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Gli anni ’90: il dibattito anglosassone verso una definizione d

cide

Gli anni ’90, e ancora di più il decennio successivo, segnarono la svolta nel passaggio dagli studi pionieristici a un vero dibattito sulle caratteristiche, le cause e le conseguenze della violenza assassina con- tro le donne.

Si tratta di studi estremamente utili a definire i contorni di questa piaga sociale che assume sfumature diverse, anche se egualmente drammatiche, in diversi Paesi del mondo. La disamina delle principali letture sociologiche è indispensabile per comprendere quali siano gli elementi strutturali del femminicidio come evento e capire, come av- verrà nelle prossime pagine, se essi sono poi stati tenuti in considera- zione sia nei documenti internazionali sia nelle norme penali che diver- si Stati hanno emanato per sanzionare il femminicidio come reato.

Nell’articolo del 1990 di Russell e Caputi si definisce femicide come: «the murders of women by men motivated by hatred, contempt, pleasure, or a sense of ownership of women»28. In un secondo interven-

27 Si veda, ancora, P. T

OLEDO, op. cit., 89.

28 D. R

USSELL, J. CAPUTI, op. cit., 34. La citazione prosegue: «Femicide includes mutilation murders, rape murders, battery that escalates into murder; historical immola- tion of witches in Europe, historical and contemporary of brides and widow in India; and “honor crimes” in some Latin and Middle Eastern countries, where women be- lieved to have lost their virginity sometimes are killed by male relatives».

CAPITOLO II

to, del 1992, la Russell lo definisce come l’assassinio misogino di don- ne perpetrato da uomini29.

Una lettura diversa e parallela, sempre agli inizi degli anni ’90, è proposta da Karen Stout, in uno dei primi studi demografici sul tema, che conia il concetto di intimate femicide per riferirsi all’uccisione di donne da parte del partner. La Stout non fa alcun riferimento alle moti- vazioni del crimine e non prende in considerazione gli atti commessi vuoi da sconosciuti, vuoi da altri soggetti noti alla vittima ma diversi dal partner (familiari, colleghi di lavoro, amici…)30.

Una terza linea di ricerca e lettura del fenomeno è presentata nel 1998 da Jacquelyn Campbell e Carol Runyan31 che ridefiniscono il con- cetto di femicide in cui ricomprendono tutte le uccisioni di donne a pre- scindere dal motivo o dallo status di colui che lo ha commesso.

Quest’ultima definizione, che ha raccolto un numero di proseliti as- sai inferiore alle altre32, è utile però per evidenziare, per differenza, le caratteristiche delle altre due. Infatti, nel vasto insieme tracciato da Campbell e Runyan, rientrano per intero sia la definizione di Stout, che seleziona gli eventi sulla base del vincolo autore-vittima, sia quella di Russell che utilizza come filtro principale la motivazione del reo (espli- cita o implicita) caricata di una forte connotazione “politica”.

Fin da ora è interessante interrogarsi se, alla prova dei fatti, l’insie- me degli eventi compresi nella definizione di Stout, sia una sorta di sot- toinsieme di quello individuato dalla definizione di Russell, oppure se i due insiemi semplicemente si intersechino.

Risale al 2001 ed è perciò frutto di una riflessione ancora più appro- fondita e dibattuta, la definizione di femicide di Diana Russell che con maggiore frequenza viene ripresa e rilanciata sia in ambito accademico

29 D. R

USSELL, J. RADFORD (a cura di), Feminicidio. La política del asesinato de

mujeres, Ciudad de México, 2006, 33, ed. originale inglese: Femicide: the politics of women killing, New York, 1992.

30 K. S

TOUT, Intimate femicide: a national demographic overview, in Journal of In-

terperonal Violence, 4, 1991, 476-485.

31 J. C

AMPBELL, C. RUNYAN, Femicide: Guest Editors Introduction, in Homicide

Studies, 4, 1998, 347-352.

32 Nello stesso numero monografico di Homice Studies dedicato al feminicidio e

aperto dall’editoriale di Campbell e Runyan, la maggior parte degli articoli concentra la propria attenzione sull’intimate femicide.

LE ORIGINI TEORICHE DEL DIBATTITO SULLA VIOLENZA ASSASSINA CONTRO LE DONNE

49 che dai mass media. In uno scritto edito con Roberta Harmes33 la Rus- sell lo ha definito come l’uccisione di persone di sesso femminile da parte di persone di sesso maschile a causa della loro condizione di per- sone di sesso femminile, reso spesso con la sintetica formula: «per il fatto di essere donna». Nelle edizioni originali inglesi dei suoi testi, va puntualizzato, la Russell usa semplicemente e direttamente la congiun- zione causale because34. La ricercatrice, per parte sua, precisa che si riferisce in senso ampio alle persone di sesso femminile (female) e non strettamente alle donne per includere gli infanticidi delle bambine in contesti culturali in cui la nascita di figli maschi è vista con maggior favore. Inoltre, ribadisce l’esclusione di ogni riferimento al vincolo af- fettivo o di parentela che potrebbe intercorrere tra autore e vittima, di- sconoscendo esplicitamente la scelta selettiva operata da Stout.

