2. Al vaglio della lingua comune: la lingua della saggistica letteraria nel Giardino
2.5. Ornatus
2.5.4 Figure sintattiche
- Similitudini.
Meno definitoria della metafora, pur agendo sullo stesso principio sostitutivo154, la similitudine mette in evidenza la soggettività dell’autore in modo più evidente, poiché espone i procedimenti combinatori che utilizza. La metafora infatti, pur essendo generata da una libera associazione, si presenta nella sua brevità definitoria meno discutibile: la similitudine invece, strutturandosi in sintassi, mette in mostra i procedimenti argomentativi che la generano.
Nel saggio dedicato alla sua passione per gli scacchi, per descrivere la sua reazione a una prima sconfitta, usa una similitudine attinta al mondo del pugilato, sport praticato in gioventù:
«Eppure quella prova non era bastata, forse era stata così violenta, che avevo sperato subito di cancellarla, come quei pugili che, quando vengono sorpresi da un colpo, fanno cenno che non è niente, razione che denuncia il contrario» (609).
In questo, come in molti altri casi, è evidente che le similitudini svolgono la funzione di esemplificare alcuni comportamenti temuti e biasimati da Pontiggia: quella serie di reazioni linguistiche (anche in senso lato, come in questo caso, dove la comunicazione è gestuale) che, nella loro formulazione, tradiscono intenti opposti e denunciano le maschere, i fingimenti con cui gli uomini esorcizzano ciò che temono di esprimere. Così la differenza tra “predicare” e “praticare” tipica di una certa Italia («paese che si professa antirazzista e che non ha mai parlato tanto come oggi di politici di razza, scrittori di razza, cavalli di razza) è esemplificata con una similitudine tratta dalla storia del costume dell’Ottocento ma che punta soprattutto sulla sensazione di disgusto che evoca:
«E che, mentre [il paese] pratica l’approssimativo, predica il “rigoroso”, come il colletto inamidato e posticcio che nell’Ottocento applicavano a un’altra camicia».
(647-48)
In quest’altro passaggio la definizione, già intensamente metaforica, dell’impossibilità di cogliere nella parola la sua polifonia storica («scacco della percezione») viene spiegata con un paragone artistico:
«Questo scacco della percezione mi ricorda quel gioco illusionistico in cui i profili di due visi, opposti frontalmente, bianchi su sfondo nero, si trasformano sotto i nostri occhi in due calici, ma mai riusciamo a vedere contemporaneamente le due immagini». (727)
Un tema ricorrente, oggetto di metaforizzazione tramite similitudine, è quello dell’uso irresponsabile delle parole. Nel saggio La sfiducia nella parola Pontiggia chiarifica i suoi concetti attraverso similitudini, attinte ai campi più disparati, spesso associate alla figura dell’antitesi:
«La sfiducia nella parola cresce come l’inflazione» (712); «l’aggettivo “inquietante”
riservato agli scrittori dimostra la misteriosa attrazione che ha sempre esercitato non la verità, ma il suo contrario. E come siamo attirati dall’abisso, anziché dal sentiero che lo costeggia, così la percezione che un libro è faticoso induce molti recensori ad arrischiare che è avvincente» (712); «eppure le parole meno attendibili sono destinate ad ascesa irresistibile, come la moneta cattiva che caccia la buona». (713); «Perciò occorrerebbe avere con la parola la stessa cautela che i pittori hanno con i colori» (714). «“Il linguaggio internazionale della poesia” è, ad esempio, una di quelle formule fatte per rassicurare, come un contenitore levigato.
