III. Nota metodologica 16
2.1 Introduzione alle diverse fasi della mobilitazione 53
Nelle pagine precedenti abbiamo introdotto il discorso sul rapporto tra territorio e componente antropica, sottolineando come nel “caso Valsusa” questo abbia un suo rilievo specifico, e come tale relazione sia mutata nel conflitto, fungendo da segnale, o comunque uno dei segni, dell’emergere di una nuova coscienza di luogo collettiva.
L’obiettivo principale, in questa sede di analisi ed in prospettiva di fornire una “risposta” alle domande di partenza, è quello di comprendere, come si è approdati, nel nostro caso di studio, ad una mobilitazione di massa e come si è giunti alla formazione di quella che abbiamo definito una comunità di resistenza.
In Val di Susa è in atto una mobilitazione che per durata e intensità costituisce, all’interno del contesto europeo, un caso di rilievo di autorganizzazione comunitaria. Di questo caso tenteremo di analizzare come avviene concretamente il processo di implicazione che porta gli
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individui a mobilitarsi, quando si creano le condizioni della mobilitazione e come si sviluppa il processo.
Nello specifico, in questo capitolo cercheremo di tracciare le fasi essenziali dell’opposizione No Tav, dai primi anni Novanta ad oggi, cercando di delineare la composizione del movimento, il sistema di alleanze, l’affermazione come movimento “popolare”, il radicalizzarsi del conflitto e la dimensione extraterritoriale dell’istanza locale.
Dettagliatamente, volendo fare una sintesi cronologica che metta in evidenza i fattori determinanti che hanno contribuito all’attuale composizione del movimento, alla costruzione di una nuova identità comunitaria valsusina e alla risposta repressiva delle istituzioni centrali, procediamo con una suddivisione in quattro fasi così ripartite:
nascita e crescita dell’opposizione all’alta velocità (dagli inizi degli anni ’90 al 2000);
espansione di una partecipazione di massa e rafforzamento delle reti di relazioni tra attori interni ed esterni alla Valle (dal 2001 al 2008);
acuirsi della lotta e fallimento dei tavoli istituzionali (dal 2009 al 2011);
militarizzazione delle aree di cantiere, radicalizzazione della resistenza, stato di eccezione99 e pratiche di sabotaggio ad opera del movimento (dal 2011 al 2013).
All’interno di questa ripartizione, possiamo dividere, ulteriormente, tra un primo periodo di opposizione, contraddistinto dalla presenza di pratiche e canali più istituzionali (fino al 2008 circa), e un secondo periodo (dal 2008 in poi) contrassegnato dalla rottura del dialogo tra movimento No Tav e istituzioni centrali e la messa in campo di un sistema repressivo statale, che si palesa con una forte “criminalizzazione” del movimento e con uno stato d’eccezione che si motiva nell’atto finale, dall’estate 2013, della contestazione delle finalità di terrorismo per alcuni militanti No Tav.
Nella nostra suddivisione temporale abbiamo deciso di utilizzare il 2008, come data che segna il passaggio da un determinato tipo di confronto, seppure conflittuale, all’avvio verso il superamento dei limiti di compatibilità del sistema, per il peso ed il significato dato da una buona parte delle istituzioni locali e dal movimento all’accordo (tradimento) di Pra Catinat100 (28 giugno 2008). Ad essere precisi il 2005, nell’immaginario collettivo ed in più di un lavoro di ricerca (Caruso 2007; 2010; della Porta, Piazza 2008), è l’anno della “svolta”, intesa in termini di partecipazione di massa e di prova di “forza” del movimento. Nonostante ciò, riteniamo che la piena rottura con le istituzioni centrali – estendibile a tutte le anime del movimento, compresa la componente istituzionale – sia avvenuta più tardi, quando diversi giochi politici si sono manifestati strumentali e manipolatori e ci si è trovati davanti al re nudo.
99 Cfr. Agamben G., Stato di eccezione, Bollati Boringhieri, Torino 2003; Schmitt C., Le categorie del politico, Il
Mulino, Bologna 1972. Si definisce stato d’eccezione una particolare configurazione del potere politico, in cui una circostanza particolarmente grave impone di sospendere il rispetto delle leggi scritte e di dedicarsi al superamento della situazione stessa.
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Nell’incontro di Pra Catinat, che prende il nome dalla località scelta per l’occasione – in un ex sanatorio della famiglia Agnelli, divenuto successivamente un centro di educazione ambientale – viene fatto il punto sul lavoro dell’Osservatorio Virano e, tramite questo accordo conclusivo tra le “parti in conflitto”, i responsabili dell’organismo di concertazione intendono testimoniare la riuscita dell’effettivo confronto democratico. Tale accordo successivamente verrà pubblicizzato come il simbolo del risultato virtuoso di coinvolgimento e pacificazione del conflitto stesso.
