III. Nota metodologica 16
2.3 Nascita e crescita dell’azione collettiva (1990-2000) 65
2.3.1 Verso l’autorganizzazione: l’emergere dei Comitati 65
Il modo di intendere la “lotta” e la conseguente messa in pratica di azioni differenti si muoveva intorno a tre attori principali: le istituzioni locali (in cui è inclusa anche la Comunità Montana), la componente militante e più “politicizzata” e il comitato tecnico Habitat.
66
Habitat – presieduto da Claudio Cancelli, docente al Politecnico di Torino – nacque nel
1991 con la finalità specifica di opporsi alla nuova linea ad alta velocità Torino-Lione. La sua composizione era, a grandi linee, la stessa che caratterizzava l’opposizione all’autostrada, ossia prevalentemente intellettuali, esperti, tecnici, ex militanti di sinistra, redattori della rivista Dialogo in valle, attivisti provenienti dalle esperienze dell’obiezione di coscienza degli anni Settanta e esponenti di associazioni ambientaliste che avevano avuto modo, nelle campagne di protesta precedenti, di affinare le proprie capacità di interazione con le istituzioni locali e con le controparti.
L’attività che portava avanti era tesa prevalentemente alla diffusione di informazioni e conoscenze presso ampi strati della popolazione, in modo da riuscire ad incentivare un processo di adesione di massa alla mobilitazione. La sua restava, comunque, una linea d’azione che intraprendeva una battaglia più “istituzionale”, e che nutriva una certa diffidenza verso chi sosteneva la necessità di andare oltre la semplice campagna informativa. Il ruolo di un sapere tecnico era inteso come sponda indispensabile per raggiungere i cosiddetti incerti, poiché l’immediata analisi politica e l’emergere di ideologie forti erano ritenute, dallo stesso comitato, fallimentari senza un processo di sensibilizzazione a monte.
Dario Padovan e Marco Magnano (2011), nella loro analisi sulla genesi e il ruolo dell’expertise in Val di Susa, definiscono Habitat come uno dei casi più significativi in cui il sapere esperto è messo al servizio del territorio e della popolazione. La sua specificità consiste nell’aver aggregato i saperi provenienti da diversi campi scientifici ed averli fatti dialogare continuamente con gli abitanti della Valle, intrattenendo relazioni di scambio – anche se a volte in posizioni contrastanti – con le anime diverse del nascente movimento.
Habitat cercò sin dall’inizio di relazionarsi con le istituzioni locali e di costituire reti
capaci di rafforzare il fronte di opposizione, ritenendo che la battaglia non poteva non essere portata avanti sul piano istituzionale.
Infatti, da questi intenti, nel 1993, proprio su iniziativa di Habitat, nacque il “Comitato contro l’Alta Velocità in Val Susa” – che rappresentava, di fatto, l’opposizione simmetrica al Comitato promotore dell’opera – , il quale, come primo atto, inviò ai comuni della Valle una proposta di delibera contro l’infrastruttura. L’invito fu accolto in un primo momento da Condove112 e successivamente da tutti gli altri comuni della bassa Valle.
Per quanto riguarda la parte militante e più politicizzata, costituì il primo Comitato di Lotta Popolare a Bussoleno – nel CLP confluì anche il centro sociale torinese Askatasuna – e si orientò da subito verso una socializzazione della lotta, con l’obiettivo di allargare il più possibile la partecipazione alla mobilitazione, creando reti e solidarietà diffusa. L’interlocutore privilegiato era la gente che doveva essere coinvolta da protagonista e non come semplice spettatore, facendo passare il messaggio che il principio della non-delega può essere collettivamente realizzabile e può raggiungere risultati concreti.
C’era un’opposizione all’Alta Velocità ma era più un discorso tecnico, basato su un certo tipo di informazione e di organizzazione che lavorava sempre in un circuito, come posso dire, istituzionale. Non dico che non è stato un lavoro utile, anzi ne riconosco tutti i meriti, però c’era bisogno anche di altro. Ad un certo punto devi dare una tendenza diversa, se vuoi che la lotta cresca
67
devi essere capace di coinvolgere la gente e portarla in prima linea. È stata una scommessa, non era detto che andasse proprio così, insomma non era scontato che in Valle ci fosse un movimento di queste dimensioni e non era scontato che ci fosse una tenuta del genere.
(Militante CLP di Bussoleno)
Il Comitato di Lotta Popolare era formato da tre gruppi: il circolo di Rifondazione comunista di Bussoleno, l’Aska [Askatasuna] e Linea Rossa, un gruppo di compagni della Valle che però poi fuoriuscirono dal comitato per delle divergenze su un’azione a cui non avevano partecipato […]. Il CLP ha dato un contributo forte nell’organizzazione del movimento, ha sempre spinto per aprire il più possibile alla partecipazione della gente e per superare il limite del solo problema locale. Già era chiaro dall’inizio che l’opposizione doveva essere contro un modello di sviluppo e non solo contro un treno, com’era chiaro che senza l’appoggio e l’azione della gente della Valle non si andava da nessuna parte. […] La scommessa è sempre stata superare la delega, sia quella nei confronti delle istituzioni che quella verso i “compagni”. La delega è sempre un qualcosa che ti porta a sentirti sollevato da una serie di responsabilità e una serie di cose, che dovresti fare in prima persona e poi non fai perché pensi che qualcun altro le farà anche per te.
