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III. Nota metodologica 16 

4.4 Il dispositivo “Legge Obiettivo” 174 

La Legge Obiettivo, in questo contesto, viene declinata come un dispositivo di deterritorializzazione che prevede un evidente ritorno al centralismo decisionale nell’ambito della progettazione di grandi infrastrutture considerate di interesse strategico. Nella procedura tutte le decisioni competono al Ministero, mentre gli Enti locali vengono di fatto esclusi da ogni processo decisionale.

Essa costituisce una sorta di “strategia di blocco” nei confronti delle istanze locali, dove soprattutto le istituzioni “periferiche” vengono ridotte a destinatarie, in definitiva, della politica pubblica, tant’è che, laddove si esprime un conflitto tra le parti (statale e Enti locali), lo scambio si riduce a promesse di compensazioni o a riparazioni dei danni quasi come se si trattasse di rapporti di diritto privato.

Prendiamo in considerazione il dispositivo della Legge Obiettivo, in connessione al caso TAV, per mettere in evidenza come si struttura e funziona questo meccanismo, essenzialmente, di delega al governo su opere strategiche a scapito delle autonomie locali. Inoltre consideriamo come la centralizzazione delle decisioni, giustificata dall’esigenza di governabilità in tempi brevi, più accelerati e tesi a saltare diverse fasi di consultazione e partecipazione degli Enti locali, sia una forma di controllo e disciplinamento dello Stato sulle diverse opposizioni locali e conflitti socio-ambientali, che possono sorgere davanti alla progettazione di grandi opere, molto spesso enunciate come strategiche per l’interesse nazionale, e indesiderate per gli abitanti dei siti di interesse strategico.

A pochi mesi dal suo insediamento, il secondo governo Berlusconi (2001-2005) vara la legge n. 443 del 2001, denominata Legge Obiettivo, sulle procedure e modalità di finanziamento per la realizzazione delle grandi infrastrutture (per il decennio 2002-2013), e il “Primo programma per le infrastrutture strategiche” (Delibera CIPE n. 121/2001), che prevede in un decennio un importo complessivo di investimenti, da parte dello Stato, pari a 125,8 miliardi di euro – aggiornato con la delibera 130/06 in 173,4 miliardi di euro – per interventi sui principali corridoi stradali e ferroviari, sui tre valichi ferroviari del Frejus, del Sempione e del Brennero, sui sistemi urbani, sugli schemi idrici del Mezzogiorno e sulla difesa della laguna veneta (progetto MOSE).

Se osservata alla luce dei diversi processi di mobilitazione contro grandi opere, la Legge Obiettivo assume il ruolo di “attante”.

Osvaldo Pieroni (2011), nella sua analisi dell’opposizione contro la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina, l’ha descritta come un soggetto-oggetto interno alla campagna di protesta. Riproponiamo questa lettura anche per il caso della grande opera TAV, laddove l’attante Legge Obiettivo, in virtù del modello di sviluppo per cui viene attuata, si sostituisce agli Enti locali, costituendosi come dispositivo che delega il potere decisionale al governo, sbarrando le diverse vie d’accesso istituzionale attraverso cui il soggetto locale (abitanti delle comunità), seppure attraverso canali di democrazia rappresentativa, prende parte alle scelte (delle infrastrutture) sul proprio territorio. In breve, la 443 nella sua attuazione agisce in modo fortemente restrittivo nei confronti dei processi decisionali inerenti il piano locale, provinciale e regionale, in funzione di strategie politiche atte ad aggirare le forme di ostracismo

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burocratico che possono essere messe in pratica dalle istituzioni locali, per contrastare la realizzazione di progetti considerati invasivi per i propri territori.

La legge è strutturata in due parti: nella prima parte sono indicati gli stanziamenti necessari per la realizzazione delle opere ed è previsto che il governo – seguendo una procedura ispirata ai principi del regionalismo – formi un programma nel quale sono individuati insediamenti produttivi e infrastrutture pubbliche e private, qualificati come strategici e di preminente interesse nazionale; mentre, la seconda parte delega al governo di adottare le misure legislative necessarie a definire un quadro normativo finalizzato alla celere realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi individuati.

Lo spirito originario del provvedimento era quello di far ripartire la costruzione delle opere pubbliche in Italia dopo Tangentopoli240, e porre un freno ai veti da parte di Enti locali e ambientalisti; creando una sorta di corsia preferenziale per il finanziamento, l’approvazione progettuale e l’esecuzione delle infrastrutture “strategiche” nazionali. Il tutto semplificando la procedura di appalto e le norme di valutazione di impatto ambientale (VIA). La netta semplificazione delle procedure prevede: sei mesi per un progetto preliminare, sette per il definitivo, tre per il sì della Conferenza dei servizi e due per la Valutazione di impatto ambientale.

