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Trattati contro la doppia imposizione

I S egn alazion i

30. Trattati contro la doppia imposizione

Camera

È stato trasmesso (23 ottobre) dal Senato il disegno di legge: «R a ­ tifica ed esecuzione dell’Accordo tra la Repubblica Italiana e la Repub­ blica federale di Germania per impedire la doppia imposizione in ma­ teria di imposte dirette derivanti dall’esercizio di imprese della naviga­ zione aerea, concluso a Roma il 17 settembre 1968» (2777).

31. Università.

Gazzetta Ufficiale

La Gazzetta Ufficiale del 30 novembre ha pubblicato la legge 10 no­ vembre 1970, n. 868: «Agevolazioni tributarie a favore delle università e degli istituti di istruzione universitaria ».

II

Relazioni e discussioni

Riportiamo la relazione Vaisecchi al disegno di legge intitolato: « Sgravi fiscali a favore dei lavoratori dipendenti e dei lavoratori auto­

nomi o più basso reddito » (Atti del Senato, n. 1279) divenuto la legge 28 ottobre 1970, n. 801 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 18 no­ vembre 1970, il cui testo riprende, in parte parzialmente in parte am­ pliandole, le richieste e le istanze di precedenti proposte di membri dei due rami del Parlamento e di cui riteniamo fare cosa utile al lettore pubblicare le rispettive relazioni seguendo un ordine cronologico.

I. Relazione alla proposta di legge d’iniziativa dei deputati Abelli, Santagati, Delfino e Romeo (Atti della Camera, n. 162) intitolata: «.Mo­

difiche alle disposizioni relative all’imposta sui redditi di ricchezza mo­ bile» presentata il 6 luglio 1968. — «Onorevoli Colleghi! — L’aumento del costo della vita ed il conseguente aumento delle retribuzioni e dei guadagni che in questi ultimi anni ha assunto proporzioni di autentica inflazione, non importa se galoppante o strisciante, porta nuovamente alla ribalta il problema dell’adeguamento, in sede di imposta di ric­ chezza mobile, delle quote di reddito esenti o ridotte che per moltissimi anni sono rimaste ferme senza allinearsi al diminuito valore della lira.

È infatti dal 1° luglio 1947, in base al decreto legislativo del 1° set­ tembre 1947, n. 892, che esiste la quota esente per la categoria C/2 per le prime lire 240.000 di reddito; è dal 1° aprile 1948, in seguito al de­ creto legislativo 1° aprile 1948, n. 300, che, sempre, per la categoria C/2, è stata fissata la fascia dalle 240.000 lire alle 960.000 sulla quale opera l’aliquota ridotta alla metà; per le categorie C /l e B relativamente alle persone fisiche la quota esente è analoga a quella citata ed è in vigore dal 1° settembre 1951, in base all’art. 13 della legge 11 gennaio 1951, n. 25,

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mentre la fascia dalle 240.000 alle 960.000 lire di reddito sulla quale opera l’aliquota ridotta alla metà è in vigore dal 1° luglio 1952 in se­ guito alla legge 21 maggio 1952, n. 477.

Appare evidente da queste date che ciò che poteva avere un fonda­ mento di giustizia tributaria a favore dei redditi più modesti venti o quindici anni or sono, non risponde ph\ ad alcun criterio di giustizia oggi, dato che il costo della vita risulta più che raddoppiato dal 1947 e aumentato di oltre il 70 per cento dal 1951.

Tale ragionamento è ancor più valido se si tiene conto che le retri­ buzioni sono aumentate con una velocità ancora maggiore (anche se negli ultimi tempi tale tendenza sta per essere invertita), ragione per cui anche i redditi dei lavoratori più umili, anche quelli del tutto in­ sufficienti alle minime esigenze vegetative, sono ora sottoposti alla tas­ sazione della ricchezza mobile mentre prima non lo erano; anzi con gli aumenti salariali di questi ultimi anni, non sono pochi i manovali che sono usciti anche dalla fascia per la quale è prevista l’aliquota ri­ dotta, vedendo così frustrati in modo tutt’altro che trascurabile i van­ taggi di tali aumenti.

Tale situazione non è diversa per i lavoratori autonomi i cui red­ diti ,spesso aumentati in misura inadeguata alla svalutazione della lira, sono entrati nella fascia delle aliquote intere previste dalle leggi in vigore anche quando sono del tutto insufficienti al mantenimento della famiglia; non bisogna dimenticare che moltissimi appartenenti a questa categoria hanno dei guadagni nettamente inferiori a quelli dei lavora­ tori dipendenti, tanto che non sono pochi i casi di coloro i quali econo­ micamente delusi dall’esperienza di lavoro autonomo, tornano o cercano di tornare alle dipendenze di terzi.

