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Le Tabulae Astrologiae, il Libro del Salvatore ed il Trattato del ben governare

4.2 La miniatura ai tempi di Borso

4.2.1 Le Tabulae Astrologiae, il Libro del Salvatore ed il Trattato del ben governare

Fra i più importanti codici miniati di epoca borsiana si annoverano le Tabule

Astrologiae di Giovanni Bianchini, miniate da Giorgio d’Alemagna intorno alla metà

del XV secolo, attualmente conservate presso la Biblioteca Comunale Ariostea di Ferrara ed esposte al pubblico sia in occasione della mostra sulla miniatura del 1998, sia nel corso della più recente esposizione su Cosmè Tura e Francesco del Cossa, da settembre 2007 a gennaio 2008.

Un secondo esemplare di quest’opera, conservato a Firenze presso la Biblioteca Medicea Laurenziana, testimonia che le Tabulae erano state composte già prima del 1450 per Leonello d’Este, mentre il codice dell’Ariostea è probabilmente una versione commissionata da Borso per lo stesso Bianchini, funzionario estense, come testimonia una nota assolutoria lasciata dal Duca a guisa di congedo.

Una terza copia della Tabulae fu offerta nel 1452 all’imperatore Federico III di passaggio per Ferrara: è proprio questo episodio che viene raffigurato sul foglio d’inizio dell’opera, con «una venatura cortese e una buona padronanza della visione spaziale non disgiunte da un certo gusto luministico e tattile»270. Nella miniatura che occupa la parte alta della carta, si possono riconoscere il Bianchini, inginocchiato, nell’atto di porgere all’imperatore la propria opera, e il duca Borso, intento a presentare benevolmente il suo funzionario, mentre tre uomini di corte conversano sulla destra.

Nel bas-de-page, lo stemma della famiglia Bianchini è sorretto da due putti alati, mentre i margini sono decorati da un fregio a filigrana e sulla destra si nota una sfera armillare.

270 F.L

La figura di Borso, abbigliata in bianco, rosso e oro secondo la consuetudine, è corredata di accessori realmente appartenuti al Duca: il berretto rosso compare anche negli affreschi di Palazzo Schifanoia, nonché nel ritratto eseguito da Baldassarre d’Este e oggi conservato a Milano271, mentre la spilla è riprodotta in numerose medaglie.

Osservando attentamente la gamba sinistra del Duca, si può notare un particolare importante: essa è ricoperta da una calza decorata con l’insegna del “paraduro”, completa anche della scritta FIDO.

Una scena analoga si può ammirare anche in una miniatura rettangolare che orna la carta 3r del Libro del Salvatore, opera encomiastica dedicata a Borso, con la quale il perugino Candido Serafino Bontempi, già attivo presso la corte di Rimini, cercò di garantirsi la protezione del Duca di Ferrara, dopo la morte di Sigismondo Pandolfo Malatesta.

Il Libro, conservato alla Biblioteca Estense Universitaria di Modena, è composto da due volumi, ciascuno dei quali diviso in due parti, che narrano la vita di Cristo. Come ricorda Paola Di Pietro Lombardi, nella scena sopra citata, che raffigura la presentazione dell’opera, «il principe è seduto in trono, con il capo ricoperto dal berretto cremisi, e indossa un abito rosso sotto un manto verde ricamato in oro. Sulla calza destra è l’emblema più caro a Borso, quello del paraduro con la zucca e con le goccioline azzurre che scendono lungo la gamba, simbolo della bonifica delle paludi del Po […]»272.

Il medesimo stemma, riportato su una calza del Duca, è visibile anche in una miniatura presente nel Trattato del ben governare, del domenicano Tommaso da Ferrara, conservato a Milano presso la Biblioteca Trivulziana: alla carta 1r, all’interno di una grande C miniata, si distinguono infatti due cortigiani intenti a parlare

271 G.S

ASSU in Cosmè Tura e Francesco del Cossa (…), scheda n. 146, pp. 458-459. 272 P.D

all’ombra di un albero, l’allegoria della Giustizia con in mano una bilancia e l’autore dell’opera nell’atto di offrire il proprio scritto a Borso; sulla gamba sinistra di quest’ultimo spicca l’emblema a noi noto, con la zucca e la scritta FIDO273.

