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Tra l‘833 e l’836, Eginardo, allievo della Scuola Palatina e politico al servizio della Corte di Aquisgrana, scrive la Vita Karoli, capolavoro storiografico incentrato sulla figura di Carlo Magno, di cui restituisce un mirabile ritratto.

Il principale scopo dell’autore, al di là della mera precisione annalistica e della registrazione degli avvenimenti salienti nella vita del sovrano, è quello di costruire un personaggio, di trasmettere un messaggio di vita perfetta. Lo storico si ispira infatti ai tanti testi agiografici in voga nell’era medievale, ma anche alle Vite dei Cesari di Svetonio, tanto che per alcuni studiosi la sua opera sarebbe da considerare come «una

tredicesima vita dei Cesari»544, nonostante sul modello svetoniano egli abbia poi «costruito un suo Carlo Magno»545, esempio di virtù politiche ma soprattutto morali. E’ interessante notare come – nonostante il testo di Eginardo non compaia nella biblioteca estense, né esistano effettive testimonianze di una sua conoscenza diretta da parte dei panegiristi di Borso – la figura del re dei Franchi, con le sue caratteristiche positive, che a partire dall’aspetto fisico giungono ad interessare la sfera psicologica e spirituale, sia in parte simile a quella del primo Duca d’Este, vissuto più di 600 anni dopo, nel contesto delle Signorie italiane del Rinascimento, del tutto diverso all’ambiente francese del Basso Medioevo, in cui invece Carlo visse ed operò.

Come il nostro Borso, Carlo è definito magnanimus e conosce la virtù della costantia, che nella buona e nella cattiva sorte guida le sue azioni militari ed i comportamenti personali: «cuius animi dote set summam in qualicumque et prospero et adverso

evento constantiam ceteraque ad interiorem atque domesticam vitam pertinentia iam abhinc dicere exordiar»546, si ripromette Eginardo, esternando sin dall’inizio la sua ammirazione per il suo re.

Come il Duca di Ferrara, il re dei Franchi è descritto quale difensore della religione cristiana, e forse può essere considerato come l’anello di congiunzione fra lo chevalier dei cantari medievali ed il miles, il soldato romano. Non per niente, il territorio su cui Carlo esercita il proprio potere è il Sacro Romano Impero, considerato come diretto discendente dell’Impero di Roma, che di fatto era decaduto nel 476 d.C., dopo la deposizione di Romolo Augustolo: l’incoronazione papale suggella il rapporto privilegiato fra il sovrano e la Chiesa, della quale egli si pone come rappresentante e difensore.

A differenza degli autori vicini alla Corte estense, Eginardo è asciutto nella narrazione e non indulge in lodi, tuttavia, fra le doti che rendono grande il suo imperatore, non

544 C.L

EONARDI, Introduzione in EGINARDO, 2006, p. 28. 545 I

BID. 546 E

manca di sottolineare più volte la grandezza d’animo e la generosità, che Carlo dimostra mettendosi a disposizione dei pellegrini e dei bisognosi: «ipse tamen prae

magnitudine animi huiuscemodi pondere minime gravabatur, cum etiam ingentia incommoda laude liberalitatis ac bonae famae mercede compensaret»547.

Continente nel cibo e nei modi – a differenza di Borso, ha avuto però diversi figli, anche fuori dal matrimonio, e non può dunque fregiarsi dell’epiteto di “casto” – il re dei Franchi è anche un modello di religiosità: frequenta assiduamente la chiesa e si prodiga in elemosine. «Religionem Christianam – afferma lo storico di Corte –

santissime et cum summa pietate colit»548: similmente alla Basilica di San Cristoforo, voluta da Borso per la Certosa di Ferrara, anche la Basilica della Santa Madre di Aquisgrana viene decorata, per desiderio di Carlo, con marmi ed arredi preziosi. Oltre a questa imponente costruzione, il munifico re dei Franchi, fra un’azione militare e l’altra, promuove la costruzione di numerose opere pubbliche, come il ponte sul Reno presso Magonza e numerosi palazzi di bella fattura; inoltre si occupa del censimento, del restauro di alcune chiese e dell’organizzazione della flotta.

Un altro momento in cui si può notare l’analogia fra la Vita di Carlo Magno e le tante

Vite di Borso, è quella dedicata alla descrizione fisica del sovrano: Carlo è dipinto

come un uomo grande e robusto di corpo, di alta statura, con occhi grandi e vivaci e l’espressione lieta e nobile.

Di salute eccellente e portamento virile, il re «exercebatur assidue equitando ac

venando»549: sappiamo come questi passatempi, utili a rinfrancare il corpo e lo spirito, fossero praticati anche nelle Corti rinascimentali, e come a Ferrara venissero considerati importanti, non solo per un impiego sano e proficuo del tempo libero, ma anche quali momenti formativi per la personalità di un giovane signore. Borso e i suoi fratelli usavano infatti cacciare e cavalcare nelle delizie del contado fin dalla prima 547 I BID., p. 96. 548 I BID., p. 104. 549 I BID., p. 98.

adolescenza, e – come Stefania Macioce ha ricordato550 – anche la caccia col falcone era apprezzata come simbolo di appartenenza alla “casta” dei cavalieri: così è testimoniato anche dalle immagini dipinte sulle pareti di Palazzo Schifanoia, dove alcuni giovani si apprestano a partecipare ad una battuta cum avibus.

