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2.6 Il kosmos come significato

2.6.1 Doxa e non essere

Ci resta da indagare la regione oggettuale della doxa nel suo rapporto con le definizioni dell’intelletto: vi sono, infatti, “definizioni” di cose che non esistono, definizioni che colgono ciò che esiste senza coglierne l’essenza e, infine, definizioni dell’essenza (queste sole paiono essere oggetto proprio dell’intelletto). Una prima approssimazione alla soluzione del problema si ottiene distinguendo le definizioni nominali sia dai logoi equivalenti ai nomi sia dalle definizioni scientifiche o essenziali evidenziandone l’impegno esistenziale231. Esse, infatti, colgono e designano le cose a partire dai loro accidenti per far sì che se ne possa provare l’esistenza, passaggio che precede la ricerca e l’uso delle definizioni scientifiche nella procedura apodittica esposta negli Analitici Secondi. Esistono, in realtà,

230 Peirce stesso associa le proprie icone agli omoiomata di De int. 1, 16a 8 (cf. SS: 85). Conseguentemente, gli indici mostrano affinità con i semeia e i simboli coi symbola (cf. CP 2.297, per questi ultimi).

231 Cf. Bolton 1976, dove si distingue con cura la definizione nominale dalle sue interpretazioni moderne basate su denotazione e connotazione logiche.

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vari tipi di definizione nominale e si determinano in base al loro rapporto con le dimostrazioni (cf. Bolton 1976). Visto l’impegno esistenziale di tali tipi di definizione (se si dà definizione nominale, la cosa definita esiste), l’ircocervo non può averne alcuna. Tuttavia, non ci è preclusa la possibilità di ascrivere all’ircocervo e agli altri “inesistenti”232 designati dai cosiddetti termini vuoti un’esplicazione

del significato della parola. Ora, sembra che le esplicazioni del significato delle parole siano dei gatti

di Schrödinger ontologici: fino a che non si arriva a dimostrare l’esistenza della cosa che descrivono non si può mai sapere se si tratti davvero di definizioni nominali, ossia se – attendendosi alla metafora – aperta la scatola ci sia un gatto o soltanto un gatto per omonimia (il cadavere del gatto)233. Finché

non sentiamo le fusa – per così dire –, potrebbe benissimo essere vero che “non esistono gatti, solo interpretazioni” (variante ferrarisiana del motto nicciano) e questo per Aristotele è un fatto. Ecco perché, come sottolinea con forza Thomas Upton (1985), per Aristotele bisogna sincerarsi in qualche modo che la cosa ci sia, se ne vogliamo fare scienza: non c’è scienza del non essere, perché la scienza

è scienza dell’essere (in quanto tale o in quanto determinato in un certo modo, cf. Metaph. VI.1)234. Se alla scienza va il primato conoscitivo, ciò non implica una subordinazione della semantica: i discorsi sull’essere (le scienze) presuppongono il discorso semantico (le lingue). Il discorso semantico

232 Cf. Upton (1985: 280-281): “Bolton’s account of non-being at 92b29 must be expanded to include the candidates which I have presented from Aristotle’s texts. Bolton’s division of non-being into non-natural kinds or essences and non- existent particulars is too restricted to include all of what Aristotle could plausibly mean by non-beings that can be signified”. I candidati di cui parla Upton sono così presentati: “According to Aristotle the following kinds of non-being can be named: (1) fictitious beings that are products of human invention, like goat-stags; (2) sensible objects like colors or intuited objects like simple mathematicals, which, because they either can not be or are not directly perceived or intuited by some people, can be spoken of about by these people only as mere names with no references; (3) contradictories like ‘man’ and ‘not-man’ (i.e. the direct opposite of man), which are given the same name; and (4) accidents like musical or grammatical, which exist as if they were mere names and which they are not part of the essence of the subject in which they inhere, e.g., musical Coriscus (man)” (Upton 1985: 276). I nomi di tutti questi candidati devono avere un significato, ma che una cosa abbia un nome (e per averlo il nome deve significare qualcosa altrimenti non sarebbe un nome) non implica che la cosa ci sia. Questa mancanza di implicazione esistenziale può essere un dato di fatto o un’opinione del parlante. Il candidato 4, a giudicare dall’esempio, pare vada inteso in termini di essere accidentale, senza nulla togliere all’esistenza delle qualità artistiche delle persone. È Corisco che costruisce la casa, ad es., e non Corisco artista: capita solamente che il nostro sia un muratore che è anche un bravo artista, il bravo artista non costruisce in quanto tale. E, una volta andato in pensione e malauguratamente ammalatosi di Alzheimer, Corisco sarà ancora Corisco (uomo), ma non più artista. Gli accidenti sono non esseri per quanto concerne la loro congiunturalità.

