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Registro epistemologico e registro retorico del discorso sui semeia

2.4 Symbola e semeia tra natura e cultura

2.4.3 Registro epistemologico e registro retorico del discorso sui semeia

Passando dal rapporto symbola-semeia al semeion in quanto tale, i registri con cui il segno è trattato da Aristotele si rivelano essere sostanzialmente due, ma anch’essi sono ben lungi dall’essere irrelati: da una parte quello epistemologico, con particolare riferimento alla fisiognomica nel capitolo degli

Analitici Primi qui in discussione, dall’altra quello retorico strettamente legato al mondo umano nella

sua dimensione contingente e culturale. Ancora una volta il nostro discorso si articolerà come una metasemiotica interpretativa dei testi aristotelici e, al tempo stesso, come una metasemiotica che ha per oggetto altre metasemiotiche – tanto interpretative quanto rappresentative – che prendono per oggetto i testi aristotelici. D’altronde, tale procedura ha già dato prova della sua efficacia in § 2.3 e in § 2.4.1-2.

La sfera del segnico, secondo Aristotele, abbraccia l’umano e l’animale130; ulteriore conferma di ciò

si trova in De int. 2: “manifestano certo qualcosa anche i suoni inarticolati, per esempio delle bestie, nessuno dei quali è un nome” (δηλοῦσίγέτικαὶοἱἀγράμματοιψόφοι, οἷονθηρίων, ὧνοὐδένἐστιν

ὄνομα, 16a 28-29, trad. Zanatta, su tale passo si ritornerà nella prossima sezione).

Questioni sul rapporto tra i due registri appena individuati emergono dalle considerazioni di Hermann Weidemann (1989), che infatti evidenzia degli scarti fra la trattazione analitica e quella retorica dei segni. Egli, infatti, sostiene che negli Analitici Primi tutti i semeia danno luogo a sillogismi non validi: solo le prove (tekmeria) sarebbero segni tali da garantire la validità del sillogismo (sono gli unici a poter essere assunti in prima figura), mentre gli indizi (semeia) vengono assunti solo in sillogismi

130 A conferma della rilevanza zoologica del tekmerion discusso negli Analitici Primi si possono citare Lucchetta 1990 e, con preciso riferimento alle inferenze segniche in zoologia, le considerazioni di Mario Vegetti (cf. Vegetti, Lanza 1971: 97-102). Secondo Manetti (2013: 31), lo Stagirita attinge dalla tradizione medica greca per quanto concerne tekmerion e semeion. Per ulteriori utilizzazioni del segno nelle scienze empiriche da parte di Aristotele e Teofrasto si veda Barnouw (2002: 131-134). Inoltre, Bellucci 2018b mostra come Aristotele sia ritornato sullo statuto epistemologico del segno negli Analitici Secondi, ossia in sede di teoria della scienza e non di semplice teoria dell’inferenza.

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della seconda e terza figura senza che si possa ricondurli alla prima. Diverso è il discorso per il seguente passo di Retorica I.2, ovvero:

Un altro [semeion] ancora si trova nella stessa relazione che intercorre tra l’universale e il particolare, ad esempio se si dicesse che segno che uno ha la febbre è il fatto che ha una respirazione frequente. Anche questo segno è confutabile, anche nel caso sia vero: è possibile infatti avere difficoltà di respirazione anche se non si ha la febbre (τὸ δὲ ὡς τὸ καθόλου πρὸς τὸ κατὰ μέρος ἔχον, οἷον εἴ τις εἴπειεν ὅτι πυρέττει σημεῖον εἶναι, πυκνὸν γὰρ ἀναπνεῖ. λυτὸν δὲ καὶ τοῦτο, κἂν ἀληθὲς ᾖ· ἐνδέχεται γὰρ καὶ μὴ πυρέττοντα πνευστιᾶν, 1357b 17-21, trad. Gastaldi mod.).

Al riguardo, Weidemann (1989) afferma:

the latter argument is likely to be meant to be a valid but unsound inference in the first figure rather than an invalid second figure inference. For to say that one may breathe fast without having a fever is to deny what the statement “Whoever breathes fast has a fever” is intended to assert, namely, that it is necessary for a fast breathing man to have a fever (Id.: 348, c.vo ns.).