Un aspetto controverso, emerso ben presto nelle definizioni proposte e che ha importanti ripercussioni sulla formulazione delle fattispecie penali, riguarda l’inclusione o meno delle donne tra i possibili autori di femminicidio35. Non si tratta soltanto dei casi relativi a coppie lesbiche, ma concerne anche altre situazioni: p.e. le uccisioni per dote in India, sovente commesse con la complicità della suocera, e, in varie parti del mondo, quelle commesse per tutelare il c.d. “onore” familiare, in cui gli autori uomini trovano appoggio e aiuto materiale da parte delle donne della famiglia. La Russell è tra coloro che, in questi casi, preferiscono non parlare di femminicidio, bensì di uccisioni di persone di sesso femminile perpetrate da persone di sesso femminile. La ricercatrice propone, invece, di classificare questi casi in base al ruolo rivestito da colei che ne è autrice, che agisce di volta in volta come “agente del pa-

33 D. R

USSELL, Definición de feminicidio y conceptos relacionados, in D. RUSSELL, R. HARMES (a cura di), Feminicidio: una perspectiva global, Ciudad de México, 2006, 84, ed. originale inglese: Femicide in global perspective, New York, 2001.

34 La citazione completa in inglese è assai sintetica: «the killing of females by

males because they are female». D. RUSSELL, The origin and importance of the term

Femicide, 2011, disponibile sul sito web della ricercatrice: http://www.dianarussell.com /origin_of_femicide.html.

35 M. C

RAWFORD, R.M. GARTNER, Women killing: intimate femicide in Ontario

(1974-1990), Toronto, 1992; N. GLASS, J. KOZIOL-MCLAIN, J. CAMPBELL, C. BLOCK,

Female-perpetrated femicide and attempted femicide: a case study, in Violence Against Women, 6, 2004, 606-625.

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triarcato”, come autrice mediata di autori maschi (e include in questo insieme anche suicidi-femminicidi di cui si dirà di seguito), o ancora per motivi personali36.

Il suicidio-femminicidio è un altro degli aspetti del problema che ha ricadute sia sulla definizione sia sull’intervento repressivo dello Stato. Con quest’espressione37 si indicano i casi in cui le donne sono portate al suicidio a causa della violenza fisica, psicologica o economica che su- biscono. Lungi dal riguardare “solo” i casi in cui le donne si tolgono la vita giunte all’esasperazione dopo lunghi periodi di violenze fisiche perpetrate dal partner o da un familiare, questo aspetto del problema coinvolge situazioni diverse in più luoghi del mondo: dall’ostracismo che priva di ogni risorsa le donne dello Zimbabwe accusate di stregone- ria; alle insopportabili violenze sessuali (“legittimate” dal matrimonio) sofferte da ragazzine sposate troppo precocemente a uomini adulti in Sudan; alla privazione dei diritti ereditari per le vedove e le donne che, in Nepal, sono perciò costrette all’indigenza più totale38.

È fin troppo evidente che quanto fin qui descritto non può entrare, così com’è, nelle asciutte maglie di una disposizione del tipo: «chiun- que cagiona la morte di un uomo (o di una donna)», anche se si tratta di un reato a forma libera. Va tenuto presente, però, che il primo interesse delle ricercatrici che ho citato non era coniare una fattispecie penale,

36 D. R

USSELL, Definición de feminicidio, cit., 82.

37 Il suicidio-femminicidio non va confuso con il femminicidio-suicidio, espressio-

ne con cui si indica il femminicidio cui segue a poca distanza il suicidio dell’autore del crimine.

38 «Suicides by women were reported to have become a “pan-South Asian trend”,

with suicide due to domestic abuse, forced marriages, the casting out of widows and lack of inheritance rights emerging as the leading cause of death among Nepalese women in the prime reproductive age group (in 2008/2009)» CONSIGLIO PER I DIRITTI UMANI DELL’ONU, Informe de la Relatora Especial sobre la violencia contra la mujer,

sus causas y sus consecuencias, Rashida Manjoo. Adición: Informe resumido de la reunión del grupo de expertos sobre los asesinatos de mujeres por motivos de género,

16 maggio 2012, A/HRC/20/16/Add.4, 5 (http://www.ohchr.org/Documents/HRBodies/

HRCouncil/RegularSession/Session20/A.HRC.20.16.ADD4.SPA.pdf). Sulla situazione

in Nepal, si veda: G. SHARMA, La prima presidente del Nepal e la sua lotta per i diritti

delle donne, in Internazionale on-line, 12.11.2015, disponibile alla pagina: http://www. internazionale.it/notizie/2015/11/12/nepal-presidente-donne.

LE ORIGINI TEORICHE DEL DIBATTITO SULLA VIOLENZA ASSASSINA CONTRO LE DONNE

51 bensì descrivere un fenomeno, come le forme più estreme e drammati- che di discriminazione delle donne, cui danno un nome (femicide), cer- cando di portarlo al centro di un dibattito pubblico esterno alle accade- mie. Non deve sorprendere, perciò, che sia un dibattito con basi negli Stati Uniti e nel mondo anglosassone39, ma che guarda al mondo e si spinge ad analizzare la condizione femminile anche in Africa e nel Sud- Est asiatico.