233 La dialettica affonda le proprie radici nel dominio dei significati: “Mentre l’attribuzione è infatti sicuramente implicata nel concetto dell’essere, non si può dire con certezza che sia questo concetto a condizionare le operazioni della dialettica, se è vero che da essa dipende, almeno in parte, la definizione dell’essere che «si dice in molti sensi»” (Morresi 2002: 44). È da questo dominio che si può accedere o meno alla sfera dell’essere. La definizione scientifica è, come si verrà chiarendo di seguito, dove termina la dialettica e al tempo stesso inizia la scienza. La dialettica è già al di là della mera opinione, ma non ancora scienza; essa è il ponte semantico tra queste.

234 Cf. An. Post. II.19, 100a 9, che verrà riportato in § 2.6.2. La stessa idea è espressa in Eth. Nic. VI.4, 1140a 10-16: “Ogni arte ha a che fare con la generazione, e con l’escogitare soluzioni, cioè con il considerare in che modo possano generarsi alcune tra le cose che possono essere o non essere, quelle di cui il principio è in chi le fa, e non nelle cose fatte; infatti non vi è arte delle cose che sono o si generano in modo necessario, né gli enti di natura, dato che questi hanno in sé il principio del loro generarsi”. Di queste ultime cose vi è scienza e non techne. Tuttavia, la potenza è una nozione utilizzata sia in fisica sia in filosofia prima ed è da quest’ultima concepita come un senso in cui si dice il non essere (cf. Metaph. IX.10, 1051a 34-1051b 2, XII.2, 1069b 27-28, XIV.2, 1089a 26-28); ciò, però, non toglie che il non essere come potenza sia oggetto di scienza in virtù dell’essere come atto (cf. Metaph. IX.8).

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verte su ciò che potrebbe o avrebbe potuto essere, oltre che su ciò che può essere, e tutto ciò ricomprende in sé ciò che è. D’altra parte, le opinioni che la lingua esprime colgono ciò che, secondo la comunità, è.

Perché si colga il significato di “ircocervo” è sufficiente la dianoia, visto che la sua descrizione è come le definizioni equivalenti al nome (non presenta impegno esistenziale) e che di questo e del verbo in De int. 3, 16b 19-21 si afferma: “In se stessi, dunque, e detti per sé i verbi sono nomi e significano qualcosa – infatti chi parla ferma il pensiero e chi ascolta ha acquietato <il suo>” (trad. Zanatta). L’intelletto ha, invece, per oggetto proprio le essenze235, quindi esso pare coinvolto nel

cogliere le definizioni nominali e le descrizioni nominali236 soltanto mediante la dianoia237. La doxa,

dal canto suo, ha per oggetto i dokounta238, ossia anzitutto le cose che possono essere altrimenti da quello che sono (il contingente, inclusivo dell’essere per accidente), ma vi si può includere il non

essere, mentre la scienza ha per oggetto l’essere, sia esso necessario o “per lo più”239. L’essere per

accidente va inteso come l’inerire di un accidente che meramente capita al soggetto senza un perché a esso specifico, essendo frutto dell’“incrociarsi di catene causali, quella che è prevalsa, per situazioni contingenti, delude le aspettative, i programmi, le previsioni basate su abitudini e frequenze statistiche ma ha le sue ragioni per esistere, anche se del tutto particolari” (Lucchetta 2010b: 24). Tale essere quasi si riduce a flatus vocis: “l’accidente è come un puro nome” (Metaph. VI.2, 1026b 13-14, trad. Berti), “L’accidente infatti appare qualcosa di vicino al non ente” (Metaph. VI.2, 1026b 21, trad. Berti). Se il non essere è oggetto di qualcuna delle attività cognitive individuate nel De anima, esso non può che esserlo dell’immaginazione e dell’opinione240: di quale altra potrebbe mai essere oggetto?

235 Cf. De an. III.6, 430b 26-30 (già testo 13 della precedente sezione).

236 Per “descrizione nominale” si intende il logos che esplica il significato di una parola.

237 L’intelletto umano è presentato come un’endiadi: “l’intelletto che si dice proprio dell’anima (intendo dire l’intelletto con il quale l’anima pensa dianoeticamente e comprende) non è in atto nessuno degli enti prima di pensarli” (testo 8 di § 2.5.2). Inoltre, secondo l’interpretazione della definizione essenziale o reale (scientifica) data da Rini 2015 e Scotti Muth 2015 tanto le descrizioni nominali quanto le definizioni nominali mancano di mostrare l’unità della sostanza, ossia l’articolazione mereologica fondamentale del definiendum. È possibile dire che gli enti matematici sono passibili di definizioni analoghe a quelle delle sostanze, visto che di essi è possibile una descrizione mereologica. L’ircocervo, d’altro canto, non esiste proprio perché è un’unità mereologica impossibile per la biologia aristotelica (cf. Sillitti 1980, sebbene la mereologia non faccia parte del metalinguaggio adottato dalla studiosa).

238 Cf. Regis 1935: 89-108. Mignucci (1965: 34), dopo aver caratterizzato la doxa come “conoscenza del non-necessario” (Id.: 33), specifica che il necessario rientra nella doxa nella misura in cui “non si è ancora appresa la sua necessità intrinseca”.

