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Dalla repressione economica al “reato d’opinione” 141 

III. Nota metodologica 16 

3.4 Dalla repressione economica al “reato d’opinione” 141 

Non avendoci piegato in nessun modo, il sistema del Tav e delle grandi opere, mentre s’ingrassa sulle nostre spalle, ha dato il via libera, tramite una crociata portata avanti dalla magistratura, ad un attacco repressivo senza precedenti. Sono centinaia i procedimenti penali che vedono i No Tav imputati, non si contano più i reati che ci vengono ascritti […] Con noi, si vuole sperimentare un nuovo modo di reprimere le lotte, non toccando solo la libertà personale, ma i patrimoni e i beni che ognuno, con tanta fatica, è riuscito a costruirsi194.

Con repressione economica non ci si riferisce ad un dispositivo legato ad uno specifico istituto o tipologia di reato, ma all’attuazione di misure pecuniarie, stabilite tramite procedure giudiziarie e sentenze, per colpire soggetti coinvolti nella lotta No Tav e quindi la popolazione in mobilitazione. Due casi emblematici: la richiesta di risarcimento, per un ammontare di quasi 200 mila euro – avanzata da LTF nei confronti di alcuni esponenti195 del movimento per aver ostacolato, tramite “resistenza passiva”, nel 2010 l’effettuarsi di un sondaggio geognostico presso Susa – e di quella degli oltre 150 mila euro, inerente la sentenza del “processo dei 53”, per i fatti degli scontri del 2011 della libera repubblica della Maddalena.

Il movimento per far fronte al pagamento ha indetto una raccolta fondi, che nel caso della sentenza del 2010, si è conclusa in poco tempo raggiungendo la somma necessaria, tramite una sottoscrizione online. Successivamente si è lanciata l’iniziativa di una “cassa di resistenza” con l’obiettivo di trovare una risposta diversa e collettiva alla strategia di repressione economica, interpretata come un tentativo di indebolire la partecipazione alla protesta, attraverso onerose sanzioni che pendono come un “ricatto” soprattutto sulle aree considerate “più moderate”.

Se impieghi una vita di sacrifici a costruire una casa e poi pensi che ti può venire tolta da un momento all’altro allora cominci ad essere più prudente, tante azioni non le fai più o comunque ci pensi su. È questo che vogliono fare, hanno capito che manganelli, lacrimogeni e violenza fisica non funzionano e che ci rendono ancora più forti, allora infieriscono come matti con le denunce e le richieste di risarcimenti. Finora abbiamo pagato ma non può andare avanti così, non possiamo continuare a svenarci e a chiedere soldi e non possiamo riempire le loro tasche. Non è facile perché molta gente potrebbe smettere di partecipare in modo deciso, il rischio è questo. La repressione è subdola, s’insinua nei bisogni delle persone e cerca di colpirle dove sono più sensibili. Le accuse e i processi non ci spaventano più, ma credo che questo sistema di puntare al portafogli sortirà qualche effetto. […] Ti fanno capire che loro hanno il coltello dalla parte del manico e se vogliono ti condannano anche se non hai fatto nulla. Non devi essere presente nella lotta, devi stare a casa! Questo è il messaggio che stanno lanciando.

(Attivista di Venaus)

194 Frammento estratto dall’appello, presente sul sito del movimento, per una “cassa di resistenza” per sostenere

le lotte e far fronte alla repressione giudiziarie ed economica. Cfr. http://www.notav.info/post/un-investimento- per-il-futuro-la-cassa-di-resistenza/

195 La sentenza vede la condanna in primo grado di Alberto Perino, riconosciuto come uno dei portavoce del

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La questione inerente il pagamento delle sanzioni e del risarcimento è stata discussa all’interno del coordinamento dei comitati No Tav ed in assemblea popolare, durante i quali sono emerse delle divergenze di vedute in merito al come procedere in futuro, davanti all’orientamento ormai conclamato, da parte della procura di Torino, di insistere sulla linea di una repressione economica.

Non si può continuare a pagare, questi battono cassa e finché paghiamo continueranno a puntare su quella strategia lì. Dobbiamo fare un altro passo avanti per fermare questa repressione, non bisogna più pagare. […] Sì, c’è il problema di chi è proprietario di case o comunque può essere costretto a pagare, su questo cercheremo insieme una soluzione ma è ora che passi il messaggio che pagare significa accettare il loro potere.

(Attivista di Bussoleno)

In modo particolare l’area dei centri sociali è concorde nel valutare strade alternative al pagamento, in modo da spezzare la strategia dell’accanimento giudiziario a scopo pecuniario. Il nocciolo del problema gravita intorno alla possibilità che tali modalità repressive riescano nell’intento di “indebolire” il fronte della partecipazione diretta degli abitanti.