In realtà si tratta di un documento controverso, alla presenza di pochi, “un’imboscata” secondo il parere della maggior parte dei sindaci No Tav, «delle carte senza firme se non quella del Presidente Mario Virano».
I sindaci e gli amministratori intervistati hanno espresso unanime parere sfavorevole per quanto concerne l’operato dell’organo di concertazione, riportiamo di seguito alcune considerazioni in merito.
L’accordo di Pra Catinat è stato più volte smentito, era un accordo che prevedeva determinate cose ma non era un sì all’opera, è stato strumentalizzato.
(Mauro Russo ex sindaco di Chianocco)
La prima fase dell’Osservatorio si chiuderà con un documento che è l’accordo di Pra Catinat, che viene veicolato come un momento in cui la trattativa si apre e si trova un accordo tra le parti, cosa che non corrispondeva a verità. Non c’era stato nessun accordo sul sì all’opera e soprattutto il modo di organizzare ogni cosa è stato assolutamente discutibile.
(Carla Mattioli ex sindaca di Avigliana)
L’accordo di Pra Catinat è stata una bella furbata. Ti racconto come ho ricevuto la comunicazione da parte del presidente della Comunità Montana, all’epoca Antonio Ferrentino. Noi si era abituati a ricevere le comunicazioni via fax in Comune, oppure la classica telefonata in tempi utili. In quel caso arriva nel pomeriggio un messaggio per trovarci a Pra Catinat per firmare un accordo, era domenica. Hanno addirittura dato una sede sbagliata per non far arrivare in tempo i nostri tecnici. Andare a Pra Catinat per parlare con chi, per che cosa? Io non mi sono presentata. È stato sbandierato da Virano che quello era l’accordo con gli Enti locali, non è assolutamente vero, noi non abbiamo fatto nessun atto, nessuna delibera in cui si diceva che i sindaci avevano firmato ed erano d’accordo. Una bugia ben architettata, ma queste firme in realtà non ci sono.
(Loredana Bellone sindaca di S. Didero)
L’Osservatorio è sempre stato caratterizzato da una grande ipocrisia di fondo, si andava a discutere dell’opera pensando di trattare l’argomento se farla o meno, invece lì tutto il discorso verteva sul come farla. Quindi grande ipocrisia e voglia di apparire all’esterno come quelli che lavoravano per un buon dialogo, ma in concretezza ci si prendeva in giro. Si è sempre giocato sull’ambiguità di dire «se partecipate ai tavoli discutete su come farlo». […] L’Accordo di Pra Catinat è la conclusione di tutto questo procedere, infatti non è neppure un accordo, perché nessuno lo ha sottoscritto, c’è la firma di Virano ma certamente non può accordarsi con se stesso.
(Sandro Plano, ex presidente Comunità Montana)
Un altro elemento che entra in gioco, sempre nello stesso anno, è la proposta alternativa di Antonio Ferrentino, presidente della Comunità Montana, del progetto F.A.R.E. (acronimo che
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sta per Ferrovie Alpine Ragionevoli ed Efficienti), attraverso cui si accetta sostanzialmente l’ipotesi di una nuova linea ferroviaria in Valle, a patto che le istituzioni locali possano condizionarne la realizzazione e che venga realizzata in quattro fasi di tempo successive, partendo dal nodo di Torino e terminando nel 2045 circa con il tunnel internazionale. Il progetto F.A.R.E. non raccoglie il consenso di una buona parte del movimento, che lo interpreta come un accettare un compromesso che, di fatto, mina le ragioni del no. Diversi amministratori, invece, lo difendono poiché ritengono che sia un buon modo per prendere tempo e spostare l’inizio dei lavori in un’area che ne ha più necessità, e nel frattempo pensano di poter esercitare pressioni tali da modificare lo stesso progetto.
Entrambi gli episodi contribuiscono a segnare la rottura netta con quello che viene definito “il dialogo del compromesso” delle istituzioni locali; da lì ad andare avanti il movimento, compresa la componente istituzionale, affermerà con forza il no sostanziale all’opera “senza se e senza ma”. L’opposizione procederà parallelamente, molto spesso intersecandosi, su due canali differenti (istituzionale e “movimentista”), riconoscendo e legittimando, da parte del movimento, l’azione di quei sindaci e amministratori locali contrari al TAV e che esprimono una posizione netta del no.
Nella successiva ricostruzione cronologica degli eventi che ci sono parsi più significativi abbiamo cercato di dare rilievo al rapporto tra dimensione conflittuale e processo di riterritorializzazione, intrecciando riflessioni teoriche agli elementi di analisi emergenti dal lavoro empirico.