• Non ci sono risultati.

Le anime del movimento tra nuova identità e vecchie ideologie 123 

III. Nota metodologica 16 

3.2 Le anime del movimento tra nuova identità e vecchie ideologie 123 

L’ideologia è l’insieme dei contenuti simbolici attraverso cui gli attori si rappresentano la propria azione all’interno di un sistema di rapporti sociali.

(A. Melucci)

Un movimento non è la sommatoria di “componenti”, ma un insieme di persone che trasformano sé stesse trasformando il mondo.

(CSOA Askatasuna)

Un passaggio fondamentale nella costruzione simbolica di un conflitto è la definizione dell’identità di chi protesta, il “noi” contrapposto al “loro”.

Nell’affrontare il nodo della rappresentazione dell’azione collettiva, ossia del modo in cui gli attori si rappresentano la propria azione e dell’immaginario simbolico che le conferisce senso, ci soffermiamo sulle ideologie che animano il movimento No Tav e del modo in cui convivono tra loro.

Prendendo in esame il ruolo e le forme dell’ideologia all’interno di un movimento sociale, a partire dalla sua fase di formazione e nel suo consolidamento organizzativo, nella sua sovra- struttura ideologica è possibile identificare tre elementi analitici – una definizione dell’attore sociale che si mobilita, dell’avversario a cui ci si oppone e degli obiettivi collettivi della lotta – i quali vengono combinati in un sistema complesso di rappresentazioni (Melucci 1977).

Per comprendere come si costruisce il discorso identitario No Tav e quali differenti ideologie vi confluiscano all’interno, iniziamo con il tracciare un profilo delle posizioni politico-culturali delle differenti componenti che animano la mobilitazione.

Nel corso della ricerca ci siamo già soffermati sull’eterogeneità del movimento e, soprattutto nella ricostruzione cronologica dell’opposizione, abbiamo avuto modo di relazionarci con il sistema di alleanze nate in seno alla protesta. In questa sede approfondiremo il discorso della molteplicità delle anime No Tav, cercando di comprendere come queste abbiano contribuito a dare forma ad una comunità di resistenza che ha elaborato una nuova identità collettiva.

Iniziamo col dire che individuiamo quattro aree di movimento ed una quinta componente, quella delle istituzioni locali, la quale non può essere considerata una vera e propria area, ma che comunque ha un ruolo significativo all’interno della vicenda. Gli amministratori locali costituiscono, a nostro avviso, una sorta di dentro/fuori, molti di loro si riconoscono pienamente parte del movimento e partecipano attivamente a gran parte dei momenti collettivi; nello stesso tempo, nella loro veste ufficiale sono parte di un sistema che si cerca di cambiare, per cui è come se si creassero due livelli di partecipazione: uno più personale in cui si è No Tav fino in fondo ed uno pubblico in cui lo si può essere solo in parte.

Nello specifico abbiamo:

 Area militante (centri sociali, collettivi anarchici, CLP)

Area ambientalista (gruppi ed associazioni, come ad esempio Habitat)  Area cattolica

124

La quarta area è contraddistinta da un certo pluralismo ed al suo interno sono presenti subculture come quella di sinistra, ma anche leghista che, a differenza delle ideologie cattolica e militante hanno finito con il perdere la connotazione originaria, a causa del processo di delegittimazione dei partiti e di messa in discussione dei valori fondanti che li differenziavano.

L’area militante costituisce l’ambito più politicizzato ed è, a sua volta, composta da gruppi che non sempre condividono un’unità di vedute. In modo particolare tra la componente anarchica e quella dei centri sociali sono emerse in più occasioni divergenze soprattutto in merito alle pratiche da adottare nella lotta. Resta il fatto che vige comunque un richiamo all’unità – che si concretizza nei momenti di azione e negli obiettivi – che finora è riuscito a confinare in secondo piano le divergenze.

Melucci sottolinea il fatto che l’esigenza di riuscire a mantenere l’unità dell’organizzazione è tanto più forte quanto più il movimento si consolida e l’ideologia è uno degli strumenti strategici e principali attraverso cui assicurare la funzione d’integrazione.