Attraverso la repressione economica è più evidente il carattere sociale della punizione, poiché ad essere colpito non è solo il singolo soggetto ma l’intero contesto collettivo cui appartiene. Sia su un piano di “compartecipazione” del pagamento, sia da un punto di vista simbolico, ossia interiorizzazione dell’azione punitiva da parte della popolazione. Inoltre un ulteriore aggravante consiste nel fatto che una misura economica è immediatamente esecutiva e, in caso ci si trovi in presenza di un importo elevato, può sortire pesanti ripercussioni sulla vita quotidiana, con l’apertura di prospettive (qualora si sia insolventi) di pignoramenti di immobili, del quinto dello stipendio/pensione, e di quanto si possegga di beni materiali.

In risposta a tale situazione diversi attivisti No Tav hanno adottato la strategia di “auto- spoliazione” preventiva, ossia hanno provveduto a “liberarsi” di tutto ciò che possedevano, intestando case e altri beni a persone di fiducia, in modo da non essere soggetti ad alcun pignoramento.

Io non ho più niente, hanno ben poco da prendersi. Mi viene anche da sorridere, mi sono spogliato di tutto, Dovremmo trovare tutti il modo di tutelarci così, intestando le proprietà che si hanno ad altre persone di cui si ha fiducia e che non corrono il rischio di essere denunciate e processate. Potrebbe essere una buona strategia, così da non pagare. Però resta il problema di chi ha lo stipendio, mi viene di nuovo da ridere. In questo momento di crisi dove ti bombardano con la storia del lavoro per noi lo stipendio è un problema. Sembra assurdo! Il fatto è che lì non puoi agire, come per le pensioni, ti prendono una parte, non si scappa.

(Attivista di Villarfocchiardo)

Negli ultimi anni si è intensificato notevolmente il ricorso all’uso di sanzioni pecuniarie di tipo penale e/o amministrativo, a carico di coloro che sono parte attiva della campagna di protesta. Gli attivisti ne denunciano la matrice repressiva, soffermandosi su un uso strumentale dei procedimenti penali e delle sentenze, mirati a lanciare un messaggio di ammonimento verso chi partecipa all’opposizione. Pepino (2014), in merito, parla del ricorso ad una “proprietà transitiva dei reati”, laddove la responsabilità penale di un’azione viene

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estesa a tutti i partecipanti di determinate manifestazioni (i processi per “fatti di piazza” ne costituiscono un esempio), nel corso delle quali vengono commessi reati, anche se in assenza di specifiche condotte individuali che ne provino il coinvolgimento diretto. A riguardo l’ex magistrato riporta due esempi, tratti dalle ordinanze cautelari emesse nei procedimenti valsusini per resistenza, violenza e lesioni, in cui ci si trova in assenza di un accertato accordo tra i manifestanti per un’eventuale aggressione.

È ragionevole ritenere che nel caso in cui la G. avesse avuto intenzione di limitarsi a manifestare pacificamente, non appena la manifestazione ha assunto carattere violento si sarebbe allontanata. (Tribunale riesame Torino, ord 22 settembre 2011, infra, p.128 ss.)

È superflua l’individuazione dell’oggetto specifico che ha raggiunto ogni singolo appartenente alle forze dell’ordine rimasto ferito, come lo è l’individuazione del manifestante che l’ha lanciato, atteso che tutti i partecipanti agli scontri devono rispondere di tutti i reati (preventivati o anche solo prevedibili) commessi in quel frangente, nel luogo dove si trovavano.

(Giudice per le indagini preliminari Torino, ordinanza 20 gennaio 2012, infra, p.98 ss.)196

Il teorema di fondo di tale modo di procedere è retto dall’assioma secondo cui il solo partecipare a una manifestazione in cui alcuni dimostranti commettono azioni, considerate atti di violenza, e non allontanarsene nel momento in cui vengono commesse, significa concorrere nelle stesse.

Una rivisitazione di quanto avvenuto nel 1962 presso il Tribunale di Roma, che nel giudicare reati commessi nei moti di Genova del 30 giugno 1960197, affermò che: «in una manifestazione di massa la sola presenza dei partecipanti, di qualunque partecipante che non sia in grado di dimostrare categoricamente la propria estraneità, costituisce di per sé elemento costitutivo necessario e sufficiente ad affermare la responsabilità» (Lamacchia, Pelissero 2013).

L’accanimento della Procura di Torino contro il conflitto sociale in corso in Valsusa si estende anche a tutto quanto possa essere considerato di sostegno pubblico alla lotta, anche se si tratta di giornate di studi e “pensieri”.

