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Una partita a scacchi tra il linguaggio e la verità.

Il Novecento è stato da molti definito il secolo della saggistica1. Addirittura, per Berardinelli, «a conti fatti, la saggistica sembra il genere più robusto e vitale» del Novecento2. Affermazioni che appaiono tanto più vere se calate nel contesto della critica italiana del secondo Novecento quando la saggistica vive la sua stagione d’oro e la sua crisi3: se nel dopoguerra, sotto il richiamo del “ritorno all’uomo”, si impongono le forme della saggistica militante e impegnata4, a partire dalla metà degli anni Sessanta la critica strutturalistica sembra trovare, nella costruzione di una

1 Cfr. C. Segre, I segni e la critica, Einaudi, Torino 2008, P. XVIII. Addirittura Auerbach, rintracciando l’origine della saggistica moderna nei Saggi di Montaigne, fa coincidere la nascita del genere con l’inizio «dell’autocoscienza laica» moderna. E. Auerbach, Montaigne scrittore, in Id. La corte e la città. Saggi sulla storia della cultura francese, Carocci, Carocci, Roma 2007, p. 13. Imprescindibile riferimento per una retrospettiva sul saggio nel Novecento è A. Berardinelli, La forma del saggio.

Definizione e attualità di un genere letterario, Marsilio, Venezia, 2002; e Id., La forma del saggio e le sue dimensioni, in Aa.Vv. Il saggio. Forme e funzioni di un genere letterario, a cura di G. Cantarutti, L. Avellini e S. Albertazzi, Il Mulino, 2007; per una recente bibliografia sul tema si veda M. Pecora, Appunti per una bibliografia critica sul saggio letterario, in Aa.Vv., Il saggio critico. Spunti, proposte, riletture, a cura di M. Sacco Messineo, :duepunti, Palermo, 2007, pp. 109-133.

2 A. Berardinelli, Casi critici. Dal postmoderno alla mutazione, Quodlibet, Macerata, 2007, p. 37.

3 E. Zinato, Le idee e le forme. La critica letteraria in Italia dal 1900 ai nostri giorni, Carocci, Roma, 2010, p. 12 e passim.

4 La “scoperta” da parte di Togliatti di Gramsci costituisce il punto di riferimento ideologico e stilistico della grande stagione della critica militante, che, già a partire dagli anni quaranta, ma soprattutto negli anni cinquanta-settanta, si imporrà nel panorama culturale italiano, contribuendo a mettere in crisi la critica di stampo crociano: «A partire dal secondo dopoguerra, e sempre più negli anni Cinquanta e primi anni Sessanta, la critica idealistico-storicistica entrò in crisi e venne soppiantata da una ideologica di matrice marxista, che poté però presentarsi sotto angolature diverse, a seconda del tipo di rapporto con le direttive ufficiali del Partito comunista italiano e di quello sovietico» (A. Casadei, La critica letteraria contemporanea, Il Mulino, Bologna, 2015, p. 38).

Se c’è un testo che rappresenta al massimo grado questa alleanza tra discorso etico-politico e critica letteraria, è Verifica dei poteri di Franco Fortini. La raccolta di saggi, scritti a partire dal 1955, ebbe un ruolo centrale nella formazione culturale di molti protagonisti delle vicende del ’68, e permette di avere un quadro sintetico dei termini, dei problemi, degli scopi, delle aspirazioni che caratterizzavano la critica militante negli anni Sessanta-Settanta. (F. Fortini, Verifica dei poteri, in Id., Verifica dei poteri. Scritti di critica e di istituzioni letterarie, nuova edizione accresciuta, il Saggiatore, Milano 1969).

vera e propria scienza della letteratura, una via alternativa tanto all’ideologia5 quanto all’estetica dominante di matrice crociana6. Ma già a metà degli anni Ottanta le vicende storiche, economiche e culturali che l’occidente stava elaborando fin dagli anni Cinquanta e che sarebbero poi sfociate nel Postmoderno7,