A parte queste considerazioni, sarebbe auspicabile che l’imposta di ricchezza mobile venisse a colpire sempre meno quella quota di red­ dito che si ritiene rappresenti il minimo vitale e pertanto le quote di reddito esenti, opportunamente adeguate al valore della lira, dovreb­ bero essere ulteriormente aumentate perché quelle fissate a suo tempo non rispondevano sufficientemente, nemmeno allora, a questa esigenza.

Ci rendiamo però conto che questa seconda parte del nostro ragio­ namento, che risponde a criteri di autentica socialità, può oggi essere fatta solo in prospettiva avendo, proprio i governi di centro-sinistra, determinato una situazione di tale pesantezza economica da non potersi responsabilmente pensare di aumentare le quote esenti e quelle ridotte anche per soddisfare questa esigenza.

Per tale motivo la nostra proposta di legge si limita ad adeguare le quote esenti e quelle ridotte al diminuito valore della lira, salvo ad elevare in forma più marcata il minimo tassabile per i redditi di lavoro subordinato e le pensioni, che è stato fissato in lire 960.000 annue, alli­ neandolo alle norme recentemente approvate dal Parlamento per l’im­ posta complementare che hanno portato appunto a 960.000 lire il mi­ nimo tassabile in sede di tale imposta.

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Mantenendo le modifiche entro questi limiti la copertura del minor introito dello Stato conseguente a queste norme viene ad essere assi­ curata sia per l’aumento del reddito nazionale e sia anche attraverso i più severi accertamenti fiscali dei quali i vari Governi si sono fatti garanti ».

II. L’11 ottobre 1968 veniva presentata la proposta di legge d’ini­ ziativa dei deputati Raffaelli, Sulotto, Arzilli, Di Puccio, Tognoni, Bor­ racine, Caponi, Cesaroni, di Marino, D’Alema, D’Amico, Giovannini, Gramegna, Olmini, Lama, Lenti, Martelli, Niccolai Cesarino, Novella, Pajetta Giuliano, Pellizzari, Rossinovich, Sgarbi Bompani Luciana, Seu- tari, Scipioni, Specchio, Speciale, Valori, Vespignani, Amasio (Atti della

Camera, n. 505) intitolata: « Modifiche alle norme relative all’imposta

sui redditi di ricchezza mobile e all’imposta complementare progressiva sul reddito complessivo derivanti da lavoro dipendente e da lavoro auto­ nomo ». — « Onorevoli Colleglli ! - La mancata riforma per adeguare il nostro sistema tributario ai criteri di progressività e di giustizia vo­ luti dall’art. 53 della Costituzione ha prodotto conseguenze pesanti e insopportabili sui percettori dei minori redditi: operai, impiegati, arti­ giani, esercenti.

Su queste categorie grava il peso di un prelievo fiscale ingiusto, operato senza alcuna possibilità di temperamento che invece hanno a disposizione, a volte anche in troppo larga misura, i percettori dei redditi maggiori.

È noto che agli operai e agli impiegati il prelievo viene fatto per trattenuta sulle buste paga senza possibilità di contrattazione alcuna e per di più in via anticipata. È anche noto che la numerosa categoria di piccoli esercenti, di artigiani, di piccoli industriali non ha parimenti alcuna possibilità concreta di trattativa con l’apparato fiscale e deve soggiacere alle valutazioni e ai calcoli empirici degli uffici costando di più la via del contenzioso che quella dell’accettazione degli accertamenti.

Se si considera che la quota esente ai fini della imposta di ricchezza mobile fu fissata in lire 240.000 ad anno nel 1947 e fu aumentata a 300.000 lire per i redditi da lavoro dipendente, si ha conferma che la misura del prelievo tributario è ingiusta e insopportabile e deve es­ sere urgentemente modificata non per costituire un privilegio ma sem­ plicemente per rendere giustizia sia pure tardi.

Nel 1947 escludendo dalla tassazione 20.000 lire al mese (l’equiva­ lente di 240.000 annue) del salario o dello stipendio si escludeva la mag­ gior parte della massa salariale; oggi — a mutato valore della mo­ neta — lo si colpisce, ingiustamente, quasi tutto. Anche quando il sa­ lario o lo stipendio non è sufficiente a soddisfare il minimo vitale a cui il lavoratore e la sua famiglia hanno diritto, il prelievo tributario è inesorabile e pesante e opera prima di ogni altra spesa. Si può dire che in molti casi prima viene l’imposta e poi il pane.

