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Categorie 7: la scoperta dei relativi e la teoria degli opposti

2.2 I relativi

2.2.1 Categorie 7: la scoperta dei relativi e la teoria degli opposti

Alla luce delle considerazioni appena svolte, non si può che prendere le mosse dalla ricostruzione della concezione aristotelica della relazione in modo da poter intendere la relazionalità di symbolon e semeion secondo l’esatta prospettiva da cui la intendeva Aristotele. In particolare, è dalle Categorie che deve iniziare la nostra ricerca: lì, infatti, si pone la distinzione tra semplice rapporto e relazione (cf. § 2.1.1). Per cominciare, si ripercorrono alcuni risultati raggiunti in merito ai relativi in Cat. 7. Il testo prende le mosse da questa prima caratterizzazione:

Si dicono “relative” le realtà la cui essenza si dice essere di altro o comunque in relazione ad altro (Πρός τι δὲ τὰ τοιαῦτα λέγεται, ὅσα αὐτὰ ἅπερ ἐστὶν ἑτέρων εἶναι λέγεται ἢ ὁπωσοῦν ἄλλως πρὸς ἕτερον, 6a 36-37, trad. Bernardini).

È avendo in mente tale caratterizzazione che si stabilisce:

Tutti i relativi si dicono in relazione a termini che si convertono così, ad esempio, lo schiavo si dice “schiavo” di un padrone, e il padrone si dice “padrone” di uno schiavo, il doppio “doppio” della metà, e la metà “metà” del doppio, il più grande “più grande” del più piccolo, e il più piccolo “più piccolo” del più grande; e così via anche per gli altri relativi, tranne che nei casi in cui, talvolta, l’espressione presenterà una differenza nel modo di dire: la scienza, ad esempio, si dice “scienza” dello scibile, e lo scibile “scibile” per la scienza; e la sensazione “sensazione” del sensibile, e il sensibile “sensibile” per la sensazione (Πάντα δὲ τὰ πρός τι πρὸς ἀντιστρέφοντα λέγεται, οἷον ὁ δοῦλος δεσπότου λέγεται δοῦλος καὶ ὁ δεσπότης δούλου δεσπότης λέγεται, καὶ τὸ διπλάσιον ἡμίσεος διπλάσιον καὶ τὸ ἥμισυ διπλασίου ἥμισυ, καὶ τὸ μεῖζον ἐλάττονος μεῖζον καὶ τὸ ἔλαττον μείζονος ἔλαττον· ὡσαύτως δὲ καὶ ἐπὶ τῶν ἄλλων· πλὴν τῇ πτώσει ἐνίοτε διοίσει κατὰ τὴν λέξιν, οἷον ἡ ἐπιστήμη ἐπιστητοῦ λέγεται ἐπιστήμη καὶ τὸ ἐπιστητὸν ἐπιστήμῃ ἐπιστητόν, καὶ ἡ αἴσθησις αἰσθητοῦ αἴσθησις καὶ τὸ αἰσθητὸν αἰσθήσει αἰσθητόν, 6b 28-36, trad. Bernardini).

La conversione (ἀντιστρέφειν, antistrephein) è sintomo di relatività, ma non sempre risulta evidente e in tal caso

sembrerà che non si dia conversione, qualora, cioè, la realtà con la quale si dice la relazione non sia stata posta in corrispondenza in modo appropriato, ma ci si sia sbagliati a porla (οὐ δόξει ἀντιστρέφειν, ἐὰν μὴ οἰκείως πρὸς ὃ λέγεται ἀποδοθῇ ἀλλὰ διαμάρτῃ ὁ ἀποδιδούς, 6b 36-38, trad. Bernardini).

