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III. Nota metodologica 16 

4.1 Controllo politico ed expertise 153 

Partecipazione è abitare in comune un luogo, non semplicemente uno spazio fisico, ma un territorio denso di significati in cui la diversa soggettività di ciascuno incontra quella degli altri nella condivisione di senso. […] Partecipare non vuol dire spartirsi i beni, delegando a chi ha più potere il compito di assegnarne a chi ne ha meno. Partecipare è allora, innanzitutto, condividere. E prender parte discende dall’essere parte. Ciò significa esserci, ovvero riconoscere ed essere riconosciuti. L’interazione, la conversazione, lo spazio pubblico libero sono le forme essenziali della partecipazione. E, si badi bene, nello spazio pubblico libero il conflitto è il sale del dibattito e della crescita democratica e quanto più tale spazio potrà essere aperto, tanto più saranno inibite le forme violente e la negazione dell’altro.210 Nella prima parte del nostro lavoro di scrittura abbiamo tentato di delineare un quadro complessivo del contesto socio-morfologico in cui agisce l’azione collettiva, dei processi e meccanismi che incidono sulla mobilitazione e degli elementi costitutivi la dinamica conflittuale. Nel fare ciò abbiamo focalizzato l’attenzione sull’analisi della dimensione partecipativa, intesa non solo come adesione alla campagna di protesta da parte degli abitanti, ma anche come partecipazione (di cittadini e istituzioni locali) ai processi decisionali inerenti la progettazione della grande opera. Attraverso la ricostruzione cronologica dell’opposizione si è cercato di mettere in evidenza la frattura tra “livello locale e centrale” della rappresentanza politica, laddove la concertazione tra le due parti è stata interpretata come tentativo di una delle due (governance centralizzata) di manipolare il consenso.

In questo capitolo affronteremo il rapporto/scontro tra mobilitazione territoriale, dispositivi di potere, expertise 211 e contro-expertise in Valsusa, con l’obiettivo di analizzare, più nello specifico, le pratiche e gli strumenti, messi in campo dalle parti in conflitto, per raggiungere le proprie finalità; le quali coincidono da una parte con la strumentalizzazione dei tavoli di discussione e dall’altra con il tentativo di costruire un repertorio di contro-informazione capace di allargare il consenso e delegittimare il fronte del sì all’opera.

La mobilitazione No Tav rappresenta un caso esemplare, attraverso cui analizzare l’evoluzione del rapporto tra Governo centrale ed Enti locali, da un punto di vista di concertazione politica; infatti nel caso Val di Susa a momenti di chiusura e centralismo hanno fatto seguito parziali aperture, che però sono sfociate in un approccio di carattere autoritativo (Maggiolini 2012).

L’expertise è un elemento molto presente nel processo concertativo avviato dal 2006 in poi, potremmo dire che all’interno dell’Osservatorio il sapere tecnico, da una parte e

210 Frammento dell’intervento di Osvaldo Pieroni su “Governo locale sostenibile, partecipazione, ambiente e vita

buona. Per un nuovo mezzogiorno possibile”. Per una lettura integrale cfr. http://retesudnuovomunicipio.blog.tiscali.it/2005/06/28/intervento_di_osvaldo_pieroni_1265727-shtml/

211 La Commissione europea definisce l’expertise come «varietà di forme di conoscenza specialistica posseduta

da una parte selezionata della popolazione», Luigi Pellizzoni (2011) ne sottolinea le peculiarità di abilità e competenza operativa.

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dall’altra, ha tentato di riaprire un dialogo che comunque è rimasto viziato, già dagli esordi, da tentativi di convincere l’avversario (il movimento nello specifico nelle sue componenti considerate più “moderate”), senza tentare un vero coinvolgimento che rimettesse in discussione i processi decisionali adottati fino agli scontri di Venaus.