In dieci anni l’elenco delle opere, soggette a tale dispositivo, è cresciuto in modo notevole, dagli elettrodotti alle reti di telecomunicazione, alle dighe del MOSE a Venezia e all’edilizia pubblica241. Nel 2011 se ne contano circa 348 a fronte delle 196 della prima elencazione, arrivando ad oltre 400 nei primi del 2015; tra queste le infrastrutture di trasporto sono quelle che hanno un peso maggiore a livello di destinazione di finanziamenti.

Il sistema basato su project financing242 e general contractor243, con la Legge Obiettivo, viene istituzionalizzato ed esteso all’insieme delle grandi opere.

240 Per quanto riguarda invece la prospettiva di analisi suggerita sopra si confronti

http://www.legambiente.it/sites/default/files/docs/dossierleggeobiettivo_definitivo.pdf

241 Nella voce edilizia pubblica rientrano: 21 opere di manutenzione di edifici istituzionali, 5 interventi per

l’edilizia scolastica, 8 istituti penitenziari, 5 edifici culturali e l’edificio dei carabinieri di Parma. Cfr. http://www.legambiente.it/sites/default/files/docs/dossierleggeobiettivo_definitivo.pdf

242 Il Project Financing nasce nei paesi anglosassoni come tecnica finanziaria innovativa volta a rendere

possibile il finanziamento di iniziative economiche sulla base della valenza tecnico-economica del progetto stesso piuttosto che sulla capacità autonoma di indebitamento dei soggetti promotori dell’iniziativa. Il progetto viene valutato dai finanziatori principalmente per la sua capacità di generare flussi di cassa, che costituiscono la garanzia primaria per il rimborso del debito e per la remunerazione del capitale di rischio, attraverso un’opportuna contrattualizzazione delle obbligazioni delle parti che intervengono nell’operazione. L’utilizzo del

Project Financing comporta alcune specifiche implicazioni dal punto di vista organizzativo e contrattuale. Il

finanziamento, infatti, non è diretto ad un’impresa pre-esistente bensì va a beneficio di una società di nuova costituzione – società di progetto o anche “SPV”, Special Purpose Vehicle – la cui esclusiva finalità è la realizzazione e la gestione del progetto stesso. La società di progetto è un’entità giuridicamente distinta da quella del/i promotore/i del progetto, con la conseguente separazione dei flussi generati dal progetto da quelli relativi alle altre attività del promotore. Il duplice risultato é che, in caso di fallimento del progetto, il finanziatore non potrà rivalersi su beni del promotore diversi da quelli di proprietà della società di progetto e, simmetricamente, in caso di fallimento del promotore la società di progetto continuerà ad esistere perseguendo le proprie finalità.

243 Il contraente generale è un’espressione usata all’estero per indicare colui che ha la responsabilità operativa

complessiva di un progetto di costruzione o di impiantistica. In Italia il termine è più usato a proposito di opere pubbliche, ed è stato introdotto nella legge 443/01, che ha interpretato la procedura europea di appalti. Si tratta di un soggetto unico al quale, oltre che al concessionario, è affidata la realizzazione delle infrastrutture strategiche. Il contraente generale è distinto dal concessionario di opere pubbliche per l’esclusione dalla gestione dell’opera eseguita ed è qualificato per specifici connotati di capacità organizzativa e tecnico-realizzativa, per l’assunzione dell’onere relativo all’anticipazione temporale del finanziamento necessario alla realizzazione dell’opera in tutto

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In Italia la società costituita per l’alta velocità è la Tav SpA244, cancellata dal registro delle imprese il 31 dicembre 2010, a causa della fusione nella società Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. (RFI).

Per quanto concerne i meccanismi decisionali, le amministrazioni locali subiscono un ridimensionamento notevole, laddove la possibilità di esprimere posizioni contrarie alla realizzazione delle opere viene affidata alla loro consultazione da parte della Regione, senza però che tale consultazione abbia valore vincolante. Bisogna dire che i Comuni non sono i soli a patire l’azione di perdita di peso decisionale, infatti le stesse Regioni e Province nel caso in cui dovessero dissentire su un determinato progetto potrebbero assistere all’approvazione di questo tramite decreto del Presidente del Consiglio.

La 443 ha sancito la fine della metodologia decisionale basata sulla concertazione con le istituzioni locali, perseguendo il fine di accelerare l’azione operativa; in tale ottica viene semplificato anche il processo di Valutazione d’impatto ambientale; il quale non è più soggetto al Ministero dell’Ambiente, ma al CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica), e viene applicato solo al progetto preliminare, senza tener conto dei cambiamenti che intercorrono tra la stesura preliminare e quella definitiva.

Valerio Lastrico (2011), in riferimento all’analisi della funzione della Legge Obiettivo, all’interno della progettazione della Torino-Lione, parla «di uno spiccato ritorno al centralismo decisionale nell’ambito della progettazione di grandi infrastrutture considerate di interesse strategico, riportando in capo al Ministero tutte le decisioni e by-passando il confronto con gli Enti locali».

