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Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze. 1971, Anno 30, n.1, marzo

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(1)

MARZO 1971 Pubblicazióne trimestrale Anno XXX - N. 1 Spedizione in abbonamento postale - Gruppo IV

RIVISTA DI DIRITTO FINANZIARIO

E S C I E N Z A DEL L E F I N A N Z E

Fondata da BENVENUTO GRIZIOTTI

(e RIVISTA ITALIANA DI DIRITTO FINANZIARIO)

D I R E Z I O N E

GIAN ANTONIO MICHELI - GIANNINO PARRAVICINI

COMITATO SCIENTIFICO

ENRICO ALLORIO - ENZO CAPACCIOLI - CESARE COSCIANI FRANCESCO FORTE - EMILIO GERELLI - ANTONIO PESENTI

ALDO SCOTTO - SERGIO STEVE

(2)

Pubblicazione sotto gli auspici dell'Istituto di Finanza dell’ Università, della Camera di Commercio di Pavia e dell’Istituto di diritto pubblico

della Facoltà dì Giurisprudenza dell’ Università di Roma

La Direzione è in Pavia, Istituto di Finanza presso l’ Università e la Camera di Commercio, Strada Nuova 65. Ad essa debbono essere inviati bozze corrette, cambi, libri per recensione in duplice copia.

I manoscritti dei lavori giuridici devono essere inviati al prof. Gian Antonio Mic h e li, Via Scipione Gaetano, n. 13 - 00197 Roma.

Redattore: dott. Alberto Majocchi, Assistente di ruolo nell’Università di Pavia. Redattore Capo: prof. Em ilio Gere lli, Direttore dell’Istituto di Finanza del­

l’Università di Pavia.

L ’Am m in istr a zio n e è presso la Casa Editrice Dott. A. Giuffrè, 20121 - Milano,

Via Statuto, 2 - Telefoni 652.341/2/3 - 662.543.

Ad essa vanno indirizzate le richieste di abbonamento (c.c. postale 3/17986) e di pubblicità, le comunicazioni per mutamenti di indirizzo e gli even­ tuali reclami per mancato ricevimento di fascicoli.

CONDIZIONI DI ABBONAMENTO PER IL 1971 Abbonamento a n n u o ...L. 6.000 E s t e r o ... » 8.000

Numeri separati, rispettivamente . . . . » 2.300 e 3.000 Abbonamento ridotto per i Magistrati . . . » 4.800

Annate arretrate senza aumento rispetto alla quota annuale

L’abbonamento decorre dal 1° gennaio di ogni anno e dà diritto a tutti i numeri dell’annata, compresi quelli già pubblicati.

Il pagamento può effettuarsi direttamente all’Editore, anche con versamento sul conto corrente postale 3/17986, indicando a tergo del modulo, in modo leggi­ bile, nome, cognome e indirizzo dell’abbonato ; oppure presso i suoi agenti a ciò autorizzati. I prezzi sopra indicati sono validi per il pagamento a con­ tanti ; in caso di pagamento rateale verrà praticato un aumento. li rinnovo dell’abbonamento deve essere effettuato entro il 15 marzo di ogni anno. Tra­ scorso tale termine, l’Amministrazione provvede direttamente all’incasso nella maniera più conveniente, addebitando le spese relative.

Gli abbonamenti che non saranno disdetti entro il 10 dicembre di ciascun anno si intenderanno tacitamente rinnovati per l’anno successivo. L ’ab­ bonamento però non può essere disdetto se l’abbonato non è ai cor­ rente con i pagamenti.

I fascicoli non pervenuti all’abbonato devono essere reclamati entro 10 giorni dal ricevimento del fascicolo successivo. Decorso tale termine, non si spediscono che contro rimessa dell’importo.

Le richieste di cambiamento di indirizzo devono essere accompagnate dall’im­ porto di L. 100 in francobolli e trasmesse con specifica comunicazione raccomandata al competente Ufficio Codificazione Olienti.

Per ogni effetto l’abbonato elegge domicilio presso l’Amministrazione della rivista. Ai collaboratori saranno inviati gratuitamente 50 estratti dei loro saggi. Copie

supplementari eventualmente richieste all’atto del licenziamento delle bozze verranno fornite a prezzo di costo. La maggiore spesa per le correzioni straordinarie è a carico dell’autore.

Registrazione presso il Tribunale di Milano al n. 104 del 15 marzo 1966 Direttore responsabile: Em ilio Gerelli

P ubblicità inferiore al 70 %

(3)

INDICE-SOMMARIO

Franco Volpi - Amilcare Paviani e la teoria dell’illusione finanziaria

Gian n in o Paliaga - L’imposizione sui salari nei Principi di Ricardo

Fabrizio Bu lo k aen - Sull’analisi dei « mixed goods » di Musgrave

Caterina Sciacca Scalabrino - « Tasse » ed « imposte » nella legislazione e nella giurisprudenza del Regno di Sardegna, del Granducato di Toscana e del Regno di Napoli nel secolo diciannovesimo . .

3 19 65

81

APPUNTI E RASSEGNE

Pietro Adonnino - Adnotatus adnotavit adnotatores . • • • • • 7

Giovan ni Pu o t i - Rassegna della giurisprudenza tributaria (an n o 1970) 135

Clau dio Sacchetto - Rassegna legislativa in materia finanziaria . . 148

RECENSIONI

Pie r o Pa j a r d i - Fallimento e fisco ( G . A. M i c h e l i ) ...169

RASSEGNA DI PUBBLICAZIONI R E C E N T I... 171

P A R T E S E C O N D A

Andrea Fedele - Corrispettivi di pubblici servizi, prestazioni imposte, t r i b u t i... Ca r m in e Pu n z i - La notificazione degli atti tributari presso il domicilio del contribuente... Pier Lu ig i Cehm elli - Jus superveniens ed esecutorietà dello stato passivo Franco Ga f f u r i - Qualificazione tributaria autonoma di un atto civile e

imposta di registro sulla sentenza dichiarativa della simulazione

SENTENZE ANNOTATE

(4)

Procedimento - Notificazioni - Domicilio eletto - Notificazione all’abita­ zione del contribuente - Consegna a persona addetta alla casa - Nul­ lità - Notificazione al domicilio eletto - Obbligatorietà (Comm. Cèntr., Sez. I li, 27 giugno 1969, n. 6330) (con nota di C, Pu m i)

Fallimento - Stato passivo - Esecutorietà - Norma successiva modifica­ trice dell’ordine dei privilegi - Applicabilità - Limiti (Cass., Sez. I, n. 2222, 29 ottobre 1970) (con nota di P. L. Cermei.li) . . . . Imposta registro - Atto simulato - Sentenza dichiarativa della nullità

dell’atto per simulazione - Imposta proporzionale di retrocessione - Applicabilità.

Imposta di registro - Simulazione - Imposta sull’atto simulato - Dichia­ razione di nullità per simulazione - Imposta sull’atto simulato - Dichiarazione di nullità per simulazione, ai fini fiscali - Valore - Conseguenze - Nuova imposta proporzionale - Estremi (Cass., Sez. I, n. 841, 27 marzo 1970) (con nota di F. Gaffuri) ...

(5)

CASA EDITRICE DOTT. ANTONINO GIUFFRÈ - MILANO

RACCOLTA DI GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA e TRIBUTARIA

diretta da G. Pescatore

Rassegna di giurisprudenza

sulle leggi del contenzioso

tributario di accertamento

(R.D.L. 7 agosto 1936 n. 1639, art. 22-48;

R.D. 8 luglio 1937 il. 1516, e disposizioni complementari)

IL GIUDIZIO DAVANTI ALLE COMMISSIONI AMMINISTRATIVE

a cura di GIOVANNI LAZZARO

Gli organi e la competenza - Il ricorso alle commis­ sioni di merito - Il giudizio di appello - Il ricorso alla commissione centrale - La notificazione degli atti tri­ butari processuali e le disposizioni organizzative del contenzioso tributario amministrativo.