239 Cf. Mignucci 1981, mentre Regis (1935: 89-108) annovera il per lo più tra i dokunta cercando di elaborare una soluzione al seguente problema interpretativo: “C’est ici que se produit un conflit, car comment concevoir que l’ὡς ἐπὶ τὸ πολύ soit à la fois objet de démonstration (ou de science) et d’opinion, puisque par définition par définition l’ἐπιστητόν et le δοξαστόν s’opposent ?” (Id.: 98-99). Una soluzione interessante la si legge in Olesiak (2011: 177): “In the Topics Aristotle explains that there are four modes of predication, which correspond to the ways in which an attribute may belong to a subject; what is predicated is done so either as genus, definition, property, or accident. Science is concerned according to him with the first three, opinion with the fourth. Genus, definition, and property are attributes which belong to or flow from the substance of the object in question”. La trattazione degli endoxa come ponte tra doxa e episteme che si propone nella presente sezione si mantiene coerente con il rilievo appena citato.

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Inoltre, a favore del non essere come oggetto d’opinione basti pensare che il non essere dell’ircocervo non può essere ridotto al non essere nel senso di falso o a quello nel senso di potenziale (si deve trattare di un non essere determinato e non del puro nulla) e che, se Socrate è morto, il suo non stare

seduto è un fatto oggettivo (cf. Raspa 2018: 167). L’oggettività della separazione tra Socrate e l’essere

seduto si dava anche quando Socrate era vivo ma non stava seduto241. La fattualità del non essere

determinato242 secondo le categorie si dà tanto per gli oggetti esistenti quanto per quelli non esistenti.

In questa linea di pensiero, abbiamo tutto il diritto di dire che il non essere determinato dell’ircocervo è quello di una non-sostanza (cf. Leszl 2014: 43-44, già citato in § 2.5.2). Nulla vieta di estendere quanto detto a tutte le altre categorie, anche la calvizie del re di Francia ha il suo posto nel grande disegno dell’omeomorfismo aristotelico. Assenze, non-enti (non-sostanze, non-qualità, ecc.) e privazioni (la calvizie) hanno piena cittadinanza nell’omeomorfismo che abbraccia tanto la

pseudomorfia quanto l’aletomorfia243. La nozione di pseudomorfia è così definita da Raspa (2018: 146):

In defining the relations between language, thought and world, the ‘elephant in the room’ consists of ψεῦδος, or better still, the various forms of ψεῦδος: falsity, fiction, lying. Every theory of meaning must come to terms with, and give an adequate account of, pseudomorphia, that is, the possibility of expressing things that do not exist.

Quello di aletomorfia ne deriva per contrarietà e sorge dalla speranza nella possibilità della verità, della scienza e della sincerità. Tale speranza Peirce l’aveva ben chiara:

There cannot be a scintilla of evidence to show that at some time all living beings shall not be annihilated at once, and that forever after there shall be throughout the universe any intelligence whatever. Indeed, this very assumption involves itself transcendent and supreme interest, and therefore from its very nature is unsusceptible of any support from reasons. This infinite hope which we all have (for even the atheist will constantly betray his calm expectation that what is Best will come about) is something so august and momentous, that all reasoning in reference to it is a trifling impertinence (EP1: 82)244.

D’altra parte, in Aristotele non ci sono solo opinione e scienza, la prima rivolta al contingente e al non essere e la seconda rivolta al necessario e all’essere. Vi è, infatti, una transizione dalla concezione platonica della doxa alla dimensione degli endoxa, riassumibile nella scoperta aristotelica del fatto che nel caso dell’opposizione episteme/doxa vale il tertium datur, essendoci gli endoxa:

241 Il fatto che Pietro non sia al bar è un fatto negativo, come emerge anche da considerazioni fenomenologiche (cf. Sartre 1965: 44-46). Similmente, che Socrate non sia seduto è un fatto negativo in Aristotele.

242 Sul non essere determinato in Aristotele e la divergenza di tale concezione tanto dal non essere come diverso platonico quanto, inter alia, dal non essere puramente indeterminato hegeliano si veda Berti 1983.

243 Cf. Lo Piparo 2003: 178, citazione riportata alla fine di § 2.5.3.

244 Il passo appena citato suona come se fosse una risposta ante litteram al Nietzsche di Über Wahrheit und Lüge im außermoralischen Sinne.

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em Aristóteles a opinião terá papel central nas esferas da dialética e da retórica, além de servir também às ciências particulares e às filosóficas. Diferentemente de seu mestre Platão, Aristóteles atribui outro papel à dialética em seu pensamento e não a identifica com a ciência (episteme), embora a dialética esteja a ela associada por possibilitar a análise dos princípios, algo que a ciência não faz (de Menezes e Silva 2016: 50).

La sezione dell’articolo da cui si cita è, non a caso, intitolata Um tipo especial de opinião: os endoxa. È proprio l’elaborazione aristotelica della nozione di endoxon che apre una terza via245, nonché una

mediazione, tra doxa ed episteme. Si tratta di una via sociale o, meglio, comunitaria e di un tipo speciale di doxa che verte sull’essere e sui principi del conoscere.