Sorge, quindi, il problema se i segni (semeia) poggino su premesse false o gli entimemi che li hanno come premesse siano invalidi, ossia caratterizzati da conclusioni non-deduttive (cf. Rapp 2002: 204- 206).

Similmente a Weidemann, ma da una prospettiva che vede nel carattere il fattore decisivo della persuasione (cf. Garver 1994: 147), Eugene Garver insiste sulle differenze piuttosto che sugli elementi in comune:

In the sciences, reasoning serves a variety of functions, and it is Aristotle’s achievement in the

Organon to show that there is a single logical structure and a single organon that applies to all

those functions. Syllogisms are valid and complete regardless of whether they are employed for discovery, proof, or teaching. […] It is that independence of form from purpose that is in question for rhetorical argument. Like scientific reason, practical reason serves many functions, but in this case their variety prevents the abstraction of an organon (Id.: 144).

Nonostante ciò, i testi della Retorica e degli Analitici Primi come sono giunti e solitamente editi e tradotti puntano a una profonda coerenza per quanto concerne le assunzioni di fondo131:

131 Smith (1989: 226-227) sottolinea a più riprese la continuità tematica con la Retorica, ma finisce per considerare la parte sulla fisiognomica una mera aggiunta: “this passage found its place here only because it is concerned with certain physical states as signs of states of character” (Id.: 227). È vero che si tratta di due registri diversi, ma la trattazione formale è la stessa dei segni e la fisiognomica è un caso particolare di tekmerion necessitante la posizione di alcune condizioni perché risulti valido (cf. Mignucci 1969: 725): se di un’aggiunta si tratta, senz’altro è un’aggiunta felice perché consente di inquadrare un dominio d’applicazione dei sillogismi segnici diverso dalla retorica.

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non lo si dice perché lo si sa (τὸ μὲν οὐ λέγουσι διὰ τὸ εἰδέναι, An. Pr. II.27, 70a 19-20, trad. Mignucci)

per provare che Dorieo ha vinto una gara premiata con una corona, basta dire che ha vinto a Olimpia, e non c’è bisogno di aggiungere che i giochi olimpici hanno come premio una corona, perché lo sanno tutti (ὅτι Δωριεὺς στεφανίτην ἀγῶνα νενίκηκεν· ἱκανὸν γὰρ εἰπεῖν ὅτι Ὀλύμπια νενίκηκεν, τὸ δ’ ὅτι στεφανίτης τὰ Ὀλύμπια οὐδὲ δεῖ προσθεῖναι· γιγνώσκουσι γὰρ πάντες, Rhet. I.2, 1357a 19-21, trad. Gastaldi).

si crede che sia stato provato (δεδεῖχθαι οἴονται, An. Pr. II.27, 70a 22, trad. ns. sulla base di Smith

ad loc.)

attribuiamo infatti maggiormente credibilità quando riteniamo che una cosa sia stata dimostrata (τότε γὰρ πιστεύομεν μάλιστα ὅταν ἀποδεδεῖχθαι ὑπολάβωμεν, Rhet. I.1, 1355a 5-6, trad. Gastaldi).

Inoltre, la retorica si fonda sull’analitica:

Come ci siamo trovati a dire anche prima, infatti, è vero che la retorica è composta dalla scienza analitica e dalla scienza politica relativa ai caratteri e che da una parte è simile alla dialettica e dall’altra ai discorsi sofistici (ὅπερ γὰρ καὶ πρότερον εἰρηκότες τυγχάνομεν ἀληθές ἐστιν, ὅτι ἡ ῥητορικὴ σύγκειται μὲν ἔκ τε τῆς ἀναλυτικῆς ἐπιστήμης καὶ τῆς περὶ τὰ ἤθη πολιτικῆς, ὁμοία δ’ ἐστὶν τὰ μὲν τῇ διαλεκτικῇ τὰ δὲ τοῖς σοφιστικοῖς λόγοις, Rhet. I.4, 1359b 8-12, trad. Gastaldi).

E vi è una chiara divisione del lavoro:

Si è detto ora che cosa siano il probabile, il segno e la prova e in che cosa differiscano, ma riguardo a questo e al motivo per cui alcuni sono adatti alla costruzione di un sillogismo e altri invece non lo sono, si è precisato più chiaramente negli Analitici (τί μὲν οὖν εἰκός ἐστι καὶ τί σημεῖον καὶ τεκμήριον, καὶ τί διαφέρουσιν, εἴρηται μὲν καὶ νῦν, μᾶλλον δὲ φανερῶς καὶ περὶ τούτων, καὶ διὰ τίν’ αἰτίαν τὰ μὲν ἀσυλλόγιστά ἐστι τὰ δὲ συλλελογισμένα, ἐν τοῖς Ἀναλυτικοῖς διώρισται περὶ αὐτῶν, Rhet. I.2, 1357b 21-25, trad. Gastaldi).

