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« 7) A cominciare dal dì primo di gennaio 1827 vi sarà una

imposizione di grana sei a tomolo, o sia di grana quindici a contajo sulla macinazione del grano, o sia frumento, e del granone, o sia grano d’india, in tutta la estensione de’ nostri reali dominj di qua del Faro.

« 8) Questa imposizione che si valuta di poter dare circa annui ducati un milione trecentoventimila ... sarà a carico ed amministra­ zione di ogni comune in proporzione del rispettivo numero delle po­ polazioni, calcolandosi grana ventiquattro l’anno per ciascun’anima. « 9) Se qualche comune potesse ricavare l’importare della quota del dazio sul macino, che in proporzione delle anime gli verrà asse­ gnata, dalle proprie risorse provvenienti sia dalle sue rendite patri­ moniali, sia da’ dazj attualmente esistenti, in tal caso potrà fare di meno in tutto o in parte della suddetta imposizione di grana sei a tomolo.

(167) Coll., cit., 1854, II, n. 1636, p. 488, artt. 1 e 2. (168) Ibidem, preambolo.

(169) Coll., cit., 1826, I, n. 675, p. 257. Nel preambolo si legge fra l’al­ tro : « Considerando che le imposizioni debbono cadere sulla somma totale delle rendite e de’ profitti de’ particolari senza alcun pregiudizio de’ capitali pro­ duttivi, e senza arrecare il minimo nocumento al minuto traffico che anima la gran massa delle interne produzioni; considerando che i soldi e gli averi de’ pubblici impiegati indirettamente ed i profitti che si ritraggono dall’esercizio delle professioni ed altri mestieri lucrativi direttamente, costituiscono delle ren­ dite vie più imponibili, per quanto che meno gravitano su’ capitali produt­ tivi...» (p. 260).

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« 10) ... La imposizione del nuovo dazio sul macino ... dovrà darsi dal comune in affitto, a’ termini della legge dell’amministra­ zione civile ... ».

Dagli articoli riportati risulta evidente la natura del tributo, vera e propria tassa personale (170), termine questo però mai usa­ to (171). Passiamo ora alla seconda «imposizione », quella « s u ’ pro­ fitti e lucri, o sia sulle rendite di talune classi di persone » (172).

« 18) A contare dal dì primo di gennaio 1827 vi sarà per la parte de’ nostri reali dominj di qua del Faro una imposizione a fa­ vore dell’erario su’ lucri de’ capitalisti, e su’ profitti che si ritrag­ gono dall’esercizio di un impiego, di una professione, e di quelle arti o mestieri che non sono diretti a far prosperare il commercio e le interne produzioni, ma che sono principalmente rivolti allo spaccio degli oggetti di lusso o superflui.

« 19) L ’anzidetta imposizione sarà soddisfatta dagl’impiegati che hanno soldo o pensione dal Governo, col mezzo della ritenuta del decimo su’ loro soldi o pensioni, a’ termini dell’articolo primo del presente decreto, in guisa che soffrendo essi l’anzidetta ritenuta, non saranno soggetti ad alcun altro peso per le qualità d’impiegati.

« 20) I l Ministro delle finanze formerà il dettaglio delle di­ verse classi de’ contribuenti, tenendo presente la tariffa pel diritto delle patenti che fu in vigore fino al 1815, comprendendo nel detta­ glio fra le classi imponibili gli avvocati, i patrocinatori, ed altri che fossero stati nella enunciata tariffa omessi.

« Dall’anzidetto dettaglio saranno assolutamente esclusi ed esenti 10 gli stabilimenti di manifatture e di fabbricazioni indigene; 2° gli inventori o gl’introduttori di nuove arti e manifatture ; 3° i piccioli dettagliatori.