Iniziamo col dire che, all’interno dei processi concertativi avviati sul territorio, si palesa una prima divergenza di fondo sul piano degli obiettivi da perseguire; ossia, mentre per la comunità locale l’interesse è quello di rimettere in discussione l’opera e prendere in considerazione altre ipotesi progettuali – che si concentrino sul potenziamento della linea storica – per le istituzioni centrali la priorità consiste nella pacificazione del conflitto in corso, in modo da poter procedere più agevolmente con la realizzazione del TAV.

Il “problema” del conflitto è la causa che fa muovere i Governi verso la ricerca di strumenti istituzionalizzati adeguati, che siano in grado di fungere da luoghi di confronto attraverso cui raggiungere il consenso, il quale presuppone l’accettazione dell’infrastruttura in questione in cambio di compensazioni.

In quest’ottica più che di dialogo tra le parti si può parlare di tentativo di una parte di manipolare il consenso, dove l’avvio dei processi partecipativi non corrisponde con l’intenzione di porre rimedio a quello che è il vero problema, ossia una gestione centralizzata del territorio.

In tale contesto la funzione dell’expertise è quella di convincere gli attori coinvolti nella mobilitazione e l’opinione pubblica della validità della progettazione, e di conseguenza legittimare un determinato modello di sviluppo, presentato come l’unica strada possibile da percorrere per non restare esclusi dal progresso.

Per Ivan Illich212, l’esperto riesce ad influenzare l’opinione pubblica grazie all’autorità cognitiva di cui gode, la quale conferisce una certa credibilità e legittimazione ai suoi “insegnamenti”.

Il rapporto tra expertise e politica, oggi, appare più che mai controverso, dal momento che si manifesta, sempre più spesso, una contaminazione reciproca tra la scienza – ritenuta luogo di verità oggettive – e il potere politico (Maadsen, Weingart 2005). Roger Pielke213, in riferimento a ciò, parla di “triangolo di ferro”, caratterizzato da interessi legati tra loro, che coinvolgono il politico, lo scienziato e l’advocate (il sostenitore della “causa”, che utilizza la scienza per convincere determinati attori che le scelte politiche intraprese in merito a definiti progetti siano le più razionali). Per esempio nel caso TAV il ruolo dell’advocate potrebbe essere attribuito alla Fondazione Agnelli e alla Federazione delle Unioni Industriali del Piemonte che nel 1989 iniziarono a “sponsorizzare” la grande opera, organizzando convegni informativi e promuovendo un’intensa campagna di stampa.

A partire dagli anni Sessanta i movimenti ambientalisti iniziarono a legittimare le proprie campagne di protesta anche attraverso l’uso di dati scientifici, allo stigma nimby, in passato così come accade oggi, si è, quindi, risposto con una contro-expertise “locale” e “profana” capace di sostenere il confronto con la cosiddetta expertise “accreditata”, e in alcuni casi di riuscire a metterne in discussione la credibilità. Per i comitati e i movimenti la possibilità di produrre un “sapere esperto”, che sostenga le campagne di protesta, è una risorsa notevole che

212 Cfr. Entmündigende Expertenherrschaft, in Zur Kritik der Dienstleistungsberufe, a cura di I. Illich et al.,

Hamburg, Rowolth, pp.74-105.

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allarga la base del consenso e li proietta al di fuori della retorica del “non nel mio giardino” (Pellizzoni 2011).

Il ragionamento sul ruolo del sapere tecnico all’interno delle campagne di protesta locale – riferito tanto alle istituzioni ed alle varie parti sociali promotrici di interventi indesiderati, quanto all’eterogeneità degli attori che si mobilitano contro – ci richiama ad una riflessione su quella che Ulrich Beck definisce “società del rischio”, in riferimento alla crescente importanza riconosciuta alla problematica dell’ambiente.

Dove, la questione ambientale interna alla società del rischio – dal nostro punto di vista e in conformità con quanto già esplicato precedentemente –, interpretata attraverso l’analisi del conflitto socio-ambientale, viene esaminata dentro la prospettiva di delegittimazione del dissenso a favore dell’innovazione tecnico-economica; laddove, per dirla come Beck, «il progresso sostituisce il voto»214.

