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Prima militarizzazione della Valle: dalla “battaglia del Seghino” alla “ripresa” d

III. Nota metodologica 16 

2.4 Verso una partecipazione di massa (2001-2008) 82 

2.4.2 Prima militarizzazione della Valle: dalla “battaglia del Seghino” alla “ripresa” d

Figura 2.11: riappropriazione dei terreni dell’area di Venaus (8 dicembre 2005)

L’autunno del 2005 ha segnato l’avvio della prima militarizzazione della Valle, laddove episodi come la “battaglia del Seghino” e la “ripresa” di Venaus entrano a far parte della storia No Tav e, nell’immaginario simbolico collettivo, assurgono ancora oggi a momento di passaggio ad una mobilitazione di massa.

Gli avvenimenti che si succedono dal 31 ottobre all’8 dicembre cambiano il volto della mobilitazione che oltrepassa definitivamente i limiti di compatibilità con il sistema e inizia a riconoscersi come un vero e proprio movimento popolare.

Il Seghino è una frazione del comune di Mompantero, dove si era predisposto che si procedesse con i sondaggi geognostici, la scelta del sito era stata dettata più da un’esigenza strategica dopo i tre tentativi falliti di pianura – riconducibile al difficile accesso al luogo quindi meno difendibile da parte degli oppositori – che da valutazioni tecniche sulla conformazione territoriale.

Riportiamo di seguito il racconto della giornata estratto da una nostra intervista a Barbara De Bernardi, all’epoca dei fatti sindaca di Condove.

Tra il 31 di ottobre e l’8 di dicembre a noi è sembrato una vita, mentre in realtà è un tempo brevissimo. Quelle giornate erano talmente piene che sembrano una vita. Prima del Seghino si erano tentati altri sondaggi di pianura come Borgone, cose più semplici da fare, sia come accesso

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che come difesa. Ma visti i nostri presidi e l’impossibilità di operare hanno tentato un posto più improbabile, in mezzo ai boschi su una strada strettissima sopra Susa in modo che anche per noi fosse più complicato difendere il territorio. C’era in corso una campagna mediatica per cui bisognava bucare, noi avevamo detto non si pianterà un chiodo allora dovevano piantarlo questo chiodo per dimostrare che i lavori procedevano. Ci siamo trovati lì il giorno prima; i comitati hanno pensato che era meglio andarci prima. Abbiamo fatto un sopralluogo e qualcuno ha deciso di fermarsi lì. Noi sindaci ci siamo fatti rilasciare delle deleghe dai proprietari dei terreni credendo che se ci fossero stati dei problemi avremmo potuto esibirle, pensavamo ancora che lo Stato fosse galantuomo e fra galantuomini si rispettano i patti. […] Avevamo deciso di trovarci l’indomani molto presto ed io alle 6 ero già a Urbiano [frazione del comune di Mompantero] ed ero ferma perché non ci facevano passare, c’era tutto il cordone delle forze dell’ordine e non facevano passare nessuno. Quel giorno ho avuto il primo brutto scontro con le forze dell’ordine, non parlo di uno scontro fisico anche se mi avrebbe fatto meno male una manganellata o un calcio. Ero in fascia tricolore come tutti gli amministratori e mi sono presentata al capo posto chiedendo di passare e il rappresentante delle forze dell’ordine mi ha preso la fascia tricolore, mi ha strattonata e mi ha detto «lei oggi con questa cosa non rappresenta proprio nessuno!». Per me il Seghino è la svolta, tutto quanto è accaduto dopo, la notte di Venaus etc. per me è la conseguenza di quella dichiarazione. Lo Stato dice ad un altro pezzo di Stato che non conta più nulla, sono saltati tutti i punti di riferimento civili, elettivi e democratici, annientati. Ci siamo allontanati da lì con gli altri amministratori e abbiamo cercato dei sentieri alternativi per arrivare nell’area di dei sondaggi, perché dovevamo raggiungere gli altri che erano già su. La cosa bella è che abbiamo incontrato la solidarietà della gente che abitava lì, siamo passati attraverso cortili e anche cancelli di abitazioni e tutti ci hanno aiutati a salire su per i sentieri. Insomma siamo riusciti ad arrivare e abbiamo raggiunto gli altri che erano già lì, oltre quel ponte che è poi diventato il simbolo del Seghino. Ci siamo piazzati lì su quel ponticello di montagna a precipizio sul torrente, in un posto difficile da difendere perché avevamo dietro ragazzini e anziani e temevamo che una carica sarebbe stata estremamente pericolosa. Siamo stati tutto il giorno su quel ponte e non sono riusciti a mandarci via. Ad un certo punto un gruppo di queste forze dell’ordine è riuscito a passare dall’altra parte e si è ritrovato isolato dagli altri, chiuso tra di noi. Lì è stato un altro momento che racconta bene che cos’è davvero il movimento No Tav, perché il servizio d’ordine ed il cordone di protezione per farli uscire senza farsi male lo hanno fatto i centri sociali, lì ci siamo veramente accorti che la saldatura tra noi era avvenuta. Da una parte c’eravamo noi sindaci e dall’altra Aska che garantiva che nessuno si facesse male, com’è accaduto anche dopo a Venaus. In realtà credo che moralmente le forze dell’ordine si siano fatte molto male, perché passare tra i fischi e protette da Aska dai facinorosi valsusini e da certe signore inviperite! L’ultimo schiaffo della giornata, di cui ci siamo accorti il giorno dopo, è arrivato con il buio, poiché sapevamo che non si poteva più procedere con i lavori e abbiamo avuto la parola d’onore della Prefettura di Torino che nulla più sarebbe avvenuto, così abbiamo concesso ai loro mezzi di ritornare indietro a valle. Noi siamo scesi al buio a piedi cantando “bella ciao” con la gente che ci applaudiva dalle case, sembrava la liberazione di Torino. La mattina dopo sono stata svegliata da un sms che diceva che questi al buio, come i ladri ed i malviventi, erano andati a piazzare la trivella, ignorando i patti tra presidente della Comunità Montana e Prefetto e prendendoci in giro. Hanno militarizzato il territorio e persino per andare al cimitero, era il giorno dei Santi, tu dovevi esibire i documenti e dimostrare di essere residente. In quel momento lì cittadini e amministratori hanno smesso di avere fiducia nello Stato. Poi bisogna dire che questa situazione è durata per un po’ di tempo, circa due mesi a protezione di una trivella che non faceva niente. I ragazzini che dovevano andare a scuola dovevano esibire i documenti, chi doveva andare a lavoro uguale, ti sentivi sotto dominio. Nel frattempo si sono scatenati altri fronti perché ci siamo detti il Seghino è stato preso con l’inganno ma ora c’è Venaus! Abbiamo dovuto imparare a non