5 L’analisi scientifica della letteratura fu lanciata in Francia negli anni Sessanta «anche grazie all’appoggio di una rivista brillante e molto seguita come “Tel Quel”, al prestigio di Roland Barthes, alla solida preparazione di Algirdas J. Gremias, e all’opera brillante di Claude Bremond, Tzvetan Todorov, e tanti altri» (C. Segre, I segni e la critica. Fra strutturalismo e semiologia, con una nuova introduzione, Einaudi, Torino 2008, pp. XII-XIII). Proprio Todorov, nel suo famoso saggio La letteratura in pericolo, ricorda l’origine del suo interesse per lo studio delle forme del linguaggio letterario: «La Bulgaria a quei tempi faceva parte del blocco comunista e gli studi umanistici erano sotto il controllo dell’ideologia ufficiale. I corsi di letteratura erano per metà di erudizione e per metà di propaganda: le opere del passato o contemporanee erano valutate in ragione della loro conformità al dogma marxista-leninista. Si trattava di dimostrare in che cosa questi scritti illustrassero l’ideologia giusta – o in che modo non riuscissero a farlo. Non condividendo la fede comunista, e senza peraltro essere animato da uno spirito di rivolta, mi rifugiavo in un atteggiamento adottato da molti miei compatrioti: in pubblico, consenso silenzioso o appena accennato agli slogan ufficiali; in privato, una vita ricca di incontri e di letture, orientate principalmente verso autori che non si poteva sospettare fossero portavoce di una dottrina comunista. […] Per completare gli studi universitari bisognava comunque discutere, alla fine del quinto anno, una tesi di laurea. Come parlare di letteratura senza doversi piegare alle esigenze dell’ideologia dominante? Scelsi una delle poche vie che permettevano di sfuggire al reclutamento ufficiale. Si trattava di occuparsi di argomenti che non avessero nulla a che vedere con l’ideologia;

perciò, di tutto quello che nelle opere letterarie riguardasse il testo in quanto tale e le sue forme linguistiche». (T. Todorov, La letteratura in pericolo, Garzanti, Milano 2008, pp. 10-11).

6 «Si può dire che il pensiero crociano è presupposto e cornice della saggistica italiana per quasi tutta la prima metà del Novecento. Non c’è saggista che non presupponga Croce e non si sforzi di trovare la propria fisionomia e la propria strada allontanandosi da lui, cautamente o violentemente». (A.

Berardinelli, La forma saggio, cit., p. 101). Le ragioni di questa centralità sono da ricercare, per Gramsci nell’alleanza tra il pensiero e lo stile: «Una questione molto interessante mi pare quella che si riferisce alle ragioni della grande fortuna che ha avuto l’opera di Croce, ciò che non avviene di solito ai filosofi durante la loro vita e specialmente non si verifica troppo spesso fuori della cerchia accademica. Una delle ragioni mi pare da ricercare nello stile». (A. Gramsci, Lettera a Tatiana Schucht del 19 marzo 1927, in Lettere dal carcere, a cura di S. Caprioglio ed E. Fubini, Torino, 1965, pp. 612-613). Ritorna su questo tema Cesare Segre: «Molto semplicemente, si può dire che dopo le ubriacature di estetica crociana, diventata quasi dottrina ufficiale, in cui si parlava degli autori, ma non era tanto importante analizzare minutamente i testi, si era sentito il bisogno di tornare ai testi nella loro concretezza, che è primariamente linguistica» (C. Segre, I segni e la critica, cit., p. X).

7 Oltre all’imprescindibile J.F. Lyotard, La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere, Feltrinelli, Milano, 2010 [1979], si vedano, per quanto riguarda l’Italia, almeno R. Ceserani, Raccontare il postmoderno, Bollati Boringhieri, Torino, 1997; G. Ferroni, Dopo la fine. Una lettura possibile, Donzelli, Roma, 2010; tra gli altri, così A. Berardinelli: «a partire dagli anni Settanta molti intellettuali stavano elaborando la percezione precisa di trovarsi in un’epoca nuova. [...] La fine del Sessantotto, il crollo dell’idea di rivoluzione, la crisi della Ragione, i disagi di fronte all’idea di Storia e di Progresso, la perdita di senso del futuro e del passato, la mescolanza inarrestabile (nei media di massa, nelle arti, nella vita universitaria) di alta cultura e cultura di massa, le trasformazioni sociali e produttive, le tecnologie della comunicazione, e infine la pioggia di termini come industriale, post-surrealismo, post-neoavanguardia, post-storia, post-fordismo: ecco era nata con ogni evidenza l’Epoca del Dopo» A. Berardinelli, Casi critici. Dal postmoderno alla mutazione, Quodlibet, Macerata,