Una buona parte dell’ideologia politica del movimento è frutto dei contributi di quest’area, Caruso parla di una “pedagogia tattica” che i diversi soggetti che la compongono hanno saputo socializzare agli attivisti meno esperti.

Spieghiamo di seguito, attraverso le testimonianze degli attivisti, in che cosa consiste concretamente questa peculiare trasmissione di conoscenza nella/per la lotta.

I ragazzi ci hanno dato un grande aiuto. Noi altri non sapevamo come comportarci nel confronto con le forze dell’ordine, ti trovi lì davanti e agisci d’istinto ma non sai bene qual è il modo migliore. Tante cose ce l’hanno insegnate loro, quando c’è stata la liberazione di Venaus sono stati loro a non farci avere una reazione più forte di quella che c’è stata, sembra stano ma è così, hanno fatto un cordone per farli ritirare [forze dell’ordine]. Che umiliazione che hanno avuto! Nella lotta devi avere delle strategie e devi sapere come si comporteranno dall’altra parte e su questo loro sono molto più preparati. Nella libera repubblica della Maddalena li abbiamo conosciuti meglio, stavamo tutti insieme tutto il giorno e anche la notte. Parlandoci ti rendi conto che sono delle persone molto preparate e che hanno idee giuste, poi ti ascoltano anche e si confrontano, non sono chiusi nel loro mondo.

(Attivista di Susa)

Questi ragazzi hanno un grande altruismo, si sono dati molto per la nostra causa e l’hanno fatto sempre senza pensare alle conseguenze che avrebbero avuto. E ne hanno avute tante. Ci hanno sempre difesi pensando a noi prima che a loro. Quando c’è stato lo sgombero della Maddalena ci hanno difesi fino alla fine. Non tutti eravamo in grado di scappare via e loro sono tornati indietro per darci una mano, potevano andarsene ma non l’hanno fatto. Sono i nostri ragazzi!

(Attivista di Chiomonte)

Questi ragazzi stanno pagando un prezzo molto caro [si riferisce alle denunce e condanne] , io cerco sempre di essere lì con loro quando c’è bisogno perché non mi va di lasciarli soli. Ce ne sono tanti che vengono da fuori e se tu pensi che lo fanno perché credono in qualcosa di nobile non puoi che apprezzarli e dargli tutto il tuo sostegno. Ognuno porta il suo contributo che non è solo fisico, c’è una ricchezza interiore, è un aspetto che ha fatto grande il movimento.

125

Per quanto concerne quella che abbiamo definito area ambientalista, che gravita intorno alle associazioni, ha anch’essa una composizione eterogenea, in cui si mescolano diverse appartenenze ideologiche che vanno dall’attivismo cattolico alla sinistra radicale Questa componente, oltre ad aver fornito agli attivisti molti dei codici attraverso cui affrontare gli aspetti tecnici dell’opera ha anche curato, soprattutto nelle prime fasi, i rapporti con le istituzioni locali e ha fornito gli strumenti per contrapporsi all’avversario su un piano istituzionale.

L’area cattolica è di certo una componente varia che registra al suo interno una partecipazione altrettanto variegata, uno tra gli aspetti peculiari è l’attenzione verso la “cura del creato”, ma è un qualcosa che trascende il semplice rapporto con l’ambiente e si proietta su un discorso di sfruttamento dell’uomo sull’uomo. In realtà non siamo in grado di disgiungere quanto ci sia di retaggio passato e quanto sia il prodotto di un’elaborazione successiva in tutto ciò. Il “salto di qualità”, a nostro avviso consiste proprio nell’aver saputo congiungere i due aspetti nella lotta.

Nei seguenti cinque frammenti appartenenti ad un’unica intervista è riscontrabile l’intreccio tra le due dimensioni e il momento di sintesi identitaria ed ideologica. Si è cattolici ma si è allo stesso tempo No Tav, così come vicino alla statua di Padre Pio e della Madonna “convive” in piena armonia il “campo della memoria” in ricordo della resistenza partigiana.

