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Istanze narrative e stilemi del genere investigativo

3. Istanze e generi narrativi nella prosa letteraria dell’Isola volante

3.2 Procedimenti narrativi in La lotta di Manzoni e l’Anonimo

3.2.2 Istanze narrative e stilemi del genere investigativo

Pontiggia delinea le tappe del rapporto tra il narratore e l’autore fittizio, immaginando che la storia delle varianti sia una sorta di romanzo di cui l’Anonimo e Manzoni sono i protagonisti.

Già nell’incipit Pontiggia, con il solito gusto straniante, si prepara ad attivare il dispositivo narrativo alla base dell’intreccio del suo saggio197: «Il primo personaggio che appare nei Promessi Sposi è un anonimo: un autore del Seicento che racconta una storia ai tempi della sua gioventù»198. Un personaggio con cui Manzoni è fin da subito in «lotta». Dal dominio semantico della lotta provengono molte formulazioni relative al rapporto tra l’Anonimo e Manzoni, come l’aggressività o la paura:

«l’autore del romanzo esercita, nella Introduzione, una aggressività quale mai sarà dato di trovare in Manzoni» (1383);

«Sembra che Manzoni tema la sua controfigura. In fondo l’autore della storia è un altro. Che l’abbia creato lui non semplifica il problema» (1383);

«Nella prima stesura l’Anonimo non è ancora un personaggio da schiacciare sotto il peso più temibile, quello del ridicolo, ma un…» (1383-84);

«vuole lanciare ulteriori sfide» (1388);

«A quel punto l’Anonimo cominciava a configurarsi come il nemico da vincere»

(1389);

«Manzoni inizia la sua tacita, micidiale persecuzione dell’Anonimo; e lo colpisce nel punto dove i pochi scrittori degni di questo nome sono più sensibili: il testo» (1389).

Ma un’altra serie di stilemi (il luogo del delitto, il cancellare le proprie tracce, la rivelazione di una prova decisiva) rinvia a un preciso genere letterario, il giallo:

196 Un altro esempio dell’espunzione delle espressioni attenuative è l’eliminazione, in una clausola finale, di un forse: «Questo è forse l’aspetto enigmatico dell’Anonimo». (57/1404).

197 Anche se, rispetto all’originale, leggermente moderata, per aumentare l’effetto: nell’originale l’anonimo era da subito un personaggio con la maiuscola “Anonimo” («Il primo personaggio che appare nei Promessi Sposi è un Anonimo» (p. 10), con evidente stridore tra l’indeteminativo e la personificazione che vorrebbe il determinativo); nella versione dell’Isola è, per la prima occorrenza ancora solo «un anonimo». (1379)

«Nella prima stesura del romanzo […] l’Anonimo era trattato all’inizio con un rispetto di cui il narratore ha poi cancellato con cura ogni traccia» (1381).

«il narratore cede però a una tentazione fatale: tornare sul luogo del delitto»

(1388);

«[il narratore] pensa a un “migliore espediente” per allontanare il sospetto, che d’altronde solo lui immagina e alimenta. E lo scopre nell’unica soluzione che gli è negata: quella che l’editore mostri il manoscritto» (1388).

Ma, in questo caso, non si tratta solo una serie di metafore isolate: è infatti possibile rincontrare nella struttura del saggio l’allusione a una storia di genere investigativo199. Così, se la fabula è la storia delle versioni dei Promessi sposi (che Pontiggia ripercorre, pur dandola per scontata200) il discorso è riconducibile al genere investigativo, cui tanto deve la sua prosa narrativa (si pensi ad esempio alle trame del Giocatore invisibile).

Il racconto inizia potremmo dire in medias res, con la rilevazione della notevole ostilità con cui Manzoni si «accanisca» a elencare i difetti di quello che da subito viene percepito come un «rivale»201. Il segnale principale del disprezzo di Manzoni è, secondo Pontiggia, nell’uso «dell’aggettivo più perfido: buono»: «buono spesso ci si compiace di attribuirlo al nemico, che si preferisce immaginare inoffensivo»202. A questo punto una vera e propria analessi ci mostra come in realtà il rapporto tra i due non fosse sempre stato così: «Nella prima stesura del romanzo, intitolato allora Fermo e Lucia, del 1821-23, l’Anonimo era trattato dall’inizio con un rispetto di cui il narratore ha poi cancellato ogni traccia»203.

