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Il forno del ceramista: ipotesi fra alchimia ed artigianato

Il gran numero di manufatti e l’interesse dimostrato dagli Estensi per le opere ceramiche lascia supporre la presenza di alcune fornaci in città, nonostante non ne siano mai stati rinvenuti i resti durante gli scavi archeologici effettuati nel centro urbano. Soprattutto, il ritrovamento di molti cosiddetti “scarti di cottura”381 farebbe propendere per l’esistenza di botteghe locali: il Piccolpasso ne ha immaginata una addirittura in Castello, ed anche il Campori ha abbracciato questa tesi.

Come afferma Giuseppe Agnelli, i numerosi materiali ceramici rinvenuti in Via Cisterna del Follo, Corso Giovecca, Via Vittoria, Borgo San Giorgio, nei pressi del

379 R.M

AGNANI in La ceramica graffita (…), 1998, scheda n. 294, p. 248.; fig. 86, p. 310. 380 I

BID.

Castello e nella zona di Quacchio risolvono «ogni dubbiezza circa una lavorazione locale»382, come pure «la scoperta (…) di numerosissimi treppiedi di terra cotta, comunemente chiamati zampe di gallo, che servono (…) per mettere l’una sull’altra le scodellette da infornare per la seconda cottura»383.

Durante gli scavi del 1906, in Castello si ritrovano «alcuni graffiti malandati della prima cottura e mancanti del dipinto, tra i quali il fondo di un piatto a cui è ancora attaccato il treppiede»384: questa ed altre scoperte inducono Agnelli ed altri a sostenere «che Ferrara abbia largamente coltivata l’arte della ceramica»385.

Un buon numero di supposizioni si possono poi azzardare anche riguardo all’esistenza a Ferrara di fornaci da vetro: come riporta Anna Maria Visser Travagli in un saggio del 1996, molti esemplari vitrei sono stati ritrovati negli scavi di Palazzo Paradiso, mentre addirittura alcuni crogioli da vetreria sono stati rinvenuti nei pressi di via Gobetti386.

Oltre ad alcune testimonianze archivistiche riportate da Adriano Franceschini relativamente all’attività del vetraio Baldino da Bologna presso la capitale estense – quest’ultimo ed altri fornaxari de vidri vengono pagati dalla Camera Ducale per «vedrami, bocali et altri lavoreri de vedro et de tera cota (…) per uxo dela Corte»387 – esiste una raffigurazione molto dettagliata di oggetti in vetro nella decorazione affrescata della cappella dedicata ai Santi Cosma e Damiano nel complesso religioso ferrarese di San Paolo, dove, secondo la Visser Travagli, lo stesso Baldino sarebbe stato sepolto. Accanto ai due Santi, raffigurati mentre eseguono la miracolosa operazione di trapianto della gamba di un uomo di colore su un paziente affetto da cancrena, si notano «un’ampolla vitrea con un elegante beccuccio applicato al corpo

382 I BID., p. 7. 383 G.A GNELLI, 1923, p. 6. 384 IBID., p. 8. 385 I BID. 386 A.M.V

ISSER TRAVAGLI, Testimonianze figurative della produzione vetraria (…), 1996. 387 A. F

ovoide, con il fondo rientrante, su piede troncoconico, decorato da una serie di anelli circolari dorati»388 sulla testata del letto, due «bicchieri entrambi troncoconici su base apoda, in vetro bianco cristallino»389 ed una bottiglia con «corpo globulare su alto piede a tromba, [e] lungo collo cilindrico»390 su una credenza.

Tali indizi fanno supporre alla studiosa «una continuità di produzione e lavorazione del vetro a Ferrara»391 addirittura dall’ultimo quarto del Duecento.

Se volessimo provare a ricostruire le forme di un forno per il vetro o di uno per la ceramica probabilmente esistiti a Ferrara nella seconda metà del XV secolo, dovremmo rifarci a disegni relativi ad altri contesti, come la fornace disegnata da Cipriano Piccolpasso392, l’officina vetraria riprodotta da Vannuccio Biringuccio393, oppure l’immagine di un forno da fusione depositata presso la Biblioteca Apostolica Vaticana394. Queste ultime due immagini hanno indotto Federica Toniolo ad ipotizzare una connessione tra l’insegna nota come “bacinella con le fiamme” ed una fornace395, data la presenza – in molte raffigurazioni di tale emblema – di una sorta di canna sul lato della bacinella.