È possibile mostrare come la persuasività venga a prevalere sulla forma logica nella Retorica (cf. Piazza 2000: 108), ma ciò non implica che la validità logica sia ristretta alle sole prove rendendo tutti i segni premesse di entimemi apparenti. Vi è, infatti, un controesempio alla tesi secondo la quale negli

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“Pittaco è di animo liberale perché gli ambiziosi sono di animo liberale e Pittaco è ambizioso” (An. Pr. II.27, 70a 25-27, trad. Piazza132).

Siamo di fronte a un sillogismo segnico non necessario in prima figura (a un semeion che dà luogo a un sillogismo valido), pur essendo in prima figura e avendo la premessa minore vera, è reso confutabile dalla premessa maggiore che è falsa: la premessa minore è in questo caso un semeion perché, pur essendo vera, il sillogismo è confutabile. Infatti, è vero che tutte le donne che hanno latte sono incinte (premessa maggiore in “Tutte le donne che hanno latte sono incinte, questa donna ha latte; dunque, è incinta”), ma non è vero che tutti gli ambiziosi sono generosi (premessa maggiore in “Tutti gli ambiziosi sono generosi, Pittaco è ambizioso; dunque, Pittaco è generoso”); nonostante ciò, entrambi i sillogismi sono in prima figura e condividono la stessa struttura logica (non sono solo i

tekmeria a poter essere messi tale figura). Nel cogliere la specificità della retorica, Francesca Piazza

(2000: 131) riafferma la coerenza tra Analitici e Retorica, perché è proprio in An. Pr. II.27 che si trova questo controesempio. Inoltre, Analitici e Retorica concordano, sebbene mediante procedure diverse, nell’indicare quali sono i segni non necessari che danno sempre luogo a entimemi apparenti, ossia confutabili e invalidi (in seconda e terza figura). Eppure, si danno segni confutabili ma validi, ossia semeia in prima figura.

Tornando a Garver, l’opposizione tra scientific reason e practical reason non è quella più pertinente per cogliere lo scarto fra i due regimi di segni. L’opposizione è piuttosto tra il logos e la sua privazione:

Perciò gli esseri dotati di potenza secondo discorso fanno <anche> cose contrarie a <quelle che fanno> gli esseri dotati di potenza senza discorso; da un unico principio infatti sono abbracciati <entrambi i contrari>, cioè dal discorso (Metaph. IX.2, 1046b 22-24, trad. Berti).

Certamente dire che la fisiognomica si occupa solo di connessioni logicamente necessarie133 a

differenza della retorica, che è il campo del contingente perché in essa opera la potenza umana dei

132 Piazza 2000: 131. In An. Pr. II.27, 70a 28-29, infatti, si legge “in questo modo, dunque, essi divengono deduzioni” (οὕτω μὲν οὖν γίνονται συλλογισμοί, trad. ns. sulla base di Smith 1989: ad loc.). Γίνονται συλλογισμοί si riferisce, così, all’esempio citato da Piazza e a “che i sapienti sono buoni: infatti Pittaco è buono; ma è anche sapiente” (ὅτι οἱ σοφοὶ ἀγαθοί· Πιττακὸς γὰρ ἀγαθός, ἀλλὰ καὶ σοφός, An. Pr. II.27, 70a 27-28, trad. Mignucci); rispettivamente si tratta di un sillogismo in prima figura e di un sillogismo in terza figura. Il sillogismo in terza figura su Pittaco risulta apparente, ma ciò non risulta in una caratterizzazione riguardante tutti i sillogismi segnici in tale figura: “il sillogismo non è né universale, né in riferimento all’oggetto della prova” (μὴ εἶναι καθόλου μηδὲ πρὸς τὸ πρᾶγμα τὸν συλλογισμόν, An. Pr. II.27, 70b 31-32, trad. Mignucci). Solo i sillogismi segnici in seconda figura risultano sempre apparenti (cf. An. Pr. II.27, 70b 34-36).