« Da un tale dritto dovendosi ritrarre in beneficio dell’erario, oltre 11 decimo su’ soldi degl’impiegati, la somma di ducati quattrocento mila, ordiniamo al nostro Ministro delle finanze che una tale somma sia ripartita nel dettaglio de’ contribuenti che egli dovrà formare, in modo che ricada principalmente fra le classi de’ doviziosi capita­ listi, tenendo presente, per quanto si possa, le proporzioni osservate

(170) Com’è noto, il tributo pro capite era particolarmente gravoso per gli indigenti; particolare « d i colore» potrebbe essere il disposto dell’art. 11, nel quale si stabiliva di tener « particolar conto di que' paesi degli Abruzzi, le cui popolazioni hanno il costume di emigrare in certi_ mesi dell’anno, fa­ cendo a tali paesi la proporzionata diminuzione » (p. 265).

(171) Nell’art. 17 si parla di «dritto del macino», secondo la comune terminologia.

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nella tassa su’ negozianti fatta per Barbareschi nell’anno 1816, de’ venditori degli oggetti di lusso, di moda, e di altre consumazioni ste­ rili o nocive alle industrie ed alla economia indigena, ed infine su’ lucri e profitti delle professioni liberali ».

Anche in questo caso trattavasi di una tassa personale, ma con­ figurata in modo diverso da quella, prò capite, sul macinato, sul reddito presunto per categorie di imponibili (173). Per questo tributo, comunque, era spesso usato il termine « tassa », oltre quello di « dritto » (174).

Con decreto 26 febbraio 1827, infatti, si stabiliva che « La tassa annuale su’ profitti e lucri degli avvocati e patrocinatori, de’ notaj, de’ medici e cliirurgi, e degli architetti di questa capitale rimane fissata ... alla somma di annui ducati cinquantamila ..., regolata dalla tariffa annessa al presente decreto ... » (175).

Erano regolate inoltre « la percezione della Tassa » (art. 3), l’eccedenza « del prodotto della tassa » (art. 2) ; erano previsti infine reclami per « tasse erronee o improporzionate ».

11 termine tassa ricorre ormai sovente nelle leggi tributarie; ab­ biamo così la «tassa de’ negozianti in S icilia » (176), la «tassa del cinque e venticinque per cento sulle pensioni » (177), nonché il decreto 7 aprile 1827, (178), col quale si istituivano le guardie comunali « per

(173) V. anche, ad es., d. 17 settembre 1826, « nuove disposizioni rela­ tive alla imposizione su' profitti e lucri di alcune classi di persone», art. 1. « La imposizione su’ profitti e lucri di negozianti, banchieri e commercianti che nella sola città di Napoli esercitano negoziato o commercio, sarà riscossa secondo una tariffa, la quale porterà la divisione in sette classi...»; art. 2. « La classificazione degli individui verrà fatta dalla Camera consultiva di com- mercio secondo il grado di opinione rispettiva...».

(174) V. d. 21 agosto 1826, modificazioni al d. 28 maggio 1826, Coll., cit., 1826, II, n. 969, p. 149, art. 1: « ...imposizione su’ profitti e lucri di talune classi di persone, comunemente conosciuto sotto il nome di dritto di patente... » (175) Coll., cit., 1827, I, n. 1297, p. 120. V. anche d. 21 aprile 1827, Coll.,

cit., 1827, n. 1391, p. 188. .

(176) Decreto 12 febbraio 1827, Coll., cit., 1827, primo, n. 1282, p. 113, art 1- « I deputati della tassa de’ negozianti, i quali secondo gli obblighi del loro instituto non avranno nel termine e ne’ modi prescritti da’ regolamenti in vigore formata e presentata la ripartizione della tassa anzidetta, rimar­ ranno sul fatto responsabili e direttamente obbligati verso l’erario col nome proprio e solidalmente alla rifazione dell’interesse ossia dello importare della tassa che non avrà potuto esigersi per la non eseguita ripartizione». A pro­ posito di questa tassa citata anche dal decreto 28 maggio 1826 all’art. 20 (v. retro pag 37) non è stato possibile reperirne il decreto istitutivo, mentre ri­ sulta’ che" fu abolita con d. 27 luglio 1842, n. 7675 (1842, II, p. 75), sempre

con la dizione «ta ssa». _ . „

(177) Decreto 16 luglio 1827, Coll, cit., 1827, II, n. 1480, p. 7, art. 1. (178) Coll, cit., 1827, I, n. 1355, p. 166.