8°, p. 378, L. 4000

(6)

CASA EDITRICE DOTT. ANTONINO GIUFFRÈ MILANO

IS T IT U T O D I S T O R IA E C O N O M IC A E S O C IA L E D E L L ’U N IV E R S IT À D I B O L O G N A

FONTI - RICERCHE - TESTI

Collana diretta da Luigi Dal Pane

--- --- io — ---LUIGI PUCCI

LODOVICO RICCI

D A L L ’ A R T E D E L B U O N G O V E R N O

A L L A F I N A N Z A M O D E R N A

1742-1799 Introduzione.

Pesi - Misure - M onete modenesi. Abbreviazioni.

Fonti e bibliografia.

G li « a v v o c a t i» tra i « g u e r r ie r i» e i sapersi rendere utili - La « philosophie » invisibile » al lavoro - Verso la crisi r uguaglianza » - Fine di una carriera.

« sa ce r d o ti» - L ’arte di al governo - « La m ano il catasto - « Libertà e

Volume in 8°, p. 266, con tavole f.t., L. 3000.

583

(7)

CASA EDITRICE DOTT. ANTONINO GIUFFRÈ - MILANO

LUIGI GIUSEPPE STAFFICO Libero docente di ragioneria generale ed applicata incaricato di ragioneria nell’Università Cattolica di Milano

UNIFICAZIONE CONTABILE

CONTABILITA’ , SCHEMI E STIME UNIFICATE DA ALCUNE IMPORTANTI ESPERIENZE

L ’Unificazione contabile - Il movimento francese - Il piano contabile francese del 1957 - Limiti dell’ unificazione contabile in Francia, sui contributi e premesse per una nuova teoria - L ’ unificazione contabile in altri paesi di lingua francese.

Volume in 8°, p. 238, L. 2800. 217

IS T IT U T O D I E C O N O M IA A Z IE N D A L E

D E L L ’ U N IV E R S IT À ’ C O M M E R C IA L E « L. B O C C O N I » - M IL A N O Fondatore: Gino Zappa Direttore: Giordano Dell’Amore

Serie VII N. n

G IO R G IO T A G I

IL MERCATO

FINANZIARIO

La delimitazione del mercato finanziario ai fini dell’indagine - Il mercato mobiliare - Il mercato dei mutui.

1971, Volume in 8°, p. XVI-252, con tabelle e grafici, L. 2800 19

(8)

CASA EDITRICE DOTT. ANTONINO GIUFFRÈ - MILANO

VOLUME IN DEPOSITO

Associazione fra le Società italiane per Azioni

ANNUARIO LEGALE

SOCIETÀ PER AZIONI

Costituzione della società - Deliberazioni dell’Assemblea - Ammi­ nistrazione della società - Collegio sindacale e controllo giudizia­ rio - Bilancio - Azioni, variazioni del capitale, obbligazioni - Sciogli­ mento, trasformazione, fusione - Imposte dirette - Imposte indirette - Agevolazioni tributarie.

D E LLE

Voi. XVII 1964-1966 Voi. 8°, P. XIII-597, L. 5.000 voi. XIII: 1952-1953 1956, 8°, p. X-208, L. 1200 voi. XIV: 1954-1957 voi. X V : 1958-1960 1962, 8°, p. XVI-553, L. 2500 voi. XVI: 1961-1963 1967, 8°, p. XVII-556, L. 3000 1959, 8°, p. XIV-566, L. 2500 468

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CASA EDITRICE DOTT. ANTONINO GIUFFRÈ - MILANO

U N IV E R S IT À ’ D I P A V IA

Q U A D E R N I D E L C E N T R O S T U D I DI D IR IT T O D E L L ’IM PRESA

Diretti da Guido Rossi 2

GIUSEPPE ZANARONE Assistente nell’ Università di Pavia

L A RISOLUZIONE

DEL CONTRATTO

NEL FALLIM ENTO

Impostazione e origine storica del problema - Il fallimento come fatti­ specie di inadempimento - La soluzione della giurisprudenza - Gli art. 45 L . fall, e 2917 c.c. - Processo esecutivo e retroattività - Riso­ luzione per inadempimento e indisponibilità fallimentare - Risoluzione per inadempimento e tutela dei terzi.

Volume in 8°, p. 391, L. 4.000

26 ________________________

FREDERICK BROOMAN Professore di economia alla Open University

M ACROECON OMIA

Traduzione e presentazione di

ROBERTO ZANELETTI

SECONDA EDIZIONE RIVEDUTA ED AMPLIATA

La scienza economica e gli aggregati - Il prodotto nazionale, il reddito nazionale e la spesa nazionale - L ’equilibrio del sistema economico - Il livello di occupazione - Le determinanti del consumo - Il moltiplicatore - Le determinazioni dell’ investimento - Il commercio con l ’estero e il reddito nazionale - Lo stato e il reddito nazionale - I prezzi, i salari e l ’offerta aggregata - La moneta, il tasso di interesse e il reddito reale - La moneta, il tasso di interesse e il livello generale dei prezzi - Lo stato inflazionistico - Il ciclo economico - La teoria dello sviluppo economico - Appendice.

1970, volume in 8°, p. XXII-593, rii. tela, L. 6800

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CASA EDITRICE DOTT. ANTONINO GIUFFRÈ - MILANO P U B B L IC A Z IO N I D E L L A F A C O L T A ’ DI E C O N O M IA E C O M M E R C IO D E L L ’U N IV E R S IT À ’ D I R O M A XXXVI DOMENICO RUBINO

STUDI

GIURIDICI

raccolta di scrìtti minori

di

D O M E N IC O R U B IN O

a cura dei Professori

M A R IO S T O L F I e F R A N C O V O L T A G G IO LU C C H E S I

Si tratta di un materiale vario e prezioso, ricco di contributi importanti e talora fondamentali, che tuttavia quasi si disperde, contenuto com e è in riviste molteplici e in volum i occasionali (atti di congressi, scritti in onore) a tiratura limitata; di un materiale che, diventando difficile a reperire, gradualmente sfugge all’attenzione degli studiosi ed è destinato all’oblio.

Volume in 8°, p. XII-584, L. 6000

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(12)
(13)

AM ILCARE PLATANI

E LA TEORIA D E LL’ ILLUSIONE F IN A N Z IA R IA

La teoria dell’illusione finanziaria, edito nel 1903 da Sandron, è ormai da tempo un libro raro. James Buchanan, quando scrisse il suo saggio sulla tradizione italiana negli studi di finanza pubblica, non potè trovarne una copia (1) e, cosa ancor più strana, ne risulta priva, tra le altre, perfino la biblioteca dell’ Università di Perugia dove il Puviani insegnò per diciassette anni fino alla morte. Non si può dire, del resto, che, al suo apparire, il libro ricevesse grande a t­ tenzione e se ciò può dipendere in parte dal fatto che, tra gli addetti ai lavori, le tesi esposte erano già note per essere state pubblicate in articoli sul Giornale degli Economisti e sugli Annali dell’ Uni­

versità di Perugia, è pur vero che di queste tesi non v’è quasi traccia nelle pagine dei principali trattati e manuali di scienza delle finanze editi o riediti in quegli anni e nei successivi. Così, già nel 1912, l ’Ei- naudi poteva chiamare il Puviani « a torto negletto » (2) e col passar del tempo l’ ombra che circondava il libro divenne così densa intorno alla persona dell’autore da indurre il Vinci, in calce a un breve scritto in cui ne aveva ricordato le teorie, a invitare « chiunque disponesse di dati o notizie » di farglieli pervenire (3). (*)

(*) Questo articolo riproduce l'introduzione alla ristampa della Teoria dell’illusione finanziaria in preparazione a cura dell’editrice ETAS/KOM- PASS. Prendo l’occasione per ringraziare la famiglia Puviani che mi ha messo cortesemente a disposizione quanto resta delle carte di Amilcare Puviani.

(1) Jam es M. Bu c h a n a n, «L a Scienza delle Finanze»: thè Italian Tra­ dition in Fiscal Theory, in : Fiscal Theory and Political Economy, The Univer­ sity of North Carolina Press, Chapel Hill, 1960, nota 35, p. 60.

