III. Nota metodologica 16
2.3 Nascita e crescita dell’azione collettiva (1990-2000) 65
2.3.4 Le prime manifestazioni e la zona grigia degli attentati 77
Sul piano delle manifestazioni “di piazza”, la capacità di mobilitazione prese consistenza nel 1996, con il corteo per le strade di S. Ambrogio, dove sfilarono circa 3.500 persone con la presenza dei sindaci e dei gonfaloni dei comuni.
La prima grande manifestazione è stata quella di S. Ambrogio, nel ’96, adesso sarebbe una grave sconfitta portare in piazza 3.000-4.000 persone, ma allora eravamo all’inizio e questi erano davvero grandi numeri. Ricordo che qualcuno aveva montato una tenda indiana come simbolo della nostra resistenza, in quel periodo, infatti, avevamo come immagine quella degli “Indiani di Valle”. Siamo sempre stati molto creativi, secondo me questa è una delle cose che ci ha permesso di andare avanti anche in momenti difficili. Dicevamo dell’inizio delle manifestazioni, ecco da quel punto in poi sono state sempre più sentite e anche molta più gente partecipava alle serate informative. […] Ci siamo visti crescere e ci ha dato ancora più forza.
(Attivista di Avigliana)
La prima manifestazione a cui sono andata è stata quella di S. Ambrogio nel 1996, avevo conosciuto una persona della Valle e ci andai. La cosa che ricordo mi colpì di più fu la partecipazione della popolazione, non c’erano i grossi numeri di adesso ma comunque per quei tempi era qualcosa di insolito vedere persone più anziane, bambini e giovani marciare insieme. Di
121 AA.VV., Dante Alighieri. Inferno, Canto XXXIII BIS. L’incredibile manoscritto ritrovato in Valsusa, Tabor,
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solito ero abituata a cortei, come posso dire, formati da militanti, comunque non con queste caratteristiche. Già da lì si intuiva che c’era un buon potenziale d’azione e che valeva la pena approfondire e prenderne parte anche come area di Askatasuna.
(Attivista di Bussoleno)
Un’altra manifestazione, anche se con caratteristiche peculiari, ci fu nel novembre 1997, organizzata dalla Comunità Montana con la presenza dei gonfaloni di 25 comuni, per manifestare contro la strumentalizzazione della protesta a seguito di alcuni atti di sabotaggio anti-TAV verificatisi sul territorio.
Parallelamente alla crescita della mobilitazione, dal’96 al ’97 la Val di Susa divenne teatro di attentati contro aziende coinvolte negli appalti TAV, episodi mai chiariti che, attraverso indizi sommari – rivelatesi nel tempo infondati122 – condussero all’arresto di Maria Soledad Rosas (Sole), Edoardo Massari (Baleno) e Silvano Pelissero, accusati di aver compiuto azioni ecoterroristiche nel torinese e di essere gli ideatori degli attentati contro il progetto del TAV, attraverso cui veniva veicolato il messaggio che all’interno della mobilitazione No Tav si annidavano cellule eversive.
La chiave di lettura che ne forniscono i comitati No Tav e le aree di movimento è differente e racconta una storia di una sorta di “strategia della tensione” portata avanti dai vari soggetti promotori, anche grazie ad una campagna mediatica123, finalizzata a “criminalizzare” la protesta e rompere l’unità tra istituzioni locali e oppositori.
Poi abbiamo avuto un momento di crisi perché nel 1997 ci sono stati falsi attentati. Per essere precisi, gli attentati erano veri, ma erano falsi quelli che li facevano. Io ho sempre ritenuto che fossero legati ai Servizi segreti e ho anche fatto denuncia in proposito: la consegnai a Susa e poi andai a parlarne con il giudice Laudi, che seguiva le indagini. Avevo guardato bene tutte le scritte lasciate sul posto e, a mio giudizio, chi mette insieme simboli neofascisti con quelli delle Brigate Rosse è qualcuno che bazzica nel giro dei Servizi; perché o si è da una parte o dall’altra. Comunque quei fatti ci hanno messo un po’ in crisi perché i più giovani sono stati abbastanza perseguitati dai controlli e alcuni di loro non osavano più venire alle riunioni.124.