Attraverso il nostro caso di studio, verificheremo come l’oggetto del contendere dei conflitti ambientali – o per lo meno di determinati conflitti, in cui c’è il costituirsi di movimenti capaci di superare, sul piano dei contenuti, l’istanza locale – non può essere ridotto a tematiche quali la gestione del rischio che non comprendano un quadro più ampio di critica di produzione e ri-produzione del sistema capitalistico.

Mettere in discussione tale gestione equivale a rivedere l’intero meccanismo decisionale che sta a monte, ma non in semplice funzione di immunizzazione da pericoli inerenti la salute o l’ambiente circostante, piuttosto come azione tesa a riappropriarsi, da parte degli abitanti, di spazi decisionali di cui si ritiene di essere stati privati.

La questione ambientale, a nostro avviso, è sempre questione politica, poiché nel suo concretizzarsi, è il risultato di pratiche e logiche di potere piegate al sistema economico imperante. Si veda, ad esempio, il caso dell’America Latina215 dove la corsa delle multinazionali per accaparrarsi le risorse ambientali è assecondata da governi propensi a “fare cassa”, contro il volere dei popoli indigeni che lottano per difendere la loro sopravvivenza culturale e spesso anche fisica.

Allo stesso modo, riteniamo che l’obiettivo, a lunga distanza, della contro-expertise non possa essere considerato quello di generare paure in grado di incentivare la mobilitazione e ottenere il risultato sperato di blocco dell’opera contestata; ma vada rintracciato nella volontà di costruire, su un piano di diverse strategie di “opposizione”, canali di contro-informazione, capaci di competere con quelli che molto spesso sono considerati “i dati scientificamente legittimati” ma che non sempre corrispondono a dati oggettivi.

In quest’ottica, quella che viene etichettata come l’informazione scientifica “dal basso”, quella “profana” o locale per intenderci, va considerata come uno degli strumenti di sensibilizzazione in grado di rompere l’ordine di potere conferito a posizioni, avallate da tecnici e scienziati politicizzati, che all’interno di una governance centralizzata godono di

214 Beck U., La società del rischio. Verso una seconda modernità, Carocci, Roma 2008, p.256.

215 Numerosi e spesso aspri sono i conflitti in atto in America Latina aventi origine nella difesa dei territori da

parte delle popolazioni locali. In Ecuador, Messico, Perù, Guatemala, Panama, Argentina contro l’estendersi a dismisura delle concessioni minerarie; in Cile per l’invasione di dighe e di papeleras - le fabbriche di cellulosa che distruggono intere foreste dei territori abitati dal popolo mapuche-; in Colombia per la difesa delle terre e dei territori da cui indigeni e contadini vengono espulsi con la forza, territori che vengono occupati da multinazionali dell’agrobusiness; in Argentina, Brasile e Paraguay per l’avanzare della cosiddetta “frontiera della soia” seguita da un terribile inquinamento da agrochimici e pesticidi.

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legittimità e accreditamento solo per il fatto di essere prodotte ai vertici o sostenute da essi. Tenendo presente che rinchiudere il conflitto dentro il recinto della “sanitarizzazione” equivale a spostare il focus su una delle conseguenze della cattiva gestione territoriale, ma ridimensiona la possibilità di analisi e critica delle cause reali.

L’esperienza italiana dell’inceneritore di Parma216 ad esempio, a nostro avviso, è un caso emblematico di questo tipo di “sanitarizzazione” della protesta, laddove la ricerca del consenso elettorale da parte del Movimento cinque Stelle ha determinato una grossa spinta verso una determinata politica di sensibilizzazione, proiettata sul rischio incombente. Salvo poi, dopo il successo elettorale, incorrere nel fallimento delle strategie oppositive, filtrate attraverso la “delega” del conflitto al solo livello istituzionale locale, e lo sterilizzarsi del piano riflessivo e discorsivo sul tema della minaccia alla salute.