(2) Lu ig i Ein a u d i, Intorno al concetto di reddito imponibile e di un sistema di imposte sul reddito consumato, in : Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, II serie, Tomo 63, 1912, ora in : Saggi sul risparmio e l’imposta, Torino, Einaudi, 1958, p. 146.

(3) Felice Vin c i, A proposito di perequazione tributaria: la teoria del­ l’illusione finanziaria di A. Puviani nel suo cinquantesimo anniversario, Mi­ lano, Unione Tipografica, 1953.

(14)

4 —

Se il libro che si ripresenta oggi al lettore italiano viene ricor­ dato, spesso con rilievo, nei testi di scienza delle finanze più recenti lo si deve principalmente a Mauro Fasiani che accolse il concetto di illusione finanziaria come spiegazione della tendenza fondamentale delle finanze pubbliche nello stato assoluto o monopolistico e fece della teoria del Puviani, esposta ampiamente in quattro capitoli un elemento portante della costruzione sistematica dei suoi Principi (4).

D i una « riscoperta » ad opera del Fasiani parla anche James Buchanan, che fece conoscere il Puviani ai lettori anglosassoni, dan­ dogli un posto di rilievo tra gli scrittori italiani passati in rassegna nel saggio già citato del 1960. Dello stesso anno è la prima edizione tedesca della Teoria dell’illusione finanziaria a cura di Ernesto D ’ A l­ bergo (5) mentre quella inglese, a cura di Charles Goetz, e attual­

mente in preparazione. ...

Questo nuovo interesse, che spiega la presente riedizione italiana, rischia di essere l ’ origine di fraintendimenti. Quando l’ illusione finan­ ziaria e, cioè, la « rappresentazione erronea » dei mezzi che lo stato adotta per raggiungere i suoi scopi e che si accompagna, occorre non dimenticarlo, all’ illusione politica, ossia « alle fallacie delle masse in­ torno ai fini dello Stato » (6), viene recepita in sistemi teorici basati su presupposti assai diversi da quelli del Puviani o viene considerata un’ipotesi di lavoro, il significato dell’ opera viene molto limitato, ne sfuggono alcuni aspetti di viva attualità, e se ne perdono di vista i rapporti con il processo di formazione della teoria della finanza pub­ blica alla fine del secolo scorso (7).

facoltà di Giurisprudenza delVUniversità di Perugia, voi. X X I I , 1907 Queste pagine vennero ristampate in un opuscolo « In memoria di ^ “ llc^re f u' viani » (Modena, Ferraguti, 1937) nel trentesimo anniversario della morte a cura del Municipio di S. Felice sul Panaro insieme ad un breve ricordo del­ l’allievo Umberto Spillman che, forse per far dimenticare che il Puviani er stato consigliere comunale socialista di quel comune, non mancava di de - nirlo come «Quasi precursore del movimento fascista» (p. 35) per le sue cri­

tiche ai difetti del parlamentarismo. . .

(41 Mauro Fa sia n i, Principa di Scienza delle Finanze, Torino, Giappi­ chelli, 1941, voi. I, Libro I, capitoli I, II, IH, IV. Il Fasiani aveva già stu­ diato un aspetto dell’opera del Puviani da lui definita « mirabile ^ ritto » m un saggio giovanile («Riflessioni su di un punto della teoria dell illusione finanziaria », in : Atti della R. Accademia delle Scienze di Tonno, voi. LXIV, 1929) in cui aveva cercato di dimostrare ingegnosamente come una delle « i l ­ lusioni » finanziarie si potrebbe ricondurre al concetto marshalliano di « ren­

dita del consumatore». , .. _

(5) Die Illusionen in der öffentlichen Finanzunrtschaft, Berlin, Duncker & Humblot, 1960, con introduzione di Ernesto D’Albergo.

(6) Teoria delVillusione finanziaria, p. 8. Il corsivo è mio.

(15)

edi-— 5

Da questo processo è opportuno partire per comprendere appieno ciò che il Puviani intese dire con il libro cui dedicò sette anni della

sua vita.

E noto che un corpo di dottrine chiamato finanza pubblica o scien­ za delle finanze o con altri termini ancora cominciò a distinguersi dalle trattazioni descrittive e precettistiche fino allora prevalenti e ad acquistare caratteri di disciplina scientifica, autonoma in certa m i­ sura dal corpo centrale dell’ economia politica, solo nella seconda metà del secolo XIX.

Ma, mentre nei paesi anglosassoni l ’interesse degli studiosi, sul­ l ’esempio classico di Smith e Ricardo, fu diretto allo studio degli ef­ fetti delle imposte e quindi alPapplicazione ad essi delle nuove teorie del valore, o alla definizione di criteri di equità e di giustizia distri­ butiva derivati dai principi utilitaristici, nel continente europeo e specialmente in Germania ed in Italia si cercò di costruire una scienza della condotta economica dello stato. Gli apporti teorici a questa co ­ struzione sono eterogenei : dalle teorie organicistiche di origine hege­ liana, prevalenti in Germania, alle influenze socialiste, alle sugge­ stioni del positivismo, al contributo del metodo marginalista. Que­ st’ ultimo appare determinante in Italia per ragioni che non è qui il luogo di indagare e tra le quali, tuttavia, è stato sottolineato l ’in­ segnamento del Ferrara che aveva, per così dire, preparato il terreno all’affermarsi delle nuove dottrine (8). Di fatto, negli anni immediata­ mente successivi a quelli che avevano visto la pubblicazione delle opere di Jevons, Menger e Walras, tre economisti italiani, Maffeo Pantaleoni, Antonio De V iti De Marco e Ugo Mazzola si proposero lo stesso obiettivo di applicare all’attività economica dello stato i

zione tedesca della Teoria dell’illusione finanziaria (pubblicata con il titolo « Premesse scientifiche generali e teoria dell’illusione finanziaria », in Econo­ mia Internazionale, febbraio 1959). Il D’Albergo mette in luce giustamente le premesse edonistiche e psicologiche della teoria del Puviani (vedi più oltre in questo articolo p. 13) e accusa d’incoerenza quanti la apprezzano, re­ spingendo, però, nella trattazione di altri problemi finanziari le stesse pre­ messe. In particolare, egli rileva che il Puviani considera tipiche e uniformi le reazioni psichiche degli individui e, quindi, le estende alla collettvità, su­ perando, almeno implicitamente, il problema del « no bridge ». Lo scopo prin­ cipale della nostra introduzione è quello di vedere quanto di diverso e di attuale vi è nella impostazione del Puviani rispetto a quelle dominanti al­ l’epoca sua ; non tratteremo, pertanto, il problema posto dal D’Albergo, dato che le premesse utilitaristiche erano comuni allora a tutti gli economisti che cercavano di costruire una teoria della finanza pubblica e il problema della comparazione interpersonale delle utilità non era stato ancora avvertito.

(16)

— 6 —

principi utilitaristici ed i criteri metodologici del marginalismo. Se alla loro opera in epoca successiva si vennero contrapponendo teorie basate su diversi presupposti, che acquistarono, almeno nel mondo accademico, posizioni preminenti, nel momento storico del quale ci stiamo occupando essa ebbe un ruolo egemonico, che del resto sembra aver riconquistato ora, nel quadro del nuovo interesse sorto tra gli economisti anglosassoni per le teorie « continentali » della finanza pubblica.

In una prospettiva storica semplificata il processo di formazione della teoria finanziaria in Italia appare, quindi, riassunto nel tenta­ tivo di applicare il metodo marginalista alla condotta economica dello stato. Gli autori che si accinsero a questo tentativo dedussero dai principi del Jevons e, specialmente, del Walras la condizione di equi­ librio per la produzione e la distribuzione dei beni e servizi pubblici : essa richiede che le risorse nazionali vengano divise tra il settore pub­ blico e quello privato come tra le diverse produzioni pubbliche in modo da assicurare eguali utilità, marginali in tutti gli impieghi e che il costo della produzione pubblica, ossia il carico tributario, si distri­ buisca tra i cittadini in modo che ciascuno di essi subisca al margine un sacrificio pari all’ utilità ottenuta soddisfacendo, grazie alle spese pubbliche, i propri bisogni di natura collettiva. Ma poiché le caratte­ ristiche dei bisogni collettivi e dei beni e servizi che lo stato produce per soddisfarli rendono impossibile, come per prima chiaramente mo­ strò il Mazzola (9), il raggiungimento di quelle situazioni d’ equilibrio mediante il libero gioco del mercato, il problema per tutti gli autori che allora o poi hanno imboccato questa difficile strada è quello di identificare un meccanismo sostitutivo che assicuri lo stesso risul­ tato.