Ma è meglio probabilmente non aprirlo e non esplorarlo». (714)
Le similitudini possono servire a evidenziare ironicamente alcuni dei paradossi nell’uso delle parole: ad esempio, la parola «intelligenza» riferita a Morselli, suscita uno stupore ingiustificato soprattutto in coloro i quali dovrebbero amare la precisione di linguaggio, mentre l’uso di sinonimi peggiorativi nei diversi gerghi testimonia lo svuotamento semantico cui è andata incontro la parola
“intellettuale”:
«Anche la costruzione del racconto, calibrata, sapiente è una qualità di Morselli destinata a non attirargli consenso. La si giudica frutto dell’intelligenza, altra parola considerata con sospetto, come una colpa o un limite: alcuni non la pensano infatti compatibile con quella inconsapevolezza un po’ ottusa che amano attribuire agli artisti. Altri sembrano accettarla con stupore, come la precisione di linguaggio: ed è come ci si stupisse che un concertista usi uno strumento accordato» (745);
«“Intellettuale” è vocabolo oggi imbarazzante. Privo com’è, nella maggior parte dei casi, di attendibilità culturale e di autorità morale, galleggia come una mina fuori uso sulla superficie del lessico. Non a caso si è cercato di sostituirlo con peggiorativi,
dal sarcastico “testa d’uovo” all’imprenditoriale “operatore di cultura”, tra borioso e modesto». (620)
Altre similitudini riprendono il tema centrale del rapporto con il testo, intensificando sia gli atteggiamenti considerati scorretti sia quelli corretti, già definiti tramite la metafora dell’incontro «in prima persona» con il testo e il suo autore. Pontiggia denuncia la posizione di chiusura di certi presunti specialisti, i quali, attenti più alla «qualità della ricezione» che alla «qualità dell’opera», sono quasi resi ciechi dalla abbagliante luce della verità inesauribile del testo:
«[i filologi] Posti di fronte a quest’ultimo problema, si riparano gli occhi come gli speleologi quando escono dalle grotte». (710)
Pontiggia mette a fuoco, attraverso una similitudine, il rischio corso da chi pretende che l’uso di metodi scientifici possa decifrare «il segreto» del testo, invece che rivelarne l’inesauribilità:
«un processo analogo si manifesta nel dominio della scienza: quanto più essa si addentra nella semplicità apparente del disegno originario, negli elementi primi della energia e della vita, tanto più dilata l’area dell’ignoto. Così l’analisi strutturale della poesia, anziché decifrarne il segreto, come pure avrebbero voluto certi suoi cultori impazienti, ne mette solo in luce aspetti ulteriori». (755-6)
Le similitudini usate per descrivere un corretto atteggiamento critico sono quelle del dominio semantico del rapporto vivo con il testo, in prima persona:
«Ma tra l’avvicinare un autore su un manuale e l’incontrarlo sulle sue pagine c’è la stessa differenza che seguire un itinerario su una carta geografica e percorrerlo a piedi» (662); «solo la coscienza della distanza può avvicinare il classico e insieme conservarlo nella sua lontananza: due atteggiamenti difficili da fondere in un sentimento unico. Eppure solo questa fusione può accrescere e intensificare, come tra due persone, la vitalità di un rapporto». (678)
Altre similitudini vengono utilizzate per svolgere analisi linguistiche, stilistiche, letterarie. Ad esempio alcuni fenomeni linguistici e letterari sono paragonati a processi indagati dalle discipline scientifiche, dalla biologia all’astronomia, generando così una sorta di sinestesia epistemologica:
«mondi poetici, stilistici e linguistici, apparentemente estranei, come galassie
sogno che ha favorito la dilatazione del suo mondo, quello di sovrapporre esprit de finesse e espirit de géométrie, scoprendo l’algebra come metrica dell’invisibile e la poesia come fisica della parola, si dissolve di fronte all’angoscia del tempo, vissuto come rinuncia e come perdita». (690); «Talvolta un vocabolo muta nel corso della sua articolazione, come in un processo di moltiplicazione cellulare («finimondo, finimondorioles). E questa plasticità è insieme matrice e frutto di una idea dell’essere come divenire» (699-700); «Niente è più solidale e coerente di un universo maniacale. E in quello di Gadda il senso di colpa è come il cielo delle stelle fisse sopra il movimento dei pianeti» (769).
