3. Istanze e generi narrativi nella prosa letteraria dell’Isola volante
3.1 Analisi preliminare: il libro di saggi e l’orizzonte narrativo
L’Isola volante, terza raccolta di saggi di Pontiggia pubblicata nel 1996, raccoglie saggi composti nel decennio precedente: la maggior parte sono frutto della collaborazione con il «Corriere della Sera» e «Panorama», mentre i restanti erano apparsi su rivista o introduzioni a volumi. Il libro-di-saggi è introdotto da una Nota che avvisa il lettore della rielaborazione operata in vista della pubblicazione in volume167.
Nell’Isola volante Pontiggia raccoglie alcune importanti prefazioni: al volume Manzoni europeo, curato da Pontiggia per la fondazione CARIPLO nel 1985168, a V.
Larbaud, Barnabooth e le sue opere complete, uscito nel 1988 per Mondadori169, al Diario di Guido Morselli nel 1988170, a Senilità di Svevo nel 1990171, e al saggio Aspetti del romanzo di E.M. Forster nel 1991.
Accanto alle recensioni, spiccano alcuni testi di carattere narrativo o descrittivo, in cui l’occasione narrativa prende il sopravvento su quella commentativa: Inferno e paradiso della libreria antiquaria è un breve racconto in forma dialogata su uno dei temi preferiti da Pontiggia, l’acquisto dei libri; Sono in un immenso zoo è un racconto in prima persona su una visita (reale o immaginaria) allo zoo; in Viaggio tra gli astronomi del Cervino l’occasione del reportage alla stazione di Gonnegrat permette una serie di riflessioni sui fraintendimenti nella comunicazione quotidiana, e su problemi epistemologici legati al tema dell’osservazione; Gli ultimi giorni del romanzo, attraverso una riscrittura parodica secondo gli stilemi del racconto giallo, parla del tema della “morte del romanzo”; in L’eterno nemico al circolo degli scacchi, la descrizione dei frequentatori di un circolo del gioco preferito
167 Cfr. D. Marcheschi, Notizie sui testi, in G. Pontiggia, Opere, cit., pp. 1926-28.
168 Aa.Vv., Manzoni europeo, a cura di G. Pontiggia, CARIPLO,Milano, 1985.
169 V. Larbaud, Barnabooth e le sue opere complete, traduzione e note di R. Maccagnani, Mondadori, Milano, 1988.
170 G. Morselli, Diario, a cura di V. Fortichiari, Adelphi, Milano, 1988.
da Pontiggia è l’occasione per una riflessione sul valore della sconfitta: Quando diventiamo sensibili al linguaggio è una sorta di saggio sulla pragmatica. Altri prendono solo spunto da libri, per avventurarsi in riflessioni su temi vari, ad esempio la critica allo storicismo in L’immaginazione del presente, una fenomenologia del viaggiatore moderno ne I piccioni viaggiatori, la violenza ne La violenza sugli indifesi, temi di costume sociali in Università: scelta revocabile.
Ma le forme diverse di scrittura breve qui presentate non risultano semplicemente alternate. In molti saggi dell’Isola volante si può osservare, con una certa chiarezza, una delle forme tipiche dello sviluppo del pensiero critico nella saggistica di Pontiggia: ci riferiamo alla capacità di mescolare i diversi linguaggi propri della saggistica letteraria di tipo specialistico (della critica letteraria, della recensione) e quelli propri della saggistica lato sensu (dell’aforisma, dell’autobiografia) con quelli della narrazione, e in particolare della narrazione di fiction. In molti saggi, gli autori di cui Pontiggia si occupa direttamente e gli autori di cui riporta frasi, aforismi, aneddoti, diventano, più che gli oggetti di un’analisi letteraria condotta con gli strumenti della critica, i protagonisti di una storia, di un racconto, di un breve romanzo. Tale attitudine pesca evidentemente in una delle doti più spiccate del Pontiggia narratore: quella della narrazione biografica, in particolare dell’aneddotica. Non occorre un’analisi approfondita per rilevare come alcuni dei romanzi di maggior successo di Pontiggia (Nati due volte ne è l’esempio più lampante), senza mai perdere o annacquare la linea narrativa portante, possano essere letti come un intreccio di episodi, aneddoti, situazioni virtualmente autosufficienti. Questo è confermato anche laddove la linea narrativa è basata sulle forme ad intreccio proprie del giallo (ad esempio un romanzo ad intrigo come Il giocatore invisibile): la linea del discorso è costellata di episodi, parentesi, brevi situazioni. Tale tendenza risulta addirittura strutturale in Vite di uomini non illustri, in cui, forse affascinato dal modello dantesco, Pontiggia ricapitola intere esistenze sotto il segno di alcuni episodi chiave che le hanno in qualche modo segnate. D’altra parte, Pontiggia si dimostra ben consapevole del rischio che la sua scrittura narrativa fosse segnata in modo ridondante dalle forme brevi dell’aforisma e della
prosa lirica, quando, dopo le critiche ricevute al pur premiato La grande sera172, decide di rimettervi mano attraverso una revisione capillare che avrà come effetto
«una più immediata fruizione del narrato»173. Ciò che non cambia e che viene subito colto da un lettore come Moravia è la dote narrativa di costruire i ritratti dei propri personaggi «nitidi e ironici, emblematici e precisi»174.