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Segue, quindi, un esempio preziosissimo e rivelatore:

Se, ad esempio, si pone l’“ala” di un uccello, non si può convertire in “uccello di un’ala” – la prima relazione, infatti, “l’ala di un uccello”, non è stata posta in corrispondenza in modo appropriato, dal momento che l’“ala” si dice dell’uccello non in quanto è uccello, ma in quanto è alato; esistono, infatti, ali di molte altre cose che non sono uccelli –; di conseguenza, qualora si ponga, invece, la relazione in modo appropriato, allora si dà conversione: così, ad esempio, l’ala è “ala” di un alato, e l’alato è “alato” per l’ala (οἷον τὸ πτερὸν ἐὰν ἀποδοθῇ ὄρνιθος, οὐκ ἀντιστρέφει ὄρνις πτεροῦ· οὐ γὰρ οἰκείως τὸ πρῶτον ἀποδέδοται πτερὸν ὄρνιθος, —οὐ γὰρ ᾗ ὄρνις, ταύτῃ τὸ πτερὸν αὐτῆς λέγεται, ἀλλ’ ᾗ πτερωτόν ἐστιν· πολλῶν γὰρ καὶ ἄλλων πτερά ἐστιν ἃ οὐκ εἰσὶν ὄρνιθες·— ὥστε ἐὰν ἀποδοθῇ οἰκείως, καὶ ἀντιστρέφει, οἷον τὸ πτερὸν πτερωτοῦ πτερὸν καὶ τὸ πτερωτὸν πτερῷ πτερωτόν, 6b 38- 7a 5, trad. Bernardini).

Si è visto che scibile e sensibile presentano delle anomalie espressive, ora anche “ala” – la parte di una sostanza – mostra di non essere da meno. Non può essere casuale che proprio in presenza di tali anomalie espressive emergano le principali acquisizioni di Cat. 7. Il testo non lo esplicita, ma l’ala è tanto un sensibile quanto un oggetto di scienza. Nel corso del testo questo emergerà, comunque, con una certa chiarezza grazie ad alcuni dei commentatori moderni. L’anomalia espressiva si accompagna al fatto che lo scibile e il sensibile, i correlati cognitivi, si distinguono dalle altre cose che per la prima caratterizzazione sono relativi:

Non per tutti i relativi, però, sembra vero che siano simultanei per natura: lo scibile, infatti, sembrerebbe essere anteriore alla scienza, poiché, perlopiù, acquisiamo conoscenze di oggetti preesistenti, mentre in pochi casi o in nessuno si potrebbe osservare che la scienza nasce insieme allo scibile (οὐκ ἐπὶ πάντων δὲ τῶν πρός τι ἀληθὲς δοκεῖ τὸ ἅμα τῇ φύσει εἶναι· τὸ γὰρ ἐπιστητὸν τῆς ἐπιστήμης πρότερον ἂν δόξειεν εἶναι· ὡς γὰρ ἐπὶ τὸ πολὺ προϋπαρχόντων τῶν πραγμάτων τὰς ἐπιστήμας λαμβάνομεν· ἐπ’ ὀλίγων γὰρ ἢ ἐπ’ οὐδενὸς ἴδοι τις ἂν ἅμα τῷ ἐπιστητῷ τὴν ἐπιστήμην γιγνομένην, 7b 22-27, trad. Bernardini).

Lo stesso accade nel caso della sensazione: il sensibile, infatti, sembra essere anteriore alla sensazione, dal momento che, se si elimina il sensibile, si elimina insieme anche la sensazione, mentre la sensazione non elimina insieme il sensibile. Le sensazioni, infatti, riguardano il corpo e sono nel corpo, e se si elimina il sensibile, si elimina anche il corpo – dal momento che anche il corpo è un sensibile – e, se il corpo non c’è, si elimina anche la sensazione (ὁμοίως δὲ τούτοις καὶ τὰ ἐπὶ τῆς αἰσθήσεως ἔχει· τὸ γὰρ αἰσθητὸν πρότερον τῆς αἰσθήσεως δοκεῖ εἶναι· τὸ μὲν γὰρ αἰσθητὸν ἀναιρεθὲν συναναιρεῖ τὴν αἴσθησιν, ἡ δὲ αἴσθησις τὸ αἰσθητὸν οὐ συναναιρεῖ. αἱ γὰρ αἰσθήσεις περὶ σῶμα καὶ ἐν σώματί εἰσιν, αἰσθητοῦ δὲ ἀναιρεθέντος ἀνῄρηται καὶ σῶμα, —τῶν

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γὰρ αἰσθητῶν καὶ τὸ σῶμα,— σώματος δὲ μὴ ὄντος ἀνῄρηται καὶ ἡ αἴσθησις, 7b 35-8a 2, trad. Bernardini).

