2. Al vaglio della lingua comune: la lingua della saggistica letteraria nel Giardino
2.2 Struttura testuale
2.2.2 Incipit, explicit, digressioni
La struttura testuale dei saggi delle Esperidi è dunque fortemente influenzata dall’uso pervasivo della divisione in blocchi del testo. Come abbiamo visto, però, la continuità logico-discorsiva è raramente infranta. Le micro-sequenze testuali si combinano tra loro in sequenze più estese, riconducibili alle parti caratteristiche della forma-saggio, come incipit, explicit, sequenze argomentative, sequenze esemplificative, digressioni. Vorremmo soffermarci sui procedimenti stilistici con cui Pontiggia investe queste strutture tipiche della scrittura saggistica, caratterizzandole secondo il suo stile.
- Incipit/explicit.
È possibile riscontrare una insistenza su particolari figure di ripetizione o disposizione.
La sequenza iniziale del saggio Il sole interiore, dedicato ai Paradisi artificiali di Baudelaire, risulta composta da cinque brevi paragrafi, costituiti ciascuno da un periodo di senso compiuto, e legati dalla ripetizione anaforica della parola
“paradiso” che costituisce così il collante tra le diverse situazioni evocate dai cinque
frammenti, e che, in qualche modo, esemplifica la metafora evocata nella prima frase (ciclicità cosmica):
«“Paradiso” è parola ciclica nel cosmo di Baudelaire.
Paradiso che fonda la storia degli uomini: e sarà il tempo delle origini, l’Eden, l’età dell’oro, “le epoche nude del mito”.
E paradiso che fonda la storia degli individui: e sarà il tempo dell’infanzia, “il verde paradiso degli amori infantili”, “l’innocente paradiso pieno di piaceri furtivi”.
Manca invece la felicità perpetua dei paradisi futuri, quelli delle religioni.
Essi sono stati sostituiti dai paradisi del presente, da quei paradisi artificiali, il cui accesso è schiuso da due droghe, dall’hashish e dall’oppio». (598)
Alle occorrenze al singolare Pontiggia associa il concetto di origine nel passato;
mentre i riferimenti al futuro e al presente sono affidati alla variatio, costruita grazie al polittoto (paradiso/paradisi), che permette di introdurre il titolo dell’opera, oggetto del saggio.
L’incipit del saggio Viaggio della poesia moderna nel mondo antico è costituito da una frase nominale, sapientemente bilanciata attraverso l’uso di tricola, parallelismi e chiasmi, che riprende, amplificandola, la coppia moderno/antico del titolo:
«Leopardi, Hölderlin, Keats: alle origini della poesia moderna una grecità ideale, rivissuta nelle forme dell’idillio cosmico, dell’estasi visionaria, della congiunzione di verità e bellezza». (732)
I tre nomi dei poeti moderni sono bilanciati in parallelo dai tre sintagmi riferiti al un’espressione che allude al mondo antico. Inoltre, sul parallelismo sintattico -nome aggettivo/-nome aggettivo- dell’espressione poesia moderna/grecità ideale, si sovrappone il chiasmo semantico per cui il tratto dell’“epoca” (moderno/antico) è manifestato, nel primo sintagma, dall’aggettivo (poesia moderna), nel secondo dal sostantivo (grecità ideale).
Scansioni ternarie delle sequenze iniziali ottenute con l’uso dell’“a capo” sono presenti negli incipit e negli explicit di molti saggi115.
Anche l’ambito del metaforico è variamente presente nelle tipologie degli esordi dei saggi delle Esperidi. Nell’incipit del saggio su Solmi, Pontiggia prende le distanze dal modello di saggio impersonale, e abbraccia un tipo di scrittura in cui l’indagine letteraria abbia un valore non tanto più soggettivo, quanto meno definitorio, attraverso la metaforizzazione dell’attività critica e del suo oggetto:
«Vorrei, in questi appunti su Sergio Solmi, non tanto delineare il suo percorso, quanto avvicinare il significato della sua presenza misteriosa». (716)
Con la consueta figura della correctio («non tanto»/«quanto») Pontiggia contrappone due mondi e due modi di fare critica: da un lato descrive il modello di saggio più rispondente alle aspettative tipiche del lettore attraverso due lemmi (che Leopardi definirebbe “termini”) che, anche se non in modo marcato, appartengono al linguaggio dell’attività critica di tipo accademico: il verbo «delineare» e il sostantivo «percorso»; dall’altro affida a termini metaforici la descrizione del suo modello di indagine letteraria: il verbo «avvicinare», e il sintagma ossimorico
«presenza misteriosa».
