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André Gardies

Un'altra delle teorie prese in considerazione è quella di André Gardies, in particolare nell'opera Le récit filmique (1993). Egli sottolinea come la proprietà peculiare della narrazione filmica sia quella di dispiegare la sua attività narrativa facendo uso di un linguaggio audiovisivo; il cinema, grazie all'immagine in movimento, innanzitutto mostra, poi eventualmente racconta. In una prospettiva del genere è il racconto ad essere subordinato all'immagine, non viceversa60. Si sofferma, poi, sulla nozione di spazio, spesso visto (insieme al tempo) come una sorta di ausiliare subordinato all'azione. Gardies individua, nel film, quattro livelli di spazio: lo spazio cinematografico, lo spazio diegetico, lo spazio narrativo e lo spazio spettatoriale61. Quello cinematografico è lo spazio della fruizione del film, in cui l'individuo si trasforma da soggetto sociale a soggetto spettatoriale atto a partecipare attivamente alla ricezione del film. Lo spazio diegetico è quello in cui è collocata la vicenda del film; esso sorpassa e allarga lo spazio rappresentato grazie alla capacità interpretativa dello spettatore, il quale si trova ad “intuire” uno spazio anche non mostrato, ma comunque coerente con quello mostrato. Lo spazio narrativo, invece, è lo spazio in

59 Ibidem.

60 A. Gardies, Le récit filmique, Paris, 1993, p. 10. 61 Ivi, p. 70.

quanto parte integrante del racconto e ha funzione attanziale, ossia può fungere da opponente o da aiutante per il soggetto (ad esempio, un ambiente ostile o pericoloso può rappresentare un'ulteriore ostacolo per il protagonista). Lo spazio narrativo svolge la funzione oggetto nei film di conquista, come certi western, o laddove un certo luogo sia oggetto dell'invasione di qualcuno62.

La gestione del sapere in un film si articola secondo tre domande distinte: chi parla (eventuale voce narrante), chi vede, e cosa sappiamo e come. Come visto in precedenza, Genette ha usato il termine focalizzazione per mostrare in che modo gli avvenimenti diegetici possano essere appresi a partire da una sorgente della percezione (interna o esterna), oppure no (focalizzazione zero). Nel cinema, in un certo senso, questa scelta non esiste, poiché il racconto passa obbligatoriamente attraverso una sorgente, quella ottica dell'obiettivo. Vi sono, comunque, due tipi di focalizzazione, una fissa e ottica, e l'altra dipendente dalle strategie narrative. Gardies a tal proposito sostiene che la prima, chiamata localizzazione, dipenda dalla posizione della macchina da presa al momento delle riprese; la seconda, invece, chiamata mostrazione, riguarda ciò che il film decide di far vedere e sapere. Entrambe, seppur in maniera differente, concorrono a definire ciò che lo spettatore può o deve vedere63. Raccontare, al cinema, è innanzitutto far vedere, anche se non si può dire che l'atto narrativo si riduca soltanto a

62 Ivi, p. 78. 63 Ivi, pp. 100-101.

questo; mostrando, e facendo vedere, il film dispensa il suo sapere. Ciò che viene mostrato è frutto di una precisa scelta e le decisioni relative al mostrare contribuiscono a definire il sapere dello spettatore; questo sapere è poi arricchito da altri elementi: quello verbale, quello “rumoristico” e quello musicale.

La localizzazione, in virtù delle leggi ottiche e della prospettiva, costruisce l'occhio spettatoriale; la mostrazione, però, trasforma il suddetto occhio in uno sguardo. Gardies specifica che la mostrazione non deve essere considerata come un momento distinto dalla narrazione, ma come un momento di creazione del linguaggio in cui il mostrare può raccontare64. Nello specifico, la localizzazione determina il campo del visibile, delimitato soprattutto dall'inquadratura ma anche dagli oggetti che eventualmente ostacolano la vista. Essendo il risultato di una delimitazione, l'esistenza del visibile implica inevitabilmente l'esistenza di un non visibile; questo, però, è differente rispetto alla distinzione tra campo e fuori campo, perché l'opposizione tra visibile e non visibile si articola su un regime di sapere differente. Infatti, mentre il visibile è fonte di un sapere assertivo (io vedo, dunque so), il non visibile stabilisce un sapere ipotetico. Mostrare, far vedere, a partire dalla localizzazione, è anzitutto proporre un insieme di informazioni di carattere assertivo o ipotetico; quindi mostrare è anche dire. Se ogni piano, preso singolarmente, stabilisce la distinzione tra il visibile e il non visibile, tra il sapere assertivo e quello ipotetico, lo fa inserendosi

nella catena filmica; ciò che esso mostra qui e ora, in quel particolare piano, assume il suo senso in rapporto ai piani che, nel sintagma, lo precedono e lo seguono. Un piano, preso singolarmente, comporta ciò che potrebbe essere chiamato valore denotativo (è ciò che mostra), che rileva fondamentalmente la localizzazione, e valore addizionale che è il risultato della funzione narrativa di quel piano all'interno della catena filmica65.