Pontiggia infatti, conducendo una interessante analisi comparativa, mostra come il testo attribuito all’anonimo nell’Introduzione del Fermo e Lucia sia effettivamente meno barocco di quello alla fine scritto per la quarantana. Pontiggia rileva quindi una perfida volontà di Manzoni di screditare il suo avversario attraverso «il tentativo, felicemente riuscito, di peggiorare il testo».

199 Per una disamina del genere investigativo nei romanzi cfr. A. Battistini, I romanzi investiganti di Giuseppe Pontiggia, in Aa.Vv., Giuseppe Pontiggia. Investigare il mondo, cit., pp. 89-101.

200 C’è solo qualche riferimento alle date di composizione e qualche indicazione contenuta in brevi incisi.

201 G. Pontiggia, Opere, cit., p. 1380.

202 Ibidem.

203 Ivi, p. 1381.

Non solo le revisioni stilistiche del testo (la coloritura secentesca data al manoscritto dell’anonimo) ma anche eventuali soppressioni di parti di testo dal Fermo ai Promessi vengono rilette da Pontiggia nei termini narrativi di un sabotaggio204 che ha come scopo quello di rendere «sfocata» la figura dell’anonimo, tanto che nessuno lo ricordi «affatto come personaggio» ma solo come autore di «brandelli di prosa artificiosa»205.

E così, al termine di questa analessi, focalizzandosi sul Manzoni autore grazie all’indiretto libero, Pontiggia rivela il nodo del rapporto burrascoso tra i due:

«Sembra che Manzoni tema la sua controfigura. In fondo l’autore della storia è un altro. Che l’abbia creato lui non semplifica il problema». (1383)

Ma subito riporta la sua metafora su un piano che è tanto di critica letteraria quanto umano:

«Il rapporto di un narratore con i personaggi non è molto diverso da quello con le persone: rapporto spesso ambiguo, complesso, inafferrabile. Strano non è il fenomeno, ma lo stupore che suscita. Sarebbe come meravigliarsi che un padre non si riconosca nel figlio: quasi mai un padre si riconosce nel figlio. Se gli accade è solo una illusione temporanea. E la meta che viene assegnata al figlio, di prendere le distanze, riguarda in misura non minore, anche se diversa, il padre». (1383)

“Personaggio/persona” e “padre/figlio” sono le coppie su cui Pontiggia imposta, ora non più narrativamente, la relazione tra l’autore Manzoni e l’anonimo, visto come un figlio da cui il padre deve prendere le distanze, più che rispecchiarsi in esso.

Ma la mescolanza tra il piano narrativo e quello dell’analisi letteraria riprende subito. Così la distinzione tecnica tra Autore/narratore/autore fittizio viene esplicata in termini narrativi e non narratologici:

«Nella prima stesura l’Anonimo non è ancora un personaggio da schiacciare sotto il peso più temibile, quello del ridicolo, ma un autore da cui il narratore del romanzo deve distanziarsi. Quanto a Manzoni, non è né l’uno né l’altro. […] Anche il

204 Una espressione usata nella prima versione dall’anonimo, «covile oscuro della dimenticanza» è valutata da Pontiggia come «di quelle che non si dimenticano». E Manzoni, piuttosto che lasciare in bocca al suo rivale una espressione memorabile, preferisce, nell’edizione quarantana, sopprimerla:

«Il contrario di quello che voleva Manzoni, che non ha esitato a sopprimerla» (p. 1383).

narratore è un personaggio dentro il quadro. E del resto, a differenziarlo da Manzoni, basterebbe già la figura dell’Anonimo, a cui il narratore simula di rifarsi».

(1383-84)

Il conflitto alla base dell’intreccio disegnato da Pontiggia è quello del Manzoni autore che deve creare un narratore «verosimile»: «Deve dunque essere verosimile che il narratore attinga a una storia già scritta e insieme la riscriva completamente.