Il prelievo tributario erariale sui lavoratori dipendenti è oggi una assurda ma reale persecuzione su salari mediamente insufficienti al mi­

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nimo vitale indispensabile alla famiglia del lavoratore quando si con­ sideri che su un salario di poco più di 100.000 lire al mese (ogni gra­ tifica compresa) esso incide per 70.000 lire all’anno e obbliga quel lavo­ ratore a lavorare 20 giorni per pagare le imposte.

Nessun altra categoria di cittadini è soggetta ad una pressione tri­ butaria che comporti uguale sacrificio.

Si aggiunga il prelievo a mezzo delle imposte indirette e si ha il quadro di come i salari siano effettivamente taglieggiati da sproporzio­ nata quanto ingiusta tassazione.

Del resto secondo un calcolo che si può solo costruire, non pubbli­ cando gli uffici pubblici dati analitici sufficienti, il carico delle imposte di ricchezza mobile e complementare, è prevalentemente sopportato dai lavoratori dipendenti e dai ceti medi produttori.

Il calcolo che si può fare è questo.

Nel 1965 il reddito da lavoro dipendente è stato 16.565 miliardi di lire su 12.300.000 lavoratori dipendenti. La media mensile per 13 men­ silità è stata di 103.000 lire con punte minime di 36.000. È verosimile che una somma pari al 60-70 per cento del salario medio di un mese sia prelevato con le trattenute per imposte di ricchezza mobile sulle buste

paga e complementare. __

Senza considerare addizionali, aggi e la imposta di famiglia. I lavoratori dipendenti nel 1965 hanno versato perciò non meno di 700-800 miliardi di lire per le imposte predette e poiché nel 1965 figurano fra le entrate dello Stato (previsioni) per imposta di ricchezza mobile, per imposta complementare e per imposta di ricchezza mobile trattenuta a dipendenti dello Stato miliardi 1085 e per le imposte sulle società e obbligazioni miliardi 155, risulta che sul totale del gettito da ricchezza mobile e complementare di 1.085 miliardi, 700-800 miliardi — quasi tutto! — è dato dai lavoratori dipendenti.

II prodotto netto interno depurato degli oneri sociali, nel 196t> è stato 23.280 miliardi di lire. Di essi 16.565 sono salari e stipendi pari al 60 per cento, ma hanno scontato il 60-70 per cento delle imposte di ric­ chezza mobile e complementare e ancor di più di imposte indirette! Il rimanente 40 per cento del prodotto nazionale nell’anno considerato — il 1965 — è 6.715 miliardi. È il reddito derivante da capitale, da ren­ dite, da speculazione, ma nel quale è compreso anche quello dei ceti medi produttivi, i quali si stima che abbiano pagato 130-150 miliardi di imposte (di ricchezza mobile e complementare). Così si ha che i lavora­ tori e i ceti medi produttivi pagano quasi il totale delle due imposte. Gli altri — i possessori dei più grossi redditi — pagano le briciole ri­ manenti.

Ciò avviene per la pervicace tendenza dei grandi contribuenti ad evadere con ogni mezzo l’obbligo tributario, ma anche perché l’ammini­ strazione finanziaria è oberata da milioni di pratiche e di adempimenti dei contribuenti minori che sono scarsamente produttive per lo Stato ma pesanti e vessatorie per i lavoratori.

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Per tali considerazioni riteniamo necessario presentare questa pro­ posta di legge facendo notare che non si tratta di problema che solle­ viamo, sia pure doverosamente, per la prima volta, ma che riprendiamo da precedenti proposte della III e della IV legislatura, confidando che data l’urgente necessità di apportare indispensabili modifiche alla ma­ teria, la nostra proposta trovi il consenso del Parlamento.

Oltre a riferirci ai lavoratori dipendenti e autonomi, abbiamo voluto estendere l’aumento della quota esente anche alle cooperative di lavora­ tori rette con i princìpi della mutualità secondo la disciplina del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577, per loro carattere di associazioni economiche di lavoratori che non per­ seguono fini di lucro, pur essendo convinti che a questa categoria di imprese dovrà essere riservato quel pivi favorevole trattamento tribu­ tario in armonia con l’art. 45 della Costituzione che « riconosce la fun­ zione sociale della cooperazione » e ne promuove l’incremento.