Il Pantaleoni dà la prima ed anche la più scoperta risposta al problema. Poiché, in ultima istanza, le dimensioni e la composizione del bilancio statale sono decise dal Parlamento, esse ci rivelano « il giudizio che la intelligenza media compresa nel Parlamento » forma intorno alla « somma complessiva di soddisfazioni » rappresentata dalia spesa e « la somma complessiva di pena che suscita l ’esazione delle imposte », come pure intorno « ai gradi finali di utilità compa­ rata delle varie spese ». È, quindi, il principio della rappresentanza 9

(17)

— 7 —

(il Parlamento è « il rappresentante legale » dei contribuenti) (10), insieme alle procedure amministrative e contabili di preparazione del bilancio, a consentire, in definitiva, il raggiungimento dell’equilibrio edonistico tra i diversi impieghi della ricchezza. 12 evidente che in uno stato come quello presupposto dal Pantaleoni e che il De Viti chiama « cooperativo », la collettività dei contribuenti non può essere ostile a sopportare il peso del bilancio pubblico, perché entrate e spese, prese come un unico termine, pareggiano l ’ utilità sociale dei beni e servizi prodotti, dei quali, d’altra parte, i cittadini sono insieme produttori e consumatori (11). Il contrasto può nascere, tuttavia, « nel momento in cui il carico nazionale si ripartisce fra le singole econo­ mie contribuenti » (12), dato che ciascuno cercherà di godere dei ser­ vizi pubblici evitando di pagarne il costo. Le autorità, infatti, non possono conoscere la domanda ed il consumo individuale dei servizi pubblici e, quindi, l ’ utilità che ciascun cittadino ne trae. Resta, quindi, aperto il problema dell’identificazione di un criterio che per­ metta, di ripartire il costo della produzione pubblica in modo di ren­ dere eguale l’ utilità e il sacrificio per il singolo contribuente-consu­ matore.

A questo problema il Mazzola e il De V iti, pur con accentuazioni sensibilmente diverse, cercano di rispondere mettendo in luce la con­ nessione esistente tra consumi privati, individualizzabili, ed i consumi pubblici che non sono suscettibili di domanda individuale ma che, per il singolo consumatore, sono compresi inscindibilmente nei primi. Ogni cittadino, infatti, acquistando beni sul libero mercato, acquista, in essi incorporati, i servizi che lo stato produce e che sono condizione essenziale della vita civile e quindi anche della produzione privata. Manca ancora, a questo punto, l ’ unità di misura del consumo pub­ blico ma il De V iti la trova nel reddito. Poiché, infatti, è un princi­ pio economico che il consumo cresca con l ’agiatezza del cittadino, il reddito netto di questo può essere assunto come « l ’equipollente più sicuro... della ‘ capacità di domanda ’ di servigi pubblici », e, quindi, come la base per la ripartizione degli oneri fiscali. L ’ evoluzione dei 10 11 12

(10) Maffeo Pantaleoni, Contributo alla teoria del riparto delle spese pubbliche, in Rassegna italiana, 15 ottobre 1883, ora in Studi di finanza c statistica, Bologna, Zanichelli, 1038, passim.

(11) Antonio de Vit i de Marco, Il carattere teorico dell’economia finan­ ziaria, Roma, Pasqualucci, 1888, passim.

(18)

— 8 —

sistemi tributari nello stato moderno sorto dalla rivoluzione bor­ ghese fornisce, d’altra parte, una conferma a questa tesi (13).

Seguendo la linea brevemente descritta, si andò, dunque, co ­ struendo nel decennio 1880-90 la teoria economica italiana della fi­ nanza. Gli autori che parteciparono a quest’ opera, che l’ Einaudi trat­ teggia vivacemente nelle Jiote pagine della prefazione ai Principi del De Viti, non intendevano formulare regole da proporre ai governi per rendere migliore l ’amministrazione della ricchezza pubblica; il fare scienza, il rivendicare il carattere scientifico della finanza pub­ blica (come dicono i titoli di alcuni loro scritti) significava invece identificare i principi logici operanti nella realtà e necessari per in­ terpretarla. Essi non ignoravano che nella realtà esistono frizioni ed imperfezioni, elementi contradditori faticosamente riconducibili agli schemi teorici del marginalismo utilitarista, ma erano convinti che « l ’azione di forze divergenti » non bastasse ad elidere la « superiore armonia di interessi » che, con la fine dell’assolutismo, si era affer­ mata nello stato moderno (14).

Ben diversi erano in quegli anni gli studi e le riflessioni del Pu- viani. Nato a San Felice sul Panaro nel 1854, da una famiglia di medi proprietari, laureato in giurisprudenza a Bologna, dopo un anno di pratica legale a Roma, dove ebbe amico Camillo Prampolini (15), si era dedicato agli studi di Economia ottenendo nel 1880 la libera do­ cenza all’università di Bologna. Nel 1883, proprio l’anno in cui usciva il Contributo del Pantaleoni, Zanichelli, gli pubblicava la prima opera : Del sistema economico borghese in rapporto alla civiltà. Sono più di quattrocento pagine scritte in uno stile colorito e impre­ ciso, percorse da continue interrogazioni ed esclamazioni retoriche, appesantite da notizie inattese, intessute delle citazioni più impreve­ dibili: da Omero a Zola, da S. Alfonso dè Liguori a Lassalle, da l’ Ecclesiaste a De Musset, da Botero a Marx (16).

Con questo materiale eterogeneo il Puviani costruisce un quadro storico dell’ evoluzione del mondo moderno dalle origini del sistema borghese, attraverso la sua giovinezza e maturità, fino alla decadenza, 13 14 15 16 * *

(13) A. de Vit i de Marco, op. cit., p. 136 e segg. (14) A. de Vit i de Marco, op. cit., p. 94.

(15) Il Prampolini ricorda « i tempi di Roma » in una lettera al Pu­ viani del 17 maggio 1903.

(19)

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cercando le radici delle istituzioni politiche, del variare dei costumi e dei rapporti sociali, dei gusti, delle scienze e delle arti nell’ eco­ nomia. E tra i fatti economici, sull’esempio del Loria, grandeggiano la proprietà della terra e la rendita fondiaria che l ’accompagna. Que­ sti appaiono al Puviani i limiti al pieno esplicarsi del capitalismo e contro di essi, infine, l ’ unione operaia, coalizzata dal comune inte­ resse con i capitalisti, dirigerà i suoi colpi portando al crollo del si­ stema borghese e a ll’inizio di un’epoca migliore.

Quest’ opera prima, che non manca di pagine robuste e di intui­ zioni acute, come riconobbe il Croce (17), valse all’autore qualche re­ censione (18), l ’amicizia del Loria (19) e, probabilmente, la fama di scrittore confuso e non tecnico. Fu questo un ostacolo non piccolo alla carriera accademica che il Puviani intraprese affrontando vari concorsi, ed è forse anche per rimuoverlo che egli, dopo qualche anno di silenzio, si dedicò a numerose ricerche intorno all’imposta sui fab­ bricati, finché nel 1889, svolgendosi il concorso per la cattedra di Siena, un collega e amico gli potè scrivere che le monografìe sui fab­ bricati, a parere del potente Messadaglia, « facevano completamente dimenticare il sistema borghese » (20). In quell’anno, ottenuta l’eleg­ gibilità (oggi diremmo la maturità) nel concorso, ebbe l’ incarico di scienza delle finanze e diritto finanziario a Perugia, dove si trasferì.

