• Non ci sono risultati.

2.5 Del significato

2.5.3 Isomorfismo o omeomorfismo?

L’isomorfismo è una tesi semantica e comporta che la realtà o, meglio, il cosmo rientra, in quanto

compagine di forme, nel contenuto del linguaggio. Le due trattazioni più approfondite

dell’isomorfismo aristotelico nella letteratura dedicata al linguaggio in Aristotele sono Wieland 1993 e Sadun Bordoni 1994214. Rilevanti sono anche le osservazioni fatte da Coseriu e Modrak.

Quest’ultima scrive:

That Aristotle chooses to use logos for cognitive objects as different as sensory contents and meanings is all the more striking when one considers that, for Aristotle, there are only two types of cognition broadly defined. Every exercise of either the perceptual or noetic faculty of the soul is the realization of an object that Aristotle calls a logos. The role of the logos is the same in both cases; it affords an analysis of the object. An object-as-perceived is not simply red, for instance, but a particular ratio of light to dark. A term-as-thought is not simply a word, ‘cat’, for instance, but a particular notion of a small, domesticated feline. […] The world is intelligible because, independent of human minds, it is so structured as to be accessible to human minds. The accessibility depends upon the possibility of realizing in perception and thought the same structures as are found in the world (Modrak 2001: 260-261).

La considerazione dell’uso di logos tanto per le forme sensibili nel senso quanto per le forme intelligibili nel pensiero è il filo conduttore che porta la studiosa a formulare l’isomorfismo

212 Cf. Rini (2015: 93): “La successione di differenze può poi essere convertita in una successione di generi subordinati (una ‘colonna predicativa’ genere-specie) corrispondenti all’ordine delle differenze”.

213 Esse non hanno, quindi, differenze specifiche che le distinguano, bensì caratteristiche peculiari o idia (cf. § 2.2.1). 214 Raspa 2018 e, soprattutto, Travaglini 2009 trovano in Wieland 1993 un punto di riferimento interpretativo, come del resto Laspia 2018.

130

aristotelico. È con esattezza matematica che lo Stagirita sceglie lo stesso termine: l’analogia tra senso e intelletto è una proporzione matematica (identità di rapporti) e costituisce il principio architettonico dell’intera teoria degli animali. L’isomorfismo espresso nei termini di Modrak non è privo di giustificazioni all’interno di tale teoria: infatti, in De an. III.1 si dimostra che non si danno altri sensi oltre ai cinque noti. Ciò significa che, alla luce del principio degli infima obbligatori presente in Aristotele e del principio della conoscenza secondo il quale l’ordine sensibile trasmette l’ordine intelligibile (cf. § 2.5.2), l’essere umano ha pieno accesso all’ordine o taxis del cosmo, essendo dotato di tutti i cinque sensi e dell’intelletto passivo. Inoltre, la dimostrazione include le seguenti considerazioni: “a meno che non esista un altro corpo o una qualità che non appartenga ad alcuno dei corpi di quaggiù, non ci può mancare nessun senso” (III.1, 425a 11-13, trad. Movia). Ma non esistono altri elementi nel mondo sublunare al di là dei quattro citati nel corso della dimostrazione e, quindi, non mancandoci alcun senso, tutto possiamo sentire, visto che la sensazione è la forma dei sensibili. A Coseriu (2010: 118-119) va il merito, invece, di aver colto l’antesignano di un tale isomorfismo: Eraclito di Efeso215.

Passando a Wieland (1993: 7), il libro inizia letteralmente con le seguenti parole di Hegel:

I Greci avevano della parola pura e del puro sviluppo di una frase la stessa considerazione che avevano della cosa. E quando parola e cosa si oppongono l’un l’altra, è alla parola che spetta il primato; la cosa inespressa è infatti propriamente una cosa irrazionale, il razionale esiste solo in quanto linguaggio.

Wieland compie sostanzialmente due operazioni per mostrare la verità della sentenza hegeliana (cf.

Id.: 182-189): dapprima, storicizza la tesi hegeliana sulla base della storia della grammatica come

oggettivazione del linguaggio (ancora agli albori ai tempi di Aristotele e destinata a compiersi con gli Stoici216) in modo da potersi assicurare che valga per lo Stagirita; successivamente, difende la bontà

fenomenologica dell’approccio aristotelico al linguaggio217. Non solo faremmo bene a non proiettare

su Aristotele la nostra “coscienza filosofica e scientifica” (Id.: 183) segnata da secoli di oggettivazione del linguaggio (la controparte grammatologica dell’onto-teologia), ma dovremmo anche prestargli ascolto, ascoltando Aristotele un po’ come si ascolta l’essere218: “il linguaggio non è

215 Lucchetta (2010a: 267-342) elabora un vero e proprio confronto tra la sophia di Eraclito e quella di Aristotele, vale la pena citare il suo incipit: “È il momento di affrontare la questione se esista un insegnamento eracliteo e se l’erede non sia per di più proprio lo stesso Aristotele” (Id.: 267).