Che l’orizzonte in cui sono collocati i diversi saggi che compongono il libro sia di tipo narrativo è confermato dalla citazione posta in apertura, tratta da I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift. Il modello della narrazione paradossale con funzione satirica esercita un certo fascino sulla scrittura di Pontiggia: l’Isola di Laputa, evocata dal titolo, è infatti un modello in negativo del mondo intellettuale, e del rapporto studio-esperienza. Scienziati così dediti ai loro calcoli astronomici da essere sempre assorti nei loro pensieri, gli abitanti dell’isola volante sono incapaci di sostenere una conversazione continua con chiunque. Afflitti da una sorta di strabismo che fa sì che sia fisso un occhio sulla punta del naso e l’altro allo zenit, il loro continuo ragionare fa perdere il contatto con l’esperienza175, che rimane sempre al di sotto della loro
172 Premio Strega 1989. Per quanto riguarda le critiche e l’opera di revisione di veda la Notizia sui testi (pp. 1920-23), e il saggio di C. De Santis, In forma di orizzonte, cit. pp.103-109.
173 Il commento è quello di A. Giuliani, sintetizzato da Marcheschi in Opere, Notizie sui testi, p. 1922
174 Moravia, sul «Corriere della sera», 3 maggio 1989, riportato in Opere, p. 1921.
175 Molti dei personaggi di Swift sembrano incarnare le schizofrenie dovute a un culto della conoscenza che non abbia il coraggio di fare i contri con l’esperienza. Così sarti e geometri progettano vestiti e abitazioni perfette sulla carta, ma inadeguate alla vita: «Coloro a cui il Re mi aveva affidato, notando quanto fossi mal vestito, mandarono il mattino dopo un sarto a prendermi le misure per un abito completo. Questo artigiano se la sbrigò in modo assai diverso dai suoi colleghi europei: prese la mia altezza con un quadrante, e poi, con regolo e compassi, segnò sulla carta le dimensioni e i lineamenti del mio corpo; sei giorni dopo mi portò un abito fatto malissimo e che non mi si adattava per nulla, perché nei suoi calcoli aveva sbagliato una cifra. Mi consolai accorgendomi che incidenti simili erano tutt’altro che rari e che nessuno vi faceva caso»; «Le loro case sono costruite assai male; le mura son fuori squadra, senza nemmeno un angolo retto in alcuna stanza;
questo difetto nasce dal disprezzo che essi hanno per la geometria applicata, da loro considerata scienza volgare e meccanica: la loro istruzione è infatti troppo raffinata per l’intelletto dei loro operai, e di qui i continui errori. Sebbene essi mostrino una certa abilità nel maneggiare il regolo, la matita e il compasso su un foglio di carta, non ho mai visto gente più inetta, goffa e disadatta nelle azioni della vita quotidiana, né più tarda e restia a capire tutto ciò che non sia matematica e musica.
