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Procedimenti narrativi in Carducci visionario

3. Istanze e generi narrativi nella prosa letteraria dell’Isola volante

3.2 Procedimenti narrativi in La lotta di Manzoni e l’Anonimo

3.3.3 Procedimenti narrativi in Carducci visionario

Il titolo, Carducci visionario, è, a ben vedere, straniante. Infatti, propone un aggettivo in forte contraddizione con l’idea che si ha di Carducci, e cioè la sua classicità. Lo scopo del saggio infatti è smontare un’idea pregiudiziale di Carducci e indicare una via per cui possa «esserci contemporaneo» riscoprendolo sotto una nuova prospettiva: quella, appunto, del poeta visionario.

Quello che stupisce è che, se si cercano nel testo del saggio analisi della poesia di Carducci, di cui pure si parla, non se ne troverà traccia: di Carducci vengono riportate due brevi frasi ricavate da un epistolario (di cui però non vi è alcuna indicazione bibliografica) e i titoli di alcune opere (nell’ordine i testi A Satana, Ça ira, Alla regina d’Italia, Ave, Nevicata, Nella piazza di san Petronio e la raccolta Odi barbare). Per contro abbondano citazioni da altri autori, e l’unica porzione di poesia qui presente è la prima strofa di una poesia di Dino Campana, Vecchi versi221, di cui Pontiggia riporta il titolo e l’epigrafe («San Petronio, Bologna»); sono presenti inoltre una frase di Baudelaire, collocata in apertura di saggio, e alcune frasi di Campana (senza riferimenti bibliografici anche in questo caso). E se le prime due frasi di Campana inducono a rilevare nessi con Carducci, la terza ha come oggetto

220 Al polo opposto di «un razionalismo ingannevole, che simula di fondere tesi e antitesi, mentre le lascia nella loro polarità» (1388). Questo concetto sarà oggetto della seconda parte della tesi, dedicata alla «logica caleidoscopica» della saggistica di Pontiggia.

un giudizio del poeta dei Canti Orfici su D’Annunzio che Pontiggia, senza alcuna transizione argomentativa, trasferisce, arbitrariamente, su Carducci («Così anche Carducci»222).

Insomma, sembra che Pontiggia in questo saggio parli d’altro, e non della poesia di Carducci. E da un certo punto di vista è proprio così: oggetto del saggio non è, stricto sensu, la poesia di Carducci, ma il tipo di fatica che occorre fare per leggerla. Sono così confrontati così diversi modelli di lettura, lasciando al lettore il compito di verificarne l’efficacia o l’inefficacia sui testi del poeta maremmano.

Il saggio, quindi, sotto il continuo movimento centripeto delle citazioni, dei confronti, degli episodi, delle riflessioni stravaganti, presenta una struttura circolare ben definita, basata sul principio del ribaltamento paradossale. Tale struttura opera tanto a livello sintattico (dalle coppie nome-aggettivo alla costruzione del periodo) quanto a livello macrotestuale. Tale tecnica consiste nell’individuare una immagine deteriore di un problema, di solito cristallizzatasi attraverso il linguaggio in un “luogo comune”, e poi ribaltare questo luogo comune, spezzandone la rigidità, e offrendo così una “nuova vita” a ciò che sembrava condannato alla staticità. Un’operazione vitale per Pontiggia: senza di essa, il rischio, spesso descritto con l’aggettivo “fatale”, è quello dell’interruzione della tradizione, o meglio della sua riduzione a una trasmissione di luoghi comuni incapaci di allargare la visione del lettore223. Così nella prima parte del saggio Pontiggia tratteggia una immagine repulsiva di Carducci, quella che sfrutta la superficiale sinonimia di “classico” e “antico”; mentre, nel finale, ritrova una strada per cui Carducci «può esserci contemporaneo». Sono questa via e questa meta a spiegare il valore profondo di quell’ossimoro (tutt’altro che superficiale) che

222 G. Pontiggia, Opere, cit., p. 1445.

223 Questo stesso concetto è espresso, in altre parole, nel celebre passaggio del testo Il senso della letteratura, in cui Pontiggia dice che «Scoprire e comunicare il senso della letteratura comporta ogni volta una operazione cui comprensibilmente riluttiamo: cioè interrogare il senso della nostra vita, che generalmente non ne ha, e di quella degli altri, che si solito non ne ha di più. Tutto questo si accompagna a un tale allarmante disagio che si capisce come sia più agevole fuggire che restare.

Eppure, se la letteratura ha un senso, lo ha solo se si confronta con le cose essenziali che ci riguardano. Tutto il resto è letteratura». Ivi, p. 1494.

costituirà il titolo della successiva raccolta di saggi letterari, I contemporanei del futuro.

Il paragrafo centrale del saggio (il quarto su sette) esprime infatti la sfida culturale che Pontiggia sente di dover affrontare, e non solo in questo caso:

«Leggere oggi Carducci è così diventato non tanto abbandonarsi a un testo quanto vincerne una resistenza, non tanto ritrovare una voce quanto dimenticarne un’altra.

Leggerlo significa rileggerlo cioè lottare contro l’immagine che il tempo ci ha consegnato di lui». (1443)

La metafora della lotta torna anche in questo saggio e si pone, anche qui, come figura sorgiva di narrazione: se nel saggio visto in precedenza si trattava della lotta manzoniana con cui venivano fondate le sue ipostasi narrative (il narratore e l’Anonimo dei Promessi Sposi), qui i personaggi in lotta sono plurimi. I principali sono quelli che spesso ritornano, soprattutto nelle conclusioni dei saggi letterari di Pontiggia: i “lettori” (siamo noi) in lotta con visioni riduttive dei testi. Visioni determinate oltre che dai cedimenti all’abuso del linguaggio invece che al suo uso, soprattutto ai «fraintendimenti» consapevoli dei testi che una certa critica specialistica ama offrire a se stessa e a tutti (attraverso la sua divulgazione

“scolastica”). Va notato, a questo punto, che la metafora della lotta intesa come architrave narrativa della saggistica di Pontiggia presenta forti connotazioni bibliche (se non religiose in senso lato): i diversi soggetti in lotta nei saggi sono, quasi sempre, ipostasi di aspetti diversi di un medesimo soggetto, secondo quella tradizione, ininterrotta, che ha le sue radici nelle Confessioni e nel Secretum.