Esaminando il De pirotechnia del Biringuccio, ove si trovano le norme per la fusione di diversi metalli e per la lavorazione del vetro, si può avere notizia dell’uso di tali canne, nelle quali gli operai soffiavano fino a conferire alla materia ancora incandescente la forma desiderata: il vetro «lavorasi soffiando con certe canne di ferro con lalito de gli huomini, delle quali ogni operaio ne tien due suttilmente fatte (…) e con una d’esse cava il vetro del concone attaccandolo alla ponta e a poco a poco come

388 A. M. V

ISSER TRAVAGLI, Testimonianze figurative della produzione vetraria (…), 1996, p. 65. 389 I BID. 390 I BID. 391 I BID. 392 C. P

ICCOLPASSO, 1976 (ante 1558), p. 117; fig. 87, p. 311. 393 V. B

IRINGUCCIO, 1550 (II ed.), c. 44v; fig. 88, p. 311. 394

F.TONIOLO in La Bibbia di Borso d’Este. Commentario al Codice, 1997, vol. II, p. 491; fig. 89, p. 312.

395 Cap. 1, p. 22; Cap. 3, p. 82-83; F.T

ONIOLO in La Bibbia di Borso d’Este. Commentario al Codice, 1997, vol. II, p. 487.

cosa viscosa avoltandovelo sopra (…) dipoi soffiando per lo vacuo della canna ne fanno come una vescica, e girandoselo sopra alla testa lo allongano di forma (…) e dipoi dalla prima canna staccandolo il ripigliano nel fondo con laltra (sic!) e lo aggiustano (…)»396.

L’elemento laterale presente nell’insegna borsiana potrebbe essere altresì identificabile con la “vedetta”, un bastoncino usato per il controllo della cottura nel forno del ceramista: come spiega il Piccolpasso, le “vedette” si inserivano nelle finestrelle laterali «per le quali si veggano i vasi quando son cotti»397, permettendo di verificare l’avanzamento del lavoro.

In tutte le immagini di fornaci a noi pervenute, sembra inoltre essere molto chiaro l’elemento delle lingue di fuoco che fuoriescono dalle imboccature: si tratta di un particolare che si ripete anche nell’emblematica estense, sia nella borsiana “bacinella con le fiamme”, che nella “granata fiammeggiante” di Alfonso I.

Lo stesso frontespizio del De pirotechnia – la cui prima edizione risale al 1540, dunque qualche anno dopo la scomparsa del terzo Duca di Ferrara – mostra, in basso a destra, una coppia di forni caratterizzati dalla fuoriuscita di tre lingue di fuoco, proprio come avviene nella “granata” alfonsiana. Il Biringuccio, nella sua descrizione della fornace, sottolinea in effetti la presenza di «quattro pendini verso le bande di fuore (…), donde hanno da uscir le fiamme»398, che, a causa della visione frontale, non vengono mai rappresentate tutte insieme: così anche nelle “imprese” ferraresi, in cui il fuoco si vede solitamente provenire da tre punti diversi, e talvolta anche da una bocca alla sommità, nel caso della “bacinella”.

Sfogliando un’altra opera assai importante per lo studio della lavorazione dei materiali nel XVI secolo – il De re metallica di Georg Bauer, alias Agricola, erudito tedesco vissuto alla corte di Sassonia nella prima metà del ‘500 – si possono trovare altre

396 V. B

IRINGUCCIO, 1550 (II ed.), c. 43r. 397 C.P

ICCOLPASSO, 1976 (ante 1558), p. 128; fig. 90, p. 312. 398 V. B

analogie con le immagini ferraresi, analogie che acquistano un significato ancora maggiore se si riflette sui ritrovamenti di materiale vetrario e ceramico più sopra menzionati, e dunque sul probabile impiego, in città, di tecnologie e macchinari per la fusione.

Il De re metallica viene edito per la prima volta nel 1556, dodici anni dopo la morte di Alfonso I d’Este e quasi un secolo dopo la scomparsa di Borso. Si tratta di un’opera di carattere tecnico, considerata come il primo trattato nel campo delle miniere e della metallurgia, caratterizzata dalla presenza di oltre 290 xilografie, alcune delle quali mostrano varie tipologie di fornace, dalla più semplice in laterizio399, a quella costruita direttamente nei pressi della miniera400, a modelli più complessi, usati per la partizione e la raffinazione dei metalli401. Si può osservare come questi forni, spesso di forma circolare, siano sovente rappresentati nell’atto di emettere dalle numerose bocche alcune lingue di fuoco e di fumo, analogamente alle fiammeggianti “imprese” note a Ferrara come la “bacinella” e, più avanti, la “granata”.