fanno sentire le loro conseguenze anche sulla critica letteraria, che sembra attraversare un periodo di forte crisi8. Il destino della saggistica, soprattutto quella letteraria, è sembrato allora quello, duplice, di una fuga nell’accademia, dove la perdita di mordente sulla società poteva essere sopperita con la sua bulimica sovrapproduzione autoreferenziale9, o della sua trasformazione in talk show, intrattenimento, più al servizio di interessi editoriali che delle ragioni dell’arte10. Al di là della crisi, c’è anche chi ha visto in questa situazione un’occasione per il recupero degli aspetti più autentici della saggistica, così legata, nella sua definizione di genere, al contesto sociale e culturale di cui è un privilegiato specchio11.

8 Impossibile qui tracciare un quadro della bibliografia sterminata su questo argomento, anche perché, a detta di molti, la critica accademica a cavallo del ventunesimo secolo appare cristallizzata nelle analisi della propria agonia. Si vedano almeno C. Segre, Notizie dalla crisi. Dove va la critica letteraria?, Einaudi, Torino, 1993 e Id., Ritorno alla critica, Einaudi, Torino, 2001, G. Ferroni, Dopo la fine. Sulla concezione postuma della letteratura, Einaudi, Torino, 1996, M. Lavagetto, Eutanasia della critica, Einaudi, Torino 2005.

9 Lapidario il giudizio di Luperini: «Oggi chi scrive sulla letteratura e sulla condizione intellettuale si rivolge tutt’al più a una cerchia ristretta di specialisti o, peggio, di lettori coatti (colleghi e studenti):

una circolazione a circuito chiuso [...] Per chi si scrive e per cosa si scrive sembra diventata questione superflua: pare ovvio infatti scrivere per la carriera accademica, o giornalistica, o per un successo comunque destinato a bruciarsi in pochi giorni» R. Luperini, Tramonto e resistenza della critica, Quodlibet, Macerata, 2013, p. 7. Sul tema anche Leonelli - La Porta, Dizionario di critica militante.

Letteratura e mondo contemporaneo, Bompiani, Milano, 2007, p. 38 e passim. Leonelli riferisce come l’accademia sia stata considerata come un rifugio di libertà per grandi critici militanti come, ad esempio, Fortini: «In un’intervista del 1991 Fortini riconosce nell’isolamento operoso del lavoro universitario, cui lui stesso s’era consacrato da circa tre lustri, l’unica salvezza» (Ivi, p. 38).

10 Alessandro Baricco si è occupato a più riprese del tema, a cominciare da Barnum: cronache dal grande show, Feltrinelli, Milano, 1995 e poi con Barnum 2: altre cronache dal grande show, Feltrinelli, Milano 1998, fino al più recente Il nuovo Barnum, Feltrinelli, Milano, 2016. Per una sintesi del rapporto tra critica e mondo editoriale, si vedano E. Zinato, Le idee e gli stili della critica negli anni della mutazione: i modelli di Pasolini, Fortini e di Calvino, in Id, Le idee e la forma, cit., p. 125 e passim. Sul tema del cambiamento della figura dell’intellettuale nel postmoderno si suggeriscono Z.

Bauman, La decadenza degli intellettuali. Da legislatori a interpreti, Bollati Boringhieri, Torino 1992 e, per l’Italia, R. Luperini, Tramonto e resistenza della critica, cit. Interessante il punto di vista di Carla Benedetti che ribalta i fattori in gioco nel suo Il tradimento dei critici, Bollati Boringhieri, Torino, 2002.

11 Si fa qui riferimento alla formula utilizzata da Berardinelli, quando dice che il saggio «dichiara la situazione in cui riflessione e comunicazione avvengono: sottolinea cioè il proprio rapporto comunicativo, persuasivo, polemico con un pubblico, esprime stilisticamente delle scelte di valore, tematizza in vario modo il riferimento a teorie e l’applicazione di metodi di conoscenza e di analisi».

A. Berardinelli, La forma saggio, cit. p. 29; sull’argomento, oltre ai testi già citati, si vedano anche Aa.Vv. Il saggio. Forme e funzioni di un genere letterario, a cura di G. Cantarutti, L. Avellini e S.

