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ADNOTATUS ADNOTAVIT ADNOTATORES

1. Un recente articolo (1) ha proposto all’attenzione dei cultori del diritto il problema delle « note a sentenza », della loro forma in rela­ zione alla funzione cui debbono assolvere, di certe distorsioni che, a dire dell’Autore, sarebbero sempre più frequenti nelle « note a sentenza » di questi ultimi tempi e, in modo particolare, in quelle che sono dedicate

alle sentenze della Corte Costituzionale.

La denuncia — chè di una vera e propria denuncia si tratta in con­ siderazione dello stile, invero brillante ma non per questo meno tra­ volgente, dell’Autore — ha avuto vasta eco per l’autorevolezza della firma apposta in calce e, direi, ancor più per la carica ricoperta dal­ l’estensore che è poi quella di Presidente della Corte Costituzionale.

Indubbiamente il tema è del massimo interesse ed anche la sede in cui era destinato ad essere trattato della massima importanza (2), senonché lascia francamente perplessi il fatto che, anziché di una trat­ tazione di carattere generale (sia pure con citazione di casi specifici a migliore illustrazione delle argomentazioni addotte) si ha l’impressione — forse anche a motivo dello stile intransigente — che si sia trattato se non di una difesa d’ufficio dell’operato della Corte da parte del suo Presidente (intenzione che Egli espressamente esclude) (3), di una ma­ nifestazione d’insofferenza nei confronti delle copiose note succedutesi negli ultimi tempi e riguardanti le sentenze della Corte Costituzionale. Il fatto che le note alle sentenze della Corte siano state — e, saranno, ritengo — numerose, e che, quindi, ve ne siano di migliori e di peggiori, non dovrebbe meravigliare in quanto la materia costituzionale, soprat­ tutto per quanto riguarda l’interpretazione da parte di dottrina e giuri­ sprudenza, è ancora piuttosto giovane e poi, per la sua stessa natura, per il suo contenuto, esercita uno speciale fascino poiché investe, come lo stesso Prof. Branca ha notato (4), aspetti ideologici diversi, che for­ temente influenzano l’interprete nell’applicazione ormai così frequente della tanto discussa interpretazione funzionale od evolutiva.

2. Prima di svolgere qualche osservazione — suggerita dall’articolo in questione — sulle note a sentenza in relazione alla particolare

strut-(1) V. G. Branca, Quis adnotavit adnotatoresf, in Foro it., 1970, V, 18. (2) Lo scritto riproduce, con qualche aggiunta (come è precisato), il con­ tributo dell’A. agli studi in onore di G. Ambrosini.

(3) V. G. Branca, op. cit., n. 2 ; 18. (4) V. G. Branca, op. cit., n. 24; 31.

tura delle sentenze della Corte Costituzionale per come gli studiosi po­ tevano averla intuita e per come l’illustre Presidente l’ha chiaramente esposta (5), non si può però non sottolineare l’originalità della posi­ zione del Giudice il quale, dopo avere emesso la sentenza, si spoglia della toga e scende a discutere con coloro che la sentenza — bene o male che sia — hanno esaminato. E l’originalità della posizione non viene meno quando anche si voglia considerare che il Giudice, nel caso di specie, non ha inteso — come già precisato — difendere la propria sen­ tenza, bensì soltanto discutere dell’idoneità dell’apporto dottrinario del critico, in relazione a certe disfunzioni che egli giudica prodotto di un certo tipo di ambiente universitario; l’originalità della sua posizione non cambia dal momento che egli è pure costretto a spiegare e discutere sentenza da un lato e lavoro critico dall’altro, travolgendo indiscrimi­ natamente maestri ed allievi.

In sostanza, laddove in passato si è avuto il Giudice che assolveva alla sua funzione nel momento della emissione della sentenza — in cui ovviamente condensava l’apporto del suo sapere ed ogni altra conside­ razione che aveva ritenuto legittima ai fini del decidere — giustificando nella motivazione il contenuto della parte dispositiva, ma lasciando ad altri anche il compito di giudicare eventuali critici avventati o comun­ que poco avveduti, si potrebbe in futuro sostituire il Giudice che, ogni qualvolta dovesse ritenere di essere stato male interpretato o di non potere, comunque, condividere una qualsivoglia critica, trova il modo di rendere di pubblico dominio il suo dissenso.

