (filosofia prima) e della fisica (filosofia seconda) – cf. Eth. Nic. VI.9, 1142a 17-21, già citato; per giunta, l’astrazione è – come si è detto – una via alternativa all’esperienza, disponibile già da prima del formarsi di quest’ultima, sebbene entrambe richiedano in qualche modo la capacità di vedere il simile intesa come predisposizione all’attività intellettuale253. Per conoscere i

principi della sapienza e della filosofia è necessario, invece, il confronto con le opinioni e le esperienze dei sapienti che se ne sono già occupati da lungo tempo254: di fatti la discussione dei

predecessori in De an. I.2-5 è premessa irrinunciabile a De an. II.1-2 e gli esiti di essa, lo si è visto nella sezione precedente, vengono ripresi all’inizio della sezione De an. III.3-8255. Giungiamo così a

una terza fonte per i principi, oltre all’esperienza e all’astrazione: la tradizione. Essa non va, però,

generalizzata a tutti i saperi, poiché il suo dominio specifico è la filosofia teoretica (sapienza e fisica).

252 In realtà, come nota Vegetti (cf. Vegetti, Lanza 1971: 97-102), Aristotele non si limita alla propria esperienza, ma tiene conto di quella altrui e delle tecniche relative al mondo animale come la pesca e l’allevamento. In questo non può non ricordare Darwin (cf. Pievani 2013: 39-90). Cf. Lucchetta (2009: 280): “nella prassi del ricercatore di scienze naturali [aristotelico] deve esistere una coscienza storica, anche se non strutturata secondo canoni rigidamente storiografici; essa aiuta a relativizzare i propri risultati ponendoli in un contesto di discussione comune”.

253 Cf. “Cosicché si deve dare ascolto ai detti non dimostrati e alle opinioni degli esperti e degli anziani o dei saggi, non meno che alle dimostrazioni, infatti, per il fatto di avere ‘occhio’ che deriva dall’esperienza, essi vedono correttamente” (Eth. Nic. VI.12, 1143b 11-14, trad. Natali). L’occhio dell’esperto si può paragonare alla capacità innata di vedere il simile condivisa dal matematico e dal poeta, inoltre è da notare che quest’ultimo per trovare metafore può ricorrere all’analogia o proporzione matematica (cf. Lo Piparo 2011).

254 È stato, infatti, sostenuto gli endoxa rientrano fra i phainomena (cf. Pritzl 1994), seguendo tale pista si potrebbe arrivare a dire che gli endoxa falsi sono solo endoxa apparenti – ma questo andrebbe quantomeno ristretto agli endoxa che possono essere premesse dialettiche. Si potrebbe anche azzardare la seguente analogia endoxa : doxai = phainomena : phantasmata, ma uno studio come Astolfi 2011 invita a essere prudenti in proposito.

255 Per un’analisi basata su di un’ampia rassegna della letteratura in materia si rinvia a Mingucci 2015: 27-39. La lettura qui proposta non corrisponde esattamente a tale analisi, ma non risulta incompatibile. L’analisi è svolta alla luce della metodologia degli Analitici Secondi, ma nel seguito della presente sezione si mostrerà come in tale metodologia rientrino tanto gli endoxa quanto gli strumenti della dialettica.

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Ad ulteriore conferma, leggiamo i seguenti passi dei Topici, rispettivamente sull’utilità della dialettica e su alcune delle premesse dialettiche256, alla luce di quanto detto sinora257:

Inoltre, per quanto riguarda le scienze filosofiche, tale ricerca è utile perché, rendendoci in grado di sollevare aporie rispetto ad entrambi i versanti della questione, ci farà scorgere più facilmente il vero e il falso in ciascun ambito. […] Inoltre essa è anche utile rispetto ai principi primi di ciascuna scienza. Infatti, a partire dai principi propri alla scienza in questione, è impossibile dire qualcosa sui principi stessi della scienza di cui ci si sta occupando, dal momento che i principi vengono prima di qualsiasi altro elemento; e quindi è necessario, per riflettere su di essi, far ricorso alle opinioni condivise espresse su ciascuno di essi. Questa, dunque, è la caratteristica

peculiare della dialettica, o l’elemento che maggiormente la caratterizza; infatti, essendo essa

‘esaminatrice’, possiede la via d’accesso ai principi di tutte le altre scienze (Top. I.2, 101a 34- 101b 4, trad. Fermani).