Che, tuttavia, in quegli anni il Puviani non avesse dimenticato i suoi primi interessi lo dimostrano non solo molti spunti contenuti nelle monografie sui fabbricati (21), ma soprattutto un misterioso li­ bretto del quale non vi è traccia in bibliografie o in cenni biogra­ fici e che è introvabile nelle biblioteche : La causa prima delle

armo-(17) Benedetto Croce, « Le teorie storiche del professor Loria », in Le Uevenir Social, novembre 1896, ora in Materialismo storico ed economia mar- xis ica, Bari, Laterza, p. 26 n. 1. Alla stima del Croce accenna anche Francesco feaveno Nitti m una lettera al Puviani del 20 maggio 1898.

Queste una, feroce, del De Johannis, ne L’Economista del 6 maggio 1883, in cui l’opera del Puviani viene paragonata a un romanzo del

(19) La prima lettera del Loria nelle carte Puviani è del gennaio 1833 (mese e giorno illeggibili) in risposta all’invio del libro che il Loria recensirà m quell anno nella Rivista critica delle scienze giuridiche e sociali (p. 118).

(19 20 *> Lettera di Llcilio Vanni, li Vanii, ordinario di storia del diritto italiano e incaricato di scienza delle finanze a Perugia si trasferì a Parma per lam io acc. 1889-90 lasciando al Puviani l’incarico di Perugia. La data deiia lettera e illeggibile, ma si tratta senz’altro della prima metà dell’81).

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nie e disarmonie finanziarie, del quale solo il primo volume (né so se ne sia mai uscito uno successivo) lia potuto vedere tra le carte della famiglia (22).

Quest’opera, scritta in uno stile più contenuto e pacato di quello del Sistema, ma in cui si avverte una pesante influenza delle teorie organicistiche dello stato e della scuola finanziaria germanica, reppresenta l ’anello di congiunzione tra l ’ opera giovanile e quelle della maturità. Vi appare, infatti, un motivo che sarà dominante nei saggi successivi e troverà l ’espressione più piena nella Teoria del­

l’ illusione finanziaria : il contrasto tra l ’apparenza e la realtà, tra l’ideologia dello stato moderno ed i rapporti economici e finanziari in esso prevalenti.

« Il secolo nostro..., scrive il Puviani — e sembra echeggiare a f­ fermazioni del Pantaleoni o del De V iti — , vede nel governo il potere del popolo intero per via di delegazione » (23) e, di conseguenza, il bilancio ed il sistema tributario dovrebbero rispecchiare gli interessi e la volontà del popolo ; ma la realtà ci mostra il contrario : le impo­ ste dirette, che meglio corrispondono ai principi di eguaglianza fiscale sanciti dall’ articolo 13 della Dichiarazione dei diritti dell’ uomo, danno ovunque una quota assai modesta delle entrate e la proprietà immo­ biliare sopporta nei maggiori paesi europei un onere mite, che i ca­ tasti, dove esistono, rendono sperequato e non corrispondente all’evo­ luzione della ricchezza, mentre l ’ accertamento ad opera di agenti lo­ cali « rappresentanti della proprietà stessa » come in Inghilterra, apre la porta a parzialità e ingiustizie (24). Qui l ’analisi del Puviani si arresta, sul punto di affrontare l ’imposizione indiretta nella quale presumibilmente la sua tesi avrebbe cercato con successo altre con­ ferme.

Ai temi che gli stavano più a cuore il Puviani potè dedicarsi inte­ ramente solo dopo che, nel 1893, riuscito secondo in un concorso, divenne professore straordinario a Perugia. Negli anni successivi, in­ fatti, pubblicò una serie di saggi, che vennero, in parte, rifusi poi nella Teoria della illusione finanziaria, mentre altri illustravano il programma e gli intenti della sua ricerca o ne discutevano singoli aspetti. La ricerca del Puviani mira a spiegare « come e perché av­ venga il fenomeno finanziario in relazione alle leggi fondamentali 22 23 24

(22) A. Pu v ia n i, La causa prima delle armonie e disarmonie finan­ ziarie, voi. I, Bologna, Zanichelli, 1887.

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11

della vita umana e della storia ; e di spiegare come e perché certi istituti finanziari comparvero, si organizzarono in certi nuclei, si sfa­ sciarono e sparirono » (25). Non si tratta, però, di una ricerca storio­ grafica, anche se la preoccupazione di trovare nei fatti del passato oltre che nel presente la conferma alle tesi esposte è sempre viva. Come il Pantaleoni o il De V iti, anche il Puviani vuole applicare allo studio dei fenomeni finanziari le nuove teorie soggettive del valore, ma, partendo da presupposti diversi e criticando a fondo i presupposti espliciti od impliciti, della teoria economicistica della finanza, giunge a mettere in evidenza il suo carattere ideologico ed i ristretti limiti del suo valore conoscitivo.

Ciò che differenzia in partenza l’impostazione del Puviani da quella degli autori ricordati è la definizione della natura dello stato. Il De Viti, avvertendo la necessità di individuare nella molteplice varietà e nel continuo mutamento dell’attività finanziaria pubblica alcuni modelli o tipi, aveva definito come « monopolistico » quello stato in cui le classi che hanno il potere lo esercitano a loro beneficio, massimizzando la differenza tra entrate e spese pubbliche ed appro­ priandosene. Questo stato apparteneva, però, all’ epoca delle monar­ chie feudali ed assolute e gli aspetti che ancora ne sopravvivevano erano vestigia del passato. Per il Puviani l’ essenza più profonda dello stato non è cambiata nel tem po; individuando sulla linea della sua pi ima opera, nel « processo alle forze economiche » le cause prime dei fattori operanti nella storia, « lo stato si disvela nella sua intima com ­ posizione come un aggregato di forze inteso alla difesa ed allo svi­ luppo di una parte della società contro il resto di essa » (26). Il fatto che, in determinate situazioni, il crearsi di momentanei accordi ed equilibri tra le diverse classi spinga i governi a promuovere gli inte­ ressi generali, ha indotto gii studiosi ad accogliere una concezione ottimistica che informa di sé le teorie finanziarie (27), ma se non si perde di vista la vera natura dello stato, la finanza pubblica- non può che essere definita come « un processo di attività politica, intesa

29925) A PUVIANI’ 11 proUema edonistico nella scienza delle finanze, cit., (26) A. Pu v ia n i, Il problema edonistico, cit., p. 303.

(27) È interessante notare che il Puviani accusa il socialismo del suo tempo, specialmente in Germania, di essere «venuto subendo il fascino» di

a ti quali il progresso economico o le riforme amministrative, contribuendo cosi « a diffondere un grande sentimentalismo ottimistico a favore dello Stato »

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a sottrarre alla società i mezzi occorrenti pel trionfo degli interessi di una parte di essa » (28).

Il Puviani respinge, quindi, le interpretazioni della finanza pub­ blica basate sull’identità di interessi tra le classi che compongono la società e criticando, su questo punto, le teorie marginaliste mette in luce come le loro soluzioni sarebbero accettabili solo a patto che i cittadini avessero tutti approssimativamente la stessa situazione eco­ nomica (29), e, cioè, soltanto se si verificasse una condizione, peraltro del tutto irrealistica, che gli scrittori italiani non avevano rilevato e che diventerà, invece, il presupposto fondamentale delle teorie finan­ ziarie del Wicksell e dei suoi continuatori.

Sembra, soprattutto, al Puviani, che le teorie ottimistiche pre­ valenti riescano a dare solo spiegazioni incomplete e devianti proprio di ciò che più attira l’attenzione dell’ osservatore dei fenomeni finan­ ziari. Così, si faceva a quel tempo, come si fa oggi, un gran parlare dell’ espansione delle spese pubbliche e se ne cercava la ragione. 11 Puviani ha su questo problema pagine assai efficaci, in cui la tradi­ zionale polemica radicale contro le spese militari si mescola a spunti di viva modernità. Non soltanto le spese per la guerra o per la « pace armata » (allora questo era il termine di moda) ma anche gran parte di quelle civili e, specialmente, degli investimenti in opere pubbliche si debbono spiegare non già con il prevalere dell’interesse generale o con il diffondersi di sentimenti solidaristici, ma con l’ esistenza di li­ miti agli impieghi produttivi del capitale. Il risparmio, infatti, ha due possibili destinazioni : l ’industria e le spese pubbliche ; quando man­ cano sbocchi nella prima si dirige alle seconde. È, quindi, sempre l’in­ teresse dei capitalisti che spiega l ’espandersi della produzione pub­ blica, anche se questa, quando ciò non contrasti con gli obiettivi della classe dominante, può fornire beni e servizi di utilità generale (30).