Un procedimento simile, anche se meno concentrato, è presente nell’introduzione del saggio sulla presenza dell’antico nelle opere di Savinio. Qui Pontiggia sviluppa un aspetto della sua particolare prospettiva critica, quella legata al valore delle reazioni provate durante la lettura116. Così il paragrafo introduttivo è l’amplificazione di una espressione metaforica iniziale («impressione vivificante»)
115 Pessoa e i suoi io (611), Sartre cieco (618), I colombari della letteratura (650), La vita «come se»
(662), Classici e anniversari (674), Il sogno di Plutarco (685), Il dio ignoto della letteratura fantastica (693), Sulla stupidità (722), Rivoluzone e ritorno (727), Borges contro Borges (749), e negli explicit dei saggi La vita «come se» (666), L’ultimo Sinisgalli (692), L’altro Morselli (748).
116 Pontiggia arriva ad auspicare una «fisiologia della lettura»: «Non è ancora stata tentata una fisiologia della lettura, eppure sarebbe più rivelatrice e illuminante – nel suo arbitrio evidente – di tante argomentazioni critiche che lasciano, per usare una espressione precisa, il tempo che trovano»
(652). Sul valore ermeneutico attribuito alle cosiddette impressioni di lettura, si rimanda alle conclusioni di questo lavoro.
attraverso accumuli ternari e binari di elementi soggettivi, che nel corso del saggio saranno documentati ed argomentati.
«Leggendo Savinio proviamo una impressione vivificante: è come se i nostri sensi si acuissero, la vista diventasse più penetrante, il corpo acquistasse una improvvisa scioltezza.
Io credo alle reazioni di lettura più che alle loro esplicazioni verbali. E il segreto dell’arte di Savinio è infatti felicità dei movimenti, mutevolezza di andatura, libertà dei gesti: coraggio di essere in ogni occasione se stesso – e non quello che vorrebbe apparire -, amore, non timore, per le proprie simpatie, anche se bizzarre ed eccentriche, anche se fuori moda o contro». (647)
Come sempre le accumulazioni ternarie sottendono l’analogia tra gli elementi, mentre quelle binarie evidenziano le antitesi.
Un’altra tipologia di esordi è costituita da narrazioni figurate destinate a introdurre dei concetti storico-letterari:
«Sono molti i nomi propri che, scendendo dal loro palcoscenico mitologico o letterario, si sono mescolati alla folla dei nomi comuni, a definire funzioni e comportamenti.
Pochi per altro si sono imposti al di fuori della platea colta, per diventare di uso corrente: tra questi “gradasso”, eroe generoso dei poemi cavallereschi, che però non è riuscito a vincere la malignità dei posteri, e “travet”, che da protagonista dimesso della commedia di Bersezio si moltiplica nelle aggressive comparse della moderna burocrazia». (600)
L’incipit del saggio Droga ed eternità è costituito da una vera e propria narrazione ricca di elementi metaforici che introducono, esemplificandolo, il tema del rapporto tra allucinazione e realtà, al centro del saggio su Gautier:
«Una sera nebbiosa di dicembre un uomo, aderendo una convocazione misteriosa, partecipa, nel vecchio hotel Pdoman sull’isola di Saint-Louis, nel cuore di Parigi, a un convegno di mangiatori di hashish: e la sala improvvisamente si dilata, si popola di fantasmi grotteschi, di vegetali che parlano, di chimere dagli occhi scintillanti; le maschere della commedia dell’arte si mescolano ai mostri della notte di Walpurga, i quadri di Callot e di Goya si trasformano nelle caricature di Daumier e di Gavarni.