Ci si potrebbe obiettare che il Governo attuale nei suoi impegni programmatici ha iscritto anche quello di presentare un disegno di legge per la riforma tributaria generale e che perciò i problemi qui proposti troveranno soluzione in quella sede, ma i presentatori ritengono che la loro iniziativa non contrasti con una riforma generale tributaria, anzi, ne anticipa un punto essenziale e favorisce la sua attuazione ove — com’è auspicabile — si possa iniziare subito il dibattito su questa parte d’altronde qualificante di una riforma che voglia fare opera di giustizia e che voglia essere conforme al dettato costituzionale. E sic­ come ogni riforma non può farsi senza il necessario consenso dell’opi­ nione pubblica, vogliamo ricordare che a sostegno di una modifica nel senso da noi indicato c’è nella classe operaia, nei ceti medi, nell’opinione pubblica una vivace azione che trova concordi tutti i sindacati dei lavo­ ratori, tutte le associazioni dei ceti medi produttivi, i grandi partiti popolari di massa, economisti, per cui il paese dà una indicazione che nello spirito dell’aderenza delle istituzioni parlamentari alle esigenze

e alle attese popolari è utile tradurre in misure concrete.

Vogliamo infine far presente che un’altra ragione non trascurabile a favore della necessità di approvare la nostra proposta è quella di provocare un aumento sensibile e permanente della domanda interna indispensabile, specialmente in Italia, ad assicurare un processo di sviluppo economico duraturo.

La presente proposta di legge non crea problemi di copertura perché è opinione comune, di autorevoli studiosi e anche di tecnici dell’ammini­ strazione che gli uffici tributari, liberati da milioni di adempimenti necessari ove la quota esente sia lasciata alla anacronistica e ingiusta misura delle attuali 240.000 lire annue, e 300.000 lire per i soli redditi da lavoro dipendente, acquisterebbero la capacità di dedicarsi al repe­ rimento di tutti quei redditi maggiori che oggi sfuggono parzialmente o totalmente a una giusta tassazione anche per mancanza di tempo e di mezzi da parte dell’amministrazione finanziaria.

Onorevoli colleghi, i proponenti confidano nel consenso di tutti voi su questa proposta di legge che ritengono giusta anche se non perfetta

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e sono pronti ad ogni intesa, a esaminare ogni suggerimento o proposta al fine di realizzare una maggioranza capace di tradurla al più presto in legge operante».

III. Il 23 giugno 1970 veniva presentato su iniziativa dei senatori Belotti, Buzio, Chiarelli, Colleoni, Segnana, Del Nero, De Leoni, Vaisec­ chi Athos, Zugno, Noè, Lombardi, Cerami e Pelizzo (Atti del Senato, n. 1268) il disegno di legge intitolato : « Disposizioni in materia di im­

poste di ricchezza mobile delle categorie C/l e C /2». — «Onorevoli Senatori. - Tra gli obbiettivi della riforma tributaria, per la cui attua­ zione è in esame presso la Camera dei deputati il disegno di delega legislativa n. 1639, si pone in chiaro rilievo quello della perequazione, nell’ambito dell’imposizione diretta, del prelievo fiscale sui redditi mobi­ liari secondo la loro natura (redditi di capitale, redditi d’impresa, redditi artigianali e professionali, redditi di lavoro subordinato).

Nel quadro di tale disegno per una migliore e razionale redistribu­ zione del carico tributario, particolare attenzione va riservata ai più modesti redditi di lavoro autonomo e ai redditi dei lavoratori dipen­ denti, attualmente classificati, agli effetti dell’imposta di ricchezza mo­ bile, nelle categorie C /l e C/2 ai sensi dell’art. 85 del testo unico delle leggi sulle imposte dirette 29 gennaio 1958, n. 645.

Pur dovendosi riconoscere che la più adeguata e compiuta disciplina tributaria dei redditi di lavoro possa essere realizzata in sede di riforma tributaria, l’esigenza di un immediato alleggerimento della pressione fiscale sui redditi medesimi, avvertita ampiamente nel mondo del lavoro ed assunta dal Governo tra i suoi impegni programmatici, può essere soddisfatta nei limiti consentiti dalle attuali condizioni di rigidità del bilancio statale e dallo stretto margine di manovra che offre al presente lo strumento fiscale.

Si è anche vagliata la possibilità di stralciare dalla riforma tribu­ taria la disciplina riguardante la tassazione dei redditi di lavoro subor­ dinato per anticiparne l’applicazione al Io gennaio 1971. L’attuazione si presenta difficoltosa, perché con la sostituzione dell’imposta unica sul reddito delle persone fisiche alle imposte di ricchezza mobile, com­ plementare e di famiglia si creerebbe disparità di trattamento con altre categorie di contribuenti (artigiani, piccoli commercianti), che dovreb­ bero scontare per lo stesso periodo d’imposta i tributi ora esistenti.

