III. Nota metodologica 16
3.1 L’identità No Tav nel conflitto 112
3.1.1 Il territorio insorgente nella percezione della controparte 119
Proponenti e oppositori hanno due visioni divergenti del territorio sul quale dovrebbe sorgere il progetto TAV. Da una parte vi è la percezione di uno spazio geografico votato, per la sua collocazione di linea di confine, ad essere un ottimo corridoio di attraversamento di merci e capitali; dall’altra il sentire comune di appartenenza ad un luogo che è il frutto di una convivenza e compartecipazione tra la componente antropica e l’ambiente. Allo stesso modo il conflitto in atto su quel territorio insorgente è interpretato, dai fautori dell’opera e dallo Stato, come il risultato dell’agire di frange estremiste e “devianti”, e dai valsusini come un’occasione di riappropriazione e riscoperta di un’identità comunitaria che si è costruita proprio nella lotta.
160 Si riferisce a Nicolas, Stefano e Lorenzo tre giovani di Novalesa (Venaus), i quali stavano pulendo un campo
incolto da tempo dalle sterpaglie per recuperare la terra e ripiantare delle coltivazioni di patate. Nel sistemare il terreno hanno rinvenuto un ordigno risalente alla seconda guerra mondiale che è esploso investendoli con l’urto e le schegge. Nicolas, il più grave dei tre ha subito delle ferite alle mani e agli occhi; attualmente ha perso l’uso della vista.
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Riportiamo uno stralcio di articolo in cui la controparte, mediante l’uso dei propri strumenti d’indagine e analisi dell’avversario, ha rilevato una diffusione extraterritoriale della componente conflittuale interna alla campagna di protesta No Tav.
L’intelligence valuta che negli ultimi mesi il movimento No Tav si sia svuotato di gran parte delle sue motivazioni fondanti (tutela della salute e del territorio), nel tentativo di assumere un ruolo di contrapposizione globale al sistema, con parole d’ordine e su tematiche di carattere sociale (casa, precarietà, lavoro) […] Che gli scontri in Val di Susa stiano diventando una sorta di palestra per far crescere una forma di protesta di matrice movimentista molto più ampia, con l’ambizione di allargare lo scontro a livello nazionale è, a detta degli analisti, un fatto ormai oggettivo. Tanto da permettere ad antagonisti ed anarchici (in gran parte spezzini e toscani) di chiamare la piazza per la manifestazione del 19 ottobre161 con l’obiettivo di portare la Valle in Città e lanciare un segnale
forte al sistema sui temi generali legati alla crisi. Anche se, sempre secondo questi scenari, la capacità di aggregare consenso intorno alla protesta non sarebbe al momento nemmeno paragonabile a quella guadagnata negli anni Settanta dalla campagna di attacco portata dalle Brigate Rosse allo Stato, almeno fino al sequestro e all’uccisione di Aldo Moro.162
Il confronto con le Brigate Rosse, anche se circoscritto al discorso del consenso, lascia intravedere una propensione a cercare di rintracciare nelle mobilitazioni attuali un filo rosso che le colleghi a movimenti e gruppi degli anni ’60 e ’70. Questo discorso è più facilmente individuabile nelle strategie e pratiche repressive messe in campo per annientare l’opposizione valsusina; laddove la criminalizzazione dell’azione collettiva passa attraverso le accuse di terrorismo e il parallelismo con i gruppi rivoluzionari del passato, almeno in riferimento a quelle che vengono etichettate come le componenti antagoniste e sovversive del movimento.
Miguel Benasayag163 descrive l’attuale fase storica come intrisa nella missione di cancellazione del conflitto, inteso come forme di “disordine sociale”, la quale adopera strategie securitarie atte a riportare la stessa conflittualità nel quadro della norma. Tale prospettiva riconosce una legittimità alla violenza di Stato poiché è la sola che agisce per preservare l’ordine e la sicurezza nei/dei territori, all’interno dei quali la governamentalità biopolitica di assoggettamento dei luoghi possa esplicarsi riducendo al minimo le minacce di sovvertimento del sistema.
In Valsusa si sono varcati i limiti di compatibilità (Melucci 1977), la tensione sociale non ha subito il processo di normalizzazione che conduce all’integrazione con il sistema, mentre la resistenza locale si è autorganizzata in pratiche di dissenso che hanno rifiutato il compromesso attraverso le politiche di compensazioni proposte dal Governo, mediante le quali, ad esempio, una stazione internazionale164 – come quella offerta alla cittadina di Susa in cambio del sostegno al progetto TAV – avrebbero dovuto ripagare il potenziale costo ambientale.