(Mario Cavargna)125
Andrea De Benedetti e Luca Rastello nel loro libro-inchiesta sul “Corridoio 5”126 dedicano un capitolo alla ricostruzione storica ed all’analisi di quanto avvenne in Val di Susa tra gli anni ’80 e ’90 e un paragrafo alla storia di Sole, Baleno e Silvano. Una vicenda che s’intreccia
122 Cfr. Imperato T., Le scarpe dei suicidi. Sole Silvano Baleno e gli altri, Autoproduzioni Fenix, Torino 1998;
De Benedetti A., Rastello L., Binario morto. Alla scoperta del Corridoio 5 e dell’Alta Velocità che non c’è, Chiare Lettere, Milano 2013.
123 la Stampa lascia trapelare la possibilità che si tratti dell’opera di “ecoterroristi braccio armato della lotta anti
TAV.
La Stampa del 11/11/1997, pag. 34.
124 Askatasuna, A sarà düra. Storie di vita e di militanza no tav, cit., p.46.
125 Presidente di Pro Natura Piemonte, attivista no tav. Autore di “150 nuove ragioni contro la Torino-Lione.
brevi considerazioni tecniche sul progetto per l’occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia e dei 20 anni del movimento No Tav”. Cfr. http://torino.pro-natura.it/; http://www.notavtorino.org/documenti-02/150-rag-notav- mag2012.pdf
126 De Benedetti A., Rastello L., Binario morto. Alla scoperta del Corridoio 5 e dell’Alta Velocità che non c’è,
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con tutto il resto della narrazione, la quale ci racconta di un “allarme sociale” creato ad hoc e che ha restituito un’immagine della Valle come “abitacolo e ricettacolo di orde pericolose”; mentre in realtà l’attenzione avrebbe dovuto focalizzarsi su un traffico d’armi in cui erano coinvolti apparati dello Stato.
Ai tempi degli attentati non c’era ancora un vero movimento, in quel senso cominciavamo a muovere i primi passi e non eravamo pronti a reagire come abbiamo fatto oggi [si riferisce alle accuse di terrorismo per alcuni ragazzi del CLP, nell’estate 2013] contro queste accuse “criminali”. La gente non reagì come avrebbe dovuto e quella storia rimane una macchia nera, sono morti due ragazzi e un altro si è fatto la galera ingiustamente, per poi andare via. Una storia montata per renderci cattivi agli occhi dell’opinione pubblica e per dividerci, già da allora avevano intuito [Procura e Governo] che c’era una forza particolare in questa Valle, forse è meglio dire una coscienza particolare. Per capire bene tutti cosa fosse accaduto realmente in quegli anni c’è voluto del tempo e anche una certa repressione che ha messo la gente davanti all’orrore della violenza di Stato.
(Militante Comitato Lotta Popolare)
In questa ricostruzione della prima fase possiamo intravedere due livelli d’azione, anche se uno di essi è ancora embrionale rispetto all’altro, ossia un piano istituzionale che continua a cercare il confronto con la “controparte” e un nascente piano che, in via preliminare, definiamo di “lotta” che spinge per superare i limiti di compatibilità con il sistema.
Melucci (1976) ci dice che un movimento sociale agisce sempre su due livelli – con le dovute eccezioni derivanti da situazioni di chiusura totale del sistema politico – e la sua strategia è caratterizzata proprio da un rapporto specifico tra azione collettiva e partecipazione istituzionale.