Che la non simultaneità per natura debba valere tanto per gli scibili quanto per i sensibili risulta chiaro se si pensano, con Enrico Rini (2010), le parti sostanziali universali in termini di differentiae coinvolte nella definizione di generi naturali e artificiali: le parti sono sensibili in quanto particolari e scibili in quanto universali. Esse non possono essere dei relativi e lo stesso deve valere per gli oggetti di cognizione che a vario titolo le includono; che devono essere relativi in un senso diverso è chiarito in

Metaph.V.1513.

La seconda caratterizzazione serve proprio a fare sì che le parti delle sostanze non subiscano l’onta di essere relative, visto che le parti della sostanza sono sostanze anch’esse nelle Categorie:

se, invece, la definizione non è stata posta in maniera adeguata, e i relativi si presentano, piuttosto, come ciò il cui essere consiste nello stare in qualche modo in relazione a qualcosa, si potrebbe dire forse qualcosa a riguardo (εἰ δὲ μὴ ἱκανῶς, ἀλλ’ ἔστι τὰ πρός τι οἷς τὸ εἶναι ταὐτόν ἐστι τῷ πρός τί πως ἔχειν, ἴσως ἂνῥηθείη τι πρὸς αὐτά, 8a 31-33, trad. Bernardini, c.vo ns.).

A tale caratterizzazione viene associato il seguente criterio:

Da ciò risulta chiaro che, qualora si conosca in modo determinato uno dei relativi, si conoscerà in modo determinato anche ciò in relazione al quale esso si dice (ἐκ δὲ τούτων δῆλόν ἐστιν ὅτι ἐάν τις εἰδῇ τι ὡρισμένως τῶν πρός τι, κἀκεῖνο πρὸς ὃ λέγεται ὡρισμένως εἴσεται, 8a 35-37, trad. Bernardini).

Zucca (2011: ad loc.) suggerisce, senza assumere la conseguente scelta terminologica, che conoscere in modo determinato sia conoscere secondo la definizione o definizionalmente. Una simile lettura è considerata tra le possibili in Hood (2004: ad loc.). Si giunge così a un esempio che necessita di un certo lavorio interpretativo per essere inteso:

13 “Le cose dette relative a qualcosa secondo il numero e la potenza sono tutte relative a qualcosa perché ciò che sono è detto <essere> esso stesso di un altro, ma non perché un altro sia in relazione ad esso: il misurabile, lo scibile e il pensabile sono detti <relativi> perché altro è detto in relazione ad essi. Il pensabile significa che di esso c’è pensiero, ma il pensiero non è <detto tale> in relazione a questo di cui è pensiero, (la stessa cosa infatti sarebbe detta due volte), e allo stesso modo anche la vista è vista di qualcosa, non di ciò di cui è vista (anche se è pur vero dire questo), ma è <tale> in relazione al colore e a qualcos’altro di questo tipo. In quel modo invece la stessa cosa sarebbe detta due volte, cioè che la vista è la vista di ciò di cui è <vista>” (1021a 26-1021b 3, trad. Berti). Si confronti ciò con il caso di dire che la testa è di ciò che è dotato di testa (“testato”). Il passo può essere inteso come tale da dividere i relativi in due tipi (a) essenzialmente reciproci — ulteriormente divisi in (1) secondo il numero e (2) secondo la capacità — e (b) accidentalmente reciproci (cf. Mignucci 1986, Rossitto 2011 e Marconi 2018, per una discussione della distinzione tra (a) e (b)). Ciò sarebbe coerente con Metaph. X.6. Categorie e il libro Iota della Metafisica concorderebbero nel distinguere due generi di relativi; il libro Delta direbbe qualcosa di interessante sul piano semantico dividendo tra numerico e dinamico, ma quanto all’opposizione relato/correlato tra relativi numerici e dinamici non c’è differenza perché si tratta di relativi essenzialmente reciproci.