Inoltre i redditi dei lavoratori dipendenti non formerebbero più coacervo con gli altri cespiti ai fini delle imposte complementare e di famiglia, determinando un trattamento differenziato rispetto a quello di altri reddittuari. Se è pienamente legittima nell’attuale sistema la discriminazione dei redditi secondo la fonte produttiva, per cui redditi delle varie categorie sono assoggettati ad un prelievo tributario diverso, non altrettanto potrebbe dirsi nel caso di anticipata applicazione del­ l’imposta sul redditi delle persone fisiche nei confronti del soggetto passivo che possegga, oltre ai redditi di lavoro, redditi fondiari, di capi­ tale o derivanti dall’esercizio di una attività industriale o commerciale.

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Infatti verrebbe meno la progressività della imposizione per il mancato coacervo dei redditi.

Il problema diventa ancor più complesso se viene esaminato sotto il riflesso della perdita immediata, che subirebbero lo Stato, le Regioni a statuto speciale e i Comuni in seguito alla riduzione del carico fiscale gravante sui redditi di lavoro, modificando l’attuale sistema di riparti­ zione del carico tributario. Tale perdita non potrebbe essere integrata né con entrate sostitutive delle imposte di ricchezza mobile, complementare e di famiglia, né con lo spostamento automatico, attraverso la mecca­ nizzazione dei servizi e il funzionamento dell’anagrafe tributaria, della pressione tributaria su categorie di soggetti id maggiore capacità contri­ butiva, diverse dai lavoratori dipendenti.

Il presente disegno di legge anticipa, sia pure con una certa gradua­ zione, alcune direttive della riforma tributaria, e prevede, con norme che si inseriscono nell’ambito del sistema attualmente in vigore, un trat­ tamento tributario più favorevole ai fini dell’imposta di ricchezza mobile per i redditi dei lavoratori dipendenti e, in misura più attenuata, per i redditi degli artigiani e delle minori imprese industriali e commerciali.

L’articolo 1, primo comma, del disegno di legge stabilisce l’eleva­ zione dell’attuale quota esente di lire 240.000 a lire 600.000 annue per i redditi dei lavoratori dipendenti e a lire 300.000 per i redditi delle imprese artigiane e delle minori imprese industriali e commerciali clas­ sificati in categoria O/l.

Il secondo comma dell’articolo 1 disciplina, sulla base del principio già stabilito dalla norma preesistente e delle nuove franchigie, i casi di possesso da parte dello stesso soggetto di redditi mobiliari di cate­ gorie diverse, facendo in modo che la quota esente sui redditi classificati in categoria B e C /l resti consolidata sul limite stabilito per dette categorie.

L’articolo 2 armonizza le norme contenute nell’articolo 90 del testo unico n. 645, sull’applicazione delle aliquote di ricchezza mobile con quelle sulla elevazione delle quote esenti. L’armonizzazione è effettuata in modo da lasciare inalterati gli scaglioni di reddito e le corrispon­ denti aliquote. Di conseguenza l’effetto dell’elevazione delle quote esenti è contenuto nel primo scaglione di reddito.

Parimenti a quanto previsto per le quote esenti rei casi di concor­ renza di redditi mobiliari di categorie diverse, viene disciplinata l’ap­ plicazione delle aliquote minime in presenza di redditi di categorie diverse posseduti dal medesimo soggetto, armonizzando le diverse mi­ sure delle quote esenti detraibili dai redditi secondo la loro classifica­ zione e limitando il beneficio della detrazione nei confronti dei contri­ buenti che in aggiunta ai redditi di lavoro posseggono anche redditi alla cui produzione il fattore capitale è prevalente su quello del lavoro.

L’articolo 3, anticipando la direttiva contenuta al punto 5 dell’arti­ colo 11 del disegno di delega per la riforma tributaria, estende il sistema della ritenuta d’acconto prevista dall’articolo 128 del citato testo unico del 1958 alle somme sotto qualsiasi forma corrisposte ai professionisti 11. B iv. dir. fin. - I - 1971.

dalle regioni, dalle province, dai comuni, dalle persone giuridiche pri­ vate e pubbliche, dalle società e dalle associazioni di ogni genere e dagli imprenditori commerciali. Non sono comprese le Amministrazioni dello Stato perché le somme da esse corrisposte ai professionisti sono già assoggettate a ritenuta ai sensi dell’articolo 126 del testo unico n. 645.

L’articolo 4 stabilisce che l’addizionale straordinaria istituita con l’articolo 80, primo comma, del decreto-legge 18 novembre 1966, n. 976,