Nel caso di Gozzano, la similitudine utilizzata per descriverne il processo creativo viene sviluppata per antitesi al repertorio metaforico dello scrittore, cui Pontiggia, come abbiamo visto, ha già attinto:
«L’arte non è solo discendere agli inferi, ma risalire alla luce: e forse Gozzano sentiva che, affrontando finalmente il tema della crisalide, della metamorfosi e della farfalla, era arrivato al nucleo della propria ispirazione fino a diventarne prigioniero, come un insetto al centro della ragnatela». (670)
Per rappresentare il processo compositivo di un libro che ha deluso le aspettative generate da un titolo azzeccato (titolo sul quale Pontiggia costruirà il suo saggio, La filosofia del “come se”) Pontiggia usa una similitudine di tipo grafico, descrivendo uno sviluppo creativo incapace di generare novità:
«Sviluppa in modo sistematico il tema del titolo e lo ingigantisce, come il braccio di un pantografo, che riproduce perfettamente si scala modificata, un disegno: ma non vi aggiunge niente». (663)
Per descrivere l’incapacità di molti letterati di svincolarsi dal potere che il sistema culturale esercita sulla loro attività, prende una immagine sportiva:
«A ogni stadio muta l’arbitro della sua esistenza, come una staffetta che si dà il cambio: solo il testimone rimane il medesimo, ma sempre in mano d’altri». (776)
- Antitesi155.
Figura di dilatazione semantica156, l’antitesi è certamente una delle più frequenti nella scrittura saggistica di Pontiggia. Che sia una antitesi di frase, di gruppi di parole, o di parole singole, essa sfrutta le potenzialità della sintassi di creare parallelismi e figure di accumulazione157. Dal punto di vista argomentativo, l’antitesi può essere utilizzata per contrapporre, per distinguere, per chiarificare, o per ottenere effetti stranianti, come il paradosso e l’ironia. L’antitesi può anche avere una funzione copulativa: «La costruzione sindetico-copulativa rende più debole il rapporto avversativo, in quanto l’opposizione viene considerata come sintesi anche di membri contrari»158.
Le antitesi possono riguardare parole o gruppi di parole ed esse sono sempre basate su antinomie (superficie/profondità, vecchiaia/gioventù, oscurità/luce, vita/morte). Ma più che enfatizzare la contrapposizione, le antitesi di Pontiggia tendono a svelare la compresenza degli opposti,
«banalità in superficie, e paura del nuovo in profondità» (642); «Aspetto più ovvio e insieme più sconcertante» (604); «sempre violata e sempre rinnovata solitudine [del testo]» (643); «Finchè i fantasmi interiori vengono definiti irrealtà, non si potrà capire quanta realtà scopra il viaggio nel fantastico» (617); «Rinvia a una misteriosa congiunzione di vecchiaia e gioventù» (649); «a preferire alle tenebre del profondo, affollato da tanti studiosi, i colori cangianti della superficie» (648); «Angelica, storia di una mitica Psiche, prostituta e pura, in una Europa da operetta…» (648), «un satanismo insieme blasfemo e devoto, e il bisogno sempre contraddetto, di
155 Collocata da Lausberg nelle figure di pensiero, «l’antitesi è la contrapposizione di due pensieri di variabile estensione sintattica. Si possono distinguere l’antitesi di frase, l’antitesi di gruppi di parole, l’antitesi di parole singole. Il fondamento sintattico dell’antitesi è la coordinazione, che può tuttavia essere sostituita dalla subordinazione». H. Lausberg, Elementi di retorica, cit., p. 210. Anche e soprattutto per l’antitesi vale la constatazione di Lausberg circa la difficoltà a sistematizzare le figure di pensiero («la sistematizzazione delle figure di pensiero è difficile» poiché «elaborazione intellettuale e formulazione linguistica sono un processo inscindibile». Ivi, pp. 194-195). L’antitesi inoltre partecipa in modo rilevante sia ai processi dell’inventio sia a quelli dell’elocutio. Il chiasmo è un mezzo della dispositio che esprime l’antitesi. Cfr. Ivi, p. 214 e seg.
