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Ricostruzione della prima fase della mobilitazione 70 

III. Nota metodologica 16 

2.3 Nascita e crescita dell’azione collettiva (1990-2000) 65 

2.3.2 Ricostruzione della prima fase della mobilitazione 70 

Il 12 luglio 1991, dopo una serie di incontri bilaterali, i Comitati Promotori dell’opera italiano e francese firmarono un protocollo di intesa, per avviare gli studi con cui si intendevano indirizzare le decisioni governative, diffondendo, ad opera del comitato italiano,

115 L’antropologo americano James Holston in Sandercock (1995) definisce le nuove pratiche di cittadinanza

“insorgente”. Questi afferma che, negli interstizi degli spazi pianificati dal paradigma modernista, costituito da una governance centralizzata e dal pericolo di oligopoli-multinazionali (come sostiene Giacomo Becattini, 2010) possano rintracciarsi degli spazi di resistenza a tale paradigma, che denomina “spazi di cittadinanza insorgente”. Sono forme di insorgenza che possono incontrarsi sia nei movimenti che nelle pratiche di vita quotidiana, le quali hanno il potere di sovvertire le regole e l’ordine statale. Come ad esempio accade nel caso delle occupazioni abitative; le pratiche per la produzione, la gestione, e l’utilizzo di questi spazi urbani sfidano i codici culturali dominanti in cui lo spazio è fondamentalmente una risorsa a servizio della valorizzazione del capitale.

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circa tre mesi dopo, uno Studio di Fattibilità in cui veniva sottolineata l’urgenza della nuova linea ferroviaria, in quanto quella esistente sarebbe giunta a saturazione nel 1997 (cosa che poi nella realtà dei fatti non è mai avvenuto).

Avallati anche dal responso di questi dati, alla metà di ottobre il Ministro dei Trasporti italiano ed il suo omologo francese, firmarono la dichiarazione di intenti a realizzare la Torino-Lione. La decisione fu presa senza alcun coinvolgimento delle istituzioni della Valle, ma anche senza alcun passaggio d’informazione in merito al progetto.

In risposta la Comunità Montana Bassa Valle Susa iniziò un’opera di pressione nei confronti della Regione Piemonte, inviando lettere di protesta nelle quali si lamentava il totale ostracismo dei comuni e delle loro rappresentanze dai processi decisionali, e l’esclusione da tutto il livello informativo sul cosa si sarebbe fatto del territorio valsusino.

Nel 1992, quando anche la Comunità Montana dell’Alta Valle iniziò a rivendicare il proprio ruolo decisionale, in quanto espressione del territorio interessato dal progetto, la Giunta Regionale si dichiarò disponibile a stabilire forme di collaborazione con gli Enti locali. Intanto però si procedeva nella presentazione ufficiale dello studio commissionato dalla Regione e da SITAF, dove la prima lavorava in concertazione con la seconda, rinunciando di fatto al suo ruolo super partes e continuando ad ignorare la componente istituzionale locale, nonostante il presidente della Regione Piemonte Gian Paolo Brizio affermasse: «prima di ogni decisione consulteremo la gente».

A seguito di tale atteggiamento, l’associazione Habitat denunciò Brizio, per abuso di atti di ufficio, a causa della mancata documentazione sullo studio commissionato dall’ente che presiedeva; faccenda che si concluderà con la sua condanna, per mancata comunicazione della documentazione relativa al progetto.

«Mentre la Regione Piemonte si fa condannare piuttosto che dare copia degli studi, da parte francese, la Prefettura della regione Rhône-Alpes compie un bel gesto di apertura facendo arrivare a Pro Natura tramite le associazioni di oltralpe, un ponderoso studio sulla “Nouvelle Liaison ferroviarie Lyon-Turin” redatto insieme alle Ferrovie francesi SNCF».116

Il 26 novembre 1993 a Roma si tenne il vertice intergovernativo che diede di fatto il via libera all’opera e che ebbe come risposta, delle amministrazioni locali, la prima riunione plenaria di 17 sindaci presso la Comunità Montana Bassa Valle Susa, nella quale si votò il documento dei “Quattro NO”.

Riportiamo di seguito un estratto del testo della mozione dei quattro punti117, che venne pubblicato e diffuso in Valle in 30.000 copie e poi discusso in un convegno a Susa (gennaio 1994) dal titolo “Il caso Valsusa”, a cui parteciparono il presidente della Regione e numerosi politici.

116 Cfr. http://www.notavtorino.org/documenti/breve_storia_tav.htm

117 Pepino L., Revelli M., Non solo un treno… La democrazia alla prova della Val Susa, Edizioni GruppoAbele,

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No perché la Val di Susa non è in grado di sopportare altre infrastrutture.

No perché la qualità dell’ambiente è un diritto fondamentale della comunità locale.