Anche per il TAV, l’intero processo decisionale è dunque centralizzato e verticalizzato in funzione di uno snellimento dell’iter procedurale, che sacrifica la partecipazione dei soggetti locali e ne limita di fatto la possibilità di contestazione istituzionale.

Nel 2006, in seguito alla radicalizzazione della campagna di protesta, il governo decise di avviare un percorso di concertazione con le istituzioni locali, il quale prese forma nel Tavolo politico di Palazzo Chigi e nel Tavolo tecnico (Osservatorio per il collegamento ferroviario Torino-Lione). Il processo concertativo prevedeva la sospensione della Legge Obiettivo e l’uscita dell’opera dalla procedura straordinaria.

Anche la Commissione Europea si espresse a favore di questo nuovo orientamento, poiché tale normativa italiana avrebbe violato le direttive europee in materia di valutazione di impatto ambientale.

Tuttavia nei fatti cambiava poco o nulla, infatti la Torino-Lione non venne eliminata, in maniera formale, dall’elenco delle infrastrutture strategiche previste dalla Legge Obiettivo, nonostante la garanzia del governo Prodi (2006) e successivamente del governo Berlusconi (2008) di procedere nella progettazione perseguendo un confronto costante con il territorio.

o in parte con mezzi finanziari privati, per la libertà di forme nella realizzazione dell’opera, per la natura prevalente di risultato complessivo del rapporto che lega detta figura al soggetto aggiudicatore e per l’assunzione del relativo rischio.

244 Interamente controllata da Rete Ferroviaria Italiana (RFI), TAV è la società che cura la realizzazione delle

linee Alta Velocità/Alta Capacità fra Torino-Milano e Napoli: circa 630 km di nuovi binari strettamente integrati con la rete esistente e con gli interventi di adeguamento e potenziamento condotti direttamente da RFI sulla Roma-Firenze, sui nodi urbani e lungo le altre direttrici interessate dal progetto AV/AC verso Venezia, il porto di Genova, i valichi e il Mezzogiorno.

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In seguito all’opposizione mossa dalle istituzioni locali valsusine, la Regione Piemonte reagì rivendicando un coinvolgimento degli Enti locali, attraverso l’attivazione di procedure di informazione straordinaria, non prescritte dalle norme vigenti, allo scopo di garantire la massima apertura e condivisione del progetto.

Resta il fatto che si rimase ancorati ad un piano prettamente informativo e che, secondo quanto denunciato dagli attori locali, fu vincolato a tempi strettissimi senza mettere in pratica una reale capacità d’intervento.

La Legge Obiettivo ha subito negli anni molteplici critiche e si è allargato il fronte di sfiducia in tale dispositivo, tanto che nell’aprile 2015 assistiamo ad un cambio di rotta. Primo provvedimento in merito, a cura dell’attuale ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio, è quello inerente la decimazione delle opere contrassegnate dalla “priorità” governativa; infatti nell’ultimo DEF245 (documento di economia e finanza) l’allegato infrastrutture contiene solo trenta “opere prioritarie”.

Complessivamente, le trenta opere prioritarie ammontano a circa 70,9 miliardi di euro; di questi, 47,9 miliardi sono già disponibili e destinati alle opere dal bilancio dello Stato. Delle risorse disponibili 6,8 miliardi sono fondi di privati che realizzano le opere in cambio della gestione delle infrastrutture, mentre le risorse che mancano andranno rintracciate successivamente. Le infrastrutture ferroviarie sono quelle che ottengono maggiore interesse con 28 miliardi, di cui 15 disponibili: la Torino-Lione è una di queste.

Secondo quanto affermato dallo stesso Delrio, l’intenzione del Ministero è quella di dare preferenza alle procedure ordinarie, in sintonia con la posizione di Raffaele Cantone che si riferisce alla 443 come ad una legge “da buttare”, non solo in termini di corruzione ma anche di risultati e di realizzazione.

Nell’autunno 2015 il Ministero delle Infrastrutture ha diffuso la notizia dell’abrogazione della legge Obiettivo sulle grandi opere; infatti nell’emendamento governativo al Codice degli appalti è stato inserito un comma che dispone «la soppressione della Legge 443/2001». Tuttavia questo procedere non è dettato dall’avvio di una riflessione più articolata sulla pianificazione territoriale e sui meccanismi decisionali, piuttosto è il triste epilogo di più di un decennio di fallimenti e di denunce di corruzione in merito alle cosiddette opere strategiche che hanno reso indifendibile un dispositivo di potere quale è quello della Legge Obiettivo.

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CAPITOLO QUINTO

Il fronte francese d’opposizione: la partecipation dall’altra parte del tunnel