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fidarci dello Stato. Del resto più avanti il Presidente della Repubblica Napolitano si è rifiutato di incontrare i sindaci della Valle, ma non ci ha neanche degnati di una risposta.

La militarizzazione e gli eventi del Seghino hanno contribuito ad allargare la protesta e ad identificare in modo più netto l’avversario; inoltre la rottura del rapporto di fiducia nei confronti dello Stato, da parte delle istituzioni locali e dei cittadini, ha riavvicinato ancora di più le diverse anime della protesta, che hanno iniziato a percepirsi come parte di un qualcosa di più grande, un movimento popolare.

Nei primi giorni di dicembre 2005 il presidio di Venaus divenne il nodo centrale della mobilitazione, nonostante la consistente presenza militare, gli abitanti decisero di presidiare il luogo e di montare delle tende sui terreni. La loro permanenza durò sette giorni finché nella notte del 6 dicembre le forze dell’ordine procedettero con lo sgombero che fu più violento di quanto, allora, ci si potesse aspettare. Quanto accaduto, piuttosto che scoraggiare gli abitanti, fece da ulteriore innesco per la partecipazione di quanti fino a quel momento erano rimasti ai margini.

Il giorno dopo lo sgombero l’intera Valle si bloccò per 24 ore: strade, autostrade e ferrovia vennero occupate, molte attività commerciali chiusero e gli studenti scioperarono.

L’8 dicembre, più di cinquantamila persone forzarono i blocchi e si riappropriarono dei terreni, sancendo di fatto l’avvio della vera fase conflittuale: popolazione e istituzioni locali

versus istituzioni centrali.136

La notte del 6 dicembre 2005 è una data fondamentale per la storia collettiva del movimento No Tav, in quell’occasione – davanti alla violenza delle forze dell’ordine contro persone inermi ed anziani – si è rotto definitivamente qualcosa di profondo nel rapporto tra la popolazione della Valle e le forze di polizia che diventano “forze di occupazione”, estranee al territorio e nemiche del luogo.

Le violenze subite vennero denunciate dai valsusini attraverso un iter giudiziario che si concluse, quattro anni dopo, con un decreto di archiviazione (16 giugno 2009) in alcuni punti contraddittorio; infatti se da una parte vi si sottolinea l’eccezionale gravità della violenza esercitata nei confronti di cittadini pacifici, dall’altro si manifesta l’impossibilità di identificare i responsabili.