133 Come si vedrà nel caso di rendere psyche con “anima”, anche qui l’uso del termine “fisiognomica” per l’oggetto della seconda parte di An. Pr. II.27 fa parte di una battaglia semantica per introdurre l’accezione aristotelica nella lingua italiana: la fisiognomica non è frenologia né qualcosa di misticheggiante, come si vorrebbe invece oggi nell’uso comune. Riportare le accezioni aristoteliche di “anima” e “fisiognomica” nella lingua italiana non è altro che accettare la sfida di ricondurre l’ilemorfismo al giorno d’oggi sotto forma di risposta al mind-body problem.

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contrari che inerisce tanto alle tecniche quanto alla deliberazione, sarebbe un riproporre l’opposizione netta tra contingente e necessario, che compare all’inizio di Rhet. I.2 per poi essere superata134. I

tekmeria sono tutti alogoi e, quindi, necessari sia in un campo che nell’altro. Entrando nella retorica,

però, diventano soggetti alla possibilità di non persuadere: “In cases of deliberative and instrumental reasoning, reason persuades me because I want to […]. Prior to deliberation, I am committed to following reason where it leads, because I am deliberating about means to an end I already have” (Garver 1994: 145, cf. Piazza 2000: 113 n.53, 129, 134). Ma questo ha ben poco a che fare con l’opposizione ragione teoretica-ragion pratica, tanto che anche sul principio più saldo di tutti è possibile decidere di tacere: “purché l’avversario dica soltanto qualcosa; se invece non dice nulla, è ridicolo cercare un discorso contro chi non dispone di un discorso di nulla” (Metaph. IV.4, 1006a 13- 14, trad. Berti).

La coerenza fra trattazione analitica e trattazione retorica dei segni non toglie, però, il primato della

Retorica nel rivelare la natura relazionale del segno. Infatti, se l’oggettualità del segno negli Analitici Primi rimanda ai relativi dinamici, nulla nel testo giustifica e fa pensare che si volesse sottolineare

tale relazionalità. Come già nel caso del De interpretatione, si possono cogliere nella Retorica tanto un’interpretabilità in potenza del testo in chiave relazionale (vi sono appigli testuali) quanto l’effettiva interpretazione da parte di alcuni studiosi in chiave relazionale. Di nuovo, alla luce della raffinata teoria esegetica avanzata da Zadro, si tratta di vedere se la rappresentazione logica elaborata dagli interpreti possa risultare omologa alle concezioni logiche aristoteliche. Si tratta ancora una volta di vedere se il sistema aristotelico ammetta o meno che quanto gli interpreti chiamano “relativo” sia chiamato a ragione “relativo”.

Le note di commento a Rhet. I.2 stilate in Buckley 1995 sono di particolare rilievo in proposito: utilizzando informalmente le nozioni mereologiche di parte e intero135, lo studioso inquadra in un

unico sistema di relazioni logiche i principali strumenti della retorica (eikos, esempio, segni e prova), che permette anche un confronto con l’induzione. Nella simbolizzazione che si riporta in basso, la freccia indica la direzione della relazione d’implicazione o contenimento, mentre gli elementi della

134 Cf. Buckley 1995: 18, per tale opposizione; tuttavia, in merito a essa Kennedy (1991: 43 n.62) giustamente nota che “Aristotle will modify this in what follows: some signs are necessary, others only probable”.

135 Gli aspetti mereologici della trattazione aristotelica vengono ravvisati anche in Rapp 2002: 208. Una schematizzazione meno ampia e attenta a tali aspetti è in Manetti 1987: 125.Tuttavia, tale schematizzazione sembra giustificare le seguenti considerazioni in una maniera che non risulta altrettanto trasparente in Buckley: “Il nesso tra questi due tipi di premesse retoriche [eikota e semeia] è, anzi, talmente forte che, in alcuni casi, è possibile trasformare un eikos in segno o fondare la validità di un segno attraverso un eikos” (Piazza 2000: 132). Insomma, se in An. Pr. II.27 è ben chiara la contrapposizione tra segni e eikota, nella Retorica in confini diventano più labili tanto che Piazza può arrivare a dire: “Perché una premessa (perfino nel caso dei tekmeria [prove]) possa essere utilizzata con una ragionevole speranza di successo in un sillogismo retorico, essa deve esprimere un’opinione autorevole o comunque accettabile [eikos] dall’interlocutore” (Id.: 134). D’altra parte, la contrapposizione tra eikos e semeion figura anche in Rhet. I.2, ma per essere indebolita (cf. Kennedy 1991: 43).