Per attraversare la sala l’uomo impiega dieci anni, per scendere le scale mille, per arrivare a metà cortile millecinquecento: ma nella sala dove una forza sconosciuta lo costringe a tornare sono passate meno di due ore, la durata di un’ebbrezza che cancella il tempo e far vivere l’eternità». (616)
Un esordio di tipo tradizionale, come quello in cui l’analisi prende avvio dall’esame di altre opere sullo stesso soggetto, può subire una trasformazione in senso metaforico. Nel secondo saggio dedicato a Borges, esordisce riportando in sintesi una affermazione tratta dalla biografia scritta dal «suo amico Emil Rodriguez Monegal», secondo il quale «è stato dopo i cinquant’anni che Borges è diventato Borges: è diventato cioè una figura letteraria, una maschera semplificata e riconoscibile» (748). Pontiggia elabora questa tautologia fino a farla diventare la metafora intorno a cui costruire il saggio: a partire dal titolo, Borges contro
«Borges» – modellato su una citazione dello stesso Borges riportata nel saggio «“Io resterò in Borges, non in me (anche se io sono qualcuno), ma mi riconosco meno nei suoi libri”» (749), – essa viene ripresa e variata all’inizio del secondo paragrafo,
«Borges continua dunque ad essere vivo dentro Borges, ma deve lottare contro di lui» (749), e ripresentata come conclusione del saggio: «In questa verità molteplice, Borges continua a vincere Borges» (753).
In Rivoluzione e ritorno, l’incipit, costruito su una sequenza ritmata secondo la misura ternaria dall’“a capo”, mima la circolarità del significato delle parole di cui è oggetto il saggio. Personificando il processo di consapevolezza dei significati delle parole, Pontiggia costruisce un viaggio circolare che partendo dall’«accezione corrente», cerca di risalire «alle origini» per «riapprodare infine alla immediatezza». Che però, a causa proprio di questo viaggio, risulta perduta:
«Nella storia delle parole ci attrae il mutamento, ma la continuità è altrettanto misteriosa.
Quasi sempre chi le usa non ci pensa: si attiene a un’unica accezione, quella corrente. Essa si impone con l’evidenza del presente, che sembra esaurire il tempo nell’attualità.
Eppure, se c’è una vita che la cultura ha sempre, e fatalmente, perseguito, è proprio di distruggere queste illusioni, risalendo alle origini, ritrovando i significati che la parola ha acquistato lungo il percorso, per approdare infine alla immediatezza. Ma essa, a questo punto, è scomparsa». (726)
Altri esordi si riferiscono a esperienze personali vissute dallo scrittore. Oltre al già citato Come ho perso la mia partita con gli scacchi, di evidente ispirazione autobiografica, anche nel saggio su Sinisgalli Pontiggia esordisce con precisi
riferimenti personali: «Il 5 aprile 1973, mentre lavoravo alla scelta delle sue poesie, Sinisgalli mi scriveva…».
In L’equivoco dell’amore romantico, saggio-recensione del libro di Barthes Frammenti di un discorso amoroso, il tema viene introdotto con un lungo ricordo (di cui si riportano solo le battute iniziali) dell’infanzia del saggista:
«Una frase che non ho mai dimenticato, della mia infanzia, è quella con cui, nel paese dove vivevo, si indicava il nascere di un rapporto, per me misterioso, tra un uomo e una donna: “si parlano”.
Mi accadeva poi di constatare che effettivamente “si parlavano”, la sera, sui gradini della chiesa oppure nel riquadro di una finestra a pianterreno, lei dentro e lui fuori […].
