4. L’ermeneutica metaforica ne I contemporanei del futuro
4.2 Il problema ermeneutico: abitare la metafora
4.2.2 La metafora militare
L’invito di Pontiggia ad abitare le metafore ha come corrispettivo, sul piano letterario, un altro invito, sempre metaforico: quello di ‘restare’ «nell’esercito dei classici»251. È qui all’opera quella che potremmo chiamare una ermeneutica della
“metafora al quadrato”, ossia dell’uso di un linguaggio metaforico per parlare dei linguaggi dell’arte.
Uno dei nuclei argomentativi portanti del saggio è la descrizione del mutamento epocale che caratterizza il nostro tempo: la frattura principale nel secolo XIX sarebbe quella segnata dalle avanguardie, le quali si sarebbero inserite nel solco di una rivoluzione avvenuta con il romanticismo. Tale rivoluzione consisterebbe in un ribaltamento dell’atteggiamento nei confronti dell’arte come tradizione252: a
251 G. Pontiggia, Opere, cit., p. 1515.
252 I riferimenti sembrano essere quelli del coetaneo, molto stimato da Pontiggia, Rodolfo Quadrelli.
Sul rapporto tra i due cfr. G. Pontiggia, Ricordo di Rodolfo Quadrelli, «Kamen’. Rivista di Poesia e Filosofia», X, 18, 2001, pp. 39-40, e A. Anelli, L’incontro fra «Kamen’» e Giuseppe Pontiggia, in Aa.Vv., Con Giuseppe Pontiggia, cit., pp. 11-15. Il saggio di Rodolfo Quadrelli, La tradizione e la storia (in R.
Quadrelli, Il linguaggio della poesia, Vallecchi, Firenze, 1969), inizia così: «Le parole sono definite dall’oggetto che rappresentano, ma oggetti uguali in contesti diversi diventano pure diversi. Tale è il destino di parole come tradizione e storia. Esse sembrano sinonimi se si considera il loro oggetto approssimativo, che è il passato; ma, a un esame approfondito, risultano termini addirittura opposti, e appare chiaro che l’uno ha prevalso sull’altro. La storia ha prevalso sulla tradizione e le ha imposto il suo oggetto» (p. 11). Quadrelli esplicita il nesso tra i concetti di storia e tradizione, così come sono mutati nell’epoca moderna, e la nascita della critica moderna, quella verso cui si scagliano le critiche di Steiner e Pontiggia: «In letteratura la relazioni tra cultura orale e cultura scritta permise sempre di leggere i testi senza l’ausilio necessario dei commenti. Ma dalla fine del Seicento in poi, con la nascita dell’estetica moderna e della moderna critica letteraria, non si partecipa più a una tradizione, ma si diventa, in pochi, dominatori di una materia quali specialisti. Si consulti la bibliografia critica di un autore del passato remoto, e si vedrà che l’elenco dei testi s’inizia proprio in quel periodo, E va aumentando quanto più ci si approssima alla luce radiosa dei giorni nostri. Leggere un testo direttamente diventa sempre più difficile, poiché una storia della poesia non può sancire altro che il superamento di un testo rispetto all’altro, e perciò la necessità della critica recuperare il più remoto.
La critica non è possibilità della poesia, ma si presenta come un obbligo dopo la poesia, quasi a giustificare con la propria ragione i misfatti di quella; la critica, che, secondo le parole di Croce, “deve farsi grande di fronte alla poesia”, non può che finire la poesia. Ne fanno fede le storie letterarie che compongono un quadro della letteratura fino a quel momento, ma ogni dieci anni sono costretti ad aggiungervi una specie di appendice che non s’accorda con quanto precede, perché esse non sapevano nulla del futuro della poesia, nulla sapendo della tradizione. […] Gli storici che possono
partire dall’epoca romantica si sarebbe instaurata una nuova concezione del rapporto con il passato con conseguente sovvertimento del principio di autorità.
