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Analisi delle revisioni critiche relative alla conclusione ricardiana

di una incidenza sui profitti.

Il carattere insoddisfacente della dimostrazione ricardiana rela­ tiva all’incidenza finale sui profitti di un’imposta inizialmente com­ misurata ai salari ci appare dipendere dalla circostanza che, sotto il profilo del metodo con cui è condotta, essa risulta piuttosto configu­ rabile come una dimostrazione della non incidenza sui salari e sulla rendita.

In altri termini la plausibilità di una soluzione siffatta deriva unicamente dal carattere che essa riveste di deduzione per esclu­ sione: se da una parte i salari non possono essere ridotti e, dal­ l’altra, la rendita non può costituire uno sbocco della traslazione, non resta che ritenere che l ’onere dell’imposta si assesti definitiva­ mente sui profitti, a pena di un risultato logicamente indeterminato. È pertanto comprensibile che le critiche rivolte alla tesi ricar­ diana si siano appuntate principalmente su quella specifica argo­ mentazione che aveva indotto il Ricardo ad accettare la tesi dell’in­ cidenza sui profitti proprio per evitarne le implicazioni insostenibili. L ’obiettivo di tali critiche appare quello di contestare a Ricardo che la sollecitazione reciproca (all’aumento) dei salari e dei prezzi delle merci non è configurabile come un processo in cui ad ogni ri­ mando l’impulso rimanga il medesimo in termini di incremento per­ centuale. Anzi, la dinamica della spirale prezzi-salari sarebbe desti­ nata ad attenuarsi risolvendosi in un preciso valore definito dalla somma dei termini di una progressione geometrica.

Asserisce il Whewell (41), a cui si deve il primo tentativo di riesposizione formalizzata della teoria ricardiana, che, dal momento che solo la metà del valore dei beni industriali è rappresentato dai salari, un aumento di 1/10 nei salari, per effetto dell’introduzione di un’imposta, provocherebbe un aumento di 1/20 nel prezzo dei beni in­ dustriali e che, dal momento che solo la metà del consumo comples­ sivo dei lavoratori risulta costituito da beni industriali, l’aumento

(41) Whew ell W., Esposizione matematica di alcune dottrine di econo­ mia politica, in «Biblioteca dell’Economista >, serie III, voi. II, Torino, 1878.

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di 1/20 nel prezzo di questi beni provocherebe un aumento di 1/40 nei salari. L’incremento complessivo dei salari risulterebbe definito dal valore della somma dei termini della seguente progressione geo­ metrica :

1/10 + 1/40 + 1/160 + . . .

L’incremento complessivo nel prezzo dei beni industriali sarebbe corrispondentemente dato dal valore della somma dei termini della progressione geometrica :

1/20 + 1/80 + 1/220 + . . .

La dimostrazione con cui il Whewell pretende di confutare la validità della conclusione ricardiana cela, dietro l’apparente rigoro­ sità del ricorso ad un semplice principio di aritmetica sistematica, la fondamentale incongruenza ravvisabile nella circostanza che le assunzioni, a partire dalle quali si snoda la dimostrazione stessa, ri­ sultano non omogenee e anzi implicitamente incompatibili con le ipotesi collocate a fondamento della tesi ricardiana.

L ’asserzione del Whewell che l’aumento dei salari si limita ad ogni rimando alla metà dell’aumento dei prezzi dei beni industriali, essendo il consumo di questi la metà del consumo totale dei sala­ riati, è accettabile infatti solo se si assume implicitamente che l’altra metà del consumo totale, quella indirizzata all’acquisto di derrate agricole, non dia luogo ad alcuna spirale prezzi-salari.

In altri termini occorre ritenere che l’iniziale rialzo dei salari sia assorbito, per ciò che concerne la quota di consumo dei beni agri­ coli, o dai fittavoli o dai proprietari fondiari. In difetto di questa assunzione non si vede come si potrebbe escludere che l’aumento dei prezzi dei beni industriali si commisuri ad ogni rimando all’intero aumento dei salari dal momento che il salario è un’entità unitaria con cui occorre far fronte sia alle esigenze di consumo dei prodotti industriali sia a quelle relative all’acquisizione delle merci prove­ nienti dal settore agricolo. L’assunzione citata costituisce pertanto il necessario supporto dell’argomento del W hewell; ove risultasse disattesa non solo la conclusione ricardiana non sarebbe confutata ma anzi risulterebbe rafforzata nel senso che l’incremento dei salari diverrebbe cumulativo, procedendo dalia simultanea sollecitazione della somma degli aumenti dei prezzi agricoli e dei prezzi industriali.