Capivo che in quel linguaggio i silenzi, gli sguardi, i toni di voce davano significati nuovi alle parole, le animavano di vita segreta e allusiva». (633)
Il saggio su Lorca, Viaggio a Fuente Vaqueros inizia, coerentemente con il titolo, con la descrizione in prima persona dei ricordi che si sono impressi nella memoria dello scrittore in seguito al suo viaggio nella cittadina andalusa. L’uso del presente narrativo conferisce al resoconto tratti impressionistici, enfatizzati anche da alcune scelte che rimandano alla soggettività dell’osservatore (diminuitivi come «piccolo treno», nessi presentativi «ed eccola parlare»):
«Sono stato a Fuente Vaqueros, il paese natale di Lorca, nel 1963 e conservo nella memoria alcune immagini staccate, come se di una sequenza fosse rimasto qualche fotogramma: i visi dei contadini, illuminati dal sole al crepuscolo, sul piccolo treno che si allontanava da Granada e si inoltrava nella campagna; le vie silenziose del paese, fiancheggiate da case basse e bianche, nell’azzurro della sera (“Tutta la mia infanzia è villaggio” ha detto Lorca. “Pastori, campi, sole, solitudine”); e poi gli occhi neri e vividi della primera hermana, la cugina di Lorca, che mi riceve nel tinello di casa sua e che, a poco a poco supera la diffidenza iniziale […]. Ed eccola parlare, con una sorta di sommesso, affettuoso entusiasmo, di Federico, della strana felicità che dava la sua presenza, della sua alegrìa.
Mentre lei parla, ho per la prima volta la sensazione di lui come una persona viva che ha abitato queste stanze […].
Poi la donna mi parla, con insofferenza della assurda leggenda che Federico fosse gitano». (641)
Allo stesso effetto impressionistico ricorre Pontiggia nell’explicit del saggio, per dare pathos a una celebrazione civile della morte tragica del poeta ottenuta
ripercorrendo le ultime settimane di vita dello scrittore attraverso le testimonianze di celebri sopravvissuti e stralci delle sue ultime lettere. Queste citazioni sono introdotte con la triplice ripetizione anaforica della dislocazione presentativa del pronome personale lui, che conferisce alla sequenza un tono alto di elogio funebre:
«Lui che amava tanto la vita e che ci viene ricordato così da Neruda: […]. E che Buñuel evoca con queste immagini: […].
Lui che, pur attraversando una grave crisi interiore, aveva saputo confortare il suo amico Jorge Zalamea: […].
Lui che, dalla sua casa di Granada, aveva scritto a Guillén: […]». (645-646) Molti incipit sono affidati al wit dell’aforisma o dell’ironia
«L’intelligenza ha il sui limiti, ma la stupidità è illimitata». (722)
«I classici ritornano attuali a scadenze periodiche: quelle degli anniversari.
Si preferisce la data della nascita, però, se è più vicina, si ripiega su quella della morte, punto di riferimento forse meno popolare, ma altrettanto certo.
Viviamo in un’epoca di commemorazioni, di riletture, di ritorni: siamo appena usciti da un periodo in cui il futuro era la certezza visionaria di milioni di persone, per entrare in un periodo in cui di presente c’è solo il passato». (674)
A volte il wit dell’esordio è affidato a una citazione straniante, come nel caso del saggio su Gozzano:
«“Io non penso, da vario tempo, ai miei sogni letterari, alterno lo studio alle cure entomologiche: allevo una straordinaria colonia di bruchi”». (667)
Il dio ignoto della letteratura fantastica ha un esordio molto efficace, basato, oltre che sulla brevità definitoria dell’aforisma, anche sull’uso ironico dello straniamento:
«Due sono, ogni anno, i premi Nobel della letteratura: uno è quello che viene assegnato al vincitore, l’altro è quello che non viene assegnato a Borges». (693)117
117 Pontiggia, in Dentro la sera, racconta quale processo compositivo lo abbia portato a questa soluzione (cfr. G. Pontiggia, Dentro la sera, cit., p. 161 e segg).