Mentre il mondo dei classici fa del principio di imitazione il fulcro della dimensione creativa dell’arte, il mondo moderno fa della novità, e quindi del superamento che comporta la distruzione progressiva del vecchio, il suo principio primo253. È questa lettura che giustifica la scelta, esposta nel titolo del saggio, di affrontale la questione dei classici attraverso il rifermento alla metafora militare:
«L’avanguardia, con i suoi connotati militari e sociali, con la sua funzione precorritrice e rivelatrice, è solo la metafora più radicale della lotta contro l’esercito dei classici sotto un cielo che non è più il loro». (1515)
Nella lettura di Pontiggia l’avanguardia non solo fa uso di un linguaggio militare, ma è essa stessa metafora militare della condizione moderna in perpetua lotta con la tradizione.
Come dicevamo, inoltre, Pontiggia non si limita a descrivere il linguaggio metaforico, ma ne fa anche uso. Si noti, nel passaggio precedente a quello appena segnalato come la metafora militare sia operativa nella descrizione dei classici come un esercito impegnato a occupare o difendere spazi nel campo di battaglia della storia:
conoscere una tradizione, avendo così il dono della memoria e della profezia, sono i responsabili, i poeti, che soli ricordano l’intenzione di coloro che li hanno preceduti, quell’intenzione che pure li precede, ma al tempo stesso li segue. Lo sforzo dei poeti è proprio l’attuazione del tempo, dove la critica è l’astrazione di due realtà ugualmente irreali, il passato e il futuro. La poesia, concentrandosi sul presente, colloca nella loro dimensione originaria anche gli altri due tempi, secondo i modi di una visione già definita da Sant’Agostino.» (pp. 15-16).
253 Dice ancora Quadrelli: «La colpa dello storicismo è quella di aver sottratto il futuro alla tradizione trasformandolo in storia, cioè in un passato totale, e aver impedito il presente alla poesia» (p. 16).
«Negata la tradizione, che ragione c’è di studiare il passato?» (p. 17). È su questa lezione che sembra fondarsi la metafora dei «contemporanei del futuro», anche e soprattutto nella sua espressione più compiuta che è quella, ancor più paradossale del capitolo conclusivo del primo saggio della raccolta, quello intitolato Premessa. La lezione di Quadrelli permette di cogliere la sostanza critica del gusto del paradosso di Pontiggia: «La contemporaneità non esiste. Non esiste, dopo la Relatività nella fisica e non esiste dopo la Storia, nell’arte. Che i classici siano nostri contemporanei è un conforto idealistico e una menzogna pubblicitaria. Questa però non è una conclusione, ma una premessa.
L’esperienza dei classici ci dice il contrario. Non sono nostri contemporanei, siamo noi che lo diventiamo di loro. Dimenticarli in nome del futuro sarebbe il fraintendimento più grande. Perché i
«Restiamo dunque nell’esercito dei classici. I loro imitatori, ha detto Goethe, si illudono di scaldarsi allo stesso sole di Omero. Ma i classici, in un tempo ciclico, realizzavano un destino, non correvano una avventura seguendo la freccia del tempo. Occupavano o difendevano spazi sotto il cielo uguale della tradizione. Alla loro auctoritas e al loro thesaurus si potevano contrapporre nuove scuole, entro un orizzonte riconoscibile. La modernità introduce un orizzonte mutevole. E l’avanguardia si inserisce nell’alveo di quella rivoluzione romantica che non può essere considerata una scuola, perché ne è il sovvertimento». (1515)
Dunque la metafora militare è utilizzata per descrivere una categoria storico-letteraria: diverso è il conflitto dentro una tradizione, diverso quello che la vuole distruggere. Come si è letto, Pontiggia è riuscito a offrire una definizione per sottrazione della parola “scuola”, termine specifico della critica. Tale tipo di definizione opera non solo tramite l’uso della litote, ma anche attraverso la costruzione di due contesti semantici di riferimento diversi: nel primo la parola può essere usata nel suo significato pieno, nel secondo, invece, essa svela un suo uso
“sovvertito”. I due contesti sono ancora una volta definiti tramite delle descrizioni metaforiche della storia della letteratura: quello dei classici è un «tempo ciclico», mentre quello moderno è lineare («freccia del tempo»); questo genera quella che potremmo definire una diversa escatologia, una identificata dalla parola «destino»
e l’altra dalla parola «avventura», che definisce un diverso “campo di battaglia” tra le diverse “scuole”: se il confronto con l’«auctoritas» avviene sullo stesso campo di battaglia, «sotto lo stesso sole», non si ha un sovvertimento della tradizione. Le avanguardie non continuano la tradizione in modo dialettico, ma la sovvertono, cambiando il campo di battaglia (da «orizzonte riconoscibile» a «orizzonte mutevole»). Lo stesso concetto è ripreso più avanti, attraverso lo sviluppo in chiave contemporanea del dominio semantico della guerra: «La differenza tra ieri e oggi è che ieri si credeva nel conflitto, oggi nella soluzione finale»254.