Durbiano nella sua ricostruzione delle giornate di Venaus descrive l’agire collettivo come una pratica di riappropriazione del territorio usurpato.

Ci siamo ripresi i terreni usurpati!

Nel 2005 sono arrivati a stringere appalto per la costruzione del tunnel geognostico. Arrivano, come fanno i ladri, alle tre di notte nel mio Comune, anche all’epoca ero sindaco, hanno fatto un blitz 400-500 agenti delle forze dell’ordine con i tecnici di LTF, hanno delimitato con quelle reti arancioni che si usano per i cantieri l’area che doveva essere oggetto, due giorni dopo, di constatazione dello stato dei luoghi per le procedure espropriative. Le amministrazioni e la cittadinanza si sono esposte, hanno occupato l’area ed è nato un presidio, poi un campeggio. Abbiamo svolto il Consiglio comunale in sito, addirittura Venaria che è un comune della cintura di Torino ha portato in pulman qui il Consiglio comunale. Poi sappiamo bene com’è andata con gli scontri. Alla luce di questa situazione, finalmente, hanno capito che qui non erano quattro

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facinorosi e terroristi ma ci sono le istituzioni e c’è un fronte di cittadini ben organizzato. […] l’8 dicembre 2005 erano un mare di cittadini, molto determinati, e non i centri sociali ma i cittadini, che si sono riappropriati dell’area di cantiere, l’area è stata messa sotto sequestro per quasi un anno, nel frattempo l’amministrazione di Venaus ha acquisito i terreni dai legittimi proprietari e da lì è nato tutto il processo di riallocazione. Dall’altra parte della strada è nato il presidio No Tav, che c’è ancora, i terreni sono stati acquisiti o affittati dai militanti. Il presidio è nato come punto informativo per la lotta contro il TAV, per illustrare alle persone le ragioni della battaglia.

(Nilo Durbiano, sindaco di Venaus)

Quella che viene definita la liberazione di Venaus non rappresenta solo il momento di rottura con lo Stato ma ancor di più il momento di composizione del movimento. Gli eventi costituiscono una sorta di banco di prova per testare la forza effettiva dell’opposizione che si riscopre rinvigorita dal grande numero di partecipanti all’azione di resistenza.

Venaus è un momento storico per il movimento No Tav. Il mio impegno è cominciato nel 2000 ma posso dire che il 2005 è stato l’anno decisivo. In quel momento non potevi restarne fuori, così come me tanti altri. C’era tutta la comunità perché davanti alla violenza e alla militarizzazione la gente non poteva non sentirsi coinvolta. Se vedi i feriti e pensi che sono persone pacifiche, donne e anche anziani allora ti viene la voglia di reagire. Ho sempre creduto che la legge va rispettata e che ci sono dei doveri ma ci sono anche dei diritti, e quando chi dovrebbe garantirli ti massacra di botte allora ti viene da ripensare a tutto. Venaus è stato il momento della verità, eravamo davvero su di giri, abbiamo ripreso i terreni e se non è successo niente è stato merito di quei ragazzi di Aska che ce lo hanno impedito. La gente pensa – quella che sta sempre attaccata alla televisione – che i ragazzi dei centri sociali sono violenti, devo dire che quando abbiamo ripreso Venaus quelli più decisi eravamo noi cittadini, avevamo davvero il sangue agli occhi, per tutto quello che ci avevano fatto. I ragazzi hanno fatto un cordone per farli ritirare.

(Attivista di Avigliana)

Dopo gli scontri di Venaus il governo convocò a Roma i sindaci per proporre la fine delle misure repressive e una ripresa del dialogo, in vista anche delle Olimpiadi di Torino del 2006. Così si decise di costituire un Tavolo politico a Palazzo Chigi e un Tavolo tecnico, l’Osservatorio, composti dai rappresentanti delle istituzioni locali, di RFI e dei Ministeri dei Trasporti, dell’Ambiente, della Salute e delle Politiche comunitarie. L’analisi di tale procedura concertativa verrà affrontata nel dettaglio nel quarto capitolo, dove verranno esaminati i risultati ottenuti attraverso la disamina “dell’accordo di Pra Catinat” del 2008.

Con i lavori dell’Osservatorio, il rapporto tra movimento No Tav e istituzioni locali (o quanto meno una parte di esse) s’incrina sul fronte del “possibile compromesso” sulla fattibilità dell’opera, interpretato come l’ennesimo inganno in funzione di una govenance centralizzata che si auto-legittima attraverso strumenti di partecipazione fittizia (Algostino 2011).