Anche negli explicit i procedimenti della brevitas aforistica o ironica sono largamente presenti, proprio per la loro efficacia nel chiudere un discorso. Come spesso accade in Pontiggia, il procedimento è quello del ribaltamento di un luogo comune:
«E se Don Giovanni è diventata la maschera del mondo moderno, è perché la maschera è la sua essenza segreta» (604); «Finché i fantasmi interiori vengono definiti irrealtà, non si potrà capire quanta realtà scopra il viaggio nel fantastico»
(617); «Viviamo come se non dovessimo che vivere: che è il modo moderno di prepararsi alla morte» (666); «E, infine, anziché chiedersi perché al pubblico interessa il mondo antico, certi studiosi dovrebbero chiedersi perché interessa anche a loro: e così potrebbero trovare, o magari non trovare, una risposta»
(711)118.
L’efficacia della chiusura in aforisma è ottenuta anche spesso con l’utilizzo espressionistico di citazioni altrui:
«perché, come ha scritto Canetti in Massa e potere, “l’istante del sopravvivere è l’istante della potenza» (597); «E aveva probabilmente ragione Renard quando scriveva: “Può darsi che Maupassant, una volta letto tutto, non si rilegga. Ma quelli che vogliono essere riletti, non saranno letti» (606); «E se elude ogni lirismo consolatorio, non dimentica quanto diceva Kraus, che la poesia è il percorso più breve tra un rigagnolo e la Via Lattea» (627); «Arrendersi alla verità, qualunque essa sia. Quella che faceva constatare a La Rochefoucauld: “Sono poche le donne oneste che non siano stanche del loro mestiere”. E quella che faceva confessare a Cartesio con un certo stupore: “ Osservo che quando sono triste [..] dormo profondamente o mangio con estrema avidità; se mi abbandono alla gioia, non mangio e non dormo”» (632); «C’è una frase di Thomas Mann che suggerisce una risposta: “Eterno è il mondo delle cose che non si possono esprimere, a meno che si esprimano bene”» (638).
Sono presenti, in tono più propriamente retorico, delle conclusioni in cui Pontiggia si rivolge, fàticamente e in stile colloquiale al lettore:
«Quando il testo ci prende e in qualche modo ci riguarda, è perché l’autore sta parlando a noi e non alle nostre controfigure culturali. Questo, a tratti, capita con Villiers. Non è da poco» (652); «… purché consideriamo la bellezza non come una risposta da cui siamo esclusi, ma come un interrogativo che ci riguarda» (758)
118 A questi casi vanno aggiunti tutte le conclusioni basate sui procedimenti di ambivalenza e di antitesi in funzione straniante, di cui si darà conto, inserite in un altro contesto di analisi, nelle pagine
Da segnalare due explicit che anticipano lo stile biografico delle Vite di uomini non illustri: il primo senza alcun elemento ironico o metaforico, il secondo costruito per ottenere un effetto straniante:
«Nati nello stesso anno, il 1821, ammiratori ciascuno del genio dell’altro, Baudelaire e Flaubert vennero processati lo stesso anno, il 1857, l’uno per i Fiori del male, l’altro per Madame Bovary: il primo fu condannato, il secondo assolto»
(658)
«Ricardo Reis, medico nato a Oporto nel 1887, neopagano condannato dalla sua malinconia alla distanza ironica, ci ha lasciato le poesie oraziane più belle del Novecento. Muore il 30 novembre 1935. Non è mai esistito. È stato inventato da Fernando Pessoa». (739)
- Digressioni.
La linea argomentativa del saggio è spesso oggetto di alterazioni e di pause. I segni paragrafematici che esplicitamente rimandano a una interruzione del continuum del discorso, sia dal punto di vista logico che sintattico, sono la parentesi e i due trattini. Soprattutto nella forma-saggio da noi analizzata (ossia quella che rinuncia all’apparato di note proprio della saggistica accademica o comunque specializzata) la parentesi e i trattini assolvono a questa importante funzione completiva:
consentono allo scrittore di fornire informazioni a compendio del discorso, come riferimenti bibliografici, traduzioni da o in altri idiomi, inserzione di citazioni o di elenchi di tratti annunciati in precedenza, ecc119.