Albertazzi, Il Mulino, 2007; M. Sacco Messineo, La forma del saggio critico: modalità e parabola nel Novecento, in Aa.Vv., Siculorum Gymnasium. Rassegna della facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Catania. Studi di Italianistica per Paolo Mario Sipala, a cura di S. Zappulla Muscarà, Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Catania, 2002, pp. 471-481; Aa.Vv. Il saggio critico, Spunti, proposte, riletture, a cura di M. Sacco Messineo, :duepunti, Palermo, 2007.

È nel contesto di quella che in molti hanno chiamato una vera e propria

«mutazione»12 che spicca, per autonomia, originalità di apporto e legame con la tradizione, l’opera letteraria e saggistica di Giuseppe Pontiggia (Como 1934 – Milano 2003). Scrittore poliedrico, oratore magnetico, autocertificato bibliomane, raggiunge agli inizi degli anni 2000 l’apice della sua fama presso il grande pubblico con il romanzo Nati due volte13: coronamento di una produzione di grande valore, in cui spicca La grande sera14, premio Strega ’89, Il raggio d’ombra15 (nella cinquina dello stesso premio nel 1983), Il giocatore invisibile16 (1978) e Vite di uomini non illustri17 (1993), opere, queste ultime, capaci di ispirare il cinema18. L’esordio di Pontiggia come romanziere è legato all’allora nascente rivista del «Verri» di Anceschi: la sua prima prova, il racconto lungo La morte in banca19, viene pubblicata sui «Quaderni del Verri», e lo stile del successivo L’arte della fuga20 è legato ai fermenti sperimentali della Neoavanguardia, che Pontiggia frequenta fin dalle origini, e che però abbandona quasi subito, non persuaso fino in fondo della loro

12 Sull’uso di questo termine si veda E. Zinato, Le idee e gli stili della critica negli anni della mutazione:

i modelli di Pasolini, Fortini e di Calvino, in Id., Le idee e la forma, cit., p. 125 e passim. Interessante la ripresa operata da A. Baricco, I barbari: saggio sulla mutazione, Feltrinelli, Milano, 2008.

13 G. Pontiggia, Nati due volte, Mondadori, Milano, 2000; Oscar Mondadori, Milano, 2002; quindi in Id., Opere, a cura e con un saggio introduttivo di D. Marcheschi, Mondadori, Milano, 2004, pp. 1533-1702.

14 G. Pontiggia, La grande sera, Mondadori, Milano, 1989; II ed. riveduta, Oscar Mondadori, Milano, 1995 (postfazione di D. Marcheschi); quindi in Id., Opere, cit., pp. 781-1009.

15 G. Pontiggia, Il raggio d’ombra, Mondadori, Milano, 1983; II ed. riveduta e ampliata, Oscar Mondadori, Milano, 1988 (introduzione di L. Lattarulo), quindi in Id., Opere, cit., 395-531.

16 G. Pontiggia, Il giocatore invisibile, Mondadori, Milano 1978; Oscar Mondadori, Milano, 1989 (introduzione di D. Marcheschi); quindi in Id., Opere, cit., pp. 189-393.

17 G. Pontiggia, Vite di uomini non illustri, Mondadori, Milano, 1993; Leonardo, Milano, 1996; Oscar Mondadori, Milano, 1999; quindi in Id., Opere, cit., 1099-1288.

18 Dal Giocatore invisibile nel 1985 viene tratto il film omonimo, per la regia di Sergio Genni, trasmesso in tre puntate sulla televisione svizzera. Pontiggia collaborò alla sceneggiatura. Esiste un sito internet dedicato al film: https://www.ilgiocatoreinvisibile.it. Il regista Mario Monicelli si ispirò, per il suo Facciamo Paradiso (1995), ad una delle Vite di uomini non illustri, Una goccia dell’oceano divino. Nel 2004, ispirato a Nati due volte, per la regia di Gianni Amelio esce il film Le chiavi di casa, vincitore del premio Nastro d’Argento 2005.

19 G. Pontiggia, La morte in banca. Cinque racconti e un romanzo breve, «Quaderni del Verri», Rusconi e Paolazzi Milano, 1959; La morte in banca. Un romanzo breve e undici racconti, II ed.

ampliata, Mondadori, Milano, 1979; La morte in banca. Un romanzo breve e sedici racconti, III ed.

riveduta e ampliata, Oscar Mondadori, Milano, 1991 (introduzione di M. Barenghi); quindi in Id., Opere, cit., pp. 3-56.