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combinatoria sono C (contingente o capace di essere altrimenti), N (necessario o incapace di essere altrimenti), i (intero) e p (parte):

C (i→p) = eikos

p→i = segno1 corrispondente a induzione imperfetta o incompleta136 (da un singolo caso all’universale137)

non-N (i→p) = segno2 N (i→p) = prova

i(class as many)→i(class as one) = induzione perfetta o completa

p→p = esempio

Limitandoci alle relazioni segniche, le formule ci dicono che la prova è individuata da una relazione necessaria tra intero e parte, il segno1 da una relazione tra parte e intero e, infine, il segno2 da una relazione non-necessaria tra intero e parte. È mediante il confronto tra diverse rappresentazioni che intendiamo giungere a definire la relazione segnica aristotelica nei termini della nostra metasemiotica interpretativa (cf. § 2.3.1). Ora, abbiamo tratto questa rappresentazione dall’interpretazione offerta da Buckley proprio per poterla confrontare con le rappresentazioni di Weidemann e di William Grimaldi. Anzitutto, notiamo che le relazioni segniche di Buckley corrispondono – eccezion fatta per i termini

universal e particular utilizzati al posto di “intero” e “parte” – con quelle identificate da Weidemann

(1989: 343), che le sintetizza nel seguente schema:

136 Smith (1989: 227) rintraccia la stessa corrispondenza in An. Pr. II.27.

137 Va detto, come tiene presente lo stesso Buckley (1995: ad loc.), che Aristotele distingue terminologicamente tra singolo caso (kath’ekaston) e parte (kata meros). Una simile utilizzazione di tali termini si trova anche negli Analitici primi e fa da riferimento principale assieme ai Topici per le considerazioni di Mignucci 2000. Tuttavia, p si applica tanto a kath’ekaston quanto a kata meros, se è vero che i kath’ekaston “have only themselves as their predicative parts” (Id.: 14). Cosa s’intenda con “predicative parts” sarà spiegato a breve.

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I segni presi in senso generico sono detti tutti contrarre una relazione analoga a quella particolare- universale o alla sua inversa. La terminologia è meno raffinata di quella di Buckley, ma dal punto di vista estensionale la tassonomia è la stessa. L’altra tassonomia di cui si diceva è quella di Grimaldi.

(a) First figure: tekmerion […] which is related to its signate as a universal to a particular. (b) Second figure: semeion anonymon, which is related to its signate as a universal to a particular […].

(c) Third figure: semeion anonymon, which is related to its signate as a particular to a universal (Grimaldi 1980: 67).

Essa aggiunge l’indicazione delle figure sillogistiche, utilizzate per trattare di tekmerion e semeia negli Analitici, tuttavia Piazza (2000: 131, già riportato supra) fa notare che vi possono essere semeia in prima figura: essere in prima figura è condizione necessaria, ma non sufficiente per essere

tekmerion138. Come risulta dallo schema di Weidemann, è la necessità a distinguere il tekmerion dai

semeia. La suddivisione di Grimaldi presenta comunque un vantaggio terminologico, ossia la fedeltà

al principio linguistico concernente i correlati stabilito in Cat. 7: in analogia con timonato e alato per timone e ala (cf. § 2.2.1), Grimaldi utilizza signate per il correlato del segno. Almeno sotto questo aspetto, egli offre la rappresentazione logica più fedele ad Aristotele. Tuttavia, resta un problema da risolvere: in Cat. 7 si è osservato l’esito problematico per il quale relativi e parti non cadono sotto la stessa categoria. Come già visto, gli studiosi rimandano agli ulteriori sviluppi della mereologia di

138 Il tekmerion, se vero, dà luogo a un sillogismo inconfutabile, ossia a un sillogismo in prima figura in cui la premessa maggiore è vera (il tekmerion è la premessa minore).