156 Secondo Lausberg, la figura della dilatazione semantica, rispetto alle precedenti figure di pensiero dell’amplificazione orizzontale e della chiarificazione semantica, si presenta come una aggiunta (adiectio), «in maniera che, oltre alla comunicazione essenziale, vengano comunicati alche altri pensieri». Il rapporto tra il pensiero essenziale e quello aggiunto è simile «al rapporto del verbum proprium con il tropus e a quello del pensiero vero e proprio con il pensiero tropico». Ivi, p. 209.
157 Ivi, p. 213.
solitudine» (656); «Vita e morte si incontrano e i loro volti si fondono in un volto nuovo» (669); «I versi di Fargue mi fanno pensare a una archeologia del presente»
(683); «E anche in quel lucido, quieto, estatico delirio che è il soliloquio di ‘Ndrja durante il colloquio con don Luigi Orioles» (699). «l’uomo-talpa, che soffoca in una esistenza sotterranea ogni speranza di vivere alla luce» (631); «La sorte postuma di Gozzano presenta molte analogie con quella di D’Annunzio, suo ideale antagonista» (673).
Infatti anche quando l’antitesi si presenta come contrapposizione, Pontiggia recupera uno «sfondo», anch’esso ambivalente, ma unificante: «Raramente, come in questi versi, il divario tra conoscere e sapere, tra analisi e sintesi viene proiettato su uno sfondo metafisico insieme certo e aleatorio, visibile e invisibile» (753).
Come è evidente la figura dell’antitesi esalta le forme di parallelismo, a coppie:
«E nelle righe successive la visione naturalistica e quella geologica, l’immagine tecnologica moderna e quella mitica primordiale trovano una loro convergenza»
(704); «la civiltà contemporanea, fondata sull’assoggettamento della natura e sullo spossessamento dell’uomo» (705);
o in figura di tricolon:
«sovrapporre interno ed esterno, identificazione e sdoppiamento, immedesimazione e distacco» (635); «la molteplicità dei registri stilistici e narrativi […] si manifesterà […] come compresenza di dimensioni oniriche e realistiche, evocative e visionarie, soggettive e reali» (703); «Per verificare come dimensione realistica e dimensione visionaria, superficie e profondità, visibile e invisibile si tramutino di continuo per fondersi alla fine nella potenza di un’unica immagine…»
(704); «la poesia aggiunge la sua bellezza perenne e la totalità del suo orizzonte, che include passato e presente, divino e umano, mito e storia» (755).
Nel caso che segue l’antitesi non è tra i singoli lemmi, ma tra i due iperonimi («apollineo/dionisiaco):
«Apollo, dio della luce, della divinazione e della poesia, ma anche dio della lotta, della crudeltà, dell’estasi». (757)
Più spesso le antitesi coinvolgono la sintassi, interessando gli elementi della frase o interi periodi. Raramente si presenta nello stile dilemmatico, in cui i due opposti si escludono a vicenda («Ci sono due modi di tradire il passato: accentuare la distanza o sopprimerla», 677); più spesso l’antitesi svela la compresenza degli opposti, fino al paradosso della trasformazione di un elemento nel suo contrario:
«questo universo in cui le tesi si sono mutate in ipotesi e i fatti sono le interpretazioni» (694); «tema occultamente religioso, in cui la meta era costituita dall’origine e il conoscere diventava alla fine un riconoscere» (697); «evento abbastanza insolito in Italia, dove la resa all’evidenza è il contributo profetico più diffuso tra gli intellettuali». (717); «Tutto diventa allegoria, ma il significato nascosto è la superficie smagliante» (738); «Riempire lo spazio fuori di sé significa svuotare, dentro di sé, il senso del tempo» (747);
Lo stesso procedimento è ottenuto con predicati che indicano identità ma in modo attenuato:
«All’intuizione, matematica e poetica, della simmetria e dell’ordine si sovrappone la coscienza della asimmetria e del disordine» (692); «ancora oggi avvicinare Lorca comporta allontanarsi da lui» (643); «l’autoritarismo, ad esempio, che della stupidità è una forma odiosa, riaffiora spesso nei figli sotto l’aspetto, antitetico solo in apparenza, della permissività» (724);