Carlo Magno, con la sua condotta di vita onesta, semplice e religiosa, grazie alla penna di Eginardo – che lo ha paragonato ai grandi imperatori del passato, descrivendo addirittura una serie di fatti prodigiosi avvenuti dopo la sua morte – diventa un esempio da seguire per gli uomini del suo tempo ed anche per le generazioni successive.

La somiglianza di questo personaggio con il primo Duca d’Este non può essere casuale: nonostante la Vita Karoli non sia segnalata fra i volumi posseduti dalla Corte di Ferrara, è probabile che essa fosse nota agli intellettuali dell’entourage estense grazie a canali diversi dalla biblioteca ufficiale, o semplicemente che le virtù del grande sovrano fossero diventate un argomento quasi leggendario, conosciuto senza bisogno di un testo al quale appoggiarsi.

In ogni caso, la Vita di Carlo Magno, costruita su modello svetoniano e dunque molto simile alle Vite degli imperatori romani – soprattutto a quelle di Cesare e di Augusto – rappresenta un prototipo di biografia in bilico fra la cronaca ed il panegirico, il cui schema si ripete anche nelle biografie borsiane, spesso con maggiore enfasi e dovizia di particolari.

Accanto ai cavalieri della Tavola Rotonda, i cui profili si perdono nell’invenzione letteraria, ecco dunque una figura di sovrano realmente esistito – la cui esistenza si è consumata in un tempo passato, tuttavia non così remoto come nel caso dei grandi condottieri latini – che può avere ispirato gli scrittori per costruire – o ricostruire – il personaggio del duca Borso: la concretezza e l’importanza storica del re dei Franchi

550 S.M

può aver rappresentato non soltanto l’esempio, ma anche lo sprone ideale per un governante pieno di ambizioni e di progetti come l’Estense.

7.5 “Imprese” come virtutes: un ponte fra religione e tradizione

Da un’analisi della letteratura encomiastica incentrata sulla persona di Borso d’Este – confrontata con le Vitae degli antichi condottieri e con le figure dei cavalieri del ciclo arturiano, oltre che con la Vita Karoli di Eginardo – si può dunque concludere che vi sono due gruppi di caratteristiche ricorrenti, approssimativamente identificabili con le Virtù cardinali del Cristianesimo – Prudenza, Fortezza, Giustizia e Temperanza – unite alle Virtù teologali, ossia Fede, Speranza e Carità. Il parallelo è solo in parte calzante, poiché la Speranza non viene in effetti mai citata dai panegiristi: essa potrebbe essere però considerata come la somma di tutte le altre virtutes, ovvero il desiderio di un futuro altrettanto prospero dopo la fine dell’età borsiana.

Non sembra inopportuno supporre che proprio queste virtutes – che rappresentano un nucleo costante nella condotta di Borso, così come essa è descritta dagli intellettuali e dunque avvertita dai contemporanei del Duca – potrebbero essere rappresentate da quelle stesse “imprese” più volte ripetute sui monumenti cittadini e tra le decorazioni di abiti, suppellettili e miniature, che sono state analizzate e raccolte nel corso di questa ricerca.

Come alcune di queste immagini sono collegate ad avvenimenti ferraresi del secondo ‘400, o agli effetti del buon governo di Borso, così la maggioranza di esse rappresentano con tutta probabilità qualcosa di più: una virtù per l’appunto, un modo di essere, una caratteristica positiva del Duca, che lo rende unico, diverso da ogni altro sovrano, capace di competere addirittura con gli antichi romani e con i cavalieri bretoni.

Tale conclusione è avvalorata dalla riflessione sul significato stesso della parola “imprese”: il termine italiano è infatti traduzione del latino res gestae, il quale indica appunto i meriti militari o civili di un personaggio pubblico.

Quali sono le res gestae di Borso, se non le azioni volte al buon governo, all’esemplare esercizio del quale egli giunge proprio grazie alle sue virtù personali?

Virtutes e res gestae, ossia “imprese” sono, così, legate a doppio filo nella costruzione

di un’immagine borsiana che sia facilmente spendibile a diversi livelli comunicativi. Le qualità del Duca e le sue imprese concrete sono infatti note sia ai semplici cittadini che ai soggetti più acculturati, mentre il livello superiore di lettura, ossia il collegamento con le virtutes cristiane e la stretta connessione fra atto, virtù e simbolo può essere colto solo da coloro che possiedono una determinata formazione, frequentano l’entourage ducale e possono avere contatti con gli ideatori stessi del progetto. Si tratta, in definitiva, di un programma per immagini, legato alla fruizione potenziale della figura di Borso, ed al suo impatto comunicativo verso l’esterno, se così vogliamo chiamarlo utilizzando una terminologia moderna.

Nello specifico, le “imprese” ducali possono essere affiancate alle virtutes secondo un sistema di abbinamenti che tiene conto delle caratteristiche iconografiche del simbolo usato ed anche, in parte, della lettura tradizionale delle immagini borsiane, così come emerge dalla letteratura, da Alfonso Venturi551 in avanti.

Per quanto riguarda il gruppo delle quattro Virtù cardinali, come sappiamo, la Giustizia non viene mai rappresentata allegoricamente, in quanto è caratteristica basilare del buon governo borsiano e la sua presenza è sottintesa nella stessa persona del Duca. Come accade a Palazzo Schifanoia, nella più volte citata Sala degli Stucchi – della anche “delle Virtù” – la iustitia non è presente, se non nella figura di Borso,

551 A. V

ENTURI, 1884; L’arte a Ferrara (…), 1885; Ein Brief (…), 1885; Gli affreschi del Palazzo di

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