Lo stesso criterio interpretativo si deve seguire per comprendere come mai i sistemi tributari esistenti nella realtà siano così diversi da quelli immaginati dei teorici. Chi vede nelle iniquità e storture delle imposte le imperfezioni di un sistema altrimenti armonioso e la conseguenza di resistenze opposte da ricchi, da potenti, da fa ­ zioni contro il prevalere del bene comune, non comprende che queste « sono qualcosa di necessario, di continuativo, di organico, di siste- 28 29 30

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(28) A. Pu v ia n i, II problema, edonistico, cit., p. 303.

(29) A. Pu v ia n i, « Sulla ragione dell’imposta in II Giornale degli eco­ nomisti, gennaio 1901, p. 32.

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matico, penetrante tutta l ’opera dello stato » (31) e che il prevalere dell’ interesse particolare, la apparente eccezione, è in realtà la vera regola.

Sulla base di simili premesse, la spiegazione dei fenomeni finan­ ziari poteva limitarsi ad un rinvio al concetto di sfruttamento della classe soggetta da parte della classe dominante o ad una formalizza­ zione di questo rapporto secondo il modello di comportamento mono­ polistico (32). Ma non è questa la strada seguita dal Puviani. Egli, come già si è detto, accetta i principi della teoria soggettiva del va­ lore (33) e il suo apparato analitico, che vuole applicare allo studio della finanza pubblica.

Il concetto di sfruttamento e le teorie del materialismo storico possono spiegare le cause remote dei fatti, ma lo studio del processo di causazione deve arrivare fino alla fase in cui i fattori obiettivi en­ trano nella sfera della coscienza dei soggetti (34). In questa sfera vale il principio edonistico e uno studio dei fatti finanziari che voglia giun­ gere fino alle loro cause prossime deve accogliere il presupposto se­ condo il quale, in equilibrio, ogni soggetto eguagli l’ utilità connessa alla soddisfazione dei suoi bisogni e il costo sopportato per soddi­ sfarli.

Ma come può questo presupposto conciliarsi con il carattere di classe dello stato e con un’attività finanziaria diretta a sottrarre ric­ chezze ad una parte della società e a vantaggio di un’altra? E questo il vero problema della ricerca del Puviani : dimostrare come possa risolversi l’apparente contraddizione tra sistemi finanziari che perse­ guono l’ interesse della sola classe dominante e comportamento edo­ nistico, economicamente razionale, dei cittadini contribuenti ; in al­ tre parole, come possa spiegarsi che degli « esseri edonistici » fac­ ciano cose contrarie ai loro interessi, accettando spese pubbliche che non li avvantaggiano ed imposte che li spogliano. La coazione eserci­ tata dallo stato (35) non è per il Puviani sufficiente a spiegare il fe- 31 32 33 34 35

(31) A. Pu viani, «Sulle idee finanziarie di Adamo Smith», in La Ri­ forma Sociale, fase. I, anno V, voi. V ili, 1898, p. 17.

(32) Come fa il De Viti per lo stato « assoluto o monopolistico ». (33) Nella « Ragione dell’imposta » (cit., pp. 22-23) vi è un brano assai interessante in cui il Puviani colloca le teorie economiche soggettive nel qua­ dro delle tendenze psicologistiche della cultura dell’800. Vedi su questo punto il citato articolo del D’Albekgo, « Premesse scientifiche generali e teoria del­ l’illusione finanziaria », p. 77.

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nomeno, sia perché i cittadini, a suo parere, hanno sempre delle a l­ ternative alla soggezione (la rivolta, l ’emigrazione), sia perché il con­ siderare l ’attività finanziaria come un atto di pura violenza maschera l ’aspetto politico dell’attività dello stato che, come il Principe del Machiavelli, ha gli attributi del leone ma anche quelli della volpe.

Nella quiete di Perugia e di S. Felice, dove tornava nei mesi estivi, il Puviani andava cercando, nelle storie delle finanze antiche e mo­

derne, nelle cronache del suo tempo, nella varia letteratura che ali­ mentava la sua erudizione una risposta al problema e, quando l ’ebbe trovata, fatti fino allora inspiegabili, leggi d’ imposta contorte, intri­ cate norme della contabilità dello stato, procedure amministrative e parlamentari gli parvero acquistare un significato preciso e gli mo­ strarono la loro ragione d’essere.

Il criterio interpretativo che gettava luce su fatti altrimenti oscu­ ri era l ’illusione finanziaria, ossia la rappresentazione erronea che il soggetto è indotto a formarsi sui fatti finanziari. Ad opera di que­ sta illusione la quantità, la qualità le cause e gli effetti delle spese pubbliche paiono al contribuente diversi da quel che effettivamente sono. La spesa può sembrare minore o maggiore, di durata più breve o più lunga, d ’interesse generale anziché utile soltanto ad alcuni e addirittura dannosa per altri ; le imposte possono apparire più lievi o non essere affatto avvertite perché non si sa in definitiva chi le sopporta o perché il contribuente è chiamato a pagarle in momenti in cui lo soverchiano altre preoccupazioni o sensazioni tristi o liete.

L’illusione sulle spese e sulle entrate altera il valore soggettivo dei beni e servizi pubblici e del loro costo per i contribuenti spostando l’ equilibrio tra utilità e sacrificio dal punto in cui presumibilmente si formerebbe se il giudizio valutativo non fosse deformato. Ciò spiega come l ’ interpretazione in termini edonistici del comportamento dei contribuenti sia compatibile con il riconoscimento della natura clas­ sista dello stato e dei sistemi finanziari. Nella pratica, l ’ effetto del­ l’ illusione finanziaria è che i governi possono destinare una parte della ricchezza nazionale a prevalente vantaggio della classe dominante sottraendola alla collettività mediante imposte che gravano più pe­ santemente sulla classe soggetta senza che questa ne abbia consape­ volezza e si ribelli.

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Da che cosa dipende l’illusione finanziaria? Essa è certamente frutto di difetto d’informazione, ma l ’ignoranza o la falsa conoscenza sui mezzi usati dallo stato per raggiungere i propri fini non sono diffuse uniformemente o casualmente tra i cittadini, nè dipendono dalle difficoltà e dal costo dell’ informazione, come vuole una recente teoria (36) in apparenza simile, a parte i diversi risultati, a quella del Puviani. L’attesa talora miracolistica di effetti benefici delle spese pubbliche, l’ignoranza del processo di traslazione delle impo­ ste sui lavoratori e sui consumatori, l’incapacità di veder chiaro nel­ l ’intrico delle leggi fiscali e nella complessa struttura dei bilanci sono fenomeni tanto più accentuati quanto più modeste sono le con­ dizioni sociali dei cittadini ed è, quindi, a danno delle classi popolari che opera l’illusione finanziaria. Nè ciò può considerarsi il prodotto del concorso di processi storici e di fattori oggettivi del quale i go­ verni traggano vantaggio senza esserne essi stessi causa determinante, perché anzi lo studio del « processo attivo » dell’illusione finanziaria, ossia l ’insieme di istituti e di pratiche messe in atto dai governi per ottenere il loro scopo, occupa la parte centrale dell’ opera del Pu­ viani (37).

La natura dell’illusione finanziaria, definita ed esemplificata dal Puviani come attivo condizionamento delle valutazioni dei contri­ buenti da parte dello stato costituisce una fondamentale limitazione alla validità delle teorie economiche e individualistiche della finanza pubblica ed è quindi il più interessante contributo del Puviani al di­ battito teorico del suo tempo. Anche se si ammette con il Pantaleoni 0 con il Mazzola che, attraverso il Parlamento o con altre procedure, 1 contribuenti e consumatori di beni pubblici possano esprimere le proprie valutazioni e far accettare le proprie scelte, queste risultano condizionate e, quindi, almeno in parte, determinate, dallo stato. Che significato si può attribuire allora al confronto fra i gradi finali di utilità e di sacrificio come metodo di studio dei problemi finanziari? Delle costruzioni teoriche del Pantaleoni e del De Viti è stato detto che la loro pretesa conoscitiva si riduce ad una giustificazione a po­

steriori dei bilanci come sono stati approvati dal Parlamento e dei 36 37

(36) Antony Do w n s, An Economie Theory of Democracy, New York, Harper 1957, ed in traduzione italiana : « Perché il bilancio pubblico è troppo ristretto in un regime democratico » in : Bisogni privati e necessità pubbliche, a cura di E. Phelps, Milano, ETAS/KOMPASS, 1969.