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io disimpegno e per lo servigio momentaneo di giustizia ... in ogni comune ... », e di conseguenza s’imponeva una tassa per il loro man­ tenimento :

« 7) I soldi delle guardie comunali saranno a carico de’ rispet­ tivi comuni. L’importo di tali soldi verrà tratto esclusivamente da una tassa personale imponibile in ogni comune.

« 8) Sono esclusi dal peso della tassa gli operaj di arti, d’indu­ stria o di agricoltura, che vivono colla mercede giornaliera de’ ri­ spettivi lavori.

« 9) Entreranno in tassa tutti i capi di famiglia, e coloro che formano comunque economia separata.

« Vi entreranno pure : 1° gl’impiegati qualunque ... ; 2° i proprie­ tari; 3° i capitalisti; 4° i negozianti; 5° i professori di arti liberali; 6° i capi d’arte e d’industria » (179).

Come più volte rilevato, i termini ricorrenti nella legislazione tributaria del Eegno di Napoli erano « contribuzione », « imposi­ zione », « tassa », « dritto », « dazio » ; è stato possibile riscontrare la parola « imposta » ancora una volta (180) in un decreto del 1831, « portante una nuova ritenuta su’ soldi e sulle pensioni, e la diminu­ zione di metà del dazio sul macino » (181).

Ferdinando II, succeduto a Ferdinando I nel 1830, sembrava vo­ ler ritornare al periodo felice di buona amministrazione del periodo napoleonico (182), e fu quindi una delle sue prime cure diminuire gli oneri pesantissimi e tutt’altro che perequati; nel decreto succitato i vari sistemi di prelievo venivano esaminati partitamente (183), per

(179) Ibidem, p. 169. (180) V. retro, p. 31.

(181) Decreto 11 gennaio 1831, Coll., cit., 1831, I, n. 104, p. 11.

(182) Ciò che in realtà non fu, com’è noto, essendosi poi rivelato nella sua pienezza il regime assolutista del Borbone.

(183) «Considerando che i soprassoldi, le gratificazioni, le indennità cu­ mulate a’ soldi sono un favore di eccezione, che per qualunque titolo conce­ duto non può essere continuato ne’ gravissimi bisogni dello Stato ; che debbono pur nondimeno esser conservati i soprassoldi militari destinati solo a distin­ guere il servizio attivo dal servizio sedentaneo, o di riforma, le indennità di alloggio de’ militari medesimi, come del pari semplici e necessari indennità di scrittojo ;

Considerando che l’unione di diversi ufflzj in una stessa persona non concede pe’ regolamenti in vigore, se non che la scelta del soldo maggiore ; e che avendo onorata origine da un attestato di nostra fiducia ne’ talenti e nello zelo degl’impiegati, dà ad essi un titolo della nostra sovrana considera­ zione negli ascensi ;

Considerando che gli attuali soldi, avendo ottenuto nella prosperità di cui lo Stato godeva prima delle fatali vicende del 1820, un considerabile aumento relativamente agli antichi soldi, possono, oltre della ritenuta già esistente, soffrirne una nuova :

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essere riformati ; ciò che a noi interessa è quanto si legge a proposito della tassa sul macino:

« Considerando che nell’alleviamento promesso a’ nostri sudditi

l'imposta sul macino richiama le nostre prime cure, essendo quella che grave è per sua natura alla classe più bisognosa e più povera... » (184).