Un effetto simile è ottenuto attraverso la predicazione di attributi opposti allo stesso tema, o, viceversa, della attribuzione dello stesso aggettivo a sostantivi antinomici:
«Il Carducci più vicino a noi è quello più lontano dal classicismo», (734); «Io credo ci sia un rapporto – oggi – tra l’eclisse della parola e la popolarità della musica. il linguaggio verbale è diventato un rumore di fondo e il discorso più attendibile è quello, indecifrabile, della musica» (714);
«In un mondo di segni siamo diventati esperti nel decifrarli, ma non sappiamo più il loro valore» (693); «allora sarebbe lecito osservare che le omissioni sono considerevoli almeno quanto le inclusioni». (696)
L’antitesi può essere anche tra il predicato e i suoi argomenti:
«anzitutto perché la fantasia, come è implicito nella sua accezione originaria, rende manifesta la scomparsa del senso nella infinità dei significati» (694); «Già in Canova gli dèi svelano, dietro apparenze marmoree, la loro assenza». (731)
La predicazione di attributi antitetici al medesimo tema può avvenire anche per mezzo di subordinate relative: «la goffaggine compiaciuta, anche questa alquanto lombarda, che ostenta il disagio e occulta l’indifferenza» (761).Nel caso che segue il termine oggetto di amplificazione («coraggio») viene “applicato” a contesti
descritti da due relative - in parallelo su predicati sinonimici («inoltrarsi/avanzare») - rese antitetiche («totale/circoscritto») grazie alla antanaclasi:
«Il coraggio, coraggio intellettuale e morale, che lo aveva spinto, tra i pochi del Novecento, a inoltrarsi in un orizzonte totale, in cui convergessero lettera e cifra, è lo stesso che lo sorregge nell’avanzare entro l’orizzonte sempre più circoscritto della sua esistenza». (691-92)
La medesima struttura sintattica (“x” che…, è lo stesso che “y”…) si ritrova in un parallelismo esasperato in cui la medesima subordinata viene variata solo in tre dei suoi elementi tramite antitesi:
«Il letterato che da giovane si emoziona se il suo nome compare in un elenco di redattori, perché così ha il senso di nascere, è lo stesso che da vecchio si emoziona se il suo nome non compare in un elenco di scrittori, perché così ha il senso di morire». (776)
L’antitesi può crearsi tra elementi della reggente ed elementi della subordinata:
«Il titolo, che diverrà espressione di uso comune, nasce da una esperienza profonda, che il libro trae alla superficie» (598); «Inibisce quel che gli apre» (623);
«come ci hanno insegnato generazioni di pedagoghi e moralisti, sempre tesi a farci credere in quello in cui non credono loro» (625); «la simulazione, per essere più persuasiva e crearsi un alibi, finisce per convincersi di essere sincerità» (665); «il presagio di essere troppo vicino al cuore della propria creazione e al timore, portandolo alla luce, di soffocarlo» (670); «Quest’aria di “grande sera” dominava nel simbolismo di fine secolo, il quale vegliava su un mondo che contribuiva a distruggere». (683) «Nel caso di Borges credo che la qualità sia, una volta tanto, innegabile; ma credo anche che la ragione della sua attuale, incontrastata fortuna – dopo decenni di stima solo da parte di pochi – sia soprattutto un’altra: quella di aver dato un senso fantastico alla tragedia del nostro tempo, che è la perdita del senso» (693); «lo sgomento che suscita il volto nascosto della realtà è superato dal piacere di scoprirlo in condizioni di relativa scurezza» (695); «Alludo ad esempio al procedimento della “enumerazione caotica”, l’unico che il disordine della nostra visione sembra consentire all’ordine della poesia» (750); «Il conformismo che si scopre nella esistenza degli eversori e che delude le anime pie della rivoluzione non ricalca solo quella educazione contro cui lottiamo – almeno nei migliori dei casi – tutta la vita: ma cela anche l’aspirazione legittima a risparmiare le energie per una gerarchia di scopi, a lavorare in pace alla guerra» (762).