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sistemi tributari vigenti (38). Se, infatti, l ’eguaglianza al margine tra l’ utilità dei vari impieghi della ricchezza e tra sacrificio e soddisfa­ zione del contribuente è condizione necessaria di equilibrio, qualsiasi volume e composizione delle spese pubbliche e qualsiasi distribuzione degli oneri fiscali in un dato momento deve rispettare questa condi­ zione (39). A simili critiche si può in parte sfuggire solo attribuendo alla condizione d’ equilibrio un significato normativo, facendone, quindi, un criterio per giudicare la razionalità economica dei sistemi finanziari e tributari reali o ipotetici. Ma ciò non è più possibile se le valutazioni soggettive dei beni pubblici e del loro costo, attraverso il processo attivo dell’illusione finanziaria, sono condizionate dallo stato, produttore dei beni domandati. La sovranità del cittadino con­ tribuente, fondamento, allora come oggi, di tutte le teorie economici­ stiche ed individualistiche della finanza pubblica, viene negata da quella stessa interdipendenza tra domanda ed offerta che è stata re­ centemente chiamata in causa per criticare il dogma della sovranità

del consumatore.

Quando nel 1903 la « Teoria dell’ illusione finanziaria » fu stam­ pata in volume da Sandron, il Puviani, sofferente da anni di disturbi alla vista, era ormai completamente cieco e aveva rinunciato, come dice nella breve prefazione, a sviluppare altri temi incontrati nella sua ricerca. In quello stesso anno in un articoletto sotto forma di « lettera al signor Benedetto Croce » lamentava che Arturo Labriola avesse passato sotto silenzio le sue teorie nel libro Sul principio re­

golatore della finanza pubblica (IO). Come quella del Puviani, del resto, l ’opera del Labriola, che conteneva un’ ampia critica all’inter­ pretazione economica della finanza ed ai suoi principali esponenti italiani, non era destinata ad avere grande risonanza e lo stesso può 38 39 40

(38) In particolare per il Pantaleoni : Sergio Steve, Lezioni di scienza delle finanze, Padova, Cedam, 1964, p. 33.

(39) Il Pantaleoni esprime molto esplicitamente questo concetto: «Qua­ lunque sia la ripartizione definitiva delle spese, essa deve sempre risultare tale nella mente del legislatore, che il grado finale di utilità di ogni singolo capo di spesa, a parità di ammontare, sia eguale ad ogni altro; poiché se ciò non fosse, il riparto sarebbe risultato diverso da quello che effettivamente è » (corsivo mio) nel « Contributo etc. s> cit., p. 20. Allo stesso modo il Maz­ zola afferma che il prezzo dei beni pubblici sarà per ogni contribuente sempre eguale « al massimo che egli può dare, consentitogli dal grado di utilità finale che ha il bene per lui » in quanto si suppone « che ogni economia possa ri­ partire la provvista di beni disponibili secondo l'utilità massima che tale ripartizione può dare», in I dati scientifici etc,, cit., pp. 173-174.

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dirsi degli scritti del Conigliani e delle opinioni in materia finanzia­ ria esposte nelle opere del Loria (41). Tutti questi autori, anche se il loro richiamo alla realtà dei contrasti sociali e all’effettiva natura dei bilanci pubblici e dei sistemi fiscali contribuì forse a trattenere la « scuola italiana » dagli estremi sviluppi individualistici che si eb­ bero altrove, erano destinati al ruolo di pensatori eterodossi ed iso­ lati rispetto alla corrente principale della scienza delle finanze. Le loro impostazioni, riconducibili, in parte, al materialismo storico ed in parte allo psicologismo, mancavano di un solido retroterra teorico e culturale e, non sapendo o volendo ricollegarsi alla teoria econo­ mica marxiana, della quale non compresero il valore analitico, veni­ vano a subire l ’influenza delle correnti evoluzionistiche e organicisti­ che dalle quali, d’altra parte, si prestavano ad essere assorbite. Così di fatto avvenne anche per gli elementi potenzialmente « eversivi » delle teorie del Puviani, che poterono nei decenni successivi essere inseriti nella teoria sociologica della finanza, nel cui quadro il do­ minio di classe, l ’uso degli strumenti fiscali nell’interesse della classe dominante, l ’illusione finanziaria cessano di essere aspetti permanenti e necessari per diventare i connotati di un astratto tipo di stato.

Il Puviani morì il 12 settembre 1907 a San Felice dove trascor­ reva le vacanze estive. Negli ultimi anni non aveva scritto quasi più nulla (42) ed i suoi rari legami con il mondo culturale ed accademico italiano, soprattutto con il M iti e la Riforma Sociale, si erano ancor più allentati. Lo andò a trovare a Perugia il Michels, che lo i ¡corderà nella Sociologia del partito politico (43): egli scriveva in tanto in tanto il Conigliani, che si considerava vicino a lui per indirizzo scientifico (44) ed era sempre preoccupato di trame e con­ giure accademiche ordite dalla « scuola » avversaria. Aveva tenuto regolarmente lezione anche dopo che gli allievi divennero per lui solo

D ì Cablo a. Conigliani è particolarmente interessante ai fini della discussione solla natura della teoria finanziaria: « L’indirizzo teorico nella scienza finanziaria > nel Giornale degli Economisti, agosto 1894. Osservazioni nrèr|Pn?b emà f f “ finanza puì,bl‘ca si trovano sparse in tutta la sterminata produzione del Loria ; per il periodo che ci interessa le pagine più significative sono in . La teoria economica della costituzione sociale, Torino Bocca 188fì

specialmente pp. 16-31. Aurino, nocca, isso,

(42) Il suo ultimo scritto è di carattere storico e utilizza nresnmihil mente materiali raccolti al tempo delle ricerche sull’imposta sui fabbricati­ l a 3 r v ' r V 1 St°JÌa del! f Ìmpofita sui fabbricati » in Annali della Fa-° " ,rvsPrude^ dell’Università di Perugia, voi. XX, 1905, pp. 5-33. Mulino319^ 0BnR9°qfiMnCHl:L-S’ La HOCwl° « ,a dcl partito politico, Bologna, Il -Mulino 1966, p. 236 (la prima edizione, in tedesco, usci nel 1911)

(44) Così in una lettera del 2 ottobre 1897

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ombre indistinte, ma nei programmi dei corsi, dei quali vi e quale le copia tra le sue carte, a ll’ illusione finanziaria sono dedicati solo po­ chi cenni. Per qualche motivo che è difficile immaginare, egli non voleva continuare nell’ insegnamento quella critica delle teorie domi­ nanti che, pur senza' polemizzare quasi mai direttamente con i suoi contemporanei, aveva svolto per tutta la vita nei suoi scritti Può darsi che egli stesso non avesse compreso fino in fondo quanto le sue tesi sulla natura dello stato, sull’ineguaglianza di reddito e d inte­ ressi dei contribuenti, sul condizionamento delle loro scelte colpis­ sero nel segno i punti più deboli delle teorie finanziarie marginali- stiche. Oggi che i presupposti ed i metodi di quelle teorie sono nuo­ vamente in discussione, la sua opera può essere vista nella giusta pro­ spettiva ed apprezzata nel suo valore.

Fr a n c o Vo l p i

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L’IM POSIZIONE SUI SALARI NEI PRIN CIPI D I RICARDO (*)

Premessa.

La teoria ricardiana della incidenza di un’imposta sui salari può essere, per Ani analitici, dissociata in due aspetti, ossia:

1) quello relativo alla dimostrazione della non incidenza sui salariati dell’onere dell’imposta;

2) quello afferente l’analisi delle direzioni che il processo di traslazione assume e cioè l’individuazione dei soggetti incisi.