Ciò nel preambolo : all’art. 6 del decreto, peraltro, si ritorna alla vecchia nomenclatura : « Il dazio sul macino imposto a’ termini... che dà effettivamente ducati un milione duegentocinquantamila, è dimi­ nuito per metà... » (185). E questo è tutto. Ne deriva la seguente con­ siderazione : se la prima volta che viene usato particolarmente il ter­ mine imposta, esso si applica ad un tributo avente l’indiscussa na­ tura di tassa personale prò capite, ciò significa che la differenziazione tra il significato dei vari termini tributari è ancor lungi da venire, non solo, ma dovrebbe trattarsi di una costruzione teorica, non de­ sunta né dalia pratica né dalla legislazione. Che « imposta » fosse un termine generico potrebbe confermarlo anche il testo del decreto 11.10.1833, « contenente delle disposizioni per assicurare la percezione delle pubbliche imposte ne’ dominj oltre il Faro, ed il loro versamento in quella generai tesoreria» (186). Nel preambolo si dice: «V edu to il r. decreto de’ 30 di novembre 1824, col quale vennero stabilite le norme per la riscossione delle somme dovute per le contribuzioni di­ rette alla reai tesoreria generale de’ nostri dominj al di là del F a r o - Considerando che quantunque le prescrizioni contenute nel decreto e ne’ regolamenti menzionati rimirassero a far versare nelle casse della tesoreria generale tutti gli introiti ne’ tempi determinati, ad evitare le malversazioni e le colpe in danno della medesima, ad ac­ celerare la riscossione delle imposte a compendiare le spese e massi­ mamente ad impedire le vessazioni e gli abusi contro i nostri ama­ tissimi sudditi... non pertanto la esperienza... ci ha mostrato che ri­

considerando che nelle nuove ritenute giovi esentarne gli averi cumu­ lati non maggiori di ducati venticinque mensuali, convenga proporzionata­ mente tassar gli altri in modo che il peso maggiore ricada su di quelli che sono più elevati;

Considerando essere opportuna una nuova ritenuta sulle spese di ma­ teriale ;

Considerando che le pensioni di giustizia possono esser tassate colla stessa proporzione de' soldi, e quelle di grazia possono soffrire un peso maggiore;

Considerando che nell’alleviamento promesso a’ nostri sudditi l’imposta sul macino richiama le prime cure, essendo quella che grave è per sua natura alla classe più bisognosa e povera ».

(184) Ibidem, p. 13. (185) Ibidem, p. 17.

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manga qualche altro provvedimento a prendere per conseguire un tal scopo ».

La parte dispositiva del decreto regolava quindi la riscossione de « gl’introiti provenienti dal dazio del macinato in accollo, dalle regie dogane, dall’amministrazione generale de’ rami e diritti diversi, e da ogni altra amministrazione.... » (187).

Qui il termine « imposta » sembra proprio sinonimo di « tri­ buto », senza alcuna particolare distinzione.

Si ritorna alla parola « tassa » col decreto 12.11.1833 « che im­ pone una tassa straordinaria addizionale sulla fondiaria di alcune valli della Sicilia, onde supplire alle spese per la distruzione delle cavallette » (188). In base ad esso veniva « imposta per una sola volta una tassa straordinaria di due bajocchi addizionali per ducato sulla fondiaria delle valli di Catania, Girgenti e Caltanissetta, all’oggetto d’impiegarne il prodotto per la distruzione completa delle nocevolis- sime cavallette in dette valli » (art. 1) (189). Ancora di « tassa » si parla sul decreto 26.8.1839, « con cui si prescrive che la rendita delle case della città di Napoli venga gravata di una tassa in ragione del tre per cento sull’imponibile fondiario » (190), ma questa volta si aggiunge il termine « imposta », e non sempre nel senso generico di cui si è già detto v. retro, pag. 121).

Il decreto citato così stabiliva :

« ...Considerando che una imposta qualunque sopra i generi di consumo sarebbe a peso di tutte le classi della popolazione... sia re­ golare che vi concorra piuttosto la parte agiata de’ cittadini, che non la gente bisognosa... ».