196 Pepino L., op. cit. p.18

197 Ci si riferisce alla mobilitazione popolare scatenatasi in seguito alla decisione del governo Tambroni (DC) di

autorizzare il congresso nazionale del MSI a Genova, città in cui era forte la memoria della Resistenza. Dopo una settimana di agitazioni il pomeriggio del 30 giugno decine di migliaia di manifestanti affrontano la polizia in scontri molto duri in piazza De Ferrari. La mobilitazione dura qualche giorno e si estende ad altre città d’Italia. Si contano diverse vittime tra i manifestanti e il congresso viene annullato, con le successive dimissioni di Tambroni a fine luglio.

Il congresso fu l’elemento scatenante di una situazione politica e sociale molto tesa, anche a causa della recente chiusura di diverse industrie, tra cui l’azienda meccanica Ansaldo-San Giorgio. Nonostante si fosse nel pieno di quello che è stato definito il “boom economico”, le lotte sindacali contro le chiusure e le riduzioni di personale in generale si protraevano in città da circa un decennio. Nel processo che seguì gli scontri vennero imputate 43 persone, di cui 7 già agli arresti. La Corte di Cassazione decise lo spostamento del processo a Roma. Gli imputati furono quasi tutti condannati, ci saranno infatti 41 condanne, per pene massime di 4 anni e 5 mesi. In un caso, quello di Giuseppe Moglia, la condanna sarà di un solo mese e mezzo, nonostante che l’imputato fosse trattenuto in carcere da ben due anni.

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Il 2 dicembre 2013 si è tenuto a Torino il convegno organizzato dall’Associazione Giuristi democratici198 dedicato a “Conflitto sociale, ordine pubblico, giurisdizione: il caso Tav e il

concorso di persone nel reato”199, all’interno del quale si è dibattuto sul modo in cui le istituzioni in genere, e quella giudiziaria in particolare, affrontano il conflitto sociale e, in modo più specifico, il conflitto in atto in Val di Susa. Il convegno ha inizio con l’annunciato disappunto degli organizzatori per la revoca200, da parte della Commissione di Manutenzione della Corte d’Appello di Torino, all’utilizzo dell’aula del Palazzo di Giustizia, che era stata regolarmente concessa. I lavori dell’ incontro si aprono con una dura critica all’episodio, descrivendolo come «una censura preventiva del tutto inaccettabile per chi, come l’Associazione Giuristi Democratici, ha sempre fatto della libertà di espressione di pensiero una delle sue battaglie fondamentali». Revoca determinata dagli argomenti trattati, inerenti le inchieste e i processi in corso in quel periodo, come quello dei “53 No Tav”, a cui si è fatto riferimento sopra.

Le relazioni hanno affrontato gli snodi fondamentali dell’intervento istituzionale e giudiziario in tema di conflitto sociale, ossia l’uso e l’abuso delle misure di prevenzione – a partire dai fogli di via – per inibire la partecipazione a manifestazioni, la responsabilità dei singoli manifestanti per gli eventuali reati commessi da alcuni partecipanti alle manifestazioni, i criteri per l’applicazione delle misure cautelari e le crescenti contestazioni per fatti ritenuti di terrorismo ed eversione. In gran parte delle relazioni viene evidenziato come i processi scaturenti dal conflitto sociale sono in ogni caso politici, anche quando hanno per oggetto imputazioni comuni, poiché politici sono il contesto di riferimento, le motivazioni delle condotte e le risposte delle istituzioni.

Lo stesso episodio della revoca dell’utilizzo di Palazzo di Giustizia rientra in quest’ordine del discorso. In merito è circolato un appello, firmato da diversi intellettuali e studiosi, che ha denunciato la gravità dell’accaduto, sottolineandone la portata di censura e l’intento di mettere sotto “processo” anche la parola e il pensiero.

Nessun intervento censorio di questo tipo risulta essere intervenuto dagli anni Settanta ad oggi. E ancor più indigna il fatto che ciò sia avvenuto con riferimento a un tema di grande rilevanza pubblica e in polemica con una associazione forense di solide e radicate tradizioni democratiche. In un assetto costituzionale in cui la giustizia è amministrata in nome del popolo i palazzi di giustizia sono per definizione la casa di tutti e non il fortilizio di alcuni. È assai grave che ciò sfugga ai vertici della giustizia torinese. La democrazia – per usare una felice espressione di Norberto Bobbio – “è il governo del potere pubblico in pubblico”. È sorprendete che ciò venga ignorato da

198 Cfr. http://www.giuristidemocratici.it/ «L’Associazione Nazionale dei Giuristi Democratici promuove un

concreto impegno dei giuristi per la difesa ed attuazione dei principi democratici, di uguaglianza ed antifascisti della Costituzione della Repubblica, per la applicazione delle Convenzioni dei Diritti dell’Uomo, per la realizzazione di una Costituzione Europea autenticamente democratica, fondata sul ripudio della guerra, con particolare riguardo ai diritti dei lavoratori, dei meno abbienti e degli emarginati ed ai diritti di associazione, libertà di circolazione, riunione e manifestazione del pensiero».