Si tratta di alcune testimonianze visive di come Borso utilizzasse le “imprese” anche per ornare abiti ed accessori, come già emerso dall’analisi del materiale documentario effettuata da Adriano Franceschini274: presso l’Archivio di Stato di Modena sono infatti conservate alcune carte in cui vengono indicati i pagamenti relativi alla decorazione di abiti e calze con il paraduro ed altre “imprese” estensi.

Non si trattava soltanto di uso personale: i documenti parlano infatti di «uno vestido de panno verde de hercules Mareschoto pagio del prefato Duca»275, di «calze de saglia ala divisa de lo Illustro Messer Alberto da Est»276 e «per lo Illustro Messer Nicolò da Est»277, tutti ornati con l’emblema del paraduro, ma soprattutto di «una zornea de velluto verde alle divise del paraduro per Scopula buffone de lo Illustrissimo Duca Signore nostro»278 e di «una calza ala divisa del paraduro tempestada a goze del paraduro in zoso de uno paro de calze del magnifico Messer Theophilo»279, ossia Teofilo Calcagnini, cavaliere che «per le egregie sue qualità divenne il più caro tra i famigliari di Borso»280.

L’abitudine di servirsi delle “imprese” per la decorazione di indumenti usati dai membri della corte è a tutt’oggi testimoniata, come già accennato in precedenza, anche da due disegni, conservati il primo presso la Collezione Lugt dell’Institut

273 Fig. 65, p. 300. 274

App. 1, pp. 222-231.

275 ASMo, Camera Ducale Estense, Guardaroba, 54, Memoriale U, c. 28; A.F

RANCESCHINI, 1993, p. 580; App. 1, p. 227.

276 ASMo, Camera Ducale Estense, Guardaroba, 87, Creditori et Debitori, c. 35; A.F

RANCESCHINI, 1993, p.737; App. 1, p. 228.

277 ASMo, Camera Ducale Estense, Guardaroba, 89, Creditori et Debitori, FF, c. 37; A.F

RANCESCHINI, 1993, p.765; App. 1, p. 229.

278 ASMo, Camera Ducale Estense, Guardaroba, 87, Creditori et Debitori, c. 35; A.F

RANCESCHINI, 1993, p.737; App. 1, p. 229.

279 ASMo, Camera Ducale Estense, Libri camerali diversi, “Intrata et Spesa”, MM,c. 97; A. Franceschini, p. 638; App. 1, p. 231.

280 A.F

Néerlandais di Parigi, ed il secondo all’Ashmolean Museum di Oxford281 ed attribuiti tradizionalmente a Pisanello, che rappresentano le insegne del Battesimo e – con buona probabilità – della chiodara.

Tale consuetudine si può certamente collegare all’originario uso delle “imprese” da parte dei cavalieri: si ricorda infatti ancora che «[…] gli uomini d’arme italiani […] facevano disegnare le imprese sulle armi e le bandiere e le distribuivano ai loro per farli riconoscere nella mischia e stimolarne il coraggio»282.

Per quanto riguarda la decorazione dei codici miniati, essa non è in genere formata soltanto da scenette che descrivono momenti della vita di corte o illustrano i testi: i fregi più diffusi si trovano infatti ad incorniciare la pagina o ad esaltarne i margini esterni, ed anche in questi casi vengono numerose volte usati gli emblemi della casata, abbinati alle “imprese” del Duca o dei suoi familiari.

Analizzando il Libro del Salvatore della Biblioteca Estense – altri due esemplari dell’opera sono custoditi presso la Biblioteca Comunale di Perugia – si può ad esempio notare, alla carta 7r del primo volume, una cornice assai elaborata che riporta, all’interno di medaglioni, le “imprese” della chiodara a sinistra, del FIDO in basso a sinistra e dell’unicorno in basso a destra283.

Se si osserva attentamente la scena centrale con la Natività, ci si accorge che la culla dove riposa il Bambino «ricorda la siepe, l’emblema estense legato al mondo agricolo ferrarese, ma anche limite che circoscrive una zona di rispetto, un hortus

conclusus»284.

Anche nella seconda parte del poema si ha la terza carta miniata (c.216v), i cui margini sono decorati con alcune “imprese” borsiane: il fonte battesimale, la siepe con

281 Cap. 3, p. 76-77. 282 R.K LEIN, 1975 (1970), p. 119. 283 Fig. 66, p. 300. 284 P. D

il sole, l’abbeveratoio dei colombi; mentre nel bas-de-page compare l’aquila bianca e nera del Ducato.

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