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Il carattere necessario dell’assunzione rende pertanto evidente che l’incongruenza dell’argomentazione del Whewell consiste nell’aver ignorato la precisa condizione limitatrice, esplicitamente affermata dal Ricardo (e apertamente confliggente con l’assunzione citata), in forza della quale l’incidenza sulla rendita è esclusa a priori.

La contraddizione che risulta implicitamente contenuta in una linea di argomentazione che pretende di dimostrare l’infondatezza della tesi ricardiana, senza avvertire che i presupposti da cui pro­ cede risultano estranei alla logica ricardiana e anzi con essa incom­ patibili, riemerge in tutta evidenza nei rilievi critici dello Shoup, che dalla tesi del Whewell rappresentano una sostanziale parafrasi.

La critica dello Shoup (42), nonostante il suo carattere deriva­ tivo, merita di essere riportata per esteso in quanto l’elemento in­ novativo da essa introdotto e cioè la presentazione in un modello sintetico dei modelli traslativi afferenti i salari industriali e agri­ coli, consente di mettere a fuoco i limiti e gli equivoci emergenti in questi tipi di revisione critica e di confermare la nostra convin­ zione che essi dipendono dalla indebita sostituzione di un presup­ posto tipicamente smithiano (detraibilità della rendita) a quello pre­ cisamente opposto che sorregge l’ipotesi ricardiana.

Lo Shoup assume che il valore delle vendite dei produttori agri­ coli ammonti a 600 unità monetarie imputabili per 200 a rendite, 200 a profitti e 200 a salari; il valore delle vendite dei produttori indu­ striali è di 400 unità, riferibili per metà a salari e per l’altra metà a profitti. Di un aumento di 40 nei salari, provocato da un’imposta dello stesso ammontare solo una metà e cioè 20 si riflette in un accrescimento dei prezzi dei beni manufatti, « l’altra metà essendo

assorbita da una flessione nella rendita fondiaria che passa da 200 a ISO » (43). Assumendo che le vendite risultano distribuite tra per­ cettori di profitti, percettori di rendite e salariati nella misura ri­ spettivamente di 2/5, 1/5, 2/5, ne segue che dello stesso incremento di 20 nel valore monetario delle vendite dei produttori industriali i lavoratori dovranno far fronte a 2/5 e cioè 8. I salari pertanto au­ mentano al secondo passaggio di 8, di cui la metà è assorbita da

un’ulteriore riduzione nella rendita fondiaria mentre l’altra metà si rifletterà in un più alto volume monetario delle vendite dei

produt-(42) Sh o u p R ., Ricardo on Taxation, McMillan, 1960. (43) Shoup R., op. tit., pag. 134.

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tori industriali. Un nuovo equilibrio è raggiunto, con le seguenti cifre :

Volume delle vendite dei prodotti a g r ic o l i ... 600 Volume delle vendite dei prodotti industriali... 425 T o t a l e ... 1.025

Salari... 450 P r o fit t i... 400 R en d ite... 175 1.025

Sulla base di quanto abbiamo in precedenza osservato, l’espli­ cita ammissione da parte dello Shoup che la sua personale soluzione del problema è caratterizzata in termini smithiani, non può che ac­ crescere la sorpresa di fronte all’atteggiamento di meraviglia con cui lo Shoup rileva il rifiuto di Ricardo di credere che la ripeti­ zione e l’accumulazione dell’imposta sui salari possa condurre a un nuovo equilibrio (44).

(44) Il nocciolo della divergenza teorica tra Smith e Ricardo, in rela­ zione al problema dell’individuazione dei soggetti incisi deve quindi essere ricondotta al diverso trattamento della categoria analitica della rendita.

Un recupero di validità alle impostazioni critiche del tipo di quelle im­ piegate dal Whewell e dallo Shoup potrebbe essere tentato lungo la linea di una connotazione della rendita in termini di « prezzo di trasferimento » e cioè di quel tipo di rendita che, in quanto include anche il costo connesso al tra­ sferimento di risorse da un’attività ad un’altra, può essere considerata, in perfetta analogia con ogni altro tipo di costo, come determinante del prezzo (rispetto all’attività verso la quale il trasferimento ha luogo) e pertanto su­ scettibile di variare in relazione alla introduzione di una imposta. Riferire allo Smith un concetto di rendita di trasferimento sembra tuttavia eccessivo : Smith non ebbe infatti una consistente teoria della rendita, né nel senso di una rendita differenziale, né nel senso di una rendita di trasferimento.