Ritornando sugli ultimi due frammenti, possiamo notare come l’analisi del comportamento, di quello che viene ormai percepito come l’avversario, assume delle connotazioni che lo proiettano su una dimensione di delegittimazione del suo ruolo istituzionale e sociale. L’uso di metodi repressivi definiti “criminali” e il riferimento ad una “strategia della tensione” – aspetti presenti in molte narrazioni – che tra l’altro si nutre di riscontri derivanti da indagini specifiche, non fanno altro che accrescere il divario tra i due livelli sopra citati.
Tanto che, già dalla seconda fase (2001-2008), possiamo scorgere un capovolgimento della situazione iniziale, a favore del piano della lotta, di certo fortemente incentivato da tutto il discorso sulla “partecipazione negata”, che abbiamo affrontato nel corso della nostra ricostruzione cronologica degli eventi, ma che presenta anche elementi caratteristici di una maturazione collettiva all’interno di un determinato tipo di conflitto.
Così, come all’agire dell’azione collettiva fa sempre seguito una risposta del sistema, che può essere contraddistinta dall’apertura di spazi di negoziazione e/o dal ricorso alla violenza istituzionalizzata, allo stesso modo tale risposta genera un ulteriore adattamento dell’organizzazione (interna al movimento) all’ambiente esterno.
Melucci (1976), nel suo studio sull’organizzazione e l’ambiente che caratterizzano i processi di mobilitazione, evidenzia come l’interazione con l’ambiente modella la struttura e l’azione di un’organizzazione e sottolinea come sia necessario affiancare l’analisi dei movimenti con quella sulle modalità di intervento e sugli strumenti di cui si serve il sistema di
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dominazione, che possono esplicarsi attraverso la mediazione del sistema politico e dei meccanismi di controllo sociale.
L’analisi dei due piani su cui, si può dire, agisce l’opposizione No Tav ci fornisce un ulteriore aspetto su cui riflettere, ossia la percezione che hanno attivisti, abitanti e rappresentanti delle istituzioni locali nei confronti delle diverse strategie d’azione interne alla campagna di protesta.
Io ho cercato di contrastare questo progetto parlando con tutti da Mario Virano a Cota alla Bresso, non mi interessa chi siano o cosa facciano […] Un movimento così eterogeneo deve comunque avere un fronte istituzionale che è in grado di fare delle mediazioni, non può esserci un fronte istituzionale che ha un mandato unico: il no all’opera senza se e senza ma, perché dall’altro lato così è più facile averla vinta. Il confronto, il dialogo, se vuoi il compromesso dev’essere fatto perché è l’unico modo per far emergere le cose che non vanno nel progetto. […] Da un certo punto in poi ha preso in mano la situazione la parte che secondo me dev’essere quella più folcloristica, più movimentista, ma non può confrontarsi con le istituzioni (centrali), non è giusto, le istituzioni siamo noi, abbiamo avuto un mandato dai cittadini a rappresentarli, in certi casi un mandato molto forte.
(Mauro Russo ex sindaco di Chianocco, mandato elettorale 2009-2014)127
Le istituzioni sono entrate nella vicenda per attivare un tavolo di confronto, dove dimostrare con dati scientifici che l’opera non è né utile né necessaria. […] quello che è avvenuto in Val di Susa è il frutto del lavoro di un gruppo di amministratori e di amministrazioni che hanno posto avanti ai loro obiettivi il bene comune a fronte dell’interesse individuale […] da un punto di vista amministrativo io sono in lotta continua con questo sistema perverso che bada alla regola ma non al bene. La legge viene fatta, dovrebbe, per il bene comune altrimenti diventa vessazione […] in altre parti d’Italia secondo me manca il collegamento tra il cittadino e l’impegno delle istituzioni che ha fatto sì che ci fosse questo movimento, non è un giudizio ma un mio pensiero. La crescita che c’è stata da parte dei cittadini ha favorito anche la crescita di una classe politica di amministratori. La partecipazione del cittadino è fondamentale.