Per quanto riguarda la mostrazione, invece, Gardies ne distingue diversi tipi. Anzitutto c'è la mostrazione interna, in cui il portatore di sguardo è interno alla diegesi; l'esempio più semplice di un caso del genere è la soggettiva propria, prodotto di due inquadrature, quella di un vedente e quella di una cosa vista. Vi sono, però, altre due modalità di diegetizzazione dello sguardo, ossia la soggettiva presunta e la semi-soggettiva (o soggettiva impropria). La prima si ha quando un piano contiene delle marche di soggettività e quindi ciò che viene visto sembra essere inscritto nel mondo diegetico; questi indici di soggettività possono essere l'ombra di un personaggio, un ciuffo di capelli che ostacola lo sguardo, ma anche il tremolio della macchina da presa, o un'angolazione rara che si possa attribuire alla posizione oculare di un personaggio. In nessun caso si tratta di indici certi: essi devono essere confermati dal contesto del film. La seconda modalità, invece, si ha quando il vedente e la cosa vista compaiono entrambi nella stessa inquadratura, in particolare, il primo da vicino e di spalle. La macchina da presa mostra ciò che il personaggio vede senza però

prendere il suo posto: lo spettatore vede il soggetto che guarda, ma ne condivide, più o meno, la visione. Come si è visto, le diverse modalità di mostrazione interna invitano lo spettatore ad essere più vicino agli avvenimenti, ad entrare con l'immaginazione nel mondo diegetico66.

La mostrazione interna viene usata quasi sempre in momenti specifici e per brevi intervalli di film, invece quella esterna, in cui la sorgente di sguardo non appartiene alla diegesi, è più ordinaria. Non esiste, però, una sola tipologia di mostrazione esterna; talvolta lo spettatore ha l'impressione che gli venga mostrato tutto, in modo fluido e trasparente, altre volte, invece, ha la sensazione che qualcosa gli venga celato da qualcuno che stabilisce cosa deve e cosa non deve far vedere. Proprio in questo caso, secondo Gardies, il legame tra il visto e il mostrato diventa particolarmente sensibile: nel rifiuto di mostrare, l'atto della mostrazione si manifesta con forza67. A questo punto Gardies distingue due regimi di mostrazione esterna, ossia la mostrazione esterna ad enunciazione mascherata e quella ad enunciazione marcata. La prima, che non presenta indici di soggettività, è il regime di visione più ordinario, soprattutto nel cinema classico; il film pone lo spettatore nella condizione di una visione panottica e di sapere totale, oltre che di neutralità della visione: eventuali momenti d'ombra o di depistaggio verranno sicuramente risolti al più

66 Ivi, p. 104. 67 Ivi, p. 105.

presto68. Si parla di “mostrazione esterna ad enunciazione marcata”, invece, quando il film tiene lo spettatore al margine del mondo diegetico, negandogli delle informazioni e ponendolo in una situazione di distanza dall'universo narrativo, in cui il non visto finisce per essere più importante del visto. Questo ruolo, a volte, può essere svolto anche mostrando troppo perché un eccesso mostrativo è una marca di enunciazione che amplifica la presenza di un'istanza che gestisce la narrazione. Presenta, dunque, indici di soggettività simili alla soggettiva presunta, ma questi non sono attribuibili ad un personaggio. In ultimo, un caso particolare per Gardies è la cosiddetta soggettiva negata: viene mostrato un personaggio nell'atto del guardare, ma viene negato il controcampo della cosa vista.

Per tener conto dell'organizzazione triangolare delle figure coinvolte nella gestione del sapere, ossia personaggi, enunciatore e spettatore, Gardies introduce il concetto di polarizzazione. Il sapere che genera la polarizzazione ha per oggetto il mondo diegetico, ovvero ciò che si conosce, come e quando, e così via. Gardies propone sei possibili varianti di articolazione delle informazioni tra i tre poli sopracitati, posto che l'enunciatore beneficia di uno statuto privilegiato perché conduce il gioco; egli ne sa sempre più dei personaggi, ma talvolta finge di saperne meno o come loro. Il primo caso è quello dello spettatore posto in inferiorità cognitiva (En>Sp<P); il secondo caso, pone lo spettatore allo stesso livello del personaggio, ma l'enunciatore ne sa più di entrambi (En>Sp=P). Nel

terzo caso, lo spettatore ne sa più del personaggio, ma meno dell'enunciatore (En>Sp>P); oppure l'enunciatore ne sa quanto lo spettatore, ed entrambi ne sanno meno del personaggio (En=Sp<P). Gli ultimi due casi possibili prevedono o che tutti sappiano le stesse cose (En=Sp=P), o che l'enunciatore e lo spettatore ne sappiano più del personaggio (En=Sp>P)69.

Semplificando, si può dire che si ha polarizzazione-spettatore (En=Sp>P) quando l'enunciatore permette allo spettatore di partecipare della sua onniscienza, di vedere e di ascoltare tutto ciò che serve per avere piena coscienza del mondo del racconto, e quindi gli consente di porsi in una situazione di superiorità cognitiva rispetto al personaggio; tutte le lacune aperte dal racconto vengono colmate. Con la polarizzazione-

enunciatore (En>Sp<P), l'enunciatore pone lo spettatore in una condizione

di inferiorità cognitiva, anche rispetto al personaggio; lo spettatore si sente relegato in una posizione marginale del mondo diegetico: il tutto è funzionale all'effetto sorpresa, in quanto lo spettatore è tenuto all'oscuro di una serie di fatti che verranno svelati solo allo scioglimento dell'intreccio (nel cinema moderno lo svelamento può non avvenire). Infine, con la

polarizzazione-personaggio (En=Sp=P), l'enunciatore finge che il proprio

sapere coincida con quello del personaggio e lo spettatore, di conseguenza, si muove entro questi stessi confini. Lo spettatore è posizionato all'interno dell'universo diegetico, ancorato al sapere e, talvolta, agli affetti di un

attore: viene favorita una forte comunanza fra spettatore e personaggio70. In verità, Gardies esclude la possibilità in cui enunciatore e spettatore ne sappiano meno del personaggio (En=Sp<P); l'enunciatore semplicemente finge di non sapere, dicendo meno di quello che effettivamente sa.