L’affermazione contenuta in un passaggio del capitolo V del primo libro della «Ricchezza delle nazioni» secondo la quale, quando il prezzo di mercato di una merce scende al di sotto del suo prezzo naturale, il proprietario fon­ diario sarà immediatamente indotto a trasferire una porzione della terra verso impieghi più remunerativi, sotto il profilo della rendita, di quelli consentiti da questa merce a basso prezzo, implica, è vero, come presupposto, la possibilità di una pluralità di impieghi. Essa presuppone cioè l’assunzione che il costo di opportunità, in relazione al fattore terra, sia superiore a zero con l’immediata conseguenza che la rendita è assimilabile ad un costo del produttore che entra

— Gè­

l i problema dell’incidenza esaminato entro il contesto delle as­ sunzioni ricardiane non può pertanto essere spostato dai termini in cui il Ricardo lo ha collocato.

Gi a n n i n o Pa l i a g a

Assistente di Scienza delle Finanze presso la Facoltà di Economia e Commercio

della Università degli Studi di Firenze

nella determinazione del prezzo e non risulta più definibile solo come entità residuale.

Nella specificà trattazione sulla rendita lo Smith invece considera la terra come suscettibile di un impiego unico e indifferenziato, il che definisce una condizione in forza della quale il costo di opportunità è automaticamente uguagliato a zero dal momento che non esistono forme di occupazione alterna­ tiva a quella dell’agricoltura e dal momento che le attività agricole rispetto alle quali la terra è suscettibile di venire impiegata sono considerate omo­ genee.

L’oscillazione di Smith tra un’impostazione che considera la rendita come includibile tra i costi che determinano il prezzo e la visuale opposta che esclude la rendita da questi costì e in particolare il suo slittamento verso questa se­ conda accezione, rendono inevitabile che egli soggiaccia alla critica ricardiana fondata sul rigoroso sviluppo delle assunzioni che caratterizzano la seconda delle due posizioni dello Smith.

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SULL’ANALISI DEI « A1IXED G O O D S» DI MUSGRAVE (*)

In questo articolo, dopo una sintetica esposizione delle linee es­ senziali delia ormai ben nota « Teoria Pura della Spesa Pubblica » del Sainuelsou, volta essenzialmente ad agevolare la comprensione dei successivi riferimenti, abbiamo posto in discussione il modello teorico di recente proposto dal AIu.sgrave ai fini dell’individuazione di soluzioni ottimali paretiane anche per i cosiddetti « mixed goods » ; per quei beni cioè che, esibendo in vario grado — tuttavia non estremo — caratteristiche di « esternalità », soddisfano insieme biso- gni privati e sociali dei componenti la collettività. Abbiamo infatti cercato di dimostrare come la mancanza di coerenza esistente, a no­ stro avviso, nel modello tra l’impostazione subiettiva, in termini di bisogni, e 1 uso di condizioni ottimali formulate sul piano obiettivo nell ambito delle concezioni di tipo volontaristico, finisca col riflet- teisi nella incapacità del modello stesso a fornire soluzioni logica­ mente valide.

Attraverso poi una riconsiderazione degli assunti dell’analisi del AIusgrave, alla luce però di una diversa impostazione che faccia rigo­ rosamente uso dei due soli concetti di bene « privato » e bene « pub­ blico », come obiettivamente espressi nell’ambito delle teorie di tipo volontaristico, abbiamo inteso indicare la via da seguire per poter conferire nuova operatività al modello.

Le conclusioni cui siamo pervenuti ci consentono tuttavia di af­ ermare che esso, anche se posto in condizione di giungere a soluzioni ' alide sul piano logico, non possiede poi neppure quel carattere di generalità che si sarebbe voluto attribuirgli. Infatti l’ambito di vali­ dità dell’analisi del Alusgrave, secondo la nostra nuova impostazione risulta necessariamente limitato a quei casi in cui la relazione im­ plicita del modello possa essere giudicata sufficientemente rappre­ sentativa dei rapporti esistenti tra le prestazioni dei due servizi,

1 « . n

dattiloscritto, f o r n S U , u „ U 5. R iv. dir. fin. - I - 1971.

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« privato » e « pubblico », obiettivamente diversi per le loro differenti condizioni di ottimo, ipotizzati.

1. Il Samuelson, nei suoi ormai famosi articoli sulla «T eoria Pura della Spesa Pubblica » (1), ha posto esplicitamente, in termini obiettivi, una netta distinzione (2) fra due specie di beni:

1) Beni di consumo « privato », come il pane, il cui totale può essere ripartito tra due o più persone, di modo che se una ne ottiene una parte maggiore, l’altra o le altre ne dovranno ricevere una minore. Così, se X è l’ammontare totale del bene e X a e X b i consumi privati degli individui A e B rispettivamente, possiamo dire che il totale eguaglia la somma dei consumi separati, ossia X a - f X b = Y.