Come Cattolici nel movimento ci siamo noi “Cattolici della Valle”. Abbiamo costituito questo gruppo che è diviso in due parti, in realtà non è diviso però per capirci diciamo così, c’è un gruppo che si occupa della preghiera e dei contatti con le istituzioni gerarchiche, che sono i più duri da far muovere, e poi c’è il gruppo che viene tutti i giorni qua a pregare e a controllare il territorio ed a raccontare fuori che cosa c’è di nuovo al cantiere. Cerchiamo di convincere anche gli altri a venire al cantiere, ci rendiamo conto che c’è un po’ di paura e quella va superata, perché il non far venire nessuno è funzionale al sistema, meno gente vede e meno si sa in giro di quello che stanno facendo. Chi viene qui può capire e vedere cosa può accadere poi a Susa ed in bassa Valle, la devastazione che loro s’immaginano per il nostro futuro. Noi siamo convinti che il rispetto della Terra provenga dagli umani e come cattolici non possiamo condividere questi progetti di distruzione. […] Abbiamo fatto un po’ di esperienze con la baita, la Maddalena dove lo stare insieme, condividere dei pasti, dormire insieme è andato di pari passo con altre iniziative come le lezioni di filosofia, le discussioni su vari temi e l’incontro con altre belle persone che resistono in Francia, in Grecia o in altri luoghi.

(Attivista Cattolici della Valle)

Anche in questo caso l’esperienza della libera repubblica della Maddalena è stata determinante per ciò che abbiamo descritto come “contagio” delle differenze, la contaminazione in azione a cui fa riferimento della Porta (2006).

Quante persone sono venute qui da tutto il mondo, non abbiamo solo il TAV in Val di Susa. C’è tutto il discorso dell’America Latina, c’è la Palestina, nel mondo c’è un sistema che sta cercando di soffocarci. Il TAV è funzionale a capire altro. All’inizio pensavo che era solo un dire “no” a quest’opera poi muovendoci per l’Italia, ascoltando chi arrivava da fuori, confrontandoci tra di noi e informandomi ho scoperto che è un disastro generale.

126

L’apertura verso l’esterno, intesa come conoscenza diretta delle diverse realtà in lotta ha comportato un allargamento della prospettiva di analisi del “problema” TAV, il quale viene percepito come il prodotto di un malfunzionamento dell’intero sistema economico-politico. Da ciò si evince che è maturato un superamento dell’istanza locale, che ha contribuito alla rottura dei confini della comunità, proiettandola verso un discorso di incontro extraterritoriale con le alterità, provenienti da diversi contesti.

Magari tra di noi discutiamo anche, come nelle migliori famiglie però si supera perché si deve andare avanti e ci si scopre tutti belli. Quando mi fermano [le forze dell’ordine] e mi dicono siete gli amici dei black block io rispondo: sì cosa avete da dire contro i miei figli, i miei nipoti! Un giorno ad uno di loro gli ho detto mi scusi lei sembra proprio un black bloc guardi com’è armato, lei mi fa paura non i black block.

Noi cerchiamo di mantenere il buon umore, anche prendendoli un po’ in giro [si riferisce alle forze dell’ordine presenti nel cantiere], facendogli vedere quanto è surreale questa situazione. Non manca giorno che gli ripetiamo che loro sono qui a difendere un sistema corrotto, il malaffare, un potere che distruggerà anche loro e le loro famiglie. Gli chiediamo come possano difenderli senza problemi di coscienza. Noi veniamo qui anche a pregare, vedi laggiù c’è una statua di Padre Pio, ma c’è anche una Madonnina167. Tempo fa ci hanno rubato un pilone religioso che hanno rinchiuso nel cantiere, perché sono infastiditi dalla nostra presenza e loro sanno che noi continuiamo a venire anche per questo, ci siamo organizzati un po’ più in là, dove possiamo vederli e loro possono vederci.

Io mi considero No Tav e mi considero cattolica, non c’è differenza, le due cose vanno insieme. […] Sono serenamente convinta della vittoria e dopo dovrà esserci una ricostruzione, il bello che abbiamo trovato non finirà col TAV, e questo piacere di stare insieme tra noi non si può più dimenticare. È stato costruito – adesso noi andiamo lì dai partigiani [durante l’intervista ci trovavamo al cantiere TAV nei pressi del campo della memoria] – anche da altri prima di noi che hanno fatto delle altre esperienze comunitarie, questo fa parte della Val di Susa.