A partire da questo centro narrativo, i diversi episodi di cui sembra comporsi il saggio svelano un percorso chiaro: trama tessuta da Pontiggia, trasformando gli autori della letteratura da lui citati nei protagonisti della sua storia. Storia fatta di diversi episodi e diverse tappe.

In realtà, pur avendo un medesimo protagonista, le storie sono due, accostate per analogia su due livelli caratterizzati dall’avere un protagonista in comune (Carducci), uno stesso errore («il fraintendimento») e un lieto fine.

Abbiamo infatti la vicenda personale per cui Carducci avrebbe detestato il Manzoni a causa di un fraintendimento, legato alla imposizione paterna di letture manzoniane in giovane età224. La seconda vicenda è quella che vede Carducci oggetto dello stesso trattamento da lui riservato a Manzoni: «al Carducci è toccata sorte analoga a quella del Manzoni da lui odiato: e cioè di suscitare negli epigoni un entusiasmo pari al fraintendimento»225. Questa seconda vicenda ha quindi come protagonisti Carducci, i suoi peggiori estimatori (i «carducciani») e il lettore, chiamato a «lottare contro l’immagine» che il tempo gli ha consegnato e a superare il fraintendimento. L’enunciazione dei due analoghi fraintendimenti raggiunge lo spannung quando Pontiggia inizia ad enunciare i diversi tentativi fallimentari di affrontare la lotta di una rilettura di Carducci scevra da pregiudizi. Ed è qui che la voce del saggista diventa quella del protagonista che risolve la contraddizione: il saggista è colui che sa cogliere i nessi tra le due storie, e che riesce a dipanare la complessa situazione («perché le ragioni che lo hanno reso popolare sono le stesse che oggi lo rendono remoto»226) svelando la natura linguistica del fraintendimento:

«Il problema è quello del linguaggio: cioè il tradimento che ogni classicismo perpetra contro la classicità». È qui – in quella che narrativamente parlando sarebbe la sequenza dello scioglimento – che la storia del fraintendimento va verso il suo lieto fine e il saggio diventa propriamente letterario:

«Troppe volte Carducci indulge a un umanesimo scolastico: e ottiene, anche ai nostri giorni, l’ammirazione di uomini che preferiscono dire sodali anziché compagni di scuola, o contubernali anziché compagni di tenda. Ma a volte riesce a eludere le piccole ambizioni culturali della citazione, le suggestioni indirette di un lessico antiquario, la complicità di un pubblico di colleghi divisi tra orgoglio e insicurezza. E allora si aprono, anche nelle Odi barbare, squarci di grandezza. Il suo classicismo può acquistare quella levità di cui ha parlato Alfredo Giuliani per Ave e per Nevicata. Può scandire un senso cupo di disfacimento e di fine. Può evocare irruzioni di vitalità barbarica, conflitti tragici di destini individuali e collettivi, accenti d’amore di sommessa, disperata dolcezza». (1444)

224 Qui, come in altri passi, emerge l’interesse e la competenza per la psicanalisi (cfr. G. Pontiggia, Opere, p. LXXX), ma sempre attraverso il velo dell’ironia: «La “collera” fu un tratto caratteriale che Carducci avversò nel padre e che fedelmente ricalcò» (p. 1443).

225 Ivi, p. 1442.

226 Ivi, p. 1443.

E come ogni buona trama, dopo questo “scioglimento”, abbiamo un epilogo in cui il protagonista è affiancato da un suo alter ego, Dino Campana, lui sì realmente visionario. Ma è proprio nell’intuizione di questa «consonanza enigmatica» rilevata da Pontiggia tra i due autori, che il lettore può cogliere come la forza della letteratura non sia quella di aspirare «a mediare l’indecifrabile, ma a isolarlo nella sua potenza primordiale»227.

Questo saggio (di cui abbiamo tralasciato di evidenziare gli espedienti retorici soffermandoci su quelli macro-strutturali) esemplifica la capacità di Pontiggia di impostare l’analisi letteraria attraverso modelli narrativi, trasformare in personaggi non solo gli autori della propria indagine, ma anche i lettori, chiamati a lottare per riformulare le proprie categorie letterarie. Il lettore può giungere al lieto fine solo immedesimandosi nel punto di vista autoriale del saggista, vero narratore che crea e risolve l’intrigo.

L’ibridazione delle tecniche di analisi letteraria e di scrittura narrativa, è certamente uno dei tratti stilistici creativi più significativi della saggistica di Pontiggia nell’Isola volante, ma può essere considerata anche un interessante modello di analisi critica di un’opera, specialmente da chi si rivolge a un pubblico non di specialisti, ma di lettori.

Probabilmente tale impostazione è da ricercare nella lunga esperienza di Pontiggia come docente di scuola secondaria superiore.

Anche senza mai avventurarsi in definizioni strutturate (forse il peggior nemico) Pontiggia ha provato a dare fondamento a questo metodo di analisi critica della letteratura. Uno dei testi in cui egli non solo applica ma anche, in qualche modo, delinea teoricamente questo particolare approccio della saggistica all’opera letteraria, è l’introduzione alla sua quarta raccolta di saggi, I contemporanei del futuro.