Studiando la cronologia delle insegne legate al Duca Borso, ci si rende conto che, tutte quante, hanno raggiunto il periodo di maggiore diffusione intorno alla metà degli anni ’50 del XV secolo.
L’iconografia borsiana viene costruita ed ufficializzata dagli intellettuali della Corte nel periodo compreso tra il 1449 al 1452, a partire o dall’attualizzazione di simboli già usati in passato – come l’unicorno – o dalla creazione di una nuova simbologia, derivata da alcuni aspetti peculiari del governo del nuovo signore, ovvero – come avremo occasione di constatare in seguito – dalle sue virtù personali.
Oltre all’unicorno, indissolubilmente legato al primo Medioevo ferrarese, le più importanti “imprese” borsiane – paraduro, Battesimo ed abbeveratoio dei colombi – erano già in uso nel 1450, come attestano anche le ricerche documentarie: è segno che, ancor prima della salita al potere di Borso, era in via di definizione un programma figurativo e allegorico, costruito con lo scopo ben preciso di esaltare il nuovo governante, sottolineando la tradizione familiare all’interno della quale egli – seppure
443 ASMo, Camera Ducale Estense, Libri Camerali Diversi, “Intrata et Spesa”, MM,c.97; A. FRANCESCHINI, 1993, p. 638; App. 1, p.231.
illegittimo – si collocava, ma dando anche grande risalto alle particolarità del singolo personaggio.
In quest’ottica si può leggere anche l’apparente incongruenza relativa all’insegna del picchiotto, la cui comparsa sul rovescio della medaglia di Amadio da Milano ha portato ad una datazione che si aggira intorno ai primi anni ’40 del 1400. Non sarà sbagliato ipotizzare che, sin dagli anni giovanili, questa “impresa” – come forse anche altre – fosse già nota all’interno della Corte, nonostante il giovane figlio di Niccolò III non fosse ancora salito al potere.
D’altra parte, le “imprese” non erano prerogativa esclusiva del Duca o del Marchese; anche gli altri membri della famiglia potevano averne una o più di una: ricordiamo a questo proposito i numerosi emblemi di Francesco d’Este - fratello di Ercole II – ancora oggi visibili sui soffitti affrescati della Palazzina di Marfisa444, facente parte del polo dei Civici Musei d’Arte Antica di Ferrara.
E’dunque assai probabile che, ancor prima di prendere il comando della città, Borso – o piuttosto l’entourage di uomini colti che gravitava attorno a lui, forse gli stessi membri della Corte che in seguito saranno effigiati sulle pareti del Salone dei Mesi – avesse già incominciato a mettere a punto il proprio programma iconografico. Sappiamo che questo Duca fu un grande cultore della propria immagine: momento fondamentale della propria autocelebrazione – ma anche dell’affermazione della propria individualità rispetto ai membri della sua stessa famiglia – fu certamente l’espressione di un proprio programma politico attraverso le immagini, azione che egli poté attuare grazie all’aiuto di alcuni intellettuali e grandi comunicatori del suo tempo, come Ludovico Carbone, Ludovico degli Arienti e Tito Vespasiano Strozzi445. Come già sottolineato, alcune “imprese” non servono tanto ad esaltare la singola figura di un governante, quanto ad identificare la famiglia tutta, o a riallacciarsi alla
444 A.M. V
ISSER TRAVAGLI, La Palazzina di Marfisa d’Este (…), 1996, pp. 125, 126, 202, 203. 445 Cap. 4, pp. 96-106.
tradizione antica del casato. Fra le immagini di questo tipo, si annovera anche il diamante, di derivazione molto antica, che sarà poi ripreso ai tempi di Ercole, e posto sulla montatura di un anello che incornicia eloquentemente un fiore, valorizzato e protetto dal cerchio prezioso.
Solitamente, si tende a considerare questo emblema come rappresentativo del successore di Borso – erede legittimo, in quanto frutto dell’unione matrimoniale fra Niccolò III e Ricciarda da Saluzzo; Leonello e Borso nascono invece dall’amore adulterino con Stella dell’Assassino, figlia in realtà di uno forestiero, venuto da Assisi – mentre se si presta attenzione ai documenti d’archivio si capisce in realtà che questo simbolo è stato ripreso in epoca borsiana, nel 1452. Probabilmente in questo frangente il diamante – come la malgarita, usata ai tempi di Leonello con un significato preciso, ma poi riutilizzata in alcune occasioni anche dai suoi successori – non era considerato “impresa” personale di Borso, ma simbolo carico di evocazione e capace di riportare indietro nel tempo, alludendo ad una continuità non solo dinastica, ma anche di intenti, all’interno della famiglia estense.
Nulla ci vieta poi di pensare che le “imprese” dei tre fratelli – Leonello, Borso ed Ercole – individuati da Niccolò come suoi diretti successori venissero sovente abbinate, anche in un periodo come quello intorno al 1452 in cui Leonello non è già più in vita, ed Ercole è ancora lontano dal governare: nel documento esaminato infatti, «el batesimo, la sieve, l’asse, el batelo, el alicornio, el paraduro, el diamante, e la
malgarita»446 vengono citati uno dopo l’altro, come in una parata ideale.
Il 1452 è anche l’anno in cui Borso ottiene il titolo di Duca di Modena e Reggio e Conte di Rovigo dall’Imperatore Federico III di passaggio per Ferrara: probabilmente questo sfoggio di “imprese” non soltanto personali, ma legate anche ai fratelli e alla
446 ASMo, Camera Ducale Estense, Guardaroba, 33, Debitori et Creditori, N, c. CCLXX; A. FRANCESCHINI, 1993, p. 384; App. 1, p.223 et supra, p. 152.
famiglia in genere, può rappresentare una volontà di eternare tutto il casato in un momento storico ad esso favorevole.
Una particolarità di alcune insegne – il paraduro ad esempio, ma anche la chiodara e l’abbeveratoio dei colombi – è che esse nascono e si sviluppano in un periodo relativamente breve – i 21 anni del potere borsiano – ma vengono poi utilizzate anche negli anni seguenti dai successori di questo Duca: ennesima prova della lungimiranza di Borso anche nella “politica delle immagini”, che farà di lui un esempio da seguire da parte di tutti i futuri rappresentanti della Casa d’Este.
Capitolo 7
Virtutes e Res gestae: le insegne borsiane alla luce della tradizione antica