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Ma in verità della testa, della mano e di ciascuna delle cose di questo genere, le quali sono sostanze, è possibile conoscere in modo definitorio quello che sono, ma non è necessario conoscere ciò in relazione a cui sono dette. Infatti non è necessario conoscere in modo definitorio di che cosa questa è la testa o di che cosa è la mano. Di conseguenza queste non possono far parte delle cose relative (τὴν δέ γε κεφαλὴν καὶ τὴν χεῖρα καὶ ἕκαστον τῶν τοιούτων αἵ εἰσιν οὐσίαι αὐτὸ μὲν ὅπερ ἐστὶν ὡρισμένως ἔστιν εἰδέναι, πρὸς ὃ δὲ λέγεται οὐκ ἀναγκαῖον· τίνος γὰρ αὕτη ἡ κεφαλὴ ἢ τίνος ἡ χεὶρ οὐκ ἔστιν εἰδέναι ὡρισμένως· ὥστε οὐκ ἂν εἴη ταῦτα τῶν πρός τι· εἰ δὲ μή ἐστι τῶν πρός τι, ἀληθὲς ἂν εἴη λέγειν ὅτι οὐδεμία οὐσία τῶν πρός τί ἐστιν, 8b 15-21, trad. Zanatta mod.).

Nel corso del presente capitolo emergerà l’importanza di un esempio aristotelico come l’ircocervo, che verrà ripreso più volte: esso consente di mostrare che nomi e verbi significano qualcosa a prescindere dal valore di verità e che essi condividono con gli enunciati dichiarativi la semanticità senza partecipare della verofunzionalità (cf. De int. 1, 16a 10-18). Purtroppo, in Cat. 7 manca un corrispettivo dell’ircocervo, ossia un animale in grado di chiarire come stanno le cose. Può, tuttavia, fare al caso nostro l’ornitorinco di Eco 1997, oggetto di un vero e proprio case study. Poniamo così la seguente analogia: l’ornitorinco sta a Eco come l’ircocervo sta ad Aristotele. In entrambi i casi, l’animale in questione è un elemento chiave dell’argomentazione sul significato. Trasferendoci dal significato ai relativi, supponiamo che l’ornitorinco di Eco possa essere l’ircocervo dei relativi. Si tratta di un esempio, che certo non poteva essere di Aristotele, ma che sorprendentemente rende chiaro cosa potesse aver in mente lo Stagirita nel dire che le parti sostanziali intese come universali possono essere definite e conosciute a prescindere dalla conoscenza delle specie dotate di tali parti, nonché degli individui di tali specie14. Infatti, l’Aristotele biologo, se ipoteticamente condotto di fronte a un

ornitorinco, difficilmente potrebbe definirne la specie: non potrebbe né dire “questo è un esemplare di ornitorinco”, né “l’ornitorinco è l’animale X” dove la “X” è la differenza specifica dell’ornitorinco. Eppure, potrà chiaramente dire della testa di quell’animale che ha di fronte che è una testa, avendo chiaro in mente che negli animali la testa è quella parte con tali e talaltre funzioni: egli, insomma, conoscerà la definizione di testa senza conoscere la definizione di ornitorinco. La testa dell’ornitorinco che ha di fronte è parte di quell’ornitorinco lì e la testa in generale è parte in un determinato gruppo di specie animali (ad es., posso dire che la testa è un organo tanto degli uccelli

14 Tra gli studiosi moderni almeno Sedley (1997), Hood (2004), Rini (2010), Zucca (2011) and Harari (2011) insistono nel dire che Aristotele sta trattando nell’esempio citato la conoscenza determinata di una parte sostanziale universale. Nell’interpretazione qui avanzata dell’esempio della testa si è accettato il suggerimento di Zucca 2011 nell’intendere la conoscenza determinata come definizionale e al tempo stesso l’identificazione delle parti sostanziali universali con le differenze proposta da Rini 2010. Le differenze sgusciano tra i generi (cf. Bellucci 2012a) senza individuare – restando all’esempio – il genere dei testati, mentre schiavo e padrone in quanto universali si individuano a vicenda. Non si può conoscere l’uno senza l’altro. Per “individuare” un genere o un universale si intende “definirlo”.

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quanto degli esseri umani), tuttavia posso sapere che cos’è una testa senza definire l’ornitorinco e senza conoscere le definizioni di ciascuna delle specie dotate di testa: “non è necessario conoscere in modo definitorio di che cosa questa è la testa o di che cosa è la mano”15.