Il sistema avrebbe senz’altro qualche lato positivo, per il contri­ buto che darebbe all’approfondimento della controversia e, in qualche caso, alla chiarezza della sentenza, ma mi sembra che non si possano trascurare gli effetti negativi sull’autorità del giudicato — dal punto di vista dell’accettazione da parte della collettività, ovviamente — che ne conseguirebbero.

3. Dunque, secondo il Presidente della Corte le odierne note a sen­ tenza non assolvono più alla funzione di collaborazione fra Giudice e studioso, di tramite fra prassi giudiziale e dottrina, perché lungi dal­ l’essere stringate ed essenziali, sono divenute vuote esercitazioni di teo­ ria pura, talora non hanno che tenui contatti con il caso esaminato in sentenza, ci si esprime in maniera diffìcilmente intellegibile e, soprat­ tutto, si usano espressioni e toni sicuri ed arroganti, quando non si giunge addirittura a travisare il pensiero del Giudice, criticandolo perciò in­ giustamente (6).

Qualcuna delle osservazioni deve senz’altro ritenersi pertinente, in qualche caso specifico, anche se non mi sembra che sia da dare eccessiva sopravvalutazione alla forma che qualche volta può anche essere troppo sicura o, perfino, arrogante; gli scritti, infatti, normalmente, si

giu-— 127 giu-—

(5) V. G. Branca, op. cit., n. 6-7 ; 19, 20. (6) V. G. Branca, op. cit., n. 1-2-3-4 ; 17, 18.

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dicano da sé, per la forma, soprattutto per il contenuto, e, non dimen­ tichiamolo, per il prestigio dell’Autore. In tal modo però si giudicano sia le note che le sentenze, ognuna nella sua sfera di autorità. Quindi, non riterrei sia necessario fare un dramma in ordine a questi aspetti formali, anche se essi si sono voluti soprattutto sottolineare, mi rendo conto, per stigmatizzare alcuni pretesi atteggiamenti di una parte del mondo universitario.

Piuttosto, più interessante è l’altro aspetto, quello relativo alla ec­ cessiva vastità degli argomenti trattati nelle note a sentenza, e della bibliografia citata, che qualche volta avrebbe un collegamento soltanto mediato con il caso dedotto in giudizio e con i limiti della controversia sulla quale la sentenza ha statuito (7). Questo rilievo presuppone una netta demarcazione funzionale fra nota a sentenza e monografia, che occorre senz’altro riconoscere. Mi sembra però che, anche se la nota a sentenza spazia su argomenti che, pur sempre connessi con quello prin­ cipale, possono essere accessori o perché non considerati rilevanti al fine del decidere o anche perché recanti un contributo generico all’ap­ profondimento dei termini della questione, per la migliore conoscenza non soltanto da parte del Giudice, ma anche di altri interpreti che in seguito dovessero occuparsi della questione, ciò non sia tanto dannoso e, anzi, in qualche caso può anche tornare utile. Evidentemente, come in qualsivoglia circostanza, si tratta di limite ed i limiti, lo sappiamo bene, spesse volte sono diffìcilmente identificabili in modo uniforme.

4. Vi è poi il rilievo che gli annotatori sarebbero tanto sbadati da non sapere leggere le sentenze o comunque da non sapere comprendere la reale portata del dispositivo ed il reale contenuto della motiva­ zione (8). Bisogna essere grati al Presidente della Corte per avere confer­ mato quanto da più parti intuito, cioè la procedura di formazione delle sentenze della Corte, la necessità di mediazione tra opposte tesi, che porta qualche volta ad usare espressioni non perfettamente chiare o, addirittura, a rinviare la soluzione della questione sollevata ad altro momento mediante la messa in evidenza di un motivo di non rilevanza o di inammissibilità (9), così come occorre esserGli grati per avere addi­ rittura precisato che in alcuni casi, laddove le questioni di incostitu­ zionalità sono sollevate in relazione agli artt. 76 e 77 della Costituzione, la dichiarazione di incostituzionalità o di manifesta infondatezza viene sancita perché sotto premono altri motivi costituzionalmente rilevanti, quantunque non indicati, guardando così più alla sostanza della norma­ zione delegata che al testo delle leggi di delegazione o al procedimento di formazione dell’atto legislativo (10). Ed è assai interessante, soprat­ tutto per un tributarista, apprendere che il T.U. delle Imposte Dirette sarebbe crollato in molte parti per « eccesso di delega » se la Corte non

(7) V. G. Branca, op. cit., n. 1-2-3 ; 17. 18. (8) V. G. Branca, op. cit., n. 4-5 ; 18, 19. (9) V. G. Branca, op. cit., n. 6-7 ; 19, 20. (10) V. G. Branca, op. cit., n. 21 ; 28, 29.