Come si è già notato, gli effetti stilistici più marcati sono quelli ottenuti inserendo elementi antitetici in parallelismi sintattici. Tale intensificazione dell’antitesi avviene soprattutto quando il parallelismo è tra frasi coordinate. L’antitesi può
riguardare solo due elementi antinomici («dì una menzogna e troverai una verità», 631; «L’ascolto, come dicono gli esperti, è aumentato, ma l’attesa è diminuita», 714), oppure può riguardare tutti gli elementi delle frasi come in questo caso estremo159:
«L’enigma, insolubile per il protagonista, non lo è più per noi e la sorpresa, fatale per la vittima, attira lo spettatore» (695).
Le antitesi possono richiamarsi anche a una certa distanza, svolgendo così anche funzione di coesione testuale:
«Abbiamo una vocazione particolare, che non ha niente di evangelico, a innalzare gli umili e ad abbassare i grandi: mentre sarebbe ora di togliere a Gozzano, classico minore, l’aggettivo che lo limita e restituirlo alla sua grandezza» (673).
L’effetto è ancora più intenso quando vengono sfruttati effetti fonici: in «mentre pratica l’approssimativo, predica il “rigoroso”» (647-48), la dominante antitetica è rappresentata dalla coppia “approssimativo/rigoroso”, ma la creatività maggiore si svela nel calembour dei verbi, antitetici per significato (fare/dire), ma quasi omografi.
Come si è visto, elementi antitetici possono essere presenti in frasi coordinate copulative («Nei torsi abbandonati riconosce gli uomini del suo tempo e nei vivi scorge i contorni degli scomparsi», 738), avversative («Leggendo Divertimento 1889 si prova una sensazione curiosa: si avanza in un presente pieno di imprevisti, ma intanto l’immagine si allontana velocemente», 748; «questa interpretazione lirica del modello spiega come Pound sapesse felicemente eludere qualsiasi tentazione di ricalcare la struttura e le simmetrie (“Non si può seguire il cosmo dantesco in un’epoca empirica”), ma al tempo stesso ne conservasse, in modi trasposti, alcuni fondamenti». 679) o correlative («Da un lato si ha l’impressione che Baudelaire
159 Questo caso è particolarmente poiché alcuni elementi sono in antitesi rispettando il parallelismo sintattico (enigma / sorpresa; protagonista/ vittima; noi / spettatori), mentre negli altri l’antitesi non rispetta il parallelismo sintattico, ma i significati: infatti elementi sintatticamente simili e in parallelo tra loro («insolubile» e «fatale» – «non lo è più» e «attira») sono in antitesi semantica tra loro:
creda poco a quello che racconta, dall’altro che tema di credervi troppo, e perciò accentui il grottesco ed esasperi la caricatura. Questa oscillazione tra geometria e passione, tra Laclos e Balzac per scegliere alla fine la parodia, è uno degli aspetti più curiosi del testo e certo una ragione del suo fascino giovanile», 655-56).
Le antitesi possono intensificare dei parallelismi a chiasmo:
«E non parlo solo delle illusioni a occhi aperti, quelle dei bambini che agiscono
“come se” fossero adulti, o degli anziani che agiscono come se fossero giovani”,
“come se” fossero adulti, o degli anziani che agiscono come se fossero giovani”,