In alcuni casi, dunque, le forme di opposizione agiscono in sintonia con associazioni ambientaliste strutturate e/o gruppi politici che manifestano la chiara volontà di entrare a far parte dei giochi politici e di avere un ruolo ed un peso istituzionale nel governo locale, puntando di fatto al consenso elettorale. Mentre in altre circostanze, come accade in Valsusa, le diverse componenti, che agiscono all’interno dell’opposizione (istituzioni locali, associazioni, tecnici e aree di movimento), costruiscono insieme un percorso di analisi e di azione che travalica sia la vertenza locale che l’opportunismo politico, in una “salita di generalità” che focalizza il problema nell’uso capitalistico del territorio e nelle pratiche di contenimento del conflitto, le quali denunciano la mancanza di partecipazione reale degli abitanti ai processi decisionali. In questi termini, ciò che si va a sperimentare, all’interno della mobilitazione, è anche un altro tipo di democrazia che, seguendo l’ipotesi dell’Algostino (2011) potrebbe proiettarsi, in fasi successive, su nuove forme di autogoverno, che comprendano una partecipazione diretta alla gestione del territorio.

In Valsusa nuove soggettività si oppongono dando vita a processi di “apprendimento collettivo”, che vengono costruiti dal basso traendo forza, nella fase iniziale, dalla conoscenza e dall’expertise tecno-scientifica “ufficiale”, per porsi sullo stesso piano di autorevolezza scientifica delle argomentazioni della controparte, in un tentativo di legittimazione agli occhi di un più ampio strato dell’opinione pubblica.

Il sapere esperto, all’interno delle dinamiche conflittuali che vedono contrapposte istanze locali e gestione centralizzata dei territori, assume un ruolo partigiano, funzionale alle posizioni sostenute dalle parti in causa. Come abbiamo avuto modo di accennare, la scienza applicata alle politiche territoriali, e non solo, è soggetta a condizionamenti che ne inficiano lo

216 Nel 1997 la nuova amministrazione comunale, in coerenza con gli impegni presi in campagna elettorale,

bloccò la realizzazione di un secondo forno inceneritore al Cornocchio, sede del primo inceneritore (che verrà chiuso di lì a poco). Nel 2000 il territorio provinciale di Parma si trovò così privo di impianti di smaltimento rifiuti e, per far fronte a questa situazione, nel 2005 l’amministrazione provinciale approvò il Piano Provinciale Gestione Rifiuti, basato sul raggiungimento dell’autonomia provinciale, che prevedeva la realizzazione di un nuovo inceneritore. Nel 2010 iniziarono i lavori di costruzione del Polo Ambientale Integrato (PAI) che ospitava al suo interno un impianto di trattamento termico dei rifiuti. Iniziò, così, a diffondersi la protesta civile, nella quale un ruolo da protagonista era ricoperto dall’associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse (GCR). Il primo luglio 2011 il Comune di Parma sospese, in via cautelativa, le attività nel cantiere, che ripresero per sentenza del TAR di Parma il 6 ottobre dello stesso anno. Il discorso sulla contrarietà all’opera divenne uno degli elementi trainanti e decisivi nella campagna elettorale delle amministrative 2012 del M5S, il quale vinse le elezioni con l’impegno del nuovo sindaco Federico Pizzarotti, ex attivista del GCR di blocco dei lavori dell’inceneritore. Le promesse furono poi disattese infatti a distanza di poco più di un anno l’impianto andò in funzione.

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status di imparzialità, la validità e l’autonomia dei contenuti; dove la consulenza esperta

assume il valore di una merce venduta e comprata (Pellizzoni 2011). In questo senso, il caso dell’Osservatorio Virano, come avremo modo di constatare più avanti, che avrebbe dovuto assurgere al ruolo di luogo di confronto istituzionale (anche del sapere tecnico) al di sopra delle parti, è emblematico.

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