Inoltre è evidente che tutte le opinioni in accordo alle scoperte delle tecniche sono premesse dialettiche; infatti uno può sostenere ciò che sembra a coloro che conducono delle ricerche in questi settori, come per esempio, rispetto alle questioni mediche, <si giudicherà> in accordo con quanto ritiene il medico, mentre, rispetto alle questioni della geometria, come farebbe il geometra; e lo stesso vale per gli altri casi (Top. I.10, 104a 33-37, trad. Fermani).

Berti (1993: 32-33), interpretando Metaph. IX. 10, 1051b 32-33 proprio sull’intellezione dei principi, afferma: “Poiché, dunque, Aristotele qui sta trattando delle forme, cioè delle essenze, ed afferma che di esse si deve cercare la definizione, la precisazione ‘se esse siano tali o no’ non può che alludere alla precisa formulazione di un problema dialettico, cioè a quel tipo di ricerca delle definizioni che viene compiuto dalla dialettica, la quale è una ricerca per mezzo di argomentazioni”258. Con questo si

256 Definite nel seguente modo: “diciamo ‘premessa dialettica’ una domanda fondata su (1) un'opinione condivisa da (1a) tutti, (1b) o dalla maggior parte delle persone, (1c) o dai sapienti e, di questi, (1cα) o da tutti o (1cβ) dalla maggior parte o (1cγ) da quelli più noti, e […] che non sia paradossale; infatti si può accettare ciò che ritengono i sapienti, solo nel caso in cui ciò non sia contrario alle opinioni dei molti” (Top. I.10, 104a 8-12, trad. Fermani). Gli endoxa erano già stati definiti in Top. I.1, ma si può dire che in Top. I.10 la “definizione di premessa dialettica contiene l’indicazione più nota e potremmo dire generalissima di che cosa sia un ἔνδοξον, anche se qui il termine è utilizzato come aggettivo attribuito a ἐρώτησις, nel senso che appunto Aristotele risulta precisare che nel caso di una premessa dialettica l’ἔνδοξον, cioè l’opinione condivisa, deve essere oggetto di interrogazione” (Rossitto 2015: 19). Infatti, “è addirittura necessario che colui che svolge il ruolo del domandante «chieda» la concessione di tale premessa, vale a dire la concessione di un ἔνδοξον” (ibid.). Insomma, facendo un parallelo con i semeia, come i semeia sono cose che vogliono essere espresse da premesse, così gli endoxa sono opinioni che vogliono essere espresse da premesse in forma di domanda.

257 Si ricordi che sin dalle prime battute del presente capitolo si è sospeso il giudizio sull’ordine cronologico degli scritti aristotelici e si è preferito considerare tali scritti un système où tout se tient. Non si vuole porre la coerenza sistematica di Aristotele, che non è Hegel, bensì la coerenza del discorso aristotelico: la filosofia di Aristotele viene così letta come una lingua filosofica piuttosto che come un sistema concettuale, come un sistema di segni e non di concetti: il discorso di un greco e non l’assiomatica di un moderno.

258 Anche Wieland (1993: 77-78) connette proprio l’argomentare in entrambe le direzioni del problema (affermativa e negativa) all’utilità della dialettica nel rinvenimento dei principi. Va detto che Berti (1993: 33) estende la procedura a tutte le scienze ed è questo il punto controverso della sua interpretazione.

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confuta un intuizionismo generalizzato per quanto concerne i principi e si rivendica la via dialettica ai principi per quanto riguarda le scienze filosofiche. D’altra parte, non è un caso che filosofia prima e fisica (filosofia seconda) vertano anzitutto sulle sostanze, oggetti di definizione per eccellenza: questo le dota di uno statuto epistemologico del tutto particolare e giustifica il fatto che per esse esperienza e astrazione non bastino nella ricerca dei principi. È a questo punto interessante considerare che Cubeddu (2016: 74-75) sembra suggerire un parallelismo tra il nous degli Analitici e la capacità di trovar metafore (vedere il simile): “Kant aveva però avvertito che la capacità di giudizio […] è un dono naturale che non si può insegnare a chi ne è sprovvisto” (Id.: 75). “La formula ‘principio del principio’ [...] si riferisce al nous delle regole, al principio non dimostrativo dei principi indimostrabili dell’apodissi” (Id.: 72), insomma a quell’intelletto atto a cogliere assiomi e definizioni259, in un certo senso caratterizzato dall’essere un dono naturale260. Crediamo sia possibile

cogliere nel nous umano una capacità che non è frutto d’esperienza e apprendimento, ma che da questi può essere portata all’eccellenza261. In questa direzione, prendiamo le mosse dal seguente passo della