Per cogliere il significato della categoria dei relativi è necessario allargare lo sguardo alla teoria degli opposti; ciò porterà la presente analisi ad occuparsi di Metafisica Iota (Metaph. X). D’altra parte, la distinzione – basata sui propria – delle categorie di sostanza, quantità, relazione e qualità è chiaramente intrecciata con Iota e i suoi temi (uno, contrarietà e le altre forme di opposizione):

La caratteristica più peculiare della sostanza sembra essere la capacità di ricevere i contrari, pur restando identica e una di numero (Μάλιστα δὲ ἴδιον τῆς οὐσίας δοκεῖ εἶναι τὸ ταὐτὸν καὶ ἓν ἀριθμῷ ὂν τῶν ἐναντίων εἶναι δεκτικόν, Cat. 5, 4a 10-11, trad. Bernardini).

Proprio delle cose di una certa quantità è soprattutto il dirsi “uguale” e “disuguale” (Ἴδιον δὲ μάλιστα τοῦ ποσοῦ τὸ ἴσον τε καὶ ἄνισον λέγεσθαι, Cat. 6, 6a 26-27, trad. Bernardini mod.). Nessuna delle caratteristiche di cui abbiamo parlato, quindi, è propria della qualità. Invece, è in base alle sole qualità che si dice “simili” e “dissimili” (Τῶν μὲν οὖν εἰρημένων οὐδὲν ἴδιον ποιότητος, ὅμοια δὲ καὶ ἀνόμοια κατὰ μόνας τὰς ποιότητας λέγεται, Cat. 8, 11a 15-16, trad. Bernardini mod.).

Un altro si dice opposto a un altro in quattro modi: o come i relativi, o come i contrari, o come la

privazione e il possesso, o come l'affermazione e la negazione (Λέγεται δὲ ἕτερον ἑτέρῳ

ἀντικεῖσθαι τετραχῶς, ἢ ὡς τὰ πρός τι, ἢ ὡς τὰ ἐναντία, ἢ ὡς στέρησις καὶ ἕξις, ἢ ὡς κατάφασις καὶ ἀπόφασις, Cat. 10, 11b 17-19, trad. Bernardini mod.).

In maniera nemmeno troppo sorprendente16, la distinzione si basa sul senso in cui sostanze, qualità e

quantità possono essere le stesse (rispettivamente identità, uguaglianza e somiglianza17, come in

15 Anche ponendo che si voglia dare la definizione di tutte le cose dotate di testa, resterà vero quanto affermato: tale definizione è possibile solo data la definizione di testa, che è logicamente anteriore. Si avrà, al limite, che il testato (ciò che è dotato di testa) è relativo alla testa, ma questa resterebbe non relativa così come non è relativo lo scibile. Insomma, il testato sarebbe come la scienza, ossia un relativo tale che ciò a cui è relativo non è a sua volta un relativo. Ciò non sorprenderebbe perché la testa è uno scibile.

16 Cf. “Se poi l’ente e l’uno sono identici e <sono> un’unica natura perché si convertono reciprocamente come «principio» e «causa», benché non come resi manifesti da un’unica definizione […], allora, quante sono le specie dell’uno, altrettante sono <le specie> dell’ente, intorno alle quali conoscere teoreticamente il «che cos’è» spetta alla stessa scienza per il genere, dico per esempio intorno all’identico e al simile e alle altre <specie> di questo tipo” (Metaph. IV.2, 1003b 22-36, trad. Berti). In Metaph. IV.1 il lessico del passo riportato è stato chiarito dicendo che c’è scienza non solo di un unico genere ma anche delle cose che sono dette per omonimia ma rispetto a una stessa nozione, che per la filosofia prima è la sostanza: parlare di specie dell’uno e dell’essere non implica qui che l’essere sia un unico genere di cui le categorie sarebbero le specie. Per un commento al passo, tra i tanti rinvii possibili, si rimanda a Rossitto 2017a.

17 Gli analoghi fisici sono rispettivamente generazione/corruzione (assunzione o perdita dell’identità), aumento/diminuzione (assunzione o perdita dell’uguaglianza), alterazione (assunzione o perdita della somiglianza) tutti studiati dalla fisica o filosofia seconda in quanto scienza del movimento (kinesis, cf. Cat. 14, che conta anche il mutamento secondo il luogo o moto, ulteriore oggetto della fisica aristotelica). Metaph. XIV.1, 1088a 23-35, non a caso, attribuirà il moto alla sostanza per mostrare come e quanto la relazione si distingua dalle altre categorie e dalla sostanza, presentando

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Metaph. X.3, 1054a 29-32 – cf. § 2.2.2), mentre i relativi ricevono il loro significato all’interno della

teoria degli opposti18 – soprattutto nella sua versione esposta in Iota.