Sono ragionatori assai inesperti e sempre inclini alla contraddizione violenta, salvo il caso in cui la ragione sia dalla loro parte, il che avviene assai di rado. Immaginazione, fantasia e inventiva son loro totalmente negate: il loro linguaggio non ha nemmeno le parole per indicare questi concetti; la cerchia dei loro pensieri e del loro intelletto è limitata alle due scienze suddette». J. Swift, I viaggi di
isola, soggiogata dalla superiorità del loro sapere176. Inoltre l’Isola volante, come tutte le raccolte di saggi di Pontiggia, subisce il fascino della metafora narrativa del viaggio attraverso i costumi e la società italiana. Ma nel brano scelto da Pontiggia come esergo per la raccolta spicca l’immagine degli aquiloni: suppliche che dalla terra salgono al cielo «come le striscie (sic) di carta che i ragazzi attaccano in cima allo spago del loro aquilone»177. Che sia questa una metafora dei diversi saggi di cui è composta l’Isola?
Se l’orizzonte narrativo cui sembra far riferimento per la raccolta di saggi serve a costruire la grande metafora con cui immaginare il libro-di-saggi (figura del viaggio nella società e nella cultura di cui ogni testo è come una tappa), nell’Isola volante è possibile evidenziare, in modo rilevante, il ricorso a elementi propri delle forme narrative utilizzati come strumenti per svolgere analisi di tipo letterario; inoltre non può sfuggire come, oltre alla riflessione sulle forme narrative come oggetto di analisi, Pontiggia presti una costante attenzione alla meta-riflessione su di esse.
La prospettiva con cui Pontiggia si appropria delle forme narrative è quella, particolarissima, della sua predilezione per le forme brevi dell’aforisma: la vocazione alla scrittura narrativa di Pontiggia convive con la sua vocazione alla scrittura aforistica, caratterizzando così la prosa saggistica in modo unico. Non solo le due forme, apparentemente lontane tra loro, trovano una realizzazione concreta, ma diventano anche oggetto di riflessione. Da questo punto di vista, uno dei saggi della raccolta intitolato L’aforisma narrativo, sembra poter offrire una chiave
176 «Molti di loro, e specialmente quelli che si dedicano all’astronomia, hanno molta fede nei canoni dell’astrologia, sebbene si vergognino di confessarlo pubblicamente. Ma quel che soprattutto mi meravigliò e mi parve assolutamente inconcepibile, fu la loro straordinaria passione per tutte le novità politiche: non fanno che occuparsi della cosa pubblica, trincian giudizi sugli affari di Stato e discutono con ardore le opinioni dei vari partiti punto per punto. In verità ho osservato le stesse disposizioni tra la maggior parte dei matematici che ho conosciuto in Europa, sebbene non sia mai riuscito a scoprire la minima analogia tra le due scienze; a meno che questa gente non pensi che, come il cerchio più piccolo ha tanti gradi quanti ne ha il più grande, così la direzione e il governo del mondo non richiedano maggiore abilità di quella necessaria per maneggiare e far rotolare una pallina. Ma credo piuttosto che questo derivi dalla solita debolezza umana, la quale ci induce sempre a occuparci presuntuosamente di tutto ciò che non ci riguarda e a cui siamo meno adatti per indole e per studio». J. Swift, I viaggi di Gulliver, traduzione di Ugo Dèttore, Newton Compton, ed. ebook.
parte terza, capitolo secondo.
177 G. Pontiggia, Opere, cit., p. 1291.
interpretativa della stessa opera narrativa di Pontiggia. Il saggio si presenta come recensione di una raccolta di aforismi estrapolati dal capolavoro proustiano pubblicata da Mursia178. Pontiggia si mostra critico sull’operazione del volume, sostenendo, come sempre, una tesi al limite del contraddittorio. Pontiggia infatti è ben consapevole che il successo dell’aforisma dipenda dalla sua autonomia:
brevità, a-sistematicità, vocazione al paradossale e al comico, citabilità e, qualità fondamentale per la narrativa, memorabilità. Eppure, il limite del volume da lui recensito è proprio dato dall’aver estrapolato le sentenze dall’opera di Proust.