161 Si riferisce al corteo dei movimenti, indetto a Roma il 19 ottobre 2013.
162 Stralcio di un articolo comparso nel 2013 su “L’Huffington Post”. Cfr.
http://www.huffingtonpost.it/2013/10/04/no-tav-relazione-intelligence_n_4042037.html
163 Benasayag M., Elogio del conflitto, Feltrinelli, Milano 2008.
164 Il progetto è stato presentato in Prefettura a Torino nel settembre 2012, alla presenza del presidente della
Regione Roberto Cota, della Provincia Antonio Saitta, del sindaco di Torino Piero Fassino, e del primo cittadino di Susa Gemma Amprino, per un costo complessivo è di 48,5 milioni di euro.
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Ma che cosa sta succedendo in Val di Susa? Per la Digos di Torino non ci sono dubbi: da qualche mese c’è stato il salto di qualità. «Quella della scorsa notte è stata violenza allo stato puro – dice il dirigente Digos di Torino, Giuseppe Petronzi – Questi non si presentano per manifestare un’idea. Arrivano travisati ed attrezzati per commettere atti criminali». Non si tratta più soltanto di gente del posto. Molti sono stranieri che «benché appartenenti ad ideologie e movimenti diversi, sono ben disposti a dare una mano quando è il momento di confliggere». Dunque conclude Petronzi, «di fronte a questo crescendo di violenza stiamo modulando la nostra strategia operativa». La Val di Susa, denuncia il segretario generale provinciale del sindacato di polizia Siap, Pietro Di Lorenzo, «è considerata la palestra per i violenti di tutta Europa che si sono dati pubblico appuntamento, presentandosi armati di molotov, razzi e bombe carta intenzionati a fare del male e tutto ciò in Italia viene permesso da due anni». Una denuncia pesante contro la politica quella di Di Lorenzo, che chiede «perché lo Stato sperpera una somma di denaro enorme per difendere un cantiere minacciato da una manciata di violenti senza prendere decisione drastiche per fermarli». Duro anche Silvio Viale, presidente dei Radicali e consigliere comunale a Torino. Per Viale i guerriglieri anti Tav «cercano il morto per bloccare il cantiere ad ogni costo».165
La valle alle porte di Torino sembra essere diventata un laboratorio di guerriglia urbana. Quasi una palestra nella quale alcuni “professionisti della violenza” agiscono indisturbati. Mentre il popolo No Tav continua la sua battaglia silenziosa, senza tuttavia prendere le distanze dai gruppi “anarchici”. Gente che sale in valle da mezza Italia, in gran parte da Milano, Trieste, Bologna, Firenze, ma anche dalla Calabria e dalla Sicilia. Altri dall’estero e non solo dall’Europa: Spagna, Francia, Russia, ma anche Brasile. Non si tratta di ipotesi ma verifiche della Digos che ha identificato decine di anarchici. Dal 2011 sono stati emessi 104 fogli di via, mentre una trentina solo in questo anno, in gran parte provenienti da paesi europei, che la polizia ha accompagnato alla frontiera perché considerati violenti e indesiderati. Si trovavano in Val di Susa come se partecipassero a un corso di formazione. Uniti da un progetto: usare quel cantiere del Tav, divenuto simbolo di una lotta, come obiettivo per sperimentare la guerriglia urbana da spostare in altre zone del Paese. I magistrati sono i primi a fare una distinzione: una cosa è il movimento No Tav che porta avanti una protesta di stampo ambientalista, altra cosa i No Tav di ultima generazione.
Da quanto emerge dalle inchieste e dalle intercettazioni, non rimane molto di quel vecchio ideale ambientalista. Nei blitz violenti e negli attacchi alle forze dell’ordine che presidiano il cantiere investigatori e magistrati vedono dell’altro. Emerge dalle inchieste coordinate da Caselli, dall’aggiunto Sandro Ausiello e dai pm Andrea Padalino e Antonio Rinaudo. Il cantiere della Clarea è diventato il palazzo d’inverno che autonomi e anarchici insurrezionalisti devono conquistare «come obiettivo politico da raggiungere per poter poi crescere e maturare e dilagare con questi metodi di lotta sperimentati in valle». Un salto di qualità, forse non del tutto ancora pianificato, ma nell’aria. Possibile, ipotizzabile. Per questo motivo si teme il dilagare di questi episodi in altre città. E anche per questo motivo la procura di Torino ha avviato indagini collegate e scambi di informazioni con altri uffici inquirenti, come quello della procura di Milano. Intercettazioni e indagini sul campo svelano retroscena di “micidialità” che se messi in pratica in altre zone del Paese potrebbero sconvolgere la vita democratica.166
Nel paragrafo successivo vedremo, attraverso le testimonianze, da quali soggettività sono costituite le varie componenti, come le diverse anime si pongono davanti all’eterogeneità e
165 Cfr. http://www.ilgiornale.it/news/interni/val-susa-palestra-dei-violenti-deuropa-937424.html
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come queste differenze siano divenute un punto di forza nel percorso di costruzione di una comunità di resistenza.