No perché le scelte vengono assunte in palese contrasto con il diritto dei cittadini di avvalersi del bene natura quale elemento prioritario della vita.

No perché è demagogico affermare che la costruzione della linea ad Alta Velocità risolva il problema occupazionale in valle.

Tra le iniziative più significative a seguito della mozione dei “quattro no”, il 28 gennaio 1994 il Consiglio della Comunità Montana Bassa Valle di Susa e Val Cenischia, in rappresentanza dei 25 comuni che la componevano, approvò all’unanimità un ordine del giorno sui motivi dell’opposizione al progetto TAV, e il sindaco di Mompantero, Romano Perino, insieme ad altri amministratori che deliberarono per primi contro l’Alta Velocità, promosse incontri con i 17 comuni dell’oltre Ticino e gli 8 del Novarese che erano coinvolti nell’opposizione contro la linea TAV Torino-Milano, al duplice scopo di stabilire un gemellaggio con altre realtà e di dare maggior peso al Comitato contro l’Alta Velocità in Val di Susa.

In queste occasioni ci fu l’ufficializzazione del Comitato di Coordinamento fra amministratori ed associazioni e il conseguente allargamento del fronte del “no”. Bisogna far presente che anche a livello istituzionale le posizioni sul modo di procedere nella campagna di protesta ospitavano differenti modi di intendere l’azione di resistenza. Se da una parte si cercava di privilegiare le richieste di incontri con i referenti politici, il caso del presidente della Comunità Montana Luciano Frigeri, dall’altra si avvertiva la necessità di passare ad una posizione di più netta rottura trainata dal sindaco di Mompantero.

Sulla scia del tentativo di dialogo, il 24 novembre 1995 la Comunità Montana della Bassa Valle fece formale richiesta alla Giunta Regionale Piemonte di istituire una conferenza permanente con i sindaci delle località interessate ed i presidenti delle Comunità Montane, con l’intento di impegnarla ad illustrare il progetto nelle località principali e di confrontarsi con amministratori e popolazione. Ne fece seguito il Coordinamento Regionale sull’Alta Velocità che tuttavia fallì per l’incapacità, o non volontà, della Giunta Regionale a svolgere un concreto ruolo di coordinamento e di concertazione con la componente locale.

Quest’esperienza fu un motivo di delusione e ulteriore perdita di fiducia nelle istituzioni centrali che, inoltre, agevolò il lavoro di rafforzamento delle reti di relazione e dei legami degli oppositori al TAV.

Infatti, un vero dialogo non si concretizzò mai, i continui rinvii di trattazione degli argomenti centrali (ad esempio le proiezioni sui flussi di traffico ed esame delle sue direttrici e i dati economici) costituirono il leitmotiv del modo di procedere dell’ente regionale.

Nel 1998 Pro Natura si incaricò di tradurre e diffondere la perizia indipendente sulla Torino-Lione che fu ordinata dal governo francese, su richiesta delle associazioni della Savoia coinvolte nell’opposizione alla linea.

Il cosiddetto “rapport Brossier”, frutto dell’analisi dei “tre saggi” incaricati dal Ministro dei Trasporti Gayssot di valutare l’opportunità dell’opera, mise in discussione il progetto consigliando di procedere con l’ammodernamento delle linee esistenti, in quanto i costi dell’investimento sarebbero stati spropositati e inutili, dal momento che i flussi di traffico per

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il Frejus, sarebbero stati destinati a diminuire a seguito della successiva apertura delle nuove linee ferroviarie del Sempione e del Gottardo verso la Svizzera.

Tuttavia, in seguito all’incidente sotto il tunnel del Monte Bianco (24/03/1999), la linea Torino-Lione tornò ad essere presentata dai promotori quale unica risposta valida e necessaria. La Conferenza Intergovernativa (24/9/1999) si allineò ai promotori accelerando sul progetto, nonostante il parere sfavorevole del nuovo amministratore delegato delle Ferrovie italiane Giancarlo Cimoli.

Nel febbraio del 2000 RFI (Reti Ferroviarie Italiane) iniziò a contattare gli amministratori della Val di Susa per affrontare formalmente la progettazione del tratto italiano della nuova linea, ciò che emerse fu una forte contrapposizione nel merito, relativa soprattutto all’ipotesi del nuovo tunnel di 54 km e dei conseguenti problemi per lo smarino, enormi quantità di materiale pericoloso contenente amianto e uranio.

Nel settembre dello stesso anno, la Comunità Montana e i sindaci si recarono a Roma per incontrare l’allora Ministro dei Trasporti Luigi Bersani, il quale rese noto che l’Alta Capacità era ormai decisa ma che il governo si apriva alla possibilità di valutare altri tracciati della linea; dichiarando, inoltre, la propria disponibilità ad istituire un tavolo di confronto a Torino, con cadenza quindicinale, dove affrontare in modo più approfondito i problemi infrastrutturali in Val di Susa, con l’ulteriore promessa che al tavolo delle consultazioni, insieme a Ministero, Regione e Provincia ci sarebbe stata anche la Comunità Montana con una delegazione di sindaci.