20 G. Pontiggia, L’arte della fuga, Adelphi, Milano, 1968; II ed. riveduta e ampliata, Adelphi, Milano

concezione del linguaggio21. Già nei primissimi anni Sessanta, Pontiggia ha chiara la necessità di percorrere una via diversa22 rispetto al dibattito che iniziava in quegli anni e conquistarsi così uno spazio di ricerca letteraria e intellettuale autonomo23, ma non per questo avulso dalle sfide lanciate dalla cultura dell’impegno prima e del postmoderno poi. Proprio grazie all’amicizia con il fervido ambiente letterario milanese (personaggi del calibro di Vittorini e Anceschi sono determinanti nella scelta di dedicarsi alla scrittura24) Pontiggia sarà introdotto nel mondo editoriale di Milano, iniziando a collaborare con case editrici come Adelphi e Mondadori25, per

21 Cfr. D. Marcheschi, Cronologia, in Opere, cit., p. LXXXI. Delle molte interviste rilasciate sul tema, si vedano quelle in apertura di R. Dedola, Giuseppe Pontiggia, La letteratura e le cose essenziali che ci riguardano, Avagliano, Roma, 2013, in particolare le pp.20-21, 45-48. Sul non allineamento di Pontiggia alle posizioni della neoavanguardia, si veda quanto scrisse lo stesso autore in G. Pontiggia, I classici stanno bene, sono vivi, in V. Della Valle (a cura di), Parola di scrittore. La lingua della narrativa italiana dagli anni Settanta a oggi, Miminum Fax, Roma, 1997, pp. 50-60; inoltre può essere significativo vedere l’opinione, dall’interno del gruppo, di A. Giuliani, Gli strani anni Sessanta del narratore perplesso, in Aa.Vv. Giuseppe Pontiggia contemporaneo del futuro, a cura di G. Ruozzi, Gedit, Bologna 2006, pp. 19-21 e R. Barilli nel suo La neoavanguardia italiana. Dalla nascita del

«Verri» alla fine di «Quindici», il Mulino, Bologna, 1995, pp.169-171. Sul rapporto della neoavanguardia con la lingua comune cfr. V. Coletti, Storia dell’italiano letterario. Dalle origini al Novecento, Einaudi, Torino, 1993, pp. 357-366.

22 Giovanni Maccari parla di una «terza via del mestiere», G. Maccari, Giuseppe Pontiggia, Fiesole, Cadmo, 2003, p. 13. Citazione ripresa da M. Bellardi, il quale individua questa terza via come quella che permette a Pontiggia di smarcarsi dalla «contrapposizione tra “apocalittici” e “integrati” che anima il dibattito culturale degli anni Sessanta» e delinea «un modo di porsi nel contesto italiano che si sottrae ai gruppi, alle correnti e alle mode, e trova nella coerenza delle scelte adottate fin dall’esordio il filo conduttore di un preciso percorso letterario in direzione classicista». M. Bellardi, Uno smisurato equilibrio. La narrativa sperimentale di Giuseppe Pontiggia, Cesati, Firenze, 2014.

23 Sergio Pautasso individua il «suo effettivo atto di nascita alla letteratura», non nella narrativa, ma

«in biblioteca, ossia tra le sue forsennate letture e riletture di lettore non specializzato, molto curioso sia del passato e dei suoi classici antichi e moderni, sia del mondo, da cui deriva il taglio non provinciale della sua presenza intellettuale». S. Pautasso, Della discrezione letteraria. Creazione e pensiero, in assoluta libertà, «l’Erasmo», 21, maggio-giugno, 2004, p. 11.

24 Nel 1961, su suggerimento di Vittorini, lascia il lavoro in banca per dedicarsi all’insegnamento nelle scuole serali del Comune di Milano, «per avere la giornata libera» e avere «tanta disponibilità di tempo per leggere». «È in una Milano culturalmente viva, piena di artisti, scrittori e poeti, che Pontiggia inizia, come dirà poi, a “scrivere sul serio”». Cfr. Cronologia, in Opere, cit., pp. LXXXII-LXXXIII. Su questo importante episodio della vita di Pontiggia si veda la bella ricostruzione fatta da R. Dedola, Giuseppe Pontiggia, cit., pp. 65 e segg.