Vi sono ancora due importanti concetti da tenere in considerazione per l’analisi del femminicidio rispetto al quale il dibattito internazionale è debitore dell’esperienza di studio statunitense.

Il primo di essi è il «continuum di violenza». Espressione coniata dalla sociologa statunitense Liz Kelly nel 198740 è entrata nel bagaglio di conoscenze, anche implicite, di tutti coloro che operano, nella pratica e a livello teorico, a contatto con donne vittime di violenza. La ricerca di Kelly aveva il proposito di mostrare la natura non episodica delle violenze sofferte da molte donne. L’Autrice ha cercato di mostrare la connessione esistente tra le diverse tipologie di violenza che soffrono le donne, dalle più comuni e socialmente ignorate (ciò che è “tipico”) fino alle più gravi e socialmente rifiutate (ciò che è “aberrante”) e ha espres- so il suo punto di vista enfatizzando che questa violenza è usata dagli uomini per controllare le donne, proposito soggiacente a ogni espres- sione di violenza contro le donne.

Russell, per parte sua, e fin dal lavoro del 1990 con Caputi, include nel proprio concetto di femicide gli stimoli dell’articolo di Kelly, poiché lo descrive come l’estremo di un continuum di violenza. Questo colle- gamento stretto con le forme di violenza contro le donne non letali (ma propedeutiche all’azione omicida) è fondamentale nello sviluppo del dibattito soprattutto in Messico e nel resto dell’America Centrale.

Il secondo elemento di riflessione riguarda lo spazio, o meglio la sfera, nella quale si esprime la violenza che, nell’impostazione di Rus-

39 La stessa, pluricitata, Diana Russell è una ricercatrice di origini sudafricane, for-

matasi nel Regno Unito e negli Stati Uniti, dove vive e opera dal 1963.

40 L. K

ELLY, The continuum of sexual violence, in J. HANMER, M. MAYNARD (a cu- ra di), Women, violence and social control, New Jersey, 1987, 46-60.

CAPITOLO II

sell, può essere tanto quella pubblica o come quella privata41. La distin- zione delle sfere è stata criticata da diverse correnti femministe che ne hanno denunciato il carattere etnocentrico (ciò che è pubblico in una società può essere privato in un’altra e viceversa). Non se ne può qui prescindere, tuttavia, per il suo carattere consustanziale allo sviluppo del diritto occidentale nel suo insieme e per i numerosi riferimenti che a essa fanno sia il diritto internazionale dei diritti umani e sia le norme interne riguardanti la violenza contro le donne e i minori. Il giurista italiano può pensare, come esempio, alla condizione obiettiva di punibi- lità del pubblico scandalo necessaria per punire gli autori del reato di incesto (art. 564 c.p.)42. Ebbene, proprio la trasmigrazione di ciò che è socialmente ritenuto come appartenente a una sfera verso l’altra è stata ed è storicamente fondamentale nell’evoluzione dei costumi e della condizione della donna e delle relazioni familiari43.

41 Ve ne sarebbe un terzo, dacché Russell e Caputi sottolineano in vari passaggi il

carattere “terrorista” (D. RUSSELL, J. CAPUTI, op. cit., 35) della violenza contro le don- ne. Concordiamo con Toledo (P. TOLEDO, op. cit., 87) nel considerare questo riferimen- to un interessante esempio della forma in cui la teoria femminista utilizza il linguaggio dotandolo di contenuto per portare l’attenzione pubblica su fenomeni specifici come la violenza contro le donne (in Spagna ha parlato di terrorismo alludendo alla violenza contro le donne anche Celia Amorós: C. AMORÓS, La gran diferencia y sus pequeñas

consecuencias… para las luchas de las mujeres, Madrid, 2004, 25). Insistere su questo

aspetto, però, viste le diverse caratteristiche assunte dal terrorismo politico, oggi a mio giudizio sarebbe fuorviante.

42 Così nell’opinione tradizionale del Manzini, messa in discussione da letture più

recenti e costituzionalmente orientate. Cfr. L. MONTICELLI, Dei delitti contro la morale

familiare, in A. CADOPPI, S. CANESTRARI, P. VENEZIANI (a cura di), Codice penale.

Commentato con dottrina e giurisprudenza, Piacenza, 2011, 1861.

43 Vi sono più norme, anche all’interno del codice penale italiano, la cui ratio si so-

stanzia nel fatto che, per preservare una migliore pace sociale, il diritto pubblico non debba occuparsi di dinamiche interne alla famiglia. Non è necessario ricordare la so- stanziale disapplicazione, per decenni interi, del reato di maltrattamenti in famiglia, poiché, senza guardare al passato, ancora oggi è oggetto di attenzione dei tribunali su- periori la causa di non punibilità dell’art. 649 c.p. (G. LEO, Per la Corte costituzionale è

anacronistica la disciplina di favore per i reati contro il patrimonio commessi in ambito familiare, nota a Corte cost., 5 novembre 2015, n. 223, in www.penalecontemporaneo.it,

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