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3.1 Palazzo Schifanoia, scrigno della simbologia borsiana

3.2.1 Opere architettoniche

L’unicorno è senza dubbio una delle “imprese” borsiane più rappresentate nei palazzi di Ferrara. Un rappresentante di tale specie fantastica – molto simile alla scultura sul portale di Palazzo Schifanoia già esaminata, o forse addirittura una replica della stessa – è la statua in marmo visibile sulla facciata del Palazzo di Renata di Francia188, attuale sede dell’Università. Questa versione del leggendario animale è priva del

187 I

BID., p. 18. 188 Fig. 38, p. 287.

cestello in graticcio che caratterizza il suo gemello schifanoiano. Secondo Enrica Domenicali189, l’unicorno sarebbe stato smontato e rimontato nel corso dei restauri che hanno riconsolidato il palazzo nel XVIII secolo, ed in tale occasione il cestello contenitivo sarebbe andato distrutto.

Anche sul campanile della Cattedrale sono visibili due unicorni, su due dei cinque scudi marmorei che si trovano in corrispondenza del secondo ordine. Per la precisione, si tratta di un unicorno rampante sul lato rivolto alla piazza190, ed uno immergente il corno nell’acqua intorno al dattararo, sul lato verso la Loggia di San Crispino191. Prima dell’età borsiana, l’unicorno rampante fu insegna di Niccolò III, padre di Borso, e ancor prima del suo prozio, Niccolò II: è forse, sostiene sempre la Domenicali, per sottolineare la continuità fra i governanti che viene scelta proprio questa versione dell’emblema, insolita in età borsiana, e la si pone molto vicina a quella canonica – l’unicorno sul dattararo – con la quale segna l’angolo sud-est del campanile.

Un’altra “impresa” estense, la terza, visibile sul fianco rivolto a ovest, è quella dello steccato con la zucca – il FIDO192 – il cui significato è sicuramente legato alla bonifica del Ferrarese. FIDO e unicorno, non affiancati ma posti in posizione parallela uno sul lato ovest e l’altro sul lato est, sottolineano la similitudine fra Niccolò III e Borso – che, ricordiamolo, era figlio illegittimo e pertanto si trovò a dover adottare, nella maggior parte dei casi, emblemi diversi rispetto a quelli del genitore – anche nell’opera di risanamento del territorio.

Alcune “imprese” sono visibili anche presso il Castello Estense. Come sappiamo, i lavori per la costruzione di questo monumentale edificio incominciarono il 29 settembre del 1385 – il giorno di San Michele – per volere di Niccolò II, predecessore

189 E.DOMENICALI, 2007. 190 Fig. 39, p. 287. 191 Fig. 40, p. 288. 192 Fig. 41, p. 288.

di Niccolò III, il quale subentrò poi alla guida della città nel 1393, a soli dieci anni, e dovette affrontare una congiura e diversi problemi prima di salire al potere.

L’unicorno rampante di Niccolò II si distingue nei voltatesta con scudetti che ornano il cordolo in marmo intorno alle pareti esterne delle quattro torri del castello, assieme alle antiche insegne del casato: la ruota e l’aquila monocipite.

Anche la Torre dei Leoni, nell’angolo nord-est, che era preesistente al resto della costruzione e svolgeva la funzione di rocca difensiva, e che presenta tuttora il caratteristico cordolo a torciglione diamantato, mostra l’unicorno scolpito sui voltatesta: segno che questo animale, prima ancora di essere adottato da Niccolò come simbolo personale, faceva parte del corredo estense di immagini dinastiche, legate ai bestiari medievali e ad un universo di simboli non sempre facili da interpretare. Una di queste antiche figure è anche quella del grifone, presente nella chiave di volta di alcune sale del pianterreno e detto erroneamente anche worbas, in quanto compare sui copricapi dei due leoni rampanti presenti sul bassorilievo in marmo che si trova sulla Torre dei Leoni: la scritta WORBAS sul cartiglio mostrato dai suddetti animali è stata interpretata come un incitamento militare, “sempre avanti”, in lingua volgare germanica193.

Il cortile interno del Castello mostra altre “imprese”, questa volta collegabili all’epoca borsiana o a quella di poco successiva: si tratta della bacinella con le fiamme e dell’anello con diamante – che poi verrà adottato dal fratello di Borso, Ercole – visibili sui capitelli di due delle colonne che sorreggono il loggiato194. Tali immagini sono scolpite su due scudetti, analogamente a quanto si può riscontrare al piano nobile, dove – nel loggiato cosiddetto “degli Aranci” – si può notare su una colonna la riproduzione della granata svampante di Alfonso I.