25 Il mondo editoriale in cui fa il suo ingresso Pontiggia, è un mondo in profonda trasformazione.

Zinato sottolinea come le case editrici più prestigiose si trasformano in «periferiche filiali di grandi gruppi mediatici dominati dalla corsa all’audience, ossia al successo economico a brevissimo termine». L’ingresso di grandi capitali nel mondo dell’editoria sbilancia la concezione di libro soltanto su una delle sue due dimensioni, quella di oggetto economico (merce) svalutando quella di oggetto culturale. Rivolta prevalentemente al marketing e alla «creazione di rappresentazioni»

l’attività editoriale può dunque fare a meno della mediazione intellettuale: «con i grandi editori-protagonisti italiani (Mondadori, Rizzoli, Bompiani, Feltrinelli, Einaudi) scompaiono anche i loro prestigiosi consulenti-critici e scrittori (come Vittorini, Sereni o Calvino)». Il consulente-letterato è

le quali si occuperà della linea editoriale, curando personalmente molti importanti volumi e lanciando alcuni autori26; numerose anche le collaborazioni con quotidiani e riviste, come «Almanacco dello Specchio», «Europeo», «Corriere della Sera»,

«Panorama», «Famiglia cristiana», «Il Sole 24 ore», e molte riviste letterarie27. Le cinque raccolte di saggi che saranno oggetto di questo lavoro, sono frutto della rielaborazione di questo vario materiale che Pontiggia, di volta in volta, raccoglie, corregge e spesso riscrive in vista della pubblicazione in volume. A partire dalla metà degli anni Ottanta pubblicherà nell’ordine Il giardino delle Esperidi (1984)28, Le sabbie immobili (1992)29, L’isola volante (1996)30, I contemporanei del futuro.

Viaggio nei classici (1998)31, Prima persona (2002)32. Ma i “tavoli” su cui lavora non sono solo quelli della narrativa e della saggistica: Pontiggia dà prove eccellenti anche come traduttore, specialmente dal latino33, come conferenziere e docente di

stato, fino agli anni Sessanta, quella figura che «partecipa alla politica editoriale, mantiene i rapporti con gli autori e può proporre una propria idea di letteratura»; successivamente il suo ruolo critico si riduce, trasformandosi in un esperto di strategie di mercato, «a completo vantaggio della mercificazione» (tutte le citazioni da E. Zinato, Le idee e gli stili della critica negli anni della mutazione, cit., p. 126).

26 Tra gli altri, Guido Morselli. Cfr. D. Marcheschi, Cronologia, in G. Pontiggia, Opere, cit., p. LXXXIV.

27 Cfr. D. Marcheschi, Cronologia, in G. Pontiggia, Opere, cit., pp. LXVII-CXXI.

28 G. Pontiggia, Il giardino delle Esperidi, Adelphi, Milano, 1984; quindi in Id., Opere, cit., pp. 533-780.

29 G. Pontiggia, Le sabbie immobili, il Mulino, Bologna, 1991, quindi in Id., Opere, cit., pp. 1011-1097.

30 G. Pontiggia, L’isola volante, Mondadori, Milano, 1996; e Oscar Mondadori, Milano, 2002; quindi in Id., Opere, cit., pp. 1289-1496.

31 G. Pontiggia, I contemporanei del futuro. Viaggio nei classici, Mondadori, Milano, 1998; Oscar Mondadori, Milano, 2001 e 2002. Di questo volume solo la prima parte, I classici, una metafora sociale e militare, è riportata in Id., Opere, cit., pp. 1497-1532.

32 G. Pontiggia, Prima persona, Mondadori, Milano, 2002; Oscar Mondadori, Milano, 2003; quindi in Id., Opere, cit., pp. 1703-1093.

33 La collaborazione con la casa editrice Adelphi inizia proprio come revisore delle traduzioni dal latino di Lucano e Seneca, curate da Raffaele Ciaffi. Pontiggia stesso realizza alcune importanti

33 La collaborazione con la casa editrice Adelphi inizia proprio come revisore delle traduzioni dal latino di Lucano e Seneca, curate da Raffaele Ciaffi. Pontiggia stesso realizza alcune importanti