Pontiggia dubita della efficacia di tale operazione, convinto come è che la forza dell’aforisma dipenda dal contesto in cui è inserito, soprattutto se il contesto è un romanzo:
«Sempre l’aforisma narrativo si inserisce nel contesto, come il viso di un uomo nell’affresco di una folla. E va letto nella prospettiva del personaggio e dell’azione»
(1479).
Le ragioni di questa necessità sono legate al fatto che il contesto fornisce la chiave della piena comprensione di formule caratterizzate da ellitticità come quelle aforistiche:
«Se ancoriamo dunque il pensiero alle parole, non stupisce che esso possa risolversi, nella mente dei personaggi, in riflessioni ellittiche, in ricapitolazioni fulminee. Ma anche quando l’autore sembra uscire da loro e imporre la propria presenza con chiose aforistiche, una complicità interna lo lega alla scena» (1480).
Non solo, dunque, l’ellitticità tipica della mimesi del parlato, ma anche l’aforisticità dell’autore trova la sua piena significazione solo se collocata nel suo contesto: «In un senso più ampio si potrebbe aggiungere che ogni aforisma andrebbe idealmente collegato al suo contesto, anche nel caso di una raccolta curata dall’autore»179. La riflessione svolta da Pontiggia, che ha per oggetto il romanzo moderno e contemporaneo, sembra però offrire implicitamente una indicazione sul nesso rintracciabile nella sua saggistica dell’uso delle forme aforistiche: proprio per
178 Marcel Proust, Aforismi da «À la recherche du temps perdu», a cura di F. Vasta e G. Raciti, Mursia, Milano, 1992.
avvalorare le ragioni della forza della scrittura aforistica, fa leva sulla scrittura narrativa, evidenziando così uno degli elementi più caratterizzanti della propria scrittura. E, ancora una volta, il punto di connessione tra le due forme è il nesso pensiero-parola, ossia il linguaggio180.
Attraverso questo genere di analisi, sembra evidente, nelle pagine dell’Isola volante, l’intenzione di Pontiggia di mettere sotto esame la propria esperienza di scrittore. Ad esempio, Pontiggia tocca, in modi diversi, il problema dell’«autenticità» della narrazione. Nel saggio conclusivo della raccolta, Il senso della letteratura, lo fa attraverso la sua tipica prosa metaforica:
«Uno scrittore che si avventura nella narrazione non tende a portare alla luce se stesso (attività che risulta singolarmente gratificante per troppe persone), ma cerca in una terra incognita il punto di incontro con se stesso e con gli altri. Questo viaggio comporta la traversata del linguaggio e il suo ritrovamento». (1495) In altre occasioni, invece, sfrutta procedimenti stranianti, come quelli meta-narrativi messi in atto nel testo intitolato Sono in un immenso zoo. Qui Pontiggia alterna mimesi e diegesi metanarrativa sia con lo scopo di evidenziare il significato satirico della sua visita a uno zoo, sia con l’intenzione di mettere in scena la mente stessa dello scrittore alle prese con le scelte compositive che la scrittura comporta.
Il brano inizia con un racconto in prima persona e al presente («sono davanti alla gabbia del leone, ma è vuota») in cui il protagonista ode ripetere la parola «scemo»
da un pappagallo. Al termine della descrizione mimetica segue questo commento metanarrativo:
«Penso che potrei cominciare con questo episodio, ma il pappagallo rischia di essere schiacciante. E poi la scena apparirebbe costruita. La realtà escogita sorprese reali, che non si possono introdurre in un racconto, dove diventano
180 Nella sua Prefazione alla raccolta di aforismi curata da Gino Ruozzi per i Meridiani Pontiggia definisce l’aforisma attraverso il riferimento alla radice che la parola condivide con il termine orizzonte (horízo): «Qual è il fondamento dell’aforisma, come dell’orizzonte? È la provenienza dello sguardo, il varco di una distanza, la possibilità di racchiudere, entro i limiti di una definizione, il flusso altrimenti inafferrabile dell’esperienza». L’attività di definire, porre i confini, è per Pontiggia quella della conoscenza: «Sempre atti fisici, esperienze sensoriali, che diventano operazioni della mente»
(Prefazione, pp. XV-XVI). Più avanti nel saggio Pontiggia svela addirittura una carattere dialogico insito nell’aforisma: «Anche le qualità cangianti dell’aforisma rimandano al carattere dialogico di un messaggio solidale» (Prefazione, p. XVII). G. Pontiggia, Prefazione, in Gino Ruozzi (a cura di), Scrittori italiani di aforismi, Vol I I classici, i Meridiani, Mondadori, Milano, 1995.
inverosimili. I ricordi più veri, quando si scrive, sono quelli inventati. Scarto l’idea di parlare del pappagallo». (1326)
L’episodio ha dunque la finalità di porre il tema, certamente legato alla sua personale esperienza di scrittore, dell’inventio letteraria.