Ma tutto questo, a rifletterci, non è molto verosimile»206. Manzoni però, nell’interpretazione di Pontiggia, si sarebbe reso conto che il primo tentativo fatto con l’introduzione del Fermo e Lucia avrebbe in realtà ottenuto gli esiti opposti a quelli desiderati207e addirittura lo avrebbe portato a far accadere ciò che voleva evitare, ossia a tessere egli stesso «il bozzolo da cui non potrà uscire». Dopo averlo creato, e in qualche modo giustificato, Manzoni inizia a percepire la sua esistenza come una minaccia alla verosimiglianza del suo romanzo: ecco che, nel processo compositivo, «l’Anonimo cominciava a configurarsi come il nemico da vincere»208. Con grande acume filologico e narrativo insieme, Pontiggia legge nei primi rifacimenti dell’introduzione un altro capitolo della storia del rapporto tra i tre personaggi. In particolare, lo colpisce una delle varianti tra le due introduzioni: al termine della interrogativa in cui il narratore dei Promessi si chiede quale stile sarebbe subentrato a quello del secentista, Manzoni, nella quarantana, sostituisce la prima formula, «qui sta la lepre», con quella definitiva, «qui sta il punto». Questa variante per Pontiggia è un segno di un cambiamento nella lotta appena iniziata tra Manzoni e l’Anonimo:

«La metafora della lepre che giace non solo evita la gravità malinconica dell’asino che casca, ma capovolge i ruoli: l’animale colpito, la vittima diventa il narratore, al posto dell’Anonimo che era il vero perseguitato». (1390)

206 Ivi, p. 1384.

207 «Ma quando cerca di spiegare la menzogna, cade nelle stesse complicazioni che ci attendono quando cerchiamo di spiegare la verità. Non per altro ricorriamo alla menzogna» (pp. 1388-89).

208 Ivi, p. 1389.

La variante sarebbe stata scelta così per sottrarre il narratore dallo scacco in cui era finito e ottenere, con il tono persuasivo del resto dell’introduzione, «la fiducia del lettore».

E qui sembra che Manzoni abbia vinto la sua lotta e creato un narratore verosimile.

Per proseguire la sua analisi della presenza dell’anonimo nell’opera, Pontiggia ricorre a un espediente tipico del genere giallo: «La vittoria sull’Anonimo non potrebbe essere in apparenza più completa. Ma consideriamo brevemente come l’ha ottenuta»209. Come uno scaltro investigatore Pontiggia ripercorre, attraverso un sommario, la ricostruzione dei fatti, mettendola in dubbio e individuando delle ulteriori piste di indagine: «Si tratta veramente di vittoria? E, ammesso che lo sia, perché ottenerla a tale prezzo?» (1393).

La risposta all’interrogativo è ancora una volta formulata nel linguaggio del genere investigativo: Pontiggia trasforma un’analisi dei luoghi in cui il narratore «suscita la presenza» dell’anonimo, in un suo interrogatorio:

«Per rispondere […] a queste domande, occorrerà anzitutto interrogare l’Anonimo». (1394)

L’identikit che ne risulta è quello di un personaggio che fa di tutto per nascondersi, diventando così la personificazione della figura dell’«omissione e della reticenza»210. Pontiggia può così immaginare (continuando la sua analisi letteraria) un nuovo sviluppo nella storia: dopo averlo reso «innocuo», il loro rapporto «nel corso della narrazione, migliora» fino a quello che Pontiggia chiama un ricupero del personaggio211.

La capacità di trasformare in “storia romanzesca” la “storia delle varianti” è impressionante. Il ricupero è fondato su una serie di riferimenti benevoli del

209 Ivi, p. 1393.

210 «In realtà qui (nel primo capitolo) l’Anonimo è riapparso soltanto per sparire» (p. 1394), «I silenzi dell’Anonimo costellano di vuoti il percorso di Lucia» (p. 1395), «L’Anonimo riacquista invece un rilievo straordinario quando tace» (p. 1396).

narratore all’Anonimo212 ed è giustificato narrativamente attraverso una serie di metafore, che fondono, come da tradizione, l’amore e la guerra:

«L’arte del governo, come sapevano i Romani, si fonda sulla liberalità, purché esercitata con i vinti. Una volta reso inoffensivo il rivale, lo si può riabilitare. È una strategia ricorrente anche nel triangolo amoroso». (1397)

La metafora del triangolo amoroso è sfruttata da Pontiggia per introdurre l’altra fondamentale istanza narrativa, quella del lettore213:

«Nei Promessi Sposi il terzo vertice del triangolo, il lettore, non direi che esiti nella scelta. Asseconda il gioco del narratore e sta senza sospetti dalla sua parte». (1397-98)

Il nuovo atteggiamento nei confronti dell’Anonimo, che caratterizzerebbe la seconda parte del romanzo, viene sinteticamente descritto con la coppia ossimorica del «cauto idillio», espressione che permette a Pontiggia un duplice sviluppo, metaforico e narrativo. Dapprima commenta l’espressione con una similitudine relativa all’amicizia, che porta il lettore “fuori” dalla storia del rapporto di Manzoni e l’Anonimo, conducendolo a riflettere sull’esperienza di ciascuno:

«come accade tra coloro che si sono ispirati una solida diffidenza e alla fine la scoprono meno fondata di quanto temessero. Quanti amici abbandoniamo nel corso degli anni, sostituititi malinconicamente da nemici che offrono la novità di una resa a condizioni». (1398)

Poi sviluppa l’antitesi del «cauto idillio» attraverso una metafora amorosa, riuscendo a immaginare uno sviluppo narrativo a partire dalla minima variazione di un avverbio tra la seconda versione del Fermo e Lucia e quella definitiva dei Promessi Sposi: la soppressione di un periodo che conteneva l’avverbio

212 Ivi, pp. 1398-1399.

213 La categoria cui sembra far riferimento qui Pontiggia è quella del lettore implicito, secondo la definizione di Iser, per il quale «il lettore implicito [...] include tutte quelle predisposizioni necessarie all’opera letteraria per esercitare i suoi effetti – predisposizioni progettate non mediante una realtà empirica esterna, ma mediante il testo. Conseguentemente, il concetto del lettore implicito ha le sue radici saldamente piantate nella struttura del testo; esso è una costruzione e in nessun modo può essere identificato con il lettore reale». (W. Iser, L' atto della lettura: una teoria della risposta estetica, Il Mulino, Bologna, 1987, p. 73.)

«fedelmente» porta Pontiggia a immaginare una maturazione, nel senso del disincanto, della storia “amorosa” appena stabilita tra i due:

«Ma nei Promessi Sposi (I, 381) ci ripensa. Non parla più di fedeltà, ardua da mantenere anche in un romanzo, e si limita a riconoscere la guida “del suo autore”». (1398)

Si passa così da un rischioso «entusiasmo solidale» a un «meno impegnativo e quindi più accettabile «cauto idillio»214. Idillio che sembra andare in crisi quando il narratore capisce che seguire l’Anonimo vorrebbe dire indugiare sull’elenco delle letture di don Ferrante; a quel punto il narratore si discosta nuovamente dal suo autore215.

L’ultimo atto del rapporto viene immaginato nei termini di una celebrazione-tributo del narratore al suo più anziano collega. Infatti, dopo una serie di riferimenti positivi, il narratore attribuisce, nell’ultimo capitolo, addirittura due similitudini all’Anonimo: Pontiggia legge in questa concessione la celebrazione di «una piccola apoteosi, di quelle che i letterati sogliono riservare al collega giunto alla età tarda, quando non siano anticipati da una cerimonia più mesta, anche se forse più seria»216.

A questo punto Pontiggia, rivestendo nuovamente i panni del detective217, considera terminato il suo interrogatorio, ricapitola la trama narrativa dell’analisi con un paragrafo che mette in mostra tutto il suo repertorio stilistico di parallelismi ed ossimori:

«Non so se l’anonimo abbia risposto alle nostre domande.

Ha dovuto subire le angherie di un despota educato, le distrazioni di un burattinaio stupito, le sorprese di una coerenza sotterranea. Vinto, si è preso le sue rivincite. È costato al narratore rinunce espressive; e poi dubbi, pentimenti, ritrattazioni. Si è

214 Ibidem.

215 Questo un nuovo «incrinarsi» dell’idillio viene interpretato, come sempre, con un rifermento extra-letterario alle relazioni umane: «ecco Manzoni riprendere le distanze, con quella capricciosa mutevolezza che in ogni rapporto il più forte si concede, per poi fingere di ignorarne il significato, mentre il più debole piomba in un costernato stupore» (p. 1400).

216 Ivi, p. 1401.

217 L’uso diverso della prima persona singolare e della prima persona plurale sembra suggerire la

parlato di lui come un artificio verosimile. Ma non si è rivelato sempre verosimile, né si è rivelato sempre un artificio». (1402)

Inizia qui la sequenza conclusiva del saggio, in cui Pontiggia può tornare sul tema, anticipato all’inizio della nostra trattazione, che più gli premeva: quello del rapporto tra ciò che la parola dice e ciò che, dicendo, non dice:

«Era qualcosa più che un artificio verosimile, era un personaggio vero. E anche, ridotta non a caso di scala, la figura più importante che un narratore incontra nel suo percorso: quella della reticenza, dell’omissione, del silenzio». (1402)