216 Di fatto, il peccato originale di oggettivare il linguaggio è imputato ai Sofisti: se Aristotele talvolta ci casca sta, da buon Adamo, mangiando del frutto proibito per colpa di Eva.

217 Se si legge una critica fenomenologica alla linguistica e alla logica come Pos 2016, si può convenire che l’aggettivo “fenomenologico” fa riferimento proprio alla prospettiva inaugurata da Husserl.

218 Tanto che Travaglini (2009: 53) si trova a dover esplicitare le differenze tra Aristotele e Heidegger, proprio perché la lettura di Wieland potrebbe portare a un eccessivo accostamento tra i due. La studiosa è, inoltre, attenta a evitare letture

131

mai un oggetto tra gli altri; proprio i tentativi messi in atto nella logistica e nella semantica moderne hanno indicato che è impossibile considerare il linguaggio come un tutto oggettivo” (Id.: 184)219. Il

confronto è con Heymann Steinthal (cf. Id.: 184-185): questi avrebbe colto con chiarezza l’isomorfismo aristotelico, ma avrebbe sbagliato nel considerarlo una visione primitiva del linguaggio220. Wieland esprime questo giudizio dalla prospettiva delle concezioni fenomenologica ed

ermeneutica del linguaggio: Aristotele coglie da bravo fenomenologo il darsi del linguaggio e in tale darsi il pensiero e le cose non sono extralinguistiche. Del resto, anche Steinthal giudica l’isomorfismo aristotelico alla luce di una prospettiva teorica esterna ai testi aristotelici, ossia la psicologia del linguaggio dell’Ottocento221. Ecco, infine, l’esito della ripresa wielandiana della tesi hegeliana sul

linguaggio nei Greci:

In questo tentativo di interpretazione abbiamo attribuito grande importanza al fatto che parlare (o pensare) ed essere non siano in Aristotele due ambiti reciprocamente contrapposti e che rimandano l’uno all’altro, e che dunque l’analisi del nostro parlare delle cose costituisca già il campo specifico di ogni concreta ricerca dei principi e non abbia soltanto la funzione di un’analisi propedeutica (Id.: 189).

L’isomorfismo ricostruito da Modrak è quello tra mente e mondo, mentre Wieland dà voce a un vero e proprio isomorfismo tra parlare, pensare ed essere. Ma isomorfismo non significa lo stesso nei due casi: l’isomorfismo, scientificamente definito, significa che due domini, se analizzati, presentano la stessa struttura funzionale e una corrispondenza biunivoca tale che per l’analisi formale i due domini sono identici222, non avendo senso chiedersi quale si adegua all’altro o quale dipenda dall’altro (una

tale dipendenza romperebbe l’isomorfismo). Una simile concezione rende giustizia a Wieland. Modrak opta, invece, per una lettura simile alla posizione da noi raggiunta in § 2.3, ma senza coincidere esattamente con essa: l’isomorfismo è orientato e, quindi, dal nostro punto di vista non è veramente tale. Esso è tale solo etimologicamente: le stesse forme, nel caso del rapporto pensato- cose, si trovano nell’anima e nel cosmo. Lo chiamiamo, per chiarezza, omeomorfismo orientato: la

strutturaliste di Aristotele, che troverebbero un appoggio nel riconoscimento da parte di Wieland (1993: 188) alle “strutture fondamentali” del linguaggio di “una funzione trascendentale”. Per un riconoscimento del trascendentalismo linguistico nello strutturalismo hjelmsleviano si veda Paolucci 2003.

219 È interessante notare che nel caratterizzare la grammaticalizzazione del linguaggio avvenuta in età ellenistica Wieland (1993: 183) parla di “sistema di segni”, dando così un’immagine che renderebbe ben contento Hjelmslev (1972). 220 Cf. Wieland (1993: 184): “L’osservazione è in sé giusta: ci si chiede soltanto se il punto di vista dal quale Steinthal critica Aristotele […] possa dare realmente conto del livello fenomenologico della filosofia aristotelica”. Siamo inclini a pensare che, come nell’interpretazione Wieland così in quella di Steinthal, linguaggio, pensiero ed essere sono tre domini che, se analizzati, presentano la stessa struttura funzionale e una corrispondenza tale che per l’analisi formale i tre domini sono identici.