(Nilo Durbiano sindaco di Venaus)
Gli amministratori No Tav non sono sempre stati chiari e netti sulla nostra posizione, per lo meno non tutti. Qualcuno si mostrava un accanito No Tav nelle assemblee e poi nei fatti si comportava diversamente. Non parlo solo dei “traditori” ma di tutti quelli che per un motivo o per un altro facevano l’occhiolino all’altra parte. Più di uno ha detto che s’incatenava per protesta e una volta eletto le catene voleva metterle a noi. In questo ora siamo vigili, è difficile che chi diventa sindaco o va ad amministrare poi fa come gli pare. Noi siamo sempre lì con il fiato sul collo. Qui non funziona come in altri posti, non c’è la delega ed ogni cosa importante va decisa insieme. Qualche
127 Mauro Russo (attuale vice sindaco e assessore del comune di Chianocco) e Simona Pognant, ex sindaca di
Borgone (2004-2009) sono stati i primi due amministratore no tav a subire un processo, il quale si è chiuso con una sentenza di assoluzione per entrambi poiché il fatto non sussisteva. I due amministratori, la mattina del 6 dicembre 2005, si trovavano al bivio Baroni di Bussoleno (nei pressi del cimitero, sulla statale 24), dove si erano raccolte migliaia di persone per lo sgombero violento del presidio no tav di Venaus, attuato nella notte dalle forze dell’ordine. Russo e Pognant, con addosso la fascia di sindaco, assieme ad altri colleghi, cercavano di fare da cuscinetto tra i manifestanti e i poliziotti del 5° reparto mobile, la cui colonna era stata bloccata sulla strada. Due agenti accusarono i sindaci di avergli provocato una frattura al naso (Russo) e lesioni lombari (Pognant). Cfr. http://www.lunanuova.it/news/428752/Sentenza-dopo-7-anni-assolti-i-sindaci-Russo-e-Pognant.html
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mese fa è stato fatto girare un manifesto in cui si chiedevano le dimissioni di un sindaco che si è mostrato troppo accondiscendente.
(Attivista di Chianocco)
I nostri rappresentanti non sono mai soli, nel bene e nel male noi ci siamo. Nelle assemblee, nei Coordinamenti è la gente che decide e la gente è sempre presente. Non si possono lasciare soli davanti a decisioni importanti, non è solo una questione di fiducia ma anche di responsabilità. Ogni cittadino deve sentire di essere coinvolto, se oggi per un motivo qualsiasi non partecipi, domani decidi di stare a casa e aspetti che il sindaco o chi per lui vada al tuo posto allora ritorniamo al punto di partenza. C’è voluta molta fatica per arrivare fin qui e non credo che nessuno ormai voglia rinunciarci. Siamo cittadini valsusini e No Tav e non si torna indietro.
(Attivista di Mattie)
Nelle prime fasi della mobilitazione la distanza di vedute sulle “strategie d’azione,” soprattutto tra la componente istituzionale e l’area militante, sono più marcate e denotano anche una reciproca diffidenza in merito ad un modus operandi che ognuna delle due percepisce come non proprio. La situazione andrà modificandosi, anche se in parte, nell’intensificarsi della protesta e nelle fasi successive. Come abbiamo introdotto all’inizio del capitolo, dal 2008 in poi ci sarà una rottura più netta tra amministratori valsusini e istituzioni centrali e ciò comporterà un marcato cambio di vedute di molti anche in merito a pratiche e strategie considerate fino a qualche anno prima da “arginare”, come ad esempio le azioni di sabotaggio. Per quanto concerne il “controllo” dell’operato di sindaci e rappresentanti bisogna dire che la rinuncia alla delega, in modo più evidente dalla seconda fase in poi, ha riattivato forme di coinvolgimento e partecipazione che spingono verso un continuo confronto critico con i propri politici locali che lascia poco spazio all’agire solitario delle rappresentanze.