Per avere un’immagine d’insieme della teoria aristotelica degli opposti, due testi sono utili perché complementari: Morales 1991 e Pasquale 2005. Il primo ricostruisce la teoria senza trattare specificamente della contraddizione, mentre il secondo è dedicato proprio al principio che la regola, pur riservando qualche pagina a inquadrare la contraddizione fra le opposizioni. La presente sezione integra le prospettive generali di tali trattazioni alla luce di Metaph. X, che è stato poco commentato dagli studiosi moderni (cf. Centrone 2005: 37). Per giunta, la mancata considerazione approfondita di tale libro fondamentale (cf. Castelli 2018: xi-xliv19) è un vizio condiviso sia dalla più ampia

trattazione dei relativi (cf. Hood 2004) che dai summenzionati lavori.

Se si pensa che nell’Ottocento era opinione abbastanza diffusa che le Categorie non fossero autentiche20, la seguente considerazione può suonare davvero straniante: “To analyse contradictory

terms we need to refer to Aristotle’s general discussion of opposition in Categories chapter 10” (Pasquale 2005: 19)21. Tuttavia, non è davvero questo il punto. Infatti, le Categorie sembrano

configurarsi come una ricerca sull’oti (cf. Wedin 2000), il che o fatto da descrivere, anziché sul dioti, il perché o spiegazione del fatto, mentre spetta, ovviamente, alla Metafisica l’indagine su quest’ultimo22. Ciò non vuol dire che l’esigenza espressa da Pasquale non sia fondata, però essa va

quello che volentieri si fa chiamare un aspetto formale e astratto dei relativi che le altre categorie non hanno e che si spiega agevolmente con l’essere i relativi tanto una categoria quanto un tipo di opposti (gli altri opposti non sono categorie). Usando una distinzione non aristotelica solo a fini espositivi, si potrebbe dire la categoria di relazione è il punto di incontro tra ontologia formale e ontologia materiale.

18 La trattazione – per così dire – monografica dei relativi (Cat. 7) si conclude con una lampante dichiarazione di provvisorietà: “Certo, è difficile fare affermazioni forti intorno a tali argomenti, senza averli prima ripetutamente indagati; non è inutile, però, aver esposto delle difficoltà intorno a ciascuno di essi” (ἴσως δὲ χαλεπὸν περὶ τῶν τοιούτων σφοδρῶς ἀποφαίνεσθαι μὴ πολλάκις ἐπεσκεμμένον, τὸ μέντοι διηπορηκέναι ἐφ’ ἕκαστον αὐτῶν οὐκ ἄχρηστόν ἐστιν, 8b 21-24, trad. Bernardini). Chiunque non la prenda sul serio, lo fa perché non legge il testo nella sua interezza: la trattazione dei relativi è evidentemente una cenerentola rispetto alle sue “colleghe” impegnate con sostanza, quantità e qualità. Essa, infatti, conclude che χαλεπὸν è περὶ τῶν τοιούτων σφοδρῶς ἀποφαίνεσθαι, anziché con la formula Μάλιστα δὲ ἴδιον o sue varianti e il tratto distintivo della categoria in questione.

19 Cf. Rossitto (2000: 66): “La trattazione scientifica degli oggetti della dialettica, la cui possibilità è dimostrata in Metaph. Γ 2, è svolta ampiamente da Aristotele soprattutto nei libri Δ e Ι della Metafisica, mentre l’uso di tali concetti per la conoscenza della realtà è attuato in tutti gli altri libri di quest’opera, cioè nella costruzione vera e propria della «filosofia prima»”.

20 Cf. Bernardini 2016: 16, in Ead.: 13-22 si trova uno status quaestionis sull’autenticità delle Categorie dai primi commentatori a Richard Bodéüs. Infatti, dubbi sull’autenticità sono sollevati da Bodéüs (2001) con argomenti diversi da quelli utilizzati in precedenza, ma senza giungere alla conclusione di dover rinunciare all’attribuzione ad Aristotele in sede editoriale (cf. Id.: CX). Rossitto 2017b argomenta con forza contro l’inautenticità. Emblematicamente, l’excursus di Bernardini (2016: 22) si conclude così: “Nonostante i tanti argomenti addotti contro l’autenticità delle Categorie, dunque, l’opera resta basata su un’ispirazione fedele alle dottrine propriamente aristoteliche, tanto che, come ebbe a dire Siriano, se si trattasse davvero di un apocrifo, allora avremmo «due Aristotele»”.