(Attivista di Bussoleno)
Dai nostri colloqui si evince che il lavoro di socializzazione della lotta messo in campo, durante gli anni di opposizione, dalle aree più antagoniste ha prodotto un “protagonismo diffuso” degli abitanti, il quale testimonia la maturazione di una coscienza collettiva di partecipazione dal basso, tanto ai processi decisionali interni allo stesso movimento quanto alla condivisione delle diverse pratiche di “resistenza”.
In questa prospettiva si organizzarono, su tutto il territorio, già dalla prima fase della protesta, numerose assemblee e sorsero comitati in ogni paese i quali, oltre a quanto evidenziato in precedenza, avevano l’esigenza di disporre un’azione di monitoraggio contro la minaccia degli imminenti espropri e sondaggi.
I comitati di cittadini, nati dal basso, diventarono un attore centrale nella protesta, infatti, come organo collettivo a partecipazione aperta riuscirono a radicarsi sul territorio, coinvolgendo un buon numero di residenti e intrattenendo un rapporto collaborativo con gli amministratori locali.
L’idea di fare il Comitato di Lotta Popolare è nata dall’esigenza di aggregare le soggettività presenti in Valle, in modo da riuscire a mettere su un movimento capace di concretizzarsi in forme di autorganizzazione aperte. […] anche il discorso dei comitati per ogni paese è stato pensato da subito come un modo per superare l’autoreferenzialità dei gruppi in uno scambio continuo che ci portasse alla fine a confrontarci in modo costruttivo con tutte le anime del movimento. […] il Coordinamento dei Comitati ha avuto questa funzione di base per costruire la struttura della partecipazione popolare.
(Militante Askatasuna)
Nel tempo l’assemblea popolare è divenuta il luogo per eccellenza del confronto. Questa non costituisce di volta in volta un unico momento di ritrovo in cui discutere, piuttosto è il passaggio conclusivo di un percorso decisionale che passa attraverso le riunioni dei singoli comitati e confluisce nel coordinamento di questi ultimi che si incontrano con scadenza settimanale.
68
Riportiamo di seguito due prospetti riassuntivi rispettivamente l’autorganizzazione dei processi decisionali in Valle e i Comitati attivi nella mobilitazione.
Figura 2.8: assemblea popolare presso la sala Polivalente di Bussoleno
69
L’apertura di nuovi spazi di partecipazione ha contribuito alla messa in discussione del modello rappresentativo e del ruolo centrale della delega politica all’interno delle dinamiche decisionali locali e nazionali.
Sul discorso della delega è interessante riportare un frammento esplicativo di un’intervista che può fornire un’idea di quanto emerso nel lavoro d’inchiesta, condotto da Askatasuna, che ha trovato pieno riscontro in un momento di nostro confronto pubblico e partecipazione attiva all’interno di una serata informativa (1/10/2013) e di discussione sul progetto TAV presso il comune di Avigliana, organizzata da “Il Grande Cortile” 113.
Perché qui, il discorso della delega di certe pratiche non è quella delega per cui io ti delego così mi disinteresso. Qua non c’è quel tipo di delega, c’è più una sorta di non-detto di questo tipo: «io ti delego perché non posso, sono vecchio, perché ho paura … però, se tu vai e fai l’assedio come abbiamo fatto durante l’estate in Clarea, io ti delego; se non lo faccio è perché non ne ho le forze». Quest’estate è successo questo: che un livello di scontro altissimo, a cui ci hanno costretto e ci costringono ancora, è stato gestito e condiviso anche da persone che non hanno mai avuto familiarità con queste pratiche, e non l’avrebbero in nessun altro contesto mentre qui, per quella che è oggi la difesa di questa comunità, di questo territorio, diventano un fare accettato.
È la famosa massima per cui «la coscienza pratica sopravanza quella teorica».114
Le serate informative e di discussione pubblica di tematiche inerenti il progetto TAV, nei suoi aspetti più vari e articolati, sono ormai una consuetudine in Val di Susa. Nel corso dei dieci mesi di permanenza in Valle (aprile 2013-gennaio 2014) abbiamo registrato una cadenza di eventi – se ci riferiamo all’area territoriale dei 37 Comuni e del torinese – quasi giornaliera. Nel corso della serata di Avigliana, tra le altre cose, si è discusso della nostra ricerca sul movimento No Tav e si sono raffrontate percezione “esterna” (da un punto di vista sociologico) ed interna (argomentata da abitanti e attivisti) della mobilitazione.