Il presente lavoro si sofferma principalmente sul primo dei due aspetti riconsiderandolo attraverso una analisi degli schemi logici che, alquanto disorganicamente, Ricardo utilizza ai fini della sua di­ mostrazione nel capitolo X V I dei Principi.

Un confronto inteso a mettere in luce gli elementi derivativi e quelli innovativi del discorso ricardiano rispetto alla formulazione smithiana consente di identificare nella dimostrazione di Ricardo un approccio di breve periodo, che appare in grado di risolvere le aporie dell impostazione smithiana, e, accanto a questo, i termini per lo svi­ luppo di una linea dimostrativa di lungo periodo.

In relazione all’approccio di breve periodo, di natura piuttosto peculiare, in quanto fondato sulla inserzione del circuito pubblico di prelievo e spesa, un’analisi condotta in termini monetari metterà in luce in che misura le assunzioni ricardiane risultano compatibili con il risultato della traslazione dell’onere.

L analisi relativa all’approccio di lungo periodo si articolerà in due fasi.

Ringraz‘° vivamente i professori Garegnani, Pedone, Volpi per aver letto successive stesure di questo lavoro e per avermi fornito preziosi snee-e-Udità" di almfne dell*11^ 68! ^ d°Ìt- Antonio Ga-V co1 Quale ho discusso della va- ed ? m ? s sion,“ resin

i,

SVlluppatf nel Presente saggio. Di eventuali errori

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In primo luogo si verificherà il grado di correttezza di alcune interpretazioni dei presupposti teorici ricardiani, rilevanti agli ef­ fetti del problema della traslazione, che appaiono all’origine di di­ scordanti valutazioni sulla consistenza logica del processo di imposta descritto da Ricardo. Della natura e della funzionalità di tali pre­ supposti sarà configurata la versione che ci appare più accettabile.

In secondo luogo si delineerà uno schema interpretativo della traslazione dell’imposta considerata, sviluppato sulla base di alcune ragionevoli implicazioni delle categorie logiche e dei procedimenti di­ mostrativi impiegati nell’analisi ricardiana.

Per ciò che concerne il secondo aspetto, e cioè l’esame delle dire­ zioni della traslazione, l’obiettivo del presente scritto è principal­ mente quello di ricostruire e di esplicitare il nesso logico secondo cui risultano concatenate, al di là di un apparente scoordinamento formale, le argomentazioni ricardiane. Tale nesso, una volta eviden­ ziato, consente di cogliere le implicite contraddizioni presenti in al­ cuni remoti e recenti tentativi di revisione critica relativi a questo specifico profilo della dimostrazione ricardiana.

1. La trasferibilità della imposta sui salari nella formulazione

smithiana.

Sotto la prima delle due approssimazioni in cui si è ravvisata l’opportunità di distinguere l’esame della posizione ricardiana sul problema della trasferibilità di un’imposta sui salari, il dato di più immediata registrazione è quello di un marcato (anche se non inte­ grale) parallelismo tra l’argomentazione ricardiana e quella smithiana e di una sostanziale coincidenza degli esiti conclusivi a cui le due formulazioni pervengono.

Fin dall’esordio Ricardo riconosce e ribadisce la correttezza della tesi smithiana che esclude in termini piuttosto recisi la pos­

sibilità di una definitiva incidenza sui lavoratori dell’onere di una imposta commisurata ai salari.

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e soprattutto, perché la collocazione della diagnosi ricardiana con­ tro lo sfondo della tesi sostenuta dallo Smith consente di affrontare il problema della revisione critica della logica ricardiana, applicata all’impostazione sui salari, entro una prospettiva esegetica a nostro avviso decisamente più feconda di risultati.

Il nucleo centrale della tesi smithiana relativa a questo pro­ blema è in sintesi riducibile alla seguente proposizione : « Finché la domanda di lavoro e il prezzo dei viveri rimangono gli stessi, una imposta diretta sui salari del lavoro non può avere altro effetto che di elevarli alquanto più della imposta » (1).

I problemi che la formulazione citata solleva possono essere op­ portunamente affrontati attraverso due distinti e successivi approcci, 11 primo di essi verterà sulla identificazione della teoria salariale, che risulta sottesa al discorso smithiano sulla traslazione dell’impo­ sta presa in considerazione. Il secondo consisterà nel verificare la idoneità del supporto teorico così individuato a sorreggere, compa­ tibilmente con le assunzioni restrittive indicate, il risultato della trasferibilità dell’onere.

In assenza di un esplicito riferimento da parte di Smith, la que­ stione al primo punto avrebbe potuto essere di non facile soluzione dato che la sua teoria salariale presenta un carattere compendiario ed eclettico che invita a configurarla in termini di un conglomerato di schemi esplicativi sulla cui renitenza a risultare coordinabili in un organismo logicamente unitario non è qui il caso di insistere.

L’esplicita precisazione premessa da Smith alla sua analisi della traslazione che « i salari delle classi inferiori di lavoratori sono ovunque e necessariamente regolati da due circostanze: la domanda di lavoro e il prezzo ordinario o medio dei viveri » (2), apre più pro­ blemi di quanti non ne risolva. La scelta delle due grandezze indicate come determinanti del livello salariale, per quanto contenga un im­ plicito suggerimento in questa direzione, non consente di ricondurre, in difetto di ulteriori qualificazioni, il criterio ricercato di deter­ minazione del livello di salario al generale principio della domanda e dell offerta o almeno ad una accezione di questo principio in cui le due determinanti risultino collocate sullo stesso piano di rile- ' anza causativa. Nella teoria salariale, delineata in questo specifico contesto da Smith, il ruolo preminente della domanda di lavoro agli effetti della determinazione del livello salariale è anzi vistosamente

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sottolineato. Il livello di sussistenza (o il tenore di vita, per adot­ tare una terminologia più neutra e non suscettibile di equivoci) nella sua specificazione quantitativa, è collocato in un rapporto diretto, e singolarmente privilegiato, con la domanda di lavoro. « La do­ manda di lavoro, secondo che sia in aumento stazionaria o in dimi­ nuzione, o che richieda una popolazione in aumento stazionaria o in diminuzione, regola la sussistenza dei lavoratori e determina in quale misura essa sarà abbondante media o scarsa (3) ». L offerta di lavoro è confinata in un ruolo comprimario di elemento passivo e meramente ricettivo delle sollecitazioni della domanda, risultando la sua dimen­ sione subordinata alle esigenze del processo di produzione che si esprimono attraverso la domanda di lavoro.

La circostanza che la domanda di lavoro sia ritenuta da Smith una determinante suscettibile di regolare, dato evidentemente un certo ammontare di popolazione e un dato livello dei prezzi, il li­ vello di sussistenza effettivamente fruibile da parte dei lavoratori, induce pertanto a caratterizzare il criterio di teoria salariale impie­ gato in termini di una embrionale formulazione della teoria del fondo salari.

Ma, in conseguenza del carattere statico di una categoria teo­ rica cosiffatta ciò in fondo equivale a rintracciare il criterio ricercato in una qualificazione del principio generale della domanda e del­ l ’offerta, quella che lo specifica in una versione di breve periodo ove domanda e offerta di lavoro sono considerate fisse (e fisso può essere assunto il livello dei prezzi). Fissità della domanda e dell’offerta di lavoro e del livello dei prezzi dei viveri sono precisamente il conte­ nuto delle assunzioni restrittive entro le quali lo Smith colloca espli­ citamente il problema della traslazione nel caso considerato.

Passando al secondo approccio e cioè considerando l ’argomenta­ zione smithiana sotto lo stretto profilo della sua efficacia dimostra­ tiva essa ci appare, al di là di una sua superficiale persuasività, fondamentalmente claudicante.

Essa non riesce infatti a procedere oltre la soglia di una mera enunciazione dell’esito teorico (traslazione) a sostegno del quale è avanzata per un radicale difetto di specificazione circa il concreto meccanismo operativo attraverso il quale l’aumento del livello sala­ riale che ne costituisce la condizione di verificabilità, può essere conseguito.

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