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lo avesse «salvato» con giudizi di valore sull’intrinseca bontà delle sue norme (11).

Non si intende, in questa sede, discutere della idoneità o meno del sistema ma, preso atto di tale realtà, sembra che le conclusioni cui il Prof. Branca è pervenuto circa la capacità di alcuni annotatori di pren­ dere nel loro giusto senso le sentenze, sono quanto meno problematiche. Lo stesso autore ha ammesso che l’interprete potrebbe essere disorien­ tato (12) c che si potrebbe obiettare che la sentenza, una volta scritta e pubblicata, acquista valore ed autorità indipendentemente dalle ragioni che ne hanno consigliato la struttura, anche se ritiene che il medesimo interprete deve avere occhio particolarmente acuto ad individuare le ragioni tradotte nel linguaggio particolare adottato in un modo piutto­ sto che in un altro nella sentenza e che rivela talvolta il pensiero del Giudice (13).

Il suggerimento può anche accogliersi ma non è chi non veda che, in questo modo, si evidenzia nella sentenza l’alchimia i cui sintomi ca­ ratteristici si sono rilevati nelle note, con quale differenza di conse­ guenze è facile intendere. Con ciò si vuole dire che non ci si nasconde la particolare difficoltà dell’iter della pronunzia costituzionale ed il par­ ticolare ambiente, portatore di particolari necessità — di cui alcune ben evidenziate dal Presidente della Corte — in cui la sentenza costitu­ zionale si matura, ma che, egualmente, si deve comprendere la difficoltà in cui si muovono anche gli interpreti per cui, a meno che non si voglia ritenere la mala fede di questi ultimi, occorre considerare il rapporto sentenza (più che Giudice) — nota con grande spirito di comprensione proprio in quella visione di collaborazione fra Giudice e studioso, di tramite fra prassi giudiziale e dottrina, che il Prof. Branca ha giusta­ mente identificato come funzione delle note a sentenza. E ciò anche se in alcune note si sia potuto spaziare, con le critiche o con i suggerimenti, su alcuni punti o su alcune teorie che non sono state considerate dalla pronunzia della Corte in stretta connessione tra argomentazione e caso specifico da risolvere, ma che, sotto altri aspetti, ben avrebbero potuto essere considerate o comunque dare un contributo; in ciò facendo ciò che, come si è visto, la stessa Corte in alcuni casi fa.

5. In sostanza mi sembra — pur volendo estraniare qualsivoglia reazione polemica dovuta al fatto di essere personalmente interessato — che la lettura della disamina del Prof. Branca suscita profonda ama­ rezza perché alimenta l’impressione che l’illustre Maestro, lungi dal- l’impostare un sereno e doveroso discorso sulla funzione e sui modi di essere della cultura giuridica oggi in Italia — che è di dimensioni ben più vaste di quella universitaria — lo abbia notevolmente limitato con il sottolineare alcune disfunzioni, a Suo dire, delle sole note a sentenza, e per giunta solo di quelle concernenti le sentenze della Corte

Costituzio-(11) V. G. Branca, op. cit., n. 21; 29.

(12) V. G. Branca, op. cit., n. 7 ; 20. (13) V. G. Branca, op. cit., n. 7 ; 20.

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naie, utilizzate quale strumento polemico nei confronti di alcuni am­ bienti universitari che peraltro mi sembrano inesattamente identificati, avendo citato ambienti e scuole notoriamente esenti dalle pecche che Egli attribuisce loro.

6. Tra le altre note a sentenza che il Presidente della Corte Costi­ tuzionale ha esaminato al fine di convalidare i propri rilievi, ve ne è anche una di chi scrive (14), che è stata definita « esempio limite » di

iffnoratio elenchi, nel senso che si sarebbe dato alla sentenza — o si sa­ rebbe tratto da essa — un significato che non ha, e poi vi si sarebbe co­ struita, confutando, tutta intera una dottrina.

Si trattava del giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 3 della legge IO dicembre 1961 n. 1346, promossa con ordinanza 13 no­ vembre 1962 della Commissione Distrettuale delle Imposte Dirette di Milano su ricorso della S.r.l. TIS-Termo Idraulica Sanitaria.