221 Vi è un secolo per l’isomorfismo e un secolo contro l’isomorfismo così come, pascalianamente, vi è un secolo per le more e un secolo per le bionde.

132

forma è detta simile perché l’ordine intelligibile entra capovolto nella mente – aspetto che Modrak non ha adeguatamente colto –, l’orientamento consiste nel fatto che è la mente che si assimila alle

forme del mondo. Quindi, non sarebbe esatto dire che il mondo è fatto in maniera tale da poter essere

conosciuto: è la mente che, essendo costituita di sistemi relativi al mondo, è fatta per conoscerlo. Certo, l’identità tra scienza e scibile nel caso delle forme intelligibili senza materia in quanto tali è perfetta durante la cognizione in atto, ma questo non toglie l’omeomorfismo: in Etica Nicomachea X.7 si parla, facendo eco al Teeteto, di assimilarsi per quanto si può. Inoltre, ciò che il dio è sempre (noesis noeseos), l’uomo lo è talvolta (cf. Metafisica XII.9) e mediatamente, come già detto (cf. § 2.5.2, commento al testo 18). Contrariamente a quanto sostenuto da Wieland, è ravvisabile nei testi dello Stagirita una distinzione tra analisi del significante e analisi del significato (cf. Baratin, Desbordes 1981); la cosa è interessante perché, se lo studioso tedesco muove da una prospettiva ermeneutico-fenomenologica, Marc Baratin e Françoise Desbordes, che su tale distinzione insistono, risultano rispettivamente agrégées di grammatica e lettere. La situazione si complica se si passa a Sadun Bordoni 1994: alle letture ermeneutica e linguistica si aggiunge una lettura ispirata alla filosofia analitica223. Ecco radunate le maggiori prospettive sul linguaggio del secolo scorso. Baratin

e Desbordes (1981) non si occupano di isomorfismo (pur richiamando l’attenzione sulla distinzione aristotelica tra significante e significato), ma si è visto che Coseriu lo ha fatto: il dato è rilevante, poiché in tutte e tre le tradizioni non è mancato chi ha letto Aristotele alla luce dell’isomorfismo – in senso lato o stretto. Tutto ciò pare indirizzare alla fondatezza di una tale lettura, ma il problema è come declinarla in maniera fedele ai testi (si ripropone così il ruolo metasemiotico nei confronti del testo aristotelico e meta-metasemiotico nei confronti delle metasemiotiche aristoteliche del nostro discorso – cf. § 2.1.2). Per farlo bisogna inquadrare la posizione di Gianluca Sadun Bordoni (1994: 39-65). Nonostante le differenze riscontrabili rispetto a Wieland, si può notare l’accostamento dell’approccio linguistico alla Sofistica, stavolta colpevole di convenzionalismo e relativismo (cf. Id.: 53, 64). Le conclusioni dello studioso sull’“isomorfismo di pensiero, linguaggio e realtà” di De int. 1 sono le seguenti:

Il limite delle precedenti interpretazioni c’è [sic] apparso consistere nell’aver queste ristretto indebitamente il suddetto isomorfismo al piano empirico, trascurando gli indizi che consentono chiaramente di vedere come Aristotele abbia in mente anzitutto la corrispondenza strutturale o

223 Il testo è documentato rispetto a ogni tradizione novecentesca relativa al linguaggio, ma la scelta di campo è chiara: “Più in generale, sebbene l’accentuazione saussuriana dell’importanza delle «relazioni interne» in una lingua per spiegare i significati abbia senz’altro valore per una semantica generale, la sua tendenziale esclusione dal tessuto della lingua di ogni «relazione esterna» (riferimento a oggetti) sembra difficilmente difendibile” (Sadun Bordoni 1994: 188). Segue – in nota nella stessa pagina – un accostamento di Hjelmslev all’esecrabile ipotesi Sapir-Whorf, che si rifà a De Mauro 1970: 218.

133

metafisica tra forme linguistiche, del pensiero e realtà oggettuale, in subordine quella tra le varie articolazioni di tali forme e solo da ultimo quella empirica. Decisivi, come abbiamo visto, sono a tal fine i riscontri intratestuali. L’universalità della corrispondenza, poi, riguarda solo i primi due livelli (o, se si preferisce, le due scansioni del primo livello [forme linguistiche e del pensiero e loro articolazioni]), così come la convenzionalità del simbolo si applica solo sul piano della concreta varietà delle lingue (Id.: 64).