193 Fig. 42, p. 289.

Soltanto in questi tre casi si riscontrano immagini di “imprese” estensi sulle colonne: la maggior parte dei capitelli presenta scudetti erasi, o con ornamenti di tipo generico. E’verosimile dunque pensare che tale decorazione potesse essere facilmente modificata, e gli emblemi fossero di conseguenza aggiornati con l’avvento di un nuovo duca, così come accadeva nei codici miniati o negli ornamenti a fresco.

Anche la “chiodara” è presente tra le decorazioni del Castello, sebbene la sua posizione la renda poco visibile all’occhio dello studioso e del visitatore: essa fa parte, infatti, dell’ornamento pittorico che sovrasta una delle finestre del cortile interno – sul lato sud – e si può esaminare, anche se da lontano, dalla finestra dell’ambiente di fronte, attualmente adibito a bookshop del Museo195. Tale immagine, realizzata in bicromia, testimonia l’esistenza di un antico apparato decorativo, oggi quasi completamente scomparso, anche sui muri esterni del Castello. L’abitudine di affrescare chiese e palazzi anche sulle pareti esteriori, da impiegare nel corso di feste, tornei e rappresentazioni - dopo aver ricoperto i caratteristici mattoni con uno strato di intonaco - era molto diffusa a Ferrara in età medievale e rinascimentale. Testimonianza ne è lo stesso di Palazzo Schifanoia, la cui facciata è stata studiata per la prima volta da Ranieri Varese196 e ricostruita come una sorta di fondo scena, con descrizioni ed incisioni: la funzione teatrale era completata in questo caso dall’alto portale di marmo, da cui entravano ed uscivano gli attori. «Un tipico frons scenae è il muro merlato, ampiamente adoperato proprio per la sua genericità e polivalenza»197 E’molto probabile che ogni finestra della corte interna del Castello Estense recasse dunque un tempo l’immagine di una diversa “impresa”, delle quali soltanto una si è conservata a fatica, sotto forma di fragile sinopia.

Altre insegne, borsiane e non, si trovano presso la Certosa di Ferrara, oggi cimitero monumentale e un tempo monastero voluto proprio dal primo Duca estense nel 1452. 195 Fig. 45, p. 290. 196 R.V ARESE, 1978. 197 I BID. p. 56.

Grande fu la dedizione di Borso nei confronti di questo luogo, e generose le somme da lui impiegate per la decorazione del medesimo, tanto che gli venne concesso di essere sepolto fra le mura cartusiane.

Oltre agli emblemi di Borso – FIDO e unicorno – sui pilastri della chiesa di San Cristoforo, posta al centro del complesso, si distinguono anche il diamante di Ercole I e la granata svampante di Alfonso I198. Nel medesimo luogo di vede anche l’enigmatica bacinella con le fiamme, che Micaela Torboli, nel suo recente intervento nel volume San Cristoforo alla Certosa di Ferrara – dedicato ai restauri del tempio ed alla sua restituzione al pubblico – suggerisce essere visivamente simile all’athanor, «il crogiolo alchemico usato per la cottura della pietra filosofale»199.

Molto complesso è l’apparato decorativo dell’interno della chiesa, che comprende anche enigmatici motivi vegetali e figure misteriose di animali, come il falco accompagnato dal motto “con tempo”, mai visto prima in ambiente ferrarese.

Un altro unicorno borsiano, di cui ora non abbiamo più traccia se non nei documenti dell’epoca200, compariva anche sulla cisterna della Certosa, decorata in metallo dorato da Domenico di Paris tra il 1468 e il ’69.

Un caso particolare rappresentano poi gli emblemi borsiani – unicorno, FIDO, battesimo – presenti su alcuni capitelli utilizzati per la costruzione della serra del Palazzo di Giulio d’Este. Studiati nel 1915 da Filippo De Pisis, ed in tempi più recenti da Enrica Domenicali, i capitelli sembrano provenire da un gruppo di colonne provenienti dal Palazzo di Belfiore, reimpiegate agli inizi del XX secolo per la decorazione della serra. Altri capitelli sarebbero stati portati a Baura, presso la Villa Sani-Ravalli: «molto danneggiati per scalpellature e tutti incrostati di licheni»201 già al

198 Figg. 46 e 47, p. 291; fig. 19 p. 278; fig. 48, p. 292 e figg.49, p. 292 e 94, p. 314. 199

M.TORBOLI, 2007, Simboli di pietra a San Cristoforo, p. 61.

200ASMo, Camera Ducale Estense, Amministrazione dei Principi, A) Regnanti, 17; Certosa (1467-1469); cc- 63-69 – App. 1, pp. 230.

201 F.D

tempo in cui li descrisse De Pisis, a tutt’oggi «sono risultati irreperibili»202 in seguito ad un furto.

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