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Aristotele per riconoscere come temporaneo un simile esito. Dal canto nostro, la differenza non è cronologica (Aristotele non ha cambiato opinione), ma prospettica: logicamente le parti sono sostanziali (la mia mano può accogliere certi contrari rimanendo la stessa – ad es., diventare da fredda calda e viceversa), fisicamente le parti sono relative (l’ilemorfismo è una dottrina fisica e non logica)139. Infatti, le parti, nella misura in cui figurano come materia fisica di un tutto, ricadono tra i relativi140. La sostanzialità delle parti delle sostanze viene accantonata per un modello in cui alle parti

della definizione (genere e differenza specifica) corrisponde una gerarchia interna alle parti del sinolo tale che, specialmente nei viventi, la parte necessaria alla sussistenza del sinolo corrisponde al genere (la parte “cuore” corrisponde al genere “animale”), mentre la parte che serve a distinguere l’individuo dagli individui delle specie congeneri corrisponde alla differenza specifica141. Una mano senza corpo

non è più una mano, perché la mano come ciascuna parte subordinata è relativa all’intero, mentre quest’ultimo è accidentalmente relativo ad essa142. Una rappresentazione completa richiede, dunque,

che si parli non solo di thing signified (Buckley) o di signate (Grimaldi), ma implica anche una lettura mereologico-relazionale che renda conto al meglio di espressioni come os ton katholou ti pros to kata

meros e os ton kathekaston ti pros to katholou. Fa al caso nostro Mignucci (2000), che sostiene al

tempo stesso la lettura mereologico-relazionale della quantificazione aristotelica e la possibilità di sillogismi con una premessa concernente un individuo143, come negli esempi riguardanti semeia e

tekmeria. Tale lettura è resa possibile dalla distinzione tra parte costituente e parte predicativa144: “A

universal unifies its parts in a way which is different from the way in which, for instance, a living body unifies its parts. A universal unifies its parts in such a way that is allows predication of the whole with respect to its parts, and we must understand that this is not required in the case of a natural whole” (Id.: 7). La mano non è un uomo, ma l’uomo è un animale (la specie umana è parte del genere

animale e “animale” si può predicare di “uomo”). Insomma, (cf. Mignucci 2000: 10-15) “Tutti gli

uomini sono mortali, Socrate è uomo, dunque Socrate è mortale” non differisce in nulla da Darii per quanto concerne la forma logica145. Con la massima coerenza, Mignucci (1969: 723) aveva, quasi

139 Cf. Marconi 2018, per la compresenza delle prospettive logica e fisica nella filosofia prima. 140 Cf. Marconi 2018. Caso particolare è il mucchio (cf. Rini 2015: 38-43, 123-125).

141 Cf. Rini 2015: 69-131.Le parti che, invece, distinguono l’individuo dagli altri individui della stessa specie risultano di conseguenza le più basse nella gerarchia. Un’interpretazione simile a quella di Rini la si ritrova in Scotti Muth 2015. 142 Questo vale anche per le parti simultanee all’intero come il cuore e i suoi analoghi (del resto, che conoscenza e conosciuto siano simultanei non impedisce che il conoscibile sia anteriore alla conoscenza): infatti, senza anima vegetativa non c’è cuore, sebbene la distruzione del cuore distrugga il vivente (l’anima ha la priorità su qualsiasi organo così come la forma la ha sulla materia). Per lo sfondo interpretativo necessario a una tale annotazione si rinvia a Marconi 2018.

143 Tale studio è uno dei capolavori del Mignucci per la sua armonia tra accuratezza testuale e acume logico, ossia fra interpretazione e rappresentazione – per usare i termini tecnici di Zadro.

144 Distinzione perfettamente in linea con quella tra materia logica e materia fisica per la quale si rinvia a Marconi 2018. 145 Cf. Tricot 1983: 323. Lo studioso francese, inoltre, suggerisce che la fisiognomica può utilizzare sillogismi in Darii oltre ai sillogismi in Barbara (cf. Id.: 328).

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forzato dalla cosa stessa, già ricostruito il tekmerion di An. Pr. II.27 (l’avere latte come prova di gravidanza) in Darii.

A questo punto, possiamo proporre le definizioni delle relazioni segniche nella nostra metasemiotica interpretativa, come ci eravamo ripromessi di fare alla fine del confronto. In tale metasemiotica, i segni sono caratterizzati da relazioni miste in maniera simile ai symbola linguistici: i semeia presentano i tratti sia delle relazioni dinamiche che di quelle del tipo di opposizione scienza/scibile. In quanto cosa, il segno è un relativo dinamico; in quanto premessa, esso ricade nell’opposizione