Anche nel caso dello studioso italiano si può applicare, facendogli giustizia, l’isomorfismo in senso stretto: la struttura oggettuale del mondo (oggetti indivisibili e oggetti complessi, nonché la loro struttura modale) è la stessa di noemata e proposizioni e delle loro articolazioni modali, che a sua volta corrisponde biunivocamente con termini e giudizi224. Detto ciò, il divario con Wieland è

abissale:lo studioso tedesco non ha in alcun modo in mente la struttura logica del mondo, piuttosto la sua precomprensione linguistica. Inoltre, Wieland (1993: 231), avendo innanzitutto presente le potenzialità dell’articolo determinativo in greco e il suo ruolo per l’esplicitazione della precomprensione linguistica del mondo fisico, scrive di Aristotele: “Certamente il suo linguaggio è però un’estrema e difficilmente imitabile riformulazione del greco, e ciò proprio perché egli realizza unilateralmente, ma virtuosisticamente, una determinata possibilità di questa lingua, portandola all’esasperazione”. L’articolo, per Sadun Bordoni e per il suo Aristotele, non è altro che un accidente empirico del greco. In generale, l’idea di isomorfismo espressa dallo studioso italiano è affine a quella proposta da Lo Piparo e criticata in § 2.4. Questo, però, non implica il dover dare ragione a Wieland. Cominciando a tirare le fila del discorso, si è osservato in § 2.3 che l’isomorfismo muta di significato

a seconda della relazione coinvolta: artificialità tra scritto e parlato, convenzionalità naturale tra

parlato e pensato (cf. § 2.4), naturalità tra pensato e pragmata. La naturalità dell’isomorfismo comporta l’identità della forma, e ciò si è visto con Modrak. La tesi che qui pare più aderente ai testi è quella di una somiglianza analogica tra parlato e pensato (già anticipata in § 2.3)225: infatti, parlando

si può dire il vero o il falso, ma a essere propriamente vere o false sono le opinioni o i giudizi, ossia i corrispettivi mentali degli enunciati vocali. Gli enunciati sono verità e falsità solo per analogia, così come il rapporto tra parole (nomi e verbi) e enunciato è identico a quello tra pensieri semplici e pensieri complessi: infatti, le parole non sono semplici in sé226, ma in rapporto all’enunciato.

224 Anche qui è interessante notare che Sadun Bordoni 1994 offre una ricostruzione del “rapporto fra grammatica e logica” (Id.: 67) in linea con quanto Hjelmslev (1998: 63) dice di Aristotele: “conviene tener presente che le nozioni fondamentali definite dal filosofo greco risalgono ad un’epoca in cui non si distingueva molto chiaramente tra logica e linguistica. È fuor di dubbio che il suo punto di vista fondamentale è quello di un logico: ma, in ogni caso, egli ha fornito le nozioni che sono divenute le basi dello sviluppo della grammatica fin dall’antichità”.

225 Lo Piparo (2003: 180), invece, caratterizza in questi termini il rapporto tra operazioni dell’anima e fatti.

226 Le parole si dividono in sillabe e poi in lettere. È in virtù del loro contenuto semantico semplice che sono dette semplici, così come gli enunciati sono detti veri o falsi in virtù della verità o della falsità del loro contenuto. Ciò non toglie che fra

134

L’equivalenza tra parlare e pensare sostenuta da Wieland non può valere227, ma vale che pensare ed essere “non siano in Aristotele due ambiti reciprocamente contrapposti e che rimandano l’uno all’altro” (Wieland 1993: 189): lo si è visto con la ripresa in chiave pluralista e multivocista di Parmenide commentando il testo 14228, ma se ne coglierà pienamente il senso in § 2.6. Infine, va

ribadito che l’omeomorfismo orientato è anzitutto una tesi semantica, quella appunto della somiglianza rappresentativa con i pragmata, che trascendono l’essere includendo anche il non essere (in disaccordo con Wieland 1993 e in accordo con Raspa 2018, che pure riprende le considerazioni di Wieland sulla convenzionalità del linguaggio). Esso si pone a monte della distinzione vero/falso, ristretta al discorso enunciativo, per abbracciare l’intera sfera del discorso in quanto semantico, rispondendo a un’esigenza ben formulata da Lo Piparo (2003: 178):

La similarità di παθήματα dell’anima e πράγματα non distingue il vero dal falso. Vero e falso sono, a pari titolo, simili ai fatti a cui si riferiscono […]. Un esempio. Domani ci sarà una battaglia

navale // Domani non ci sarà una battaglia navale: una delle due proposizioni risulterà vera,

l’altra falsa; entrambe sono ὁμοιώματα del fatto che accadrà o non accadrà.