La questione era stata sollevata in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, sotto il profilo che le norme impugnate avrebbero dato ori­ gine ad una disparità di trattamento in quanto sui redditi prodotti nello stesso periodo di tempo anteriore al 1961 coloro i quali sarebbero stati iscritti a ruolo dopo il 1° gennaio 1961 avrebbero pagato l’addizionale o l’aumento dell’addizionale ECA mentre chi fosse stato iscritto prima sarebbe stato esente dal maggiore onere.

La Società contribuente aveva anche rilevato come l’art. 2 della legge impugnata violasse il principio, derivante appunto dagli artt. 3 e 53 della Costituzione, per cui le imposte devono essere pagate con appli­ cazione delle aliquote in vigore nell’anno a cui si riferiscono; ed an­ cora aveva rilevato che le norme impugnate, avendo efficacia retroattiva, sarebbero state in contrasto con l’art. 23 della Costituzione, poiché avrebbero colpito redditi che dall’imposta in oggetto erano esenti al­ l’epoca in cui sono maturati.

Questa ultima eccezione era già stata sollevata dalla Società con­ tribuente dinanzi la Commissione di I grado, ma non era stata accolta nell’ordinanza di rinvio. Essendo stata ripresa dinanzi alla Corte Co­ stituzionale, questa, in sentenza, ha statuito che la doglianza non poteva essere esaminata, per non essere stata accolta nell’ordinanza di rinvio, e nella mia nota mi ero detto perfettamente d’accordo con tale statui­ zione, pure auspicando che la questione della costituzionalità della re­ troattività delle norme tributarie potesse tornare all’esame della Corte

sotto l’aspetto della violazione dell’art. 53, I comma, in sé considerato « quale lesione del principio della capacità contributiva riferito al mo­ mento della introduzione della norma, sia pure liberamente valutata dal legislatore in base a presupposti che possono anche essersi verificati in precedenza » (15).

(14) V. P. Adonnino, Appunti in tema di illegittimità costituzionale della legge 10 dicembre 1961 n. 181/6, in Oiurispr. cosi., 1963, 1548 e segg.

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La questione dedotta dinanzi alla Corte era dunque circoscritta nei limiti precisati nell’ordinanza di rinvio per contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione.

7. La Corte, per giungere ad una sentenza di accoglimento della questione sollevata e ad una conseguente dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 2, I comma, della legge 10 dicembre 1961 n. 1346, in quanto si riferisca a periodi d’imposta anteriori al 1960 o al 1959/60, e del II comma dello stesso articolo in quanto si riferisca a periodi di imposta anteriori al 1961 o al 1960/61, aveva argomentato che « a pa­ rità di reddito e perciò d’ohbligazione tributaria principale, dovrebbe corrispondere parità dell’ammontare dell’imposta addizionale: altri­ menti si colpirebbe il contribuente prescindendo dalla sua capacità con­ tributiva (art. 53 Cost.) che nella specie è quella individuata o da indi­ viduare ai fini delle imposte principali. Dato ciò non vi è dubbio che l’art. 2 della legge del 1961 n. 1346, contrasti con l’art. 53, I comma, della Costituzione; norma che, costituendo fra l’altro armonico e speci­ fico sviluppo del principio d’uguaglianza contenuto nell’art. 3 della Co­ stituzione, si traduce, per quanto riguarda le imposte sui redditi, nel­ l’esigenza di imposizione uguale per i redditi uguali e di imposizione diversa per i redditi diversi ».

È indubbio, mi pare, che la Corte abbia dunque interpretato l’arti­ colo 53 della Costituzione, in questo caso, alla luce dell’art. 3, ravvi­ sandovi una migliore esplicazione, ai fini tributari, del principio d’u­ guaglianza contenuto nell’art. 3. Í1 vero che la Corte, affermando che l’art. 52 costituisce fra l’altro armonico e specifico sviluppo del princi­ pio di uguaglianza, aveva fatto intravedere la possibilità di altri con­ tenuti, diversi dal principio di uguaglianza, dell’art. 53, ma, direi, in quella fase almeno, sul piano quasi dell’intuizione, senza specificarli, sia pure in ordine alla questione in esame.

Nella mia nota osservavo che la Corte, avendo interpretato l’art. 53 alla luce dell’art. 3 ne aveva di gran lunga limitato la portata, anche

nella fattispecie in esame, poiché si era tralasciato di considerare la maggior parte dei casi di violazione del principio della capacità contri­ butiva, in sé considerato ed indipendentemente da qualsiasi violazione del principio di eguaglianza.