119 Si vedano gli esempi riportati nel paragrafo 1. Per queste tipologie si fornisce una serie di esempi esemplificativi dei vari casi: «il paese dei Seri, produttori di seta (sir in cinese antico)» (560); «Nelle lettere ad Amalia Guglielminetti l’incapacità di aderire al presente – all’amore – trova un alibi nel confronto impossibile («Voi non siete George Sand e io non sono Alfred De Musset») e nel confronto avvilente («Ci siamo salvati dalla sorte comune dei piccoli amanti»)» (672); «…cerca di aggiungere ai vanti tradizionali dell’aristocrazia (distacco, autodominio, rispetto di una norma superiore) anche l’utilità sociale, così che fra le tre grazie (nobiltà, ricchezza, bellezza) si inserisce…» (591); «La fine di Lorca […] – come ha dimostrato lo studioso irlandese Ian Gibson in una convincente ricerca – si colloca nel clima di repressione che..» 645. Traduzioni o i commenti brevi possono essere realizzati anche con i due trattini «la spersonalizzazione passa attraverso la maschera – in latino persona – » (603), «contributi originali degli artisti – ma non è casuale che la maggior parte di essi resti anonima
» (597); «ci appare stranamente malinconico – come un presagio – » (599); «e – facile, almeno allora, all’entusiasmo – » (607).
L’uso di parentesi e trattini consente tanto di inserire nel testo elementi che in saggi di tipo accademico potrebbero far parte del paratesto, quanto anche di agire in modo libero ed espressivo su elementi propriamente testuali. In generale possiamo dire che l’uso di tali forme forti di inciso permette di intrecciare il pensiero principale con un altro pensiero che, almeno al livello del discorso, ne sospende momentaneamente la linearità.
Dal punto di vista sintattico l’uso di parentesi e trattini permette di aprire livelli di subordinazione difficilmente gestibili se non attraverso la creazione di profondi gradi ipotattici, che appesantirebbero l’enunciazione120.
L’uso delle parentesi obbedisce comunque sempre a una istanza di equilibrio, come in questo caso di parallelismo:
«L’autore […] sollecita […] in una duplice direzione: sia suggerendo continue variazioni dei temi, come in un contrappunto musicale o in una prospettiva il suo punto di fuga sia l’infinito (e vi dominano le “fere”, i delfini dello stretto, con la loro cangiante, iridescente vitalità, fatta di ferocia e di leggerezza, di crudeltà e di seduzione, di amore e di efferatezza);
sia ritornando, con insistenza percussiva, su un unico significato, quello letterale, per ridurre la polarità di quello simbolico, fino a farli coincidere (“Era l’Orca, quella che dà la morte, mentre lei passa per immortale: lei, la Morte marina, sarebbe a dire la Morte, in una parola”)». 698.
Spesso l’uso delle parentesi serve a Pontiggia per simulare i cambi di progettazione propri del parlato. La necessità può essere quella di disambiguare o specificare:
«adduceva un pretesto illuminante per occultare la sua paura del gioco (la paura di ciò che avrebbe significato per lui un insuccesso con Morphy)» 581; «costretto a rinunciare alla scrittura – cioè alla possibilità di rileggersi mente lavora, di correggersi, di controllare lo sviluppo e il ritmo delle frasi – Sartre si dice costretto a rinunciare allo stile» (621); «C’è come un esodo dal monoteismo, finora considerato l’apice della religiosità, a un discreto – magari negato a parole, ma praticato nei fatti – politeismo» (639); Se tale precisione di appare arbitraria – o
«adduceva un pretesto illuminante per occultare la sua paura del gioco (la paura di ciò che avrebbe significato per lui un insuccesso con Morphy)» 581; «costretto a rinunciare alla scrittura – cioè alla possibilità di rileggersi mente lavora, di correggersi, di controllare lo sviluppo e il ritmo delle frasi – Sartre si dice costretto a rinunciare allo stile» (621); «C’è come un esodo dal monoteismo, finora considerato l’apice della religiosità, a un discreto – magari negato a parole, ma praticato nei fatti – politeismo» (639); Se tale precisione di appare arbitraria – o