La Comunità Montana della Bassa Valle intravide in questa “promessa” di un tavolo condiviso un’opportunità per uscire dall’isolamento e far valere la propria posizione, ritenendo di poter intrattenere un reale dialogo. Intanto al fine di rafforzare il proprio potere negoziale, da un lato incrementò gli studi tecnici – in modo da poter sostenere un confronto alla pari su tutti i settori di cui il tavolo avrebbe dovuto occuparsi – e dall’altro, costituì insieme ai sindaci della Val di Susa, della Val Sangone, della cintura nord-ovest di Torino, alla Coldiretti, alle associazioni sindacali e ambientaliste e ai tecnici, un Comitato Istituzionale sull’alta velocità ferroviaria (2000).

Questo agiva nelle proprie sedi attraverso pratiche di opposizione come esposti, ritiro della propria delegazione dalla commissione tecnica, istituita dal governo, rifiuto di approvare gli accordi relativi ai sondaggi e convocazione di consigli comunali aperti.

Tra i tanti va menzionato quello tenutosi a Torino, in piazza Castello nel 2005118, a cui parteciparono i sindaci di 33 comuni della Valle, la Comunità Montana Bassa Val Susa e Val Cenischia e la Comunità Montana Val Ceronda e Casternone. Va sottolineato che fu la prima volta in Italia che un numero così consistente di amministratori locali si riuniva formalmente in un luogo pubblico per discutere e approvare una delibera.

Del tavolo promesso si concretizzò solo un primo incontro con il Sottosegretario ai Trasporti, in cui si definirono tempi, luoghi, date e argomenti da affrontare, ma non ci fu nessun seguito. Infatti, il tavolo venne convocato e annullato per tre volte, a causa di impegni istituzionali sopraggiunti, ed una quarta volta sindaci e Comunità Montana si recarono all’incontro, così come i loro consulenti venuti appositamente da

Roma e da Milano, ma non si presentò nessuno degli interlocutori.

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La sensazione era quella che ci prendessero in giro, noi avevamo investito molto lavoro ed energie e credevamo che avremmo avuto quanto meno la possibilità di farci ascoltare, ma, per come sono andati i fatti, dall’altra parte quest’intenzione non c’è mai stata. Da amministratore ti senti impotente perché il messaggio che passa, ed arriva anche ai tuoi cittadini, è che tu non conti niente, il potere di decidere sta tutto da un’altra parte e tu con il tuo piccolo paesello sei trattato da burattino.

(Amministratore Comune di S. Ambrogio)

I nostri rappresentanti istituzionali si illudevano di poter contare qualcosa, altri cercavano alleanze poco chiare in prospettiva di carriere, come si è visto con Ferrentino, insomma si pensava di risolvere la faccenda nelle stanze del potere. […] il vero potere lo abbiamo dimostrato in piazza, quando ci siamo chiariti tutti che non si può cambiare delegando alle istituzioni, perché quelle possono sostenerti ma non vanno oltre un certo livello, e per avere dei risultati concreti quel livello va superato. Se davanti a te c’è una parte che non vuole dialogare cosa fai? Se non ti riconoscono nessun potere sul tuo territorio come puoi ostacolarli? Aspetti che ti ricevano e intanto si fa il TAV? […]. Non dico che l’impegno delle istituzioni [locali] è inutile, serve anche quello, ma senza il movimento, senza la gente non saremmo qui oggi a parlarne. La storia si sarebbe chiusa molto tempo fa.

(Attivista di Bussoleno)

La sensazione di “beffa” divenne ancora più forte considerando che per il 29 gennaio 2001 era previsto, a Torino, il vertice intergovernativo e fino a dicembre non c’era stato nessun tavolo di confronto, che stando ai “patti” avrebbe dovuto essere propedeutico alla preparazione dello stesso vertice.

La Comunità Montana decise di divulgare i dati raccolti nelle relazioni dei tecnici Pinna e Debernardi, i quali erano stati incaricati di studiare i flussi di traffico, e organizzò un seminario aperto alla popolazione. I risultati degli studi dimostravano ciò che le stesse Ferrovie avevano ammesso, e cioè che la linea attuale era sfruttata solo per una minima parte delle sue potenzialità, e che il traffico merci era in calo.

Con il mancato tavolo di concertazione di fine anni 2000 si aprì di fatto la seconda fase della vicenda No Tav, in cui i comitati popolari maturarono un sentimento più maturo di svincolo dalla delega istituzionale assumendo un maggiore protagonismo nella campagna di protesta.