La convivenza tra l’area dei militanti e quella dei cattolici è la testimonianza che è avvenuto il passaggio dalla fusione in una nuova solidarietà alla rinascita di una nuova ideologia collettiva, quella No Tav. Questo passaggio, come ci dice Melucci (1977), avviene attraverso una ristrutturazione delle identità esistenti proiettandole verso una prospettiva di mutamento. Laddove non c’è una rinuncia a ciò in cui si “credeva” prima ma una compresenza del vecchio con il nuovo. Il movimento diventa il luogo della difesa del territorio e della comunità in funzione di un progetto futuro che dovrà varcare i confini territoriali e che già è andato oltre la semplice vertenza locale.

Noi cattolici abbiamo cercato di fare comunicazione, abbiamo cominciato con il nostro vescovo che dice che non si vuole schierare né col sì né col no, ma di fatto è schierato con il sì perché sta

167 Si riferisce alla Madonna del Rocciamelone, simbolo della protezione della Valle. Il Rocciamelone è la vetta

più alta della Val di Susa, di altitudine superiore ai 3.500 metri; sulla sua sommità si erge una statua dedicata alla Madonna, posizionata in quel punto affinché possa vegliare sugli abitanti. Riproduzioni della Madonna del Rocciamelone sono presenti per l’intera valle. Questa nell’immaginario collettivo è un simbolo della Valle stessa e diventa anch’essa un simbolo di Resistenza, in più di un volantino la statua compare con una bandiera No Tav tra le mani. Il pilone votivo, a cui fa riferimento Gabriella, in seguito alla delimitazione dell’area militarizzata è stato rinchiuso all’interno dell’area del cantiere.

127

con il potere. Siamo andati in chiesa in Cattedrale, l’anno scorso, siamo arrivati con un piatto pieno di lacrimogeni, con una preghiera visto che era il giorno della salvaguardia del creato, quindi era il giorno per chiedere al padre eterno ed alla chiesa ufficiale che si tenesse conto che il creato va tutelato. Come ci hanno visto gli son venute le palpitazioni. Abbiamo chiesto di poter leggere questa preghiera prima dell’inizio della messa, prima il parroco ci ha detto di sì, poi invece il vescovo ha detto di no. Al momento delle offerte mio marito ha portato ai piedi dell’altare il cestino con i lacrimogeni e poi tutti ci siamo messi le bandiere No Tav al collo e questa cosa ha scatenato l’ira di Dio. Ma la settimana dopo c’erano nelle chiese tutte le forze militari con le loro divise e le loro bandiere, non so bene in occasione di quale ricorrenza, e quelle andavano bene, eppure fanno la guerra. Comunque ci sono tanti preti che sono come noi No Tav nel territorio che stanno lavorando in questo senso e che stanno dicendo delle cose forti contro la chiesa ufficiale. noi all’interno della chiesa diocesana abbiamo tutta una congrega di persone che se potessero ci brucerebbero come gli eretici, cercano di spaccarci anche tra noi cattolici. Questo c’è perché tutta una parte della chiesa come tutte le istituzioni è demandata al potere, sono venduti, questo noi lo patiamo, i sacerdoti sono stati messi a tacere perché venivano alle marce. Ma se tu non stai vicino al popolo che soffre dove vai. Il TAV è una cosa che sta mettendo in discussione tutto.

Uno tra gli elementi più interessanti della nuova unità comunitaria è racchiuso nel tentativo – ancora embrionale e probabilmente ancora non dotato di piena consapevolezza, da parte di tutte le soggettività – di superare “il provincialismo delle lotte”. L’iniziare a discutere di tematiche quali il lavoro e il diritto alla casa, facendole proprie potrebbe aprire nuovi scenari di mutamento dello stesso conflitto in corso.