21 Di fatto Pasquale (2005) dà la precenza a Cat. 10 quale fonte principale della teoria degli opposti.

22 Cf. Rossitto (1977: 43): “Il ruolo fondamentale che il concetto di opposizione svolge nel pensiero aristotelico si rivela con estrema chiarezza soprattutto nella Metafisica, in cui Aristotele si serve in diversi modi, ma costantemente, degli ‘opposti’, in ciascuno dei tipi in cui essi si determinano, ossia come relativi, come contrari, come privazione e possesso, o, infine, come contraddittori. Ma nel loro insieme essi sono oggetto specifico di analisi, in quest’opera, specialmente in

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contestualizzata nell’ottica di una necessaria integrazione tra la trattazione del che fornita in Cat. 10 con quella del perché ravvisabile nella Metafisica. Insomma, la posizione di Gianluigi Pasquale non regge senza la qualificazione qui aggiunta, qualificazione che – s’intende – non ha nulla a che vedere con il dubbio ottocentesco sull’autenticità. D’altra parte, va riconosciuto che l’approccio ottocentesco implicherebbe quella rivalutazione di Metafisica X che alla ricerca successiva, a eccezione di Leo Elders (1961), è mancata, sebbene per motivi che non trovano più riscontro nell’attuale ricerca (ossia la presunta inautenticità delle Categorie).

Passando ora allo studio di Fabio Morales, vi si possono trovare delle indicazioni fondamentali per inquadrare la questione:

Besonders interessant ist eine bisher kaum betrachtete Art von Relativa, welche bereits in der Kategorienschrift erscheinet, aber erst in der Metaphysik zur Geltung kommt. Sie besteht aus den Relativa des Wissens und Wißbaren, der Wahrnehmung und des Wahrnehmbaren, kurz, des Maßes und Meßbaren. Sie unterscheidet sich von den restlichen dadurch, daß immer ein Glied des betreffenden Begriffspaares logisch früher [contenuto nella definizione dell’altro senza che questo entri nella sua, anche se in quanto segue Morales parla di bestimmen, che non significa solo definire] als das andere ist, das heißt, daß ein Glied in bezug auf das andere bestimmt werden kann, aber nicht umgekehrt (Morales 1991: 6).

Es gibt eigentlich vier aufeinander irreduzible Gegensatzformen, zwischen denen kein Verhältnis der Unterordnung, sondern nur Analogieverhältnisse bestehen. Diese werden in der Kategorienschrift auf eine eher inhaltliche [semantische], in der Metaphysik dagegen auf eine formale Weise erörtert (Id.:7)23.

Il primo dei due passi citati consente non solo di collocare in uno sviluppo teorico le analisi dei relativi in Aristotele, ma anche di avviarsi a concepire che il genere dei relativi cognitivi si distingue dagli altri relativi per il modo di opporsi. Proponiamo, infatti, di riconoscere nell’opposizione ciò che

distingue i relativi dalle altre categorie e, nello specifico modo dell’opposizione relativa, ciò che distingue i relativi tra di loro. Infatti, tra gli opposti solo i relativi costituiscono una categoria e tra le

categorie solo i relativi sono opposti. Alcuni relativi si oppongono a un relativo che è anche il loro contrario (ad es., padre/figlio, doppio/mezzo), altri relativi si oppongono a un ente che non è a sua volta un relativo e hanno come contrario qualcos’altro (ad es., la scienza si oppone relativamente allo scibile, ma il suo contrario è l’ignoranza). Ciò conserva, come vuole Orna Harari (2011), l’unità dei

due capitoli, e cioè in Δ 10 e in Ι 4, dedicati, rispettivamente, all’enumerazione dei vari tipi di opposizione [come Categorie 10] e alla determinazione dei rapporti in cui questi si trovano l’uno con l’altro”. In merito Berti (1980: 123) è del seguente parere: “Ancora più chiara e sistematica è, infine, l’esposizione della stessa dottrina nel libro X”.