2) Beni di consumo « pubblico », come la difesa nazionale, di cui tutti godono in comune, il consumo di ciascun individuo non com portando alcuna diminuzione di quello di ogni altro. Tali beni diffe­ riscono quindi da quelli precedenti in quanto il loro consumo da parte di ciascun individuo, I , e f i , è rapportato al totale Y da una condi­ zione di uguaglianza anziché di somma, cioè Y a= Y b— Y.

Dal concetto di « uguale consumo », quale deriva dalla definizione di « bene pubblico » del Samuelson, si trae implicitamente per tale genere di beni una prima caratteristica obiettiva, ossia 1’« offerta congiunta » nel significato speciale, del tutto diverso da quello tradi­ zionale marshalliano (3), particolarmente evidenziato dall’Head (4),

razioni teoriche, di citazioni bibliografiche e di esposizione dell’elaborato. È ov­ vio comunque precisare che tutti i giudizi e le conclusioni vanno attribuiti esclusivamente alla mia personale responsabilità.

(1) The Pure Theory of Public Expenditure, « Review of Economics and Statistics », novembre 1954, pp. 387-389 ; Diagrammatic Exposition of a Theory o f Publio Expenditure, « Review of Economics and Statistics », novembre 1955, pp. 350-356 e Aspects of Public Expenditure Theories, «Review of Economics and Statistics», novembre 1958, pp. 332-338.

(2) Distinzione peraltro già presente, per vari aspetti, nei fondamentali contributi del Sax, Wicksell, Lindahl, Musgrave e Bowen — E. Sa x, Principi teoretici di Economia di Stato, Biblioteca dell’Economista, sene Quinta, voi. XV e La Teoria della Valutazione dell’Imposta, «Giornale degli Economisti», maggio 1924 • Wick sell K., Intorno ad un nuovo principio di giusta tassazione, Nuova Collana di Economisti, IJTET, Torino, 1934 ; Lin dh al E., Just Taxation: A Positive Solution e Some Controversial Questions in the Theory of Taxa* tion, nella traduzione inglese curata da Musgrave R . A.-Peacock A. T., in Classics in the Theory of Public Finance, Mac Millan and C., London 1964 ;

Musgrave R. A., The Voluntary Exchange Theory of Public Economy, « Quar­

terly Journal of Economics », voi. 53 n. 2, febbraio 1939 e The Theory of Public Finance, Me Graw-Hill, New York 1959, di cui il Samuelson conosceva gli studi preparatori; Bowen H. R., The interpretation of Voting in the Allocation of Economic Resources, «Quarterly Journal of Economics», novembre 1943 e Toward Social Economy, Rinehart and Co. Inc., New York 1948.

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secondo il quale una volta che un’unità del bene sia resa disponibile per un individuo, un’unità del bene della stessa qualità può essere resa disponibile per gli altri individui senza costi extra (5). Questa prima caratteristica determina appunto l’esigenza, per le condizioni di ottimo paretiano, di un pieno ed uguale consumo del bene dietro versamento di prezzi differenziali, soinmantisi ad uguagliare il costo marginale, tali da consentire a ciascun individuo, secondo la propria valutazione marginale, il conseguimento dell’equilibrio del proprio bi­ lancio edonistico.

Poiché la concorrenza perfetta non è in grado di soddisfare tale esigenza, ne consegue per l’allocazione di tale genere di beni il falli­ mento del mercato. È stato tuttavia acutamente osservato dal- 1 Head (6) che, se la perfetta concorrenza non è in grado di generare prezzi marginali discriminanti tra i vari consumatori di uno stesso piodotto, un monopolista privato potrebbe, sempre a prescindere dal problema delle informazioni sulle domande individuali, tuttavia riu­ scirvi. Il completo ed inevitabile fallimento del mercato avviene quindi allorché, come ancora rileva l’Head, alla caratteristica del- l-« offerta congiunta » si aggiunga quella, particolarmente analizzata dal Musgrave (7), della « impossibilità di esclusione ». Questa se­ conda caratteristica consiste nel fatto che tali beni pubblici non possono essere negati a coloro che non ne pagano il prezzo (8), per cui, una volta che un’unità del bene sia resa disponibile per un indi­ viduo, la stessa unità, non solo può, ma ora, per le condizioni di

ot-G oodI°tC]RevlZ- nfetv een W,el1areA 0 °ndjt™ns for Joint Supply and for Public woo«/* «Review ° f Economies and Statistics», febbraio 1969, pp. 26-30 1962 nL 197 210 ' ^ , ^ '° ° 00f m d PuUiC Polic« ’ * Public Finance », 3,

« sag ‘trsss

(6) Head J. G., op. cit., 1968, pp. 221-222

(7) Musgrave R A., op. cit.,1959, pp. ¿ 9 e p. 86.