199 AA.VV. Conflitto, ordine pubblico, giurisdizione. Il caso TAV, Giappichelli Editore, Torino 2014.

200 Cfr.

http://www.ilmessaggero.it/PRIMOPIANO/CRONACA/no_tav_convegno_tribunale_convegno/notizie/379870.s html

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chi esercita la giurisdizione, che proprio dal dibattito e dal controllo pubblico trae alimento e credibilità. È una brutta pagina per Torino e per la giustizia201.

In linea con quanto descritto sopra, è anche il procedimento a carico dello scrittore Erri De Luca, definito dal suo avvocato «Processo politico alla libertà di parola».

L’accusa è di istigazione a delinquere, in merito ad una sua dichiarazione pronunciata durante un’intervista rilasciata a Huffington Post, in cui commentava le azioni di sabotaggio ad opera di militanti No Tav come azioni giustificate in un contesto territoriale militarizzato che vede limitate libertà e diritti dei cittadini. Riportiamo di seguito uno stralcio del testo pubblicato sul giornale.

Mi arrogo però una profezia: la Tav non verrà mai costruita. Ora l’intera valle è militarizzata, l’esercito presidia i cantieri mentre i residenti devono esibire i documenti se vogliono andare a lavorare la vigna. Hanno fallito i tavoli del governo, hanno fallito le mediazioni: il sabotaggio è l’unica alternativa202.

La denuncia è arrivata da LTF (ora TELT), la società che si occupa della realizzazione del Tav Torino-Lione, poiché le parole di un personaggio pubblico influente, come lo è Erri De Luca, avrebbero incoraggiato a compiere atti illeciti, provocando ulteriori danni al cantiere.

La paura del contagio si estende anche alla dimensione della scrittura e del pensiero. Quello di De Luca non è l’unico episodio di denuncia, due esponenti del movimento sono stati indagati dalla procura di Torino per istigazione a delinquere, a causa di alcune frasi pronunciate nel corso di una conferenza stampa a Bussoleno il 25 luglio 2012. In un articolo pubblicato sul sito del movimento viene evidenziata la violazione della libertà di parola e di opinione:

[…] al tribunale di Torino si processano le idee, come per Erri De Luca , ancora una volta viene minato il principio costituzionale della Libertà di Parola e di Opinione. Istigazione a delinquere per aver dichiarato illegittime le recinzioni del cantiere di Chiomonte e per aver detto che il movimento avrebbe provveduto più e più volte a danneggiarle203.

Più volte si è sottolineata nel corso del nostro lavoro la percezione degli abitanti di trovarsi sotto uno stato di assedio, in cui la libertà personale viene limitata e continuamente ci si deve giustificare e difendere anche in merito alle azioni più “normali” e comuni, come ad esempio possedere un attrezzo da lavoro in macchina (cesoia) o il recarsi alla propria vigna. Le perquisizioni, i posti di blocco e le operazioni di monitoraggio continuo con videocamere puntate a tutte le ore del giorno su luoghi di vita in comune (come i presidi ed i campeggi) sono entrati ormai nella vita quotidiana dei Valsusini. Questi atti segnalano un controllo che materializza ulteriormente la presenza fisica dello Stato sul territorio, laddove ha perso la sua valenza simbolica ed è diventato l’avversario.

201 Stralcio dell’appello circolato in seguito alla decisione della Commissione di Manutenzione della Corte

d’Appello di Torino, trai cui firmatari figurano oltre cento giuristi.

202 Per una lettura integrale dell’intervista cfr. http://www.huffingtonpost.it/2013/09/01/tav-erri-de-luca-va-

sabotata_n_3851994.html

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I luoghi di aggregazione sono ritenuti siti di raccolta per sovversivi, provenienti da tutta Italia e da diverse parti d’Europa, che raggiungono la Valle per fare la guerra allo Stato utilizzando il TAV come pretesto e strumentalizzando la protesta pacifica dei cittadini. Di seguito vorremmo provare a descrivere quanto avviene all’interno dei campeggi di lotta No Tav, in modo da fornire degli elementi differenti da quelli dell’informazione mainstream. Nello specifico ci si riferirà al campeggio 2013, di cui si è condivisa l’organizzazione e una gran parte dei momenti di socializzazione e azione.

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