Il Prof. Branca nell’articolo in esame mi imputa tale interpreta­ zione del pensiero della Corte non avendo io sottolineato nella mia nota le parole « tra l’altro » della sentenza, con le quali, a suo dire, sarebbe stato reso in maniera molto chiara che la Corte non intendeva limitare l’interpretazione dell’art. 53 Cost. alla luce del principio di eguaglianza contenuto nell’art. 3, ma che essa aveva ben presenti gli altri contenuti del medesimo art. 53.

Orbene, nel mio articolo, di proposito ignorai le parole «tra l’al­ tro » perché ritenni che esse, pur facendo intuire l’identificazione da parte della Corte Costituzionale di altri contenuti dell’art. 53, tali con­

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tenuti non avevano comunque evidenziato, come scrivevo, anche riguardo alla fattispecie in esame.

Ed infatti mi permisi di segnalare quali, a mio modo di vedere, avrebbero potuto essere, sempre in relazione alla fattispecie in esame e nei limiti della questione dedotta, gli altri aspetti in base ai quali l’ar­ ticolo 53 della Costituzione avrebbe potuto essere esaminato. Eviden­ ziavo infatti che l’eventuale esistenza di un principio per il quale l’im­ posta dovrebbe sempre essere riscossa con l’aliquota in vigore nell’anno cui si riferisce esula dal problema della retroattività (giustamente, come detto, non preso in esame dalla Corte) inteso quale eventuale di­ vieto di istituire nuove imposte con efficacia retroattiva; ed attiravo an­ cora l’attenzione sulla necessità che, perché non si violi il principio della capacità contributiva — in una completa ed esatta, a mio modo di vedere, visione dell’art. 53, I comma —, si deve avere un armonico collegamento di presupposto, base imponibile e tasso d’imposta che, co­ munque, non altera il fatto che quello che il legislatore ha assunto quale indice rivelatore di una data capacità contributiva è il presupposto, la situazione base; ne traevo la conclusione che una volta che questa va­ lutazione è stata compiuta, e che in base ad essa è stato istituito il tri­ buto, determinandone le modalità per identificare la base imponibile ed il conseguente tasso d’imposta, non sarebbe consentito, in prosieguo di tempo, variare il tasso d’imposta a partire da un determinato momento e con riferimento alla esigibilità del tributo, senza tenere conto del pre­ supposto rimasto invariato: e, aggiungevo, ciò non solo nei confronti di due diversi contribuenti i quali ne subirebbero un diverso tratta­ mento a seconda del diverso momento della riscossione, ma anche nei confronti dello stesso contribuente.

Questa tesi potrà essere condivisa o meno ma, in ogni caso, mi sem­ bra che non può essere ritenuta estranea al caso in esame da parte della Corte, né che, dal tenore della sentenza si possa dedurre che la tesi stessa fosse presente alla Corte ed evidenziata dalle parole « tra l’al­

tro ». Anche perché l’eventuale accoglimento di questa tesi avrebbe in­ ciso in modo sostanziale sul dispositivo della sentenza: l’illegittimità costituzionale non avrebbe più potuto essere limitata a quei periodi per i quali la Corte ha ritenuto essersi concretata disparità di trattamento tra contribuenti diversi, ma avrebbe dovuto essere pronunziata indipen­ dentemente dal periodo d’imposta di riferimento dell’addizionale in que­ stione.

Tutto qui. Anzi, non si può non sottolineare come il Prof. Branca per quanto mi concerne abbia rilevato il fatto che non avrei tenuto conto di un breve inciso della motivazione che invece avrebbe avuto notevole rilevanza, mentre poi, nei confronti di altre due note dei Proff. Micheli e Fedele si sia lamentato che essi abbiano dato eccessiva imprtanza egualmente ad un inciso della motivazione delle sentenze annotate, e che invece nessuna rilevanza avrebbe avuto.

8. Non si dimentichi poi che la mia nota è del 1963; le pronunzie della Corte sull’art. 53 della Costituzione non erano ancora state nume­

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rose gli aspetti esaminati soltanto alcuni, la dottrina estremamente di­ visa'non soltanto sul contenuto dell’art. 53 bensì addirittura sulla sua efficacia vincolante per il legislatore, soprattutto in relazione al I com­