« Art. 1. A contare dal primo di gennajo del venturo anno 1840 in poi la rendita delle case della città di Napoli verrà gravata di una tassa in ragione del tre per cento sull’imponibile fondiario.

Art. 2. Questa imposta ceder dovrà unicamente a carico de’ pro­ prietari ».

A proposito dell’accezione del termine « imposta » in questo caso, si può rilevare come nel preambolo la parola significa tributo in ge­ nerale, mentre nell’art. 2 il significato è specifico, e si riferisce esat­ tamente alla tassa sulla rendita delle case della città di Napoli. Im­ posta e tassa sono qui sinonimi.

(187) Ibidem, p. 258.

(188) Coll., cit., 1833, II, n. 1850, p. 275. Idem v. anche d. 23 gennaio 1831, Coll., cit., 1834, I, n. 85, p. 33.

(189) I b i d e m , p. 276.

A proposito del termine « tributo », è interessante rilevarne l’uso in relazione all’imposta fondiaria. Nel decreto 8.8.1833, « rettificazione del catasto fondiario in Sicilia » (191), si parla all’art. 11 di « tributo fondiario »(1 9 2 ); del pari nel decreto 17.12.1838, sempre «relativo alla rettifica del catasto fondiario in Sicilia » (193), la nomenclatura usata è quella di « tributo diretto » (191) : « Considerando che per quanto sia nello interesse della Sicilia lo aver prontamente la retti­ fica del catasto, che fissato il tributo diretto sopra basi moderate e sicure, la metterà al caso di meglio equilibrare le sue imposizioni, non sia meno interessante per essa di eliminare dalla valutazione della materia imponibile gli elementi che le condizioni eventuali potrebbero contribuire ad assegnare a’ fondi un prezzo esagerato... ».

È da notarsi la sempre maggior precisazione della terminologia tecnica.

Sebbene ormai tecnicamente perfezionata la terminologia tribu­ taria era sempre indifferenziata quanto ai termini « imposte », « tasse » e similari, che continuavano ad essere genericamente chiamati « drit­ ti ». Prova ne sia la legge 1.2.1845, « per la reciproca abolizione di alcuni determinati diritti nel Kegno delle Due Sicilie e nell’Impero Austriaco in favore de’ rispettivi Stati e sudditi » (195). « Art. 1. Non sarà prelevato all’esportazione de’ beni, denaro o effetti qua­ lunque dagli Stati di S.M. l ’Imperatore di Austria per quelli di S.M. il Re del Regno delle Due Sicilie, o da questi per gli Stati Austriaci, sia che tale esportazione abbia luogo a titolo di successione, di legato, di dote, di donazione, o altro qualunque, alcun dritto di detrazione, gabella ereditaria, né imposta per la esportazione o emigrazione.

I beni e gli effetti così esportati non saranno assoggettati ad altre imposizioni o tasse a favore del Fisco... » (196).

Rimane misterioso il significato esatto di questa ultima locuzione « imposizione o tassa », ma da tutto l’insieme dei dati esaminati in questa ricerca, non risulta alcunché di positivo circa una possibile differenziazione dei due termini. Ma non si capisce, allora, perché fra i due termini sia stata posta la particella disgiuntiva.

II consueto binomio tassa-imposta si riscontra anche nell’ultimo tributo che esamineremo, e cioè la « tassa sulle aperture », stabilita

(191) Coll., cit., 1833, II, n. 1650, p. 28. (192) Ibidem, p. 33.

(193) Coll., cit., 1838, II, n. 4993, p. 253. (194) Ibidem, p. 254.

(195) Coll., cit., 1845, I, n. 9267, p. 37. (196) Ibidem, p. 39.