L’analisi dell’eterogeneità del movimento ha costituito uno degli aspetti che più di altri ha coinvolto i presenti, soprattutto nel suo concretizzarsi come differente modo di “darsi all’azione”.
Anticipando un tema che tratteremo in modo più approfondito nel terzo capitolo, durante la discussione si è fatto anche il punto sulla diversità di “tono” che ha assunto la partecipazione
113 Cfr. http://grandecortile.blogspot.it/; http://www.tgvallesusa.it/2013/10/ha-preso-il-via-il-grande-cortile/ .
Riportiamo di seguito la descrizione d’intenti dell’associazione Il Grande Cortile, presente sull’omologo sito web.
«La prima edizione del Grande Cortile ha visto la luce nel 2006, in risposta a chi ci diagnosticava una grave sindrome NIMBY. Un filo lega da allora le iniziative che ci vedono protagonisti. La resistenza al tav non è soltanto un no, sia pure fermo e determinato e si illude chi pensa di aver logorato col tempo e con gli inganni la nostra resistenza. La nostra non è una lotta di trincea: la nostra ribellione è fatta soprattutto di proposte concrete e di pratiche che prefigurano un altro mondo possibile, alternativo al tav e soprattutto ad un modello di società che nega i diritti e cancella ogni spazio di democrazia. Nel Grande Cortile parliamo di lavoro, di economie locali, di utilizzo di spazi e di territorio, di risorse da utilizzare rifiutando la logica dell’usa e getta, di qualità della vita, di informazione, di sport, di erbe e medicine popolari, di rifugi alpini, di cittadinanza attiva, di mutazioni climatiche, di fonti di energia rinnovabili, di controllo politico del denaro pubblico, di memoria storica e antiche tradizioni. Tanti altri grandi cortili sono nati in giro per l’Italia, le nostre ragioni sono diventate le ragioni di molte altre resistenze e tutti insieme rivendichiamo il diritto di decidere del nostro futuro. La nostra casa è un Grande Cortile, i cui confini non sono certo le montagne che circondano la nostra valle e facciamo di tutto per renderla più accogliente».
70
attiva al movimento, e ci sarebbe da aggiungere tutta una riflessione sulle differenti pratiche di resistenza (dalla marcia degli over 60 al sabotaggio delle trivelle), ormai accettate e legittimate in Valle dopo un lungo percorso di maturazione di una nuova identità collettiva.
Non si può non evidenziare il fatto che nelle prime due fasi del conflitto (per come lo abbiamo suddiviso) la posizione della maggioranza della popolazione – nei confronti di quelle che vengono classificate dalla Procura di Torino come pratiche eversive, ma che per il valsusino No Tav di oggi costituiscono le “azioni più decise” – era nettamente contraria ad un certo tipo di comportamento antagonista. Questo cambiamento di orientamento costituisce un po’ il termometro attraverso cui “misuriamo” la relazione tra mobilitazione territoriale e processo di riterritorializzazione; laddove il conflitto si dà come fattore costitutivo di nuova “cittadinanza insorgente”115 (Holston 1995), anche, attraverso quelle che Magnaghi (2006) definisce le nuove pratiche di comunità. Tra queste nuove pratiche annoveriamo sia quelle di segno dimostrativo e simbolico – come ad esempio il taglio delle reti del cantiere di Chiomonte – che hanno come obiettivo la manifestazione di contrarietà all’opera, che le azioni più dirette, che vogliono esprimere una capacità di reazione, la quale testimonia la disponibilità di una strategia ed una forza collettiva di contrapposizione, come ad esempio il blocco dei tir sulla Torino-Bardonecchia, nell’estate 2013, con l’intento di rintracciare ed impedire l’arrivo dei pezzi della nuova fresa, necessaria per continuare lo scavo del tunnel propedeutico alla realizzazione delle Torino-Lione.
Ritornando sul discorso della delega, in riferimento questa volta alla dimensione conflittuale, in molte interviste viene sottolineata la convinzione collettiva che ci sia, in certi specifici casi, una delega all’agire che però non significa “non fare”, piuttosto “fare in modi diversi” avendo sempre davanti a sé la prospettiva del “che fare”.
Non tutti partecipano a tutto, ci sono diversi livelli di azione, ma ogni livello ha una sua importanza, una sua ricchezza e una sua dignità. Non c’è una gerarchia di importanza per cui chi fa delle azioni più azzardate è più No Tav di chi invece magari viene alle marce o va in Clarea tutti i giorni per testimoniare una presenza e una volontà di non abbandonare quel luogo alla prepotenza del TAV. Siamo in tanti, tutti diversi ma questo è un punto di forza. Ognuno di noi deve sentirsi libero di poter dare quello che può, perché ogni pezzetto costruisce un grande movimento.
(Attivista gruppo Cattolici per la Valle)