(o) Ricordando la nota definizione neo-classica di * »«tomoiax n

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persone (le quali non producono servizi simili) di tale tini! a ^ aUÎ e

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timo paretiano, deve essere resa disponibile per tutti gli altri indi­ vidui (9).

Ecco quindi come dalla distinzione posta dal Samuelson conse­ gua che, se per i beni privati, gli individui potendo consumarne am- tari diversi, la condizione di ottimo è quella nota (10) = j?£ = Gx ; l ’esigenza di pieno ed uguale consumo, derivante dalle caratteristiche di « offerta congiunta » e di « impossibilità di esclusione », comporta invece che per i beni pubblici siano versati prezzi differenti, somman- tisi ad uguagliare il costo marginale, tali cioè che P “ -+- P® = Cy (11).

Ma lo stesso Samuelson, anche a fronte delle critiche che gli sono state prontamente rivolte (12), ha tenuto a ribadire che la sua defi­ nizione di « bene pubblico » rispecchia solo un « extreme polar case » agli antipodi dell’altro caso estremo costituito dai « beni privati » in mercati perfettamente concorrenziali, secondo la tradizionale conce­ zione dell’equilibrio economico generale. E tuttavia, sebbene abbia al riguardo affermato che « ... many, thouglit not all, of thè realistic cases of government activity can be fruitfully analysed as some kind of a blend of these two. extreme polar cases » (13), non sembra poi che si sia preoccupato di dare alcuna ulteriore spiegazione in merito.

2. Il problema dei beni « mixed », almeno negli stessi termini in cui era stato originariamente impostato dal Samuelson, era poi ca­ duto nel vuoto (14) finché di recente il Musgrave, chiedendosi se gli

(9) Head J. G„ op. cit., 1968, p. 222.

(10) Derivante dalle tre note condizioni paretiane per l’ottima colloca­ zione delle risorse nel mercato : la prima, detta « ottimo di scambio », richiede che per ogni individuo il saggio marginale di sostituzione per ogni coppia di beni del sistema economico sia identico (non si può cioè migliorare il benessere di qualcuno senza che diminuisca quello di un altro) ; la seconda, detta « ottimo di produzione», la quale richiede che per ogni prodotto il saggio marginale di trasformazione tra qualsiasi coppia di fattori sia identico (per cui non è possibile aumentare la produzione di un bene senza che diminuisca quella di un altro); infine si ha 1’« ottimo di livello superiore» quando il saggio mar­ ginale di sostituzione comune a tutti gli individui eguaglia il saggio^ marginale di trasformazione per ciascuna coppia di beni del sistema economico.

(11) In termini di variabili di mercato, con P ax , P bx e P ay , P b, indichiamo i prezzi pagati rispettivamente, per il bene privato X ed il bene pubblico Y, dai due individui A e B, Cx e Cv essendo i relativi costi marginali.

(12) En e e S., More and Misu,te of Mathematics in Economics: A Rejoin- der, «Review of Economics and Statistics», 1955 e Ma k g o lis J., A Comment on thè Pure Theory of Public Expcnditure, « Review of Economics and Sta­ tistics », 1955.

(13) Samuelson P. A., op. cit., 1955, p. 350.

(14) Ciò in quanto, anche se la letteratura si è ampiamente occupata del problema, lo ha fatto con tipi di approccio comunque sostanzialmente diversi da quello in origine suggerito, sul piano della teoria generale, dal Samuelson e che, in questa sede, per gli scopi che ci ripromettiamo, particolarmente inte­ ressa.' Al riguardo possiamo ricordare tra gli altri : I concetti di beni pubblici

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elementi di esternalità non siano sempre presenti, variando solo nel grado, e se non ci siano molti beni implicanti nella soddisfazione del bisogno aspetti privati e sociali insieme, non è tornato sull’argo­ mento (15).

Per generalizzare la teoria anche all’intero spettro dei casi « mixed », propone perciò un modello, che riportiamo fedelmente, nel

« impuri » a causa di fenomeni di « congestione » oppure da un punto di vista « qualitativo » — Enee S„ op. cit., novembre 1055 ; Margolis J„ op. cit., no­