Poetica (22, 1459a 5-10): “Ma la cosa più importante di tutte è riuscire nelle metafore. È la sola cosa

questa che non si può apprendere dagli altri, ed è segno di una naturale disposizione di ingegno; infatti il saper trovare belle metafore significa vedere e cogliere la somiglianza delle cose fra loro” (trad. in Travaglini 2009: 129). Concordiamo con Travaglini (2009: 128), che intende il vedere262 le somiglianze tra le cose in continuità con il pro ommaton poiein della Retorica (III. 2, 1405a 5-10): “Questo porre dinanzi agli occhi fa pensare a una componente sensibile, pittorica o iconica nella produzione dei significati, che il linguaggio metaforico riesce a esibire come momento fondamentale del processo semantico” (Ead.: 134). Eppure, ciò non le impedisce di constatare la presenza della

dimensione epistemica nella metafora, ossia il vedere il simile che caratterizza l’intelletto come dono

naturale (cf. Ead.: 130-131)263. Del resto, il De memoria et reminiscentia spiega il ruolo

259 Cf. De an. III.6, 430b 26-30 (già testo 13 della precedente sezione) più esplicitamente Eth. Nic. VI.6, 1141a 7-8 e VI.9, 1142a 25-26. All’intelletto si può riconoscere anche il ruolo di “principle of the synthesis of concepts in a judgement (430a26-8): ‘the cause of unity is nous in every case’ (430b5)” (Kahn 1995: 372). Ciò spiega sia l’intellezione degli assiomi che la congiunzione di definiens e definiendum nel giudizio d’identità. In questi due casi l’intelletto agisce da solo sull’immaginazione (cf. testo 16 in § 2.5.2), mentre nella produzione di doxai e ragionamenti, nonché di narrazioni, esso deve necessariamente collaborare con la dianoia.

260 Cf. “mentre nessuno è sapiente per natura, comprensione, senno e intelletto sono innati” (Eth. Nic. VI.12, 1143b 6-7, trad. Natali).

261 Sugli aspetti scientifico-matematici della metafora aristotelica ha insistito molto Lo Piparo 2011.

262 Non con gli occhi della mente, ma con quelli veri e propri: “Tutti gli esseri umani per natura desiderano sapere. Ne è segno il godimento <che si prova nell’esercizio> dei sensi, poiché <questi> sono goduti per sé stessi, anche indipendentemente dall’utilità, e più di tutti gli altri quello che <si esercita> per mezzo degli occhi. Infatti non solo per agire, ma anche quando non intendiamo compiere nessuna azione, preferiamo il vedere a tutte, per così dire, le altre cose. La causa è che questo ci fa conoscere più di tutti i sensi, perché ci mostra molte differenze” (Metaph. I.1, 980a 21-27, trad. Berti). È cogliendo somiglianze e differenze che per Aristotele giungiamo a formulare definizioni scientifiche, ossia tali da cogliere l’essenza delle cose.

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dell’immaginazione nel pensiero mediante un esempio geometrico e facendo “riferimento ad un processo di visualizzazione, espresso con il verbo ‘mettere davanti agli occhi’ (tithetai pro ommaton), che prescinde dalle reali dimensioni della cosa pensata” (Fedele 1999: 115). La predisposizione noetica e metaforica non basta per avere accesso alla filosofia prima o sapienza, ossia al compimento divino264 della natura umana: “la sapienza è scienza e intelletto delle cose più elevate per natura” (Eth. Nic. VI.7 ,1141b 2-3, trad. Natali). La disposizione naturale si deve aggiungere, come si è già visto, all’esperienza propria e altrui che porta alle kata philosophian epistemai, alle filosofie prima