L’interesse per una riflessione sulle forme narrative e la capacità di rimodulare i modelli testuali della saggistica letteraria secondo le strutture proprie della narrazione si presentano ripetutamente nella prosa dell’Isola. Il nostro obiettivo è ora mostrare come tale attitudine si manifesta a livello macrotestuale, ovvero nella organizzazione complessiva della struttura lineare dei saggi.
Per farlo useremo due esempi. Il primo, il saggio dedicato al Manzoni intitolato La lotta di Manzoni e l’Anonimo, ci viene in qualche modo suggerito dallo stesso Pontiggia, il quale lo mette in rilievo sia per collocazione (a centro della raccolta) sia per peso (è il saggio più lungo, forse della sua intera produzione181). Il secondo, il saggio dedicato a Carducci intitolato Carducci visionario, viene scelto come campione in modo quasi casuale, preferendolo ad altri solo per alcuni elementi lì particolarmente evidenti.
Il confronto tra le scelte linguistiche e strutturali che caratterizzano la veste originaria dei saggi e quella adottata per il loro inserimento nella raccolta dell’Isola sembra fornirci indizi per una lettura narrativa di tali saggi. Così, se il primo saggio presenta già nel titolo l’indicazione di una costruzione narrativa del testo (La lotta di Manzoni e l’Anonimo), il secondo invece si presenta senza evidenziare alcuna vocazione narrativa, e suggerisce invece la sua intenzione interpretativa: la formulazione di Carducci visionario riprende, intensificando la metaforicità, quella originaria di Carducci poeta visionario, e sembra suggerire una rilettura critica delle categorie con cui avvicinarsi alla poesia carducciana. La riformulazione del titolo del
181 La collocazione nelle Sabbie, ventunesimo saggio su quarantadue, e soprattutto la lunghezza complessiva, indicano tanto la sua centralità quanto la sua unicità all’interno della raccolta.
Nell’edizione Meridiani, con le sue ventisette pagine, risulta essere fuori misura rispetto a tutti gli altri saggi della raccolta che superano raramente la misura delle cinque pagine, per attestarsi, al massimo a una decina. Il saggio è certamente anche il più corposo saggio “monografico” dell’intera produzione saggistica di Pontiggia, superato solo dall’introduzione ai Contemporanei del futuro, che,
saggio su Manzoni tradisce, invece, la messa in rilievo dell’aspetto narrativo-metaforico presente nel saggio (La lotta di Manzoni e l’Anonimo), a discapito di quello letterario, ben pur presente, sottolineato dal primo titolo: Manzoni e l’Anonimo. Reticenza e omissione nei “Promessi Sposi”. Già solo il confronto tra le due versioni di questo titolo permette di osservare un aspetto importante della saggistica di Pontiggia: il taglio narrativo-metaforico, enfatizzato più in alcuni saggi e meno in altri, può essere o no in risalto dal titolo, ma non costituisce mai per Pontiggia una via di fuga dalla critica, un rifugio in una saggistica “leggera”, soggettiva nel senso più deteriore del termine: il primo titolo infatti evidenziava (in ragione del diverso pubblico) l’aspetto più analitico del saggio, costituito dall’applicazione delle categorie di “reticenza” e di “omissione”, strumenti tra i più sofisticati dell’analisi letteraria. A conferma della compresenza ab origine dei due piani (analitico e narrativo-metaforico), come si vedrà, in fase di revisione in vista della pubblicazione nella raccolta di saggi, Pontiggia non ha toccato l’impianto strutturale del saggio, anzi ha piuttosto lavorato nel senso di affinare alcune categorie critiche.