Quelle che, prese a se stanti, appaiono come delle catacresi, considerate nel sistema metaforico costruito intorno alla semantica militare, acquistano nuova forza semantica, mantenendo, pur sempre, il consueto livello di chiarezza e precisione della lingua comune di Pontiggia. In questo breve passo si possono
254 G. Pontiggia, Opere, cit., p. 1520.
quindi apprezzare tanto la dichiarazione quanto la realizzazione dell’invito ad abitare la metafora.
Il ricorso ad un linguaggio metaforico è pervasivo nel saggio, e rafforzato da numerosi strumenti retorici. Ad esempio, la guerra che i moderni muovono ai classici prende vita anche nella descrizione dei musei dell’Ottocento, i quali diventano oggetto di una sorta di metamorfosi lessicale, trasformandosi in mausolei:
«Il luogo di concentramento delle truppe, attaccanti e difensive, era stato già nell’Ottocento il Museo, spazio che l’antichità alessandrina aveva consacrato alle Muse. Difficile immaginare simbolo più capace di concentrare energia e di diffonderla. Donde la paura dei suoi stessi difensori, che lo trasformarono in Mausoleo. Roccaforte dei classici fraintesi – perché la tradizione viva è fatta di lucidi tradimenti, non di loculi – il Palazzo delle Muse si tramuta in Palazzo d’inverno». (1521)
Non si tratta solo di giochi di parole, ma, come precedentemente illustrato, dello sviluppo coerente di una precisa idea di storia della critica attraverso quello che potremmo definire un notevole rigore metaforico.
Pontiggia può poi servirsi di altre metafore di uso comune, ma spesso per ribaltarne il significato: la sua lotta contro lo storicismo in letteratura255 investe anche la fortunata metafora dei nani sulle spalle dei giganti, utilizzata da Bernardo di Chartres per descrivere il rapporto antichi moderni:
«Da allora, in particolare della “rinascita del XII secolo”, il confronto dei moderni con gli antichi conosce – per usare uno di quegli anacronismi che deliziano gli innamorati del Medio Evo – una continua escalation. I nani salgono sulle spalle dei giganti (nella metafora di Bernardo di Chartres del XII secolo), per vedere di più e più lontano. Si accorcia la statura quanto si allunga la vista. Si ribadisce la superiorità individuale degli antichi, ma per imporre la superiorità collettiva della Storia». (1518)
255 «La modernità è una nozione piuttosto mobile e ondivaga, e varia secondo l’età di chi la vive. Noi però, con una paranoia ereditata da Hegel, tendiamo a circoscriverla a un periodo, guarda caso il nostro, e abbiamo già divinato il periodo che la segue, il post-moderno. È un peccato che non potremo essere contemporanei di chi ci giudicherà antiqui o veteres di quattromila anni, per dire
Ad essa Pontiggia contrappone un’altra immagine metaforica, questa volta in grado di comunicare un senso profondo dello scrivere a lui consentaneo:
«Newton non si paragona a un nano […] Quando parla, poco tempo prima di morire, dell’oceano della verità di fronte al quale sceglieva qualche conchiglia, non lo fa per sentirsi eccessivamente piccolo, come pensano i piccoli, né per sentirsi oceanico, come ha pensato Freud, attribuendogli un delirio di onniscienza. Lo fa, credo, solo per darci una immagine memorabile della speranza, della bellezza e dei limiti del sapere: “Non so come posso apparire agli occhi del mondo, ma a me sembra di essere stato soltanto come un fanciullo che giocava sulla riva del mare e che si divertiva a trovare di tanto in tanto un ciottolo più levigato o una conchiglia più bella del comune, mentre il grande oceano della verità si stendeva sconosciuto davanti a me”». (1519)
È dunque chiaro che il linguaggio metaforico, nella scrittura saggistica di Pontiggia, assuma una funzione centrale nell’analisi dei fatti storici e letterari.