Il TAV è fatto per qualcuno che vuole guadagnarci dei soldi, non c’è utilità per nessuno, è una speculazione. Cerchiamo altri modi di crescere insieme, qui c’è anche il problema del lavoro, di un altro tipo di lavoro, qui è nata Etinomia168, abbiamo il progetto di inventare nel futuro come vivere. La grande discussione di questi giorni sarà con l’acciaieria Beltrame169, gli operai hanno chiesto a

noi movimento di dargli una mano, ma la Beltrame ha inquinato per 40 anni e quindi questa è una cosa da togliere. Il lavoro non può essere un ricatto e noi dovremo dirgli che bisogna chiuderla e che possiamo cercare insieme altre vie. In questa fabbrica [stabilimento di S. Didero] ci sono un sacco di persone e si sta parlando di come riconvertire in modo diverso. Dentro i comitati si muove una coscienza collettiva che senza il movimento non ci sarebbe stata, senza i presidi. […] I presidi sono una cosa bellissima, perché sono talmente approssimativi che ti scuotono dentro, tutti abituati con case passate di cera e centrini, case vuote e senza colori arrivi lì e ti senti piacevolmente spiazzato. E non è detto che il passaggio successivo non sia far spazio nelle nostre case a chi una casa non ce l’ha. Avere mille cose che non sai cosa farne a che serve? Quello che conta sono le relazioni. […] Non ci sono rotture sul modo di militare, certo a volte si discute ma sto bene con tutti, ognuno ha la sua bellezza e se ogni tanto ci sono delle azioni più decise è perché si è spinti a questo. Ma non c’è violenza in questo.

168 Da quanto si legge nella descrizione presente sul proprio sito «Etinomia nasce in Val di Susa ad opera di un

gruppo di imprenditori, agricoltori, commercianti, artigiani e liberi professionisti con l’intento di riportare l’Etica al centro dell’economia. A tal fine promuove iniziative mirate allo sviluppo economico, commerciale, sociale ed occupazionale con il primario obiettivo di restituire all’uomo ed al territorio centralità di ruolo, da intendersi come relazione consapevole tra una porzione di terra e la comunità che la abita. Etinomia si propone come fulcro intorno al quale maturino rapporti economici di qualità, superando la logica del consumismo e dello sfruttamento».

Cfr. http://www.etinomia.org/etinomia/chi-siamo/

128

Dalla letteratura di riferimento apprendiamo che un movimento nella prima fase, che corrisponde alla sua nascita e prima organizzazione, attraversa un momento di rinascita, una rigenerazione del presente mediante la riaffermazione mitica di un passato, che diventa l’involucro dentro cui si formano nuovi bisogni e nuovi conflitti.

Il continuo riferimento alla resistenza partigiana, da parte di tutte le aree del movimento, è un esempio di ricostruzione storica – potremmo dire un ri-mettere a valore – che nell’immaginario simbolico collettivo assume i connotati del mito fondatore. Melucci ci dice che questo ricercare un passato caratterizzato da una situazione di purezza originaria è una costante dell’ideologia dei movimenti nascenti; egli definisce quest’aspetto utopia regressiva, laddove la caratteristica generale dell’utopia è l’identificazione immediata tra l’attore e i fini della società globale, in cui il modello culturale di trasformazione della società coincide nell’utopia con l’azione dei soggetti, i quali diventano l’agente diretto di un mutamento generale.

In una seconda fase, alle componenti utopiche subentra un’elaborazione ideologica connessa più direttamente ai problemi specifici del movimento – si assiste ad una ridefinizione degli obiettivi, delle soggettività che si mobilitano e dell’avversario – e vengono sviluppati nuovi linguaggi e simboli atti a definire il campo e gli attori del conflitto.

C’è un detto molto bello che più che un detto è proprio un credo da noi in Val di Susa che è “si parte e si torna tutti insieme”170.

Riprendiamo le mosse da questo detto per introdurre il paragrafo successivo, in cui tenteremo di intrecciare il discorso identitario con quello repressivo. Questa scelta è mossa dalla convinzione che in Val di Susa, a nostro avviso, si stia cercando di mettere in pratica una repressione della nuova identità comunitaria, piuttosto che della mobilitazione. Il consenso popolare di cui gode il movimento dentro e fuori la Valle ed i processi di auto-produzione di spazi e luoghi di un’altra democrazia – che non passa per i canali istituzionali convenzionali –