7.1 Ancora sulla letteratura encomiastica: le caratteristiche di Borso
7.1.7 La Borsiade di Tito Vespasiano Strozzi: il trionfo della cavalleria alla Corte estense
Molto diversa dalle opere sopra menzionate è la Borsiade, poema di virgiliana memoria che Tito Vespasiano Strozzi incomincia a scrivere nel 1470 e che, dopo un’interruzione a seguito della morte del dedicatario, sarà terminata qualche anno dopo, durante il regno di Ercole I, attorno al quale l’autore continua a gravitare, nonostante il suo rapporto con la Corte sia nel frattempo cambiato.
Come ha sottolineato Stefania Macioce, sia nel già citato saggio dei primi anni ’80506, che nel suo intervento all’interno dell’Atlante di Schifanoia507, il testo dello Strozzi – facilmente collegabile alle scene dipinte sulle pareti del Salone dei Mesi di Ferrara, tanto che il ciclo di affreschi può considerarsi un’apologia per immagini strettamente connessa al poema – esprime i valori tipici della cavalleria tardomedievale, fenomeno di natura essenzialmente laica basato sull’interdipendenza di virtù come largesse,
loyauté, prouesse, courtoisie e franchise.
Secondo la Macioce, il fenomeno della cavalleria mantiene le stesse caratteristiche fino al XV secolo e prevede l’identificazione culturale tra il chevalier delle corti d’oltralpe e l’eques del mondo romano: entrambi questi personaggi seguono una serie di norme comportamentali ben definite, che poggiano su solide basi morali. Il ruolo di 505 I BID., p. 73. 506 Cap. 4, p. 101. 507 S.M ACIOCE, 1989.
Borso, sostiene la studiosa, «non è propriamente quello di un mecenate del Rinascimento»508, in quanto il Duca, a differenza del fratello Leonello, ha ricevuto un’educazione incentrata sul pensiero medievale e, se nella realizzazione delle opere d’architettura e nelle pubbliche manifestazioni si attiene alle nuove istanze del XV secolo, nelle iniziative private si manterrà sempre legato al mondo ed ai principi etici e morali della cavalleria di stampo carolingio ed arturiano.
Non a caso, Borso promuove l’uso del volgare ed ordina numerose traduzioni dei codici classici, mentre alla sua corte si osservano i costumi dell’ambiente borgognone. La Biblioteca estense, in questi anni, annovera fra i propri testi – oltre ai romanzi cortesi ed alle storie cavalleresche di provenienza francese – diverse opere, come il
Libro dell’ordine della cavalleria, di Raimondo Lullo, che esaltano le virtù ed i
principi etici degli appartenenti a questo gruppo: fra le caratteristiche principali, spicca la noblesse, un «insieme particolare di saggezza, lealtà, coraggio, carità»509, che lo stesso Borso – stando alle affermazioni dei suoi panegiristi – dimostra di possedere, ed esercita nella vita di ogni giorno.
Nonostante questo, molti dei componimenti onore del Duca – come, appunto, la
Borsiade di Strozzi – vengono scritti in un latino rigorosamente classico: è il segno di
quanto l’Estense «non abbia mai sottovalutato la funzionale efficacia propagandistica derivante da scelte culturali aggiornate»510 ed anzi abbia incoraggiato il paragone con gli eroi antichi, considerati in definitiva come gli antenati del preux chevalier altomediavale.
Nella Borsiade – forse l’equivalente in poesia della statua eretta in onore del Duca proprio di fronte alla Cattedrale, come suggerisce la Macioce – il ferrarese viene presentato alla stregua di un personaggio mitico, la cui nascita è preceduta da un
508 I BID., p. 65. 509 I BID., p. 71. 510 I BID., p. 65.
consiglio degli dei in seguito al quale, come già accennato511, è resa possibile l’unione fra nobile e ritrosa Stella de’Tolomei e l’incostante Niccolò III. Spesso accomunato ad Enea – dal quale, secondo lo Strozzi, discende sua madre, Stella – Borso viene elogiato per liberalità, modestia, castità, valor militare e spirito religioso; vengono inoltre menzionate le sontuose architetture da lui erette in città, e molte volte viene ricordata la sua grande passione per la caccia con il falcone, l’antica ars venandi cum
avibus, attività tradizionalmente correlata alla cavalleria francese e largamente
documentata anche negli affreschi schifanoiani.
Ancora una volta, un intellettuale di corte dedica al Duca un’opera volta ad eternarne le virtù. Alto è il valore programmatico della Borsiade, in quanto associa la figura di Borso a quella dell’ideale chevalier del mondo cortese: generoso, leale, giusto ed avulso da concupiscenze.
Sicuramente, questo testo si colloca all’interno di un preciso intento elogiativo, che parte dalla statua di piazza e si conclude sulle pareti del Salone dei Mesi, passando appunto attraverso le complesse figure poetiche dello Strozzi, grazie alle quali il Duca, attento promotore della propria immagine, appare ai contemporanei come il continuatore delle virtutes degli eroi antichi, rese più attuali dal paragone con i nobili esponenti della cavalleria borgognona.
Un altro famoso poeta ferrarese, Matteo Maria Boiardo, all’interno della sua opera
Pastoralia, ispirata alle egloghe di Virgilio, si è riallacciato ai citati miti di Astrea e
dell’Età dell’Oro, descrivendo Borso come un semidio destinato a rendere la sua città pacifica e prospera, grazie ai doni naturali che gli sono stati concessi.
Nella IV Egloga, il Boiardo elogia la virtù del suo Duca, grazie alla quale la generazione umana dimenticherà i clamori della guerra e, libera dall’antico peccato, non dovrà più combattere contro il male:
511 Cap. 4, pp. 100-101.
Tunc Borsia virtus
Immortale decus caelo mittetur ab alto. (...)
Tunc cervos laqueis, volucres tunc fallere visco Desistet mortale genus; verum aurea saecla, Aurea progenies iterum (...)512
Nella IV Egloga, il poeta saluta Borso come personaggio mitico: egli ricorda Giove per il bel volto, Apollo per i capelli chiari e Marte per la prestanza fisica. Il Boiardo ribadisce l’importanza della figura dell’Estense per l’inizio del nuovo periodo aureo, sottolineando il suo ruolo di paladino di Astrea: essa, abbandonate le stelle, è scesa ad abitare in terra, protetta dal “vanto degli Estensi” e fautrice di una eterna primavera:
Salve, Estense decus, terrarum gloria Borsi, quo duce sideribus terras Astrea relictis incolit, et prisci rursum quo principe mores aureaeque aeterni redierunt otia veris ; salve, Estense decus, sub quo fulgentia tuti agmina et horrendo nescimus classica cantu.513
Molto vicino a Borso – che accompagnò a Roma quando questi, nel 1471, si recò dal Papa a ricevere il titolo di Duca di Ferrara – il Boiardo legò poi la propria esperienza di poeta di corte al suo successore, Ercole, al quale dedicò il proprio capolavoro, l’Orlando innamorato: l’opera, rimasta incompiuta alla morte dell’autore – avvenuta a Reggio Emilia nel 1494 – rappresenta una celebrazione della Casa d’Este, ed esalta i valori cortesi dell’epoca feudale ormai al tramonto.
512 M. M.B
OIARDO, 1996, (1463-’64), IV, vv. 23-24; 59-61, pp. 40; 42. 513 I