E’dunque probabile che dietro alla misteriosa “impresa” di Borso indicata con il nome di “bacinella con le fiamme” – le cui particolarità sono state riprese dai suoi successori, Alfonso su tutti, per ribadire un rapporto privilegiato degli Estensi con il fuoco e la sua potenza – si nasconda in realtà una fornace, strumento per il lavoro del ceramista, del vetraio, ma anche di un altro personaggio che può definirsi in certa misura un artigiano: si tratta dell’alchimista.

Molte delle notizie intorno ai maghi e agli alchimisti di Ferrara sono soltanto leggende popolari, tuttavia si sa che lo stesso Cosmè Tura amava definirsi Cosmus Pictor ed inserire simboli zodiacali o alchemici in molte sue opere402: la città di Ferrara, più volte definita “magica” dagli studiosi di esoterismo, deve avere alimentato nei tempi

399

G.AGRICOLA, 2003, (1556), p. 176, fig. 91, pag. 313. 400 I

BID., p. 282, 401 I

BID., pp. 377; 384, fig. 92, p. 313 402 Cap. 3, p. 74-76.

antichi tutta una serie di studi sperimentali di tipo alchemico, le cui modalità ed i cui significati sono soltanto in parte spiegabili attraverso le conoscenze moderne.

Forse non sbaglia dunque Micaela Torboli, nell’accostare l’”impresa” con la “bacinella” al mitico athanor403, ossia il forno dell’alchimista: gli esemplari usati a Ferrara nel ‘400 non saranno stati tanto diversi dai normali forni per cottura di materiali come la ceramica o il vetro, anzi nulla ci vieta di pensare che questa magica arte abbia potuto essere esercitata dagli stessi maestri vetrai e ceramisti, che come i pittori, alla stregua del Tura, avevano la possibilità di entrare in contatto con diverse sostanze e di studiare i vari cambiamenti della materia; inoltre conoscevano bene il fuoco e la sua azione distruttiva o migliorativa sui diversi elementi.

All’interno di una miniatura visibile nella Bibbia di Borso – alla carta 47v del primo libro, – è interessante osservare una scena tratta dal Levitico (X, 1): i figli di Aronne, colpevoli di avere offerto al Signore un sacrificio illegittimo, vengono divorati da una lingua di fuoco venuta dal cielo. Il braciere davanti al quale si trovano i due sventurati giovani mostra un’apertura laterale da cui fuoriescono alcuni rami e diverse fiamme, e si presenta in maniera molto simile a molti degli strumenti da cottura più sopra considerati404.

La “bacinella” è poi da alcuni identificata con il fonte battesimale: Morena Poltronieri ed Ernesto Fazioli, autori di Ferrara magica, identificano con il “Battesimo” i pluviali fiammeggianti scolpiti alla base di alcune colonne nella chiesa di San Cristoforo alla Certosa, affermando che tale simbolo «evoca il potere del cielo e il congiungimento allo stesso (…), a ciò si unisce il Sole, come purificazione, ma anche completamento del battesimo, attraverso l’elemento Fuoco»405.

403 Cap. 3, p. 72.

404 Fig. 93, p. 314. 405 M.P

Nelle xilografie che ornano il testo di Agricola più sopra ricordato, notevole è inoltre la somiglianza della fornace spenta406 con il cosiddetto “abbeveratoio dei colombi” borsiano407, sia per la forma rotondeggiante, che per la presenza di numerose finestrelle alle pareti.

Si può ipotizzare, dunque, che quest’ultimo non sia altro che un forno senza lingue di fuoco, e dunque possa rappresentare una variante della “bacinella con le fiamme”. Ecco che i due elementi opposti, acqua e fuoco, vengono nuovamente abbinati, qui come nel sacramento del Battesimo, dove attraverso il contatto con l’acqua benedetta si garantisce l’unione con il fuoco dello Spirito. Non è improbabile, quindi, che le tre “imprese” qui menzionate – fonte battesimale, abbeveratoio dei colombi e bacinella con le fiamme – rappresentino in realtà tre diverse fasi di uno stesso processo, il cui significato si potrà realmente comprendere solo trovando una logica congiunzione fra l’elemento religioso e quello esoterico, per nulla secondario all’interno di una Corte come quella di Ferrara.

406 G.A

GRICOLA, 2003, (1556), p. 474; fig. 95, p. 315. 407 Fig. 96, p. 315.

Capitolo 6

Per una cronologia delle “imprese” borsiane

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