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-con decreto 18.10.1849 nei domini al di là del Faro (197). Tale decreto « stabiliva una tassa di grana venti, pari a tari due siciliani, per ogni finestra o balcone ovunque sporgenti ». (Art. 2). La tassa suddetta era dovuta dagli inquilini, ovvero da’ proprietarii, allorché questi abi­ tassero le proprie case e botteghe (art. 2). Per quanto riguardava i negozianti, era previsto all’art. 3 che « i venditori di generi o mer­ canzie, in vece della tassa indicata nell’articolo primo pagheranno per ogni bottega grana quaranta... Se le botteghe avranno più in­ gressi nelle pubbliche vie, la tassa delle grana quaranta sarà tante volte dovuta, quanti sono gli ingressi ». Erano previste quindi alcune esenzioni, per le case più povere e per quelle disabitate. Circa la natura di tale tributo, che il regolamento annesso alla legge deter­ minava « della natura delle contribuzioni dirette » (art. 1), potrebbe qualificarsi modernamente quale vera e propria tassa, e tale era sem­ pre denominata nel decreto citato ; ma, come al solito, la medesima veniva chiamata « imposta » nel successivo decreto 4 luglio 1853 (198). Nel preambolo infatti si legge: « ...Visto il desiderio universale mani­ festatoci per organo delle legittime autorità per la soppressione della

tassa medesima; ....Considerando che dovendosi surrogare alla impo­

sta, un’altra che rinfrancasse la finanza dell’entrata che verrebbe meno, giustizia vuole che la nuova imposta ricadesse sulla stessa pro­ prietà urbana sulla quale gravita l’antica...

Art. 1. Alla tassa sulle aperture... ne’ comuni già catastati... sarà sostituito un carico addizionale alla imposta gravitante sugli edifizii.

Art. 2. Questo carico addizionale sarà del sei per cento in ra­ gione dello imponibile che è stato attribuito nel catasto urbano a ciascun corpo abitabile ».

Le norme per la formazione del catasto urbano erano stabilite nel decreto 27.3.1855 (199) che non rileva ai fini della ricerca.

Con decreto 26.3.1858 fu abolito il predetto tributo, denominato questa volta « soprattassa » :

« L’urgente bisogno di riordinare l’amministrazione economica della Sicilia, e di ripianare il forte squilibrio delle finanze, cagionato dalla rivoluzione del 1848, ci aveva costretto d’imporre la soprattassa

(197) Coll., cit., 1849, II, n. 1311, p. 199. SI tenga presente che tale tassa così gravosa rientrava nell’ambito della reazione borbonica ai fatti

del 1848- , ^

(198) Coll., cit., 1853, II, n. 420, p. 8. Nei precedenti decreti 27 gennaio

18 5 1 (I, n. 2101, p. 20) e 29 marzo 1852 (I, n. 2931, p. 155) si parlava solo di « tassa ».

del sei per cento sulle case in surrogato della tassa sulle aperture, Permettendo ora lo stato economico della Sicilia che quelle popo­ lazioni venissero disgravate da un tal peso...

Art. 1. Dal primo di maggio del corrente anno in poi rimane abolita la so p ra tta ssa del sei per cento, imposta col nostro decreto de’ 4 di luglio 1853 * (200).

Al termine della ricerca sui testi legislativi dei tre stati preuni­ tari, il risultato conseguito in merito al significato dei termini « im­ posta e tassa » è del tutto negativo. I due termini erano sinonimi, e come tali venivano usati dal legislatore. La distinzione teorica non nacque dunque dalla legislazione ; e questo dato ormai definitivamente acquisito — anche se negativo — ci dà l’opportunità di proseguire l’indagine in altra sede, quella giurisprudenziale. Nella seconda parte di questo studio, pertanto, saranno esaminate le decisioni in materia tributaria degli organi giurisdizionali del regno di Sardegna, del gran­ ducato di Toscana e del regno delle due Sicilie.

